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Diritto di cronaca: limiti, scriminanti e responsabilità del giornalista

Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.11514 del 03/05/2023

Quali sono i limiti e le scriminanti nell'esercizio del diritto di cronaca, nonché sulle responsabilità dei giornalisti in caso di diffamazione a mezzo stampa?

È tornata ad occuparsi del tema la Prima Sezione civile della Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 11514 del 3 maggio 2023.

La Corte sottolinea che, per un legittimo esercizio del diritto di cronaca e di critica, è necessario rispettare la verità oggettiva e astenersi dall'utilizzo di ambiguità maliziose o espressioni fuorvianti. La verità oggettiva viene meno quando vengono omessi intenzionalmente o colposamente fatti strettamente correlati a quelli riportati, o quando i fatti sono accompagnati da elementi che inducono a false rappresentazioni della realtà.

I limiti del diritto di cronaca comprendono l'interesse pubblico, la correttezza nella narrazione e la corrispondenza tra i fatti accaduti e quelli esposti. Questa valutazione deve considerare non solo il contenuto dell'articolo, ma anche le modalità con cui la notizia viene presentata, incluso l'analisi dei titoli e sottotitoli.

Per quanto riguarda l'esimente del diritto di critica, in particolare la critica politica, è necessario che il fatto storico alla base dell'elaborazione critica sia vero. L'esimente non è applicabile se le notizie vengono manipolate o rappresentate in modo incompleto, stravolgendo il fatto specifico e i soggetti coinvolti.

La divulgazione di notizie lesive dell'onore è scriminata per legittimo esercizio del diritto di cronaca se si rispettano i seguenti requisiti:

a) la verità oggettiva o putativa, frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca;

b) l'interesse pubblico all'informazione, ovvero la pertinenza;

c) la forma "civile" dell'esposizione e della valutazione dei fatti, cioè la continenza.

Il giornalista ha l'obbligo di controllare l'attendibilità della fonteinformativa, a meno che non provenga dall'autorità investigativa o giudiziaria, e di accertare la verità del fatto pubblicato. In caso contrario, risponde dei danni derivati dal reato di diffamazione a mezzo stampa, salvo che non provi la sua buona fede.

I giudici di legittimità aggiungono che la verità putativa non dipende dalla mera verosimiglianza dei fatti narrati, ma è necessaria la dimostrazione dell'involontarietà dell'errore e del controllo accurato della fonte e della sua attendibilità. Questo principio si estende anche alle fonti di rilievo pubblico sulle quali il giornalista può fare legittimo affidamento, come ad esempio un pubblico registro.

Diritto di cronaca, divulgazione a mezzo stampa di notizie lesive dell'onore, scriminante, condizioni

La divulgazione a mezzo stampa di notizie lesive dell'onore è scriminata per legittimo esercizio del diritto di cronaca se ricorrono: a) la verità oggettiva (o anche solo putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca), la quale non sussiste quando, pur essendo veri i singoli fatti riferiti, siano dolosamente o colposamente taciuti altri fatti, tanto strettamente ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato, ovvero quando i fatti riferiti siano accompagnati da sollecitazioni emotive, sottintesi, accostamenti, insinuazioni, allusioni o sofismi obiettivamente idonei a creare nella mente del lettore false rappresentazioni della realtà; b) l'interesse pubblico all'informazione, cioè la cosiddetta pertinenza; c) la forma "civile" dell'esposizione e della valutazione dei fatti, cioè la cosiddetta continenza. 

Diritto di cronaca, obbligo di controllare l'attendibilità della fonte, danni derivati dal reato di diffamazione a mezzo stampa, verità putativa del fatto

In tema di esercizio del diritto di cronaca il giornalista ha l'obbligo di controllare l'attendibilità della fonte informativa, a meno che non provenga dall'autorità investigativa o giudiziaria, e di accertare la verità del fatto pubblicato, restando altrimenti responsabile dei danni derivati dal reato di diffamazione a mezzo stampa, salvo che non provi l'esimente di cui all'art. 59, ultimo comma c.p., ossia la sua buona fede. A tal fine la cosiddetta verità putativa del fatto non dipende dalla mera verosimiglianza dei fatti narrati, essendo necessaria la dimostrazione dell'involontarietà dell'errore, dell'avvenuto controllo - con ogni cura professionale, da rapportare alla gravità della notizia e all'urgenza di informare il pubblico - della fonte e della attendibilità di essa, onde vincere dubbi e incertezze in ordine alla verità dei fatti narrati.

