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Responsabilità civile, come applicare la formula del “più probabile che non”

Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.10978 del 26/04/2023

In tema di responsabilità civile, trova applicazione la regola secondo cui il nesso di causa è provato quando la tesi a favore (del fatto che un evento sia causa di un altro) è più probabile di quella contraria (che quell'evento non sia causa dell'altro): il che si esprime con la formula del "più probabile che non".

Lo ha ribadito la Cassazione, sezione II, con la sentenza n. 10978 del 26 aprile 2023.

Il caso di specie riguardava un motociclista che aveva perso la vita in un incidente stradale mentre tentava un sorpasso non riuscito. Gli eredi avevano citato in giudizio l'Anas e la compagnia di assicurazioni sostenendo che nel punto in cui il motociclista era caduto era presente un'anomalia del manto stradale, dovuta alle pessime condizioni del giunto, da considerare come concausa dell'incidente. Il tribunale di Novara accoglieva la domanda degli eredi, mentre la Corte di Appello di Torino accoglieva l'appello incidentale, ritenendo l’esclusiva responsabilità del motociclista. Gli eredi allora ricorrevano in Cassazione.

La Cassazione accoglie il ricorso degli eredi, ribadendo che qualora l'evento dannoso sia ipoteticamente riconducibile a una pluralità di cause, si devono applicare i criteri della "probabilità prevalente" e del "più probabile che non".

Pertanto, il giudice di merito è tenuto a:

  1. Eliminare le ipotesi meno probabili tra quelle valutabili, indipendentemente dal numero delle possibili ipotesi alternative concretamente identificabili, data l'impredicabilità di un'aritmetica dei valori probatori;
  2. Analizzare le rimanenti ipotesi ritenute più probabili;
  3. Scegliere tra esse quella che abbia ricevuto, secondo un ragionamento di tipo inferenziale, il maggior grado di conferma dagli elementi di fatto aventi la consistenza di indizi, assumendo così la veste di probabilità prevalente.

La Suprema Corte precisa che la probabilità riguarda il grado dell'inferenza, ossia: dai determinati indizi è probabile (più probabile che non) che la causa sia quella indicata dal danneggiato, ma non riguarda la rilevanza degli stessi indizi, che invece devono essere non già probabili, ma gravi, precisi e concordanti.

Di conseguenza, il giudice di merito deve basare la decisione su fatti gravi, precisi e concordanti, e non meramente ipotetici o supposti come probabili. Da quei fatti deve indurre ipotesi ricostruttive del nesso di causa, escludendo quelle meno probabili e scegliendo, tra quelle rimaste, l'ipotesi che spiega il fatto con maggiore probabilità, sulla base degli indizi raccolti.


Vedi anche:

Responsabilità civile, accertamento del nesso causale, pluralità di cause, criteri della "probabilità prevalente" e del "più probabile che non", applicazione

In tema di accertamento del nesso causale nella responsabilità civile, qualora l'evento dannoso sia ipoteticamente riconducibile a una pluralità di cause, si devono applicare i criteri della "probabilità prevalente" e del "più probabile che non"; pertanto, il giudice di merito è tenuto, dapprima, a eliminare, dal novero delle ipotesi valutabili, quelle meno probabili (senza che rilevi il numero delle possibili ipotesi alternative concretamente identificabili, attesa l'impredicabilità di un'aritmetica dei valori probatori), poi ad analizzare le rimanenti ipotesi ritenute più probabili e, infine, a scegliere tra esse quella che abbia ricevuto, secondo un ragionamento di tipo inferenziale, il maggior grado di conferma dagli elementi di fatto aventi la consistenza di indizi, assumendo così la veste di probabilità prevalente.

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Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n. 10978 del 26/04/2023

Ritenuto che

1.- R.L. ha perso la vita in un incidente stradale, alla guida della sua motocicletta, mentre tentava un sorpasso non riuscito: il R., infatti, avvedutosi del fatto che dalla corsia opposta sopraggiungeva un autoarticolato, ha frenato per rinunciare al sorpasso, ma è caduto ed è andato ad urtare contro il parafango del camion.

Gli eredi del R., ossia L.L., in proprio e quale rappresentante del figlio minore R.M., hanno citato in giudizio, davanti al Tribunale di Novara, sia l'Anas che la Reale Mutua assicurazioni: la prima in ragione del fatto che era emerso che nel punto in cui il R. era caduto vi era una anomalia del manto stradale, dovuta alle pessime condizioni del giunto, così che tale anomalia era assunta dagli attori quale concausa dell'incidente; la seconda in quanto sarebbe emerso che dietro all'autocarro circolava un veicolo non identificato che avrebbe avuto una certa parte nel causare l'incidente, veicolo rimasto ignoto, cosi che la reale Mutua era citata quale compagnia designata per il Fondo.

2.-In quel giudizio si sono costituiti entrambi i convenuti: l'Anas ha chiesto il rigetto della domanda assumendo come esclusiva la responsabilità della vittima, mentre la Reale Mutua ha eccepito che non vi era alcuna ragione per ritenere la presenza di un ulteriore veicolo non identificato.

3.-Il Tribunale di Novara ha accolto la domanda, accertando che l'incidente si era verificato sia per l'imprudenza del R., che aveva inciso al 60%, sia per un difetto del manto stradale, che invece aveva inciso per il rimanente 40%. Ha escluso vi fosse un veicolo non identificato.

Contro questa decisione ha proposto appello incidentale la L., sia in proprio che per conto del figlio minore, per contestare la percentuale di responsabilità attribuita alla vittima nonché l'ammontare del risarcimento riconosciuto in primo grado (160 mila Euro). Ha proposto altresì ricorso incidentale Anas, al fine di far riconoscere, per contro, la responsabilità esclusiva della vittima.

La Corte di Appello di Torino ha accolto l'appello incidentale, rigettando quello principale, ed ha dunque ritento la esclusiva responsabilità del R., disponendo la restituzione delle somme incassate eventualmente dall'attrice per effetto della sentenza di primo grado.

4.-Contro questa decisione propone ricorso per Cassazione la L., sempre in proprio e per conto della figlia, con due motivi, di cui chiede il rigetto Anas spa, con controricorso. Non è costituita la reale Mutua, rimasta contumace anche in appello.

Entrambe le parti hanno depositato memoria. Il PG ha chiesto l'accoglimento del ricorso.

Considerato che

4.1.- Va preliminarmente valutata l'eccezione fatta da Anas, controricorrente, che assume il difetto di legittimazione attiva della L., (moglie della vittima) in proprio e quale rappresentante del figlio.

L'idea di Anas è che, asserendo di agire in proprio e per conto del figlio, la L. non ha specificato di essere erede, o meglio, di agire iure hereditatis: solo in tale qualità avrebbe potuto agire in giudizio, ma non l'ha esplicitata. E ciò in quanto i soli danni che l'erede può chiedere solo quelli, per l'appunto, iure hereditatis.

L'eccezione presuppone che, avendo la L. dichiarato di agire in proprio, è come se non lo facesse quale erede, il che è errato: in proprio qui significa che fa valere diritti propri che sono sia quelli in cui subentra come erede della vittima, che quelli (il risarcimento dei danni iure proprio) che può far valere direttamente. E lo stesso discorso vale per il figlio, nel cui conto agisce l'attrice.

E' evidente che la ricorrente ha agito quale erede della vittima, sul piano processuale, ma per far valere sia diritti propri (in cui è subentrata o che siano personali) sia, allo stesso modo, diritti in cui è subentrato il figlio o che sono propri di quest'ultimo.

La tesi è frutto, ossia, di una confusione: quella tra legittimazione ad agire, che spetta agli eredi indubbiamente, e tali sono la moglie ed il figlio del defunto, da un lato, e, dall'altro, il tipo di danno che costoro possono far valere, che può essere sia iure hereditatis che iure proprio.

Nel merito.

5.- Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 2051 e 2697 c.c., oltre che dell'art. 1227 c.c..

La tesi è la seguente.

Si discuteva, nei giudizi di merito, sul ruolo della cosa, ossia del difetto di manutenzione della cosa, quale concausa del danno: vale a dire che era assunto dall'attrice, ed oggetto altresì di indagine peritale, che l'incidente era dovuto prevalentemente alle condizioni del manto stradale.

La premessa da fare è che è pacifico che per potersi affermare responsabilità da cose in custodia il danneggiato deve dimostrare che il danno da lui subito è in relazione causale con la cosa: che quest'ultima, in altri termini, ha causato il danno, restando poi a carico del custode la prova liberatoria.

La Corte di Appello ha ritenuto non provata la prima condizione, ossia non provato che la cosa (le condizioni del manto stradale) ha concorso a causare il danno: ha ritenuto sulla base degli elementi emersi che non era né certo né altamente probabile che la cosa avesse contributo al danno.

La ricorrente ritiene che, nel compiere questo accertamento, ossia del nesso di causa, la Corte di Appello ha violato il criterio, più volte ribadito da questa Corte, secondo cui il nesso di causa deve ritenersi accertato quando la tesi a suo favore è più probabile di quella contraria ("più probabile che no").

La Corte di appello, per contro, avrebbe preteso non già una probabilità superiore alla tesi contraria, ma la certezza o l'elevata probabilità.

A questa ratio decidendi, la Corte di appello è giunta, peraltro, dopo avere vagliato gli indizi a favore dell'una e della opposta soluzione.

E questo accertamento è oggetto del secondo giudizio di censura, che è dunque legato logicamente al primo.