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Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n. 11514 del 03/05/2023

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato in data 17.7.2019 l'onorevole O.M. ha evocato in giudizio la Cierre Edizioni s.a.s. di C.R. e C. e N.A., nelle rispettive vesti di editore e direttore responsabile della testata giornalistica on line "******", chiedendone la condanna al risarcimento dei danni conseguenti alla pubblicazione nell' ****** sul sito internet della testata di tre articoli a contenuto asseritamente diffamatorio.

In particolare, il ****** era stato pubblicato il primo articolo, intitolato "******".

In tale articolo si informava della mancata partecipazione dell'****** O. a 15.146 sedute parlamentari su 24.836, e si affermava che l'attore "******".

Il ****** la testata aveva pubblicato un secondo articolo, intitolato "******".

In tale articolo era stato sostenuto che le trasferte americane dell'attore a sostegno della liberazione del concittadino F.C. sarebbero state pagate dai contribuenti italiani e si ribadiva che l'attore era stato "******".

Nella stessa data veniva pubblicato anche il terzo articolo, intitolato "******".

Nell'articolo si asseriva che la reale motivazione dei viaggi dell'attore in America andava colta nel suo ruolo di manager della ditta Marmareous USA LLC. L'articolo, quindi, si domandava come fosse possibile per un parlamentare "******". Anche quest'ultimo articolo concludeva con un riferimento all'imminente tornata elettorale.

O.M. ha sostenuto che la pubblicazione degli articoli aveva provocato il crollo delle preferenze della lista ****** che sosteneva la sua candidatura e la conseguente sua mancata elezione al Consiglio Provinciale di ****** e ha chiesto che i convenuti fossero condannati al risarcimento del danno, patrimoniale, pari alle spese sostenute in campagna elettorale e alla perdita delle indennità connesse alla carica di consigliere provinciale, e non patrimoniale.

Si sono costituiti i convenuti Cierre s.a.s. e N. chiedendo il rigetto della domanda dell'attore.

2. Con sentenza del 12.9.2021 il Tribunale di Trento ha rigettato la domanda dell'attore, gravandolo delle spese di lite, e ha osservato: che la scarsa partecipazione all'attività parlamentare e la modesta produttività dell'attore erano temi noti all'opinione pubblica in quanto affrontati e dibattuti dalla stampa locale fin dall'anno 2014; che l'attore non aveva contestato il dato numerico relativo alle assenze, e che le sue spiegazioni in merito erano generiche e costituite solo da documenti provenienti dalla sua pagina Facebook, e quindi non valorizzabili in sede probatoria; che, quanto ai viaggi dell'attore negli USA per il caso F.C., associati nel terzo articolo alla posizione dell'attore di socio/manager della ditta Marmareous Usa L.L.C. con sede in ******, solo con la mail dell'8.2.2019 dell'avv. Lawrence E. Blake era emerso che egli non aveva alcuna posizione manageriale e che tale circostanza non poteva essere nota ai convenuti; che erano quindi stati rispettati tutti i limiti al diritto di cronaca (verità dei fatti pubblicati, tratti da siti pubblici e istituzionali; sussistenza dell'interesse pubblico; continenza nel linguaggio sia sotto sotto l'aspetto della continenza formale dell'esposizione, sia sotto quello sostanziale della non eccedenza dei limiti di quanto strettamente necessario per il pubblico interesse); che non vi era comunque alcuna prova del nesso di causalità tra la pubblicazione degli articoli e la mancata elezione a consigliere provinciale, dovuta assai verosimilmente alla creazione ex novo di una nuova lista politica poche settimane prima del voto.

3. Avverso la predetta sentenza di primo grado ha proposto appello l'****** O., a cui hanno resistito gli appellati Cierre e N..

La Corte di appello di Trento con sentenza del 4.3.2022 ha respinto l'appello con aggravio delle spese di lite.

La Corte di appello ha osservato:

- che il fatto che la partecipazione alle votazioni fosse già stata oggetto di articoli di stampa costituiva una semplice premessa della sentenza impugnata, ma non faceva parte del percorso logico che aveva condotto al rigetto della domanda;

- che la sentenza impugnata aveva correttamente dato atto che l'appellante non ha contestato "il dato numerico relativo alle assenze" e che gli articoli denunciati come diffamatori avevano in realtà sempre circoscritto le proprie censure alla misura della partecipazione dell'****** O. ai lavori parlamentari, e, più precisamente, alle votazioni;

- che il dato numerico si riferiva ai casi di non partecipazione al voto;

- che non avevano rilievo le attività riferite dall'appellante in qualità di deputato perché era evidente la differenza fra una notizia falsa e una notizia vera, ma semplicemente riferita a una singola e specifica circostanza, nel caso la mancata partecipazione al voto, sicché la diffusione di una notizia vera non poteva ledere l'onore e la reputazione di una persona;

- che in nessun passo si leggeva che l'appellante sarebbe andato negli Stati Uniti "a spese dei contribuenti italiani";

- che le critiche per aver seguito negli ****** il caso ****** avevano carattere ironico e retorico;

- che la qualificazione dell'on. O. come "****** della ditta ****** con sede in ******", scaturiva da un estratto, ricavato da Internet, con i dati societari e la posizione di "manager" dell'appellante, cosa che l'Avv. Lawrence Blake, che si era occupato della registrazione della predetta società, aveva chiarito, dichiarando che l'appellante era stato indicato come manager della società per mero errore, non avendo autorità per operare in tale senso;

- che pertanto il documento, pur negando poteri di amministratore in capo all'appellante, confermava, oltre alla sua qualità di socio, che tali poteri risultavano effettivamente dai pubblici registri, sia pure per errore del professionista incaricato;

- che quindi la posizione di amministratore di una società con sede in ******, Stato di detenzione di F.C., effettivamente consentiva all'articolista di interrogarsi sulle reali ragioni delle visite in ****** dell'appellante.

4. Avverso la predetta sentenza, notificata in data 4.3.2022, con atto notificato il 2.5.2022 ha proposto ricorso per cassazione O.M., svolgendo quattro motivi.

Con atto notificato il 1.6.2022 e il 13.6.2022 hanno separatamente proposto controricorso la Cierre s.a.s. e N.A., chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell'avversaria impugnazione.

Il ricorrente ha presentato memoria illustrativa.

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia, in relazione all'art. 360 n. 4, c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115,116,132, comma 2 n. 4, 183 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., vizio di motivazione, motivazione apparente, motivazione illogica e contraddittoria circa la mancata contestazione del dato numerico relativo alle assenze.

Il ricorrente sostiene che la motivazione della sentenza impugnata, benché graficamente esistente, non renda percepibile il fondamento della decisione perché fondata su argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il percorso seguito dai giudici per la formazione del loro convincimento.

In particolare, la Corte trentina non si sarebbe preoccupata di superare le argomentazioni critiche dell'appellante e non avrebbe chiarito la fondamentale differenza fra i concetti di assenza in Parlamento e di partecipazione alle singole votazioni che pure il ricorrente aveva avuto con il secondo motivo dell'appello cura di sottolineare.

Il ricorrente ricorda di aver evidenziato la fondamentale differenza fra le singole espressioni di voto e le sedute parlamentari e la relativa incidenza sulla sua contestata partecipazione.

6. Il motivo è infondato.

Non sussiste la motivazione solamente apparente che il ricorrente denuncia.

A pagina 16 della sentenza impugnata la Corte trentina ha adeguatamente chiarito le ragioni del suo convincimento circa la correttezza della valutazione di non contestazione del dato numerico delle assenze formulata dal Tribunale e da essa condivisa.

La Corte ha infatti precisato che il concetto di assenza era relativo alla non partecipazione del parlamentare ad una operazione di voto e non alle sedute parlamentari (che sono ovviamente molto minori delle votazioni) e che il dato numerico, relativo alle votazioni e non alle sedute, indicato negli articoli, così inteso, non era stato contestato dall'****** O..

Secondo la Corte di appello era del tutto ovvio e comunque era stato sottolineato in vari passi degli articoli che per assenze si intendevano le non partecipazioni al voto e che l'****** O. non aveva votato 15.146 volte.

Questo dato, in sé considerato, è esatto e soprattutto il ricorrente stesso riconosce di non averlo contestato.

In realtà il ricorrente assume che gli articoli avrebbero indotto il lettore a ritenere che lui avrebbe disertato le sedute della Camera molte più volte di quel che in realtà aveva fatto e che rientravano nella fisiologia: tuttavia, diversamente da quanto censurato con il motivo, i giudici di appello hanno chiaramente espresso il loro pensiero e cioè che gli articoli si riferivano a mancate partecipazioni al voto con un dato numerico che l'****** O. non aveva contestato.

7. Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, violazione o falsa applicazione degli artt. 2043 e 2059 c.c., anche in relazione alla Cost., artt. 2 e 21, nonché degli artt. 595 e 51 c.p. in relazione alla L. n. 47/1948, oltre che dei principi in materia di liceità del diritto di cronaca, e lamenta la mancata considerazione dell'assenza del requisito di verità del fatto.

In particolare, il ricorrente si duole del rigetto del terzo motivo di appello che concerneva la falsità dei fatti pubblicati.