6.- Infatti con il secondo motivo, la ricorrente denuncia violazione degli artt. 2727 e ss. poiché assume che la Corte di merito non ha posto a base della presunzione, secondo la quale la cosa non ha inciso causalmente sul danno, elementi indiziari gravi precisi e concordanti: piuttosto ha assunto a base di tale sua conclusione elementi che erano di mero sospetto o assolutamente dubbi, come la velocità tenuta dalla vittima.

Con ciò ha violato dunque la regola per la quale una conclusione può essere assunta su base presuntiva solo facendo ricorso ad indizi gravi, precisi e concordanti.

I due motivi possono valutarsi insieme e sono fondati.

E' nota la giurisprudenza di questa Corte sulla prova del nesso di causalità e dunque sulla regola secondo cui il nesso di causa è provato quando la tesi a favore (del fatto che un evento sia causa di un altro) è più probabile di quella contraria (che quell'evento non sia causa dell'altro): il che si esprime con la formula del "più probabile che no".

Nel caso di concorso di cause, che è ciò che si tratta di accertare qui, ossia nel caso in cui si tratta di verificare se la cosa ha contribuito causalmente all'evento insieme ad altre concause, quel principio di diritto è specificato nel modo seguente: "qualora l'evento dannoso sia ipoteticamente riconducibile a una pluralità di cause, si devono applicare i criteri della "probabilità prevalente" e del "più probabile che non"; pertanto, il giudice di merito è tenuto, dapprima, a eliminare, dal novero delle ipotesi valutabili, quelle meno probabili (senza che rilevi il numero delle possibili ipotesi alternative concretamente identificabili, attesa l'impredicabilità di un'aritmetica dei valori probatori), poi ad analizzare le rimanenti ipotesi ritenute più probabili e, infine, a scegliere tra esse quella che abbia ricevuto, secondo un ragionamento di tipo inferenziale, il maggior grado di conferma dagli elementi di fatto aventi la consistenza di indizi, assumendo così la veste di probabilità prevalente". (Cass. 25885 del 2022).

Naturalmente la probabilità riguarda il grado dell'inferenza, ossia: dai determinati indizi è probabile (più probabile che no) che la causa sia quella indicata dal danneggiato, ma non riguarda la rilevanza degli stessi indizi, che invece devono essere non già probabili, ma gravi, precisi e concordanti.

Con la conseguenza che il giudice di merito deve porre a base della decisione fatti che siano gravi, precisi e concordanti, e non meramente ipotetici o supposti come probabili, e da quei fatti deve indurre ipotesi ricostruttive del nesso di causa escludendo quelle meno probabili, e scegliendo, tra quelle rimaste, l'ipotesi che spiega il fatto con maggiore probabilità, sulla base degli indizi raccolti.

Non serve dunque né la certezza, né una elevata probabilità, come assunto dalla Corte di merito, bensì una valutazione delle ipotesi alternative e la scelta di quella più probabile, anche se di poco, rispetto alle altre, che non necessariamente si ponga come di elevata probabilità.

Ciò si spiega per il fatto che le probabilità numeriche di un fatto (che la cosa abbia concorso al danno) non necessariamente ammontano al 100%, ossia: data la tesi X e quella contraria Y, non necessariamente la loro somma porta al 100% (nel senso che la prima è data al 60% e l'altra al 40%, ad esempio).

Ciò accade perché c'e' sempre spazio per altre spiegazioni, molto meno probabili, che sono date ad una percentuale minore. Cosi che, scartate queste ultime (come indicato da Cass. 25885-2022), può accadere che le rimanenti, ad esempio quella sostenuta dall'attore e quella sostenuta dal convenuto, abbiano l'una il 30% e l'altra il 20%: la regola del più probabile che no, porta ad affermare come fondata la prima delle due, anche se non caratterizzata da una elevata probabilità, come ha preteso la corte di merito, quanto piuttosto di una probabilità maggiore dell'altra ipotesi.

Per contro, la corte di merito, nel ritenere provato, da parte del custode, il fatto liberatorio, costituito dal concorso di colpa del danneggiato, ha violato il principio di diritto affermato da questa Corte secondo cui il custode deve fornire la prova del ruolo causale della condotta del danneggiato, che deve essere tale da incidere sul nesso di causalità escludendolo (Cass. 9315-2019; Cass. 2480-2018). Invece, dalla motivazione della sentenza impugnata risulta, come evidenziato dal Pubblico Ministero, che viene data per provata l'incidenza causale della condotta del danneggiato sulla base di una valutazione meramente ipotetica ricavata dalla CTU, e non nei termini dell'efficienza causale richiesta per potersi considerare fatto liberatorio.

Il ricorso va pertanto accolto in questi termini.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la decisione impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Torino, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 30 marzo 2023.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2023.

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