Il lettore/elettore sarebbe stato indotto in confusione tra il dato riguardante le mancate partecipazioni alle votazioni e il dato relativo alle assenze in Parlamento; sarebbe stato insinuato il dubbio che i viaggi negli Stati Uniti fossero stati pagati dai contribuenti italiani laddove nel terzo articolo del ****** era stato affermato " secondo noi sono stati pagati dai cittadini italiani che contribuivano a far accreditare ogni fine mese una lauta paga sul suo conto corrente per il lavoro e le presenze che avrebbe dovuto tenere nelle aule parlamentari"; che infine tali trasferte erano dovute ad un'altra nascosta ragione, ossia che O.M. era socio manager di una ditta americana con sede in ******.

Al contrario - puntualizza il ricorrente - l'****** O. era stato assente ingiustificato nel quinquennio parlamentare 20132018 solo 57 volte; si era recato negli Stati Uniti per far visita al detenuto F.C. in ben cinque occasioni ma sempre a sue spese; che infine O.M. non aveva mai ricoperto il ruolo di socio manager della ditta con sede in ******, mai divenuta operativa.

8. Il motivo non è fondato.

Il dato numerico delle assenze in cui era incorso il ricorrente si riferiva alle votazioni disertate, 15.146 su 24.836 totali, e non alle sedute parlamentari, che in tutta la legislatura erano state soltanto 905.

Il ricorrente sostiene che gli articoli talora avevano fatto riferimento anche alle sedute e genericamente alle assenze e soprattutto non avevano mai chiarito che il riferimento era alle sole espressioni di voto.

La Corte di appello ha affermato (pag.16, penultimo capoverso) che era del tutto ovvio che le assenze si riferivano alle votazioni e non alle sedute parlamentari e soprattutto che ciò era stato sottolineato in vari passi degli articoli ("******" e "******").

9. E' indubbio che l'esercizio del diritto di cronaca e di critica impone a chi lo esercita non solo la rigorosa verità oggettiva ma anche l'astensione dall'impiego di maliziose ambiguità e di espressioni potenzialmente fuorvianti per un lettore in buona fede. Infatti la verità oggettiva non sussiste quando, pur essendo veri i singoli fatti riferiti, siano dolosamente o colposamente taciuti altri fatti, tanto strettamente ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato, ovvero quando i fatti riferiti siano accompagnati da sollecitazioni emotive, sottintesi, accostamenti, insinuazioni, allusioni o sofismi obiettivamente idonei a creare nella mente del lettore false rappresentazioni della realtà (Sez. 3, n. 14822 del 4.9.2012).

Anche la giurisprudenza penale di questa Corte ha da tempo chiarito che in tema di diffamazione col mezzo della stampa, i limiti che circoscrivono l'ambito dell'esercizio del diritto di cronaca sono rappresentati - oltre che dall'oggettivo interesse che i fatti narrati rivestano per l'opinione pubblica - dalla correttezza con la quale essi vengono narrati, in modo da evitare gratuite aggressioni all'altrui onorabilità, e dalla corrispondenza tra i fatti accaduti e quelli esposti (principi, rispettivamente, della contingenza e della verità). La relativa valutazione va effettuata con riferimento non solo al contenuto letterale dell'articolo, ma anche alle modalità complessive, con le quali la notizia viene data, sicché decisivo può essere, tra l'altro, l'esame dei titoli e dei sottotitoli (Sez. 1, n. 2401 del 12.1.1995 ud. dep. 11.3.1995, Rv. 200472 - 01).

Inoltre è stato ripetutamente affermato che ai fini del riconoscimento dell'esimente del diritto di critica, e specificamente di critica politica, non può prescindersi dal requisito della verità del fatto storico posto a fondamento della elaborazione critica; sicché l'esimente non è applicabile qualora l'agente manipoli le notizie o le rappresenti in modo incompleto, in maniera tale che, per quanto il risultato complessivo contenga un nucleo di verità, ne risulti stravolto il fatto, inteso come accadimento di vita puntualmente determinato, riferito a soggetti specificamente individuati. (In applicazione del principio, la Corte ha annullato con rinvio la decisione d'appello che aveva riconosciuto l'esimente all'autore di alcuni volantini nei quali, per screditare l'operato di una giunta comunale, si affermava che il sindaco era stato "sottoposto a giudizio", senza specificare che si trattava di giudizi civili e amministrativi, ai quali il sindaco era chiamato nella qualità di rappresentante dell'ente locale). (Sez. 5, n. 7798 del 27.11.2018 ud., dep. 20.2.2019, Rv. 276026 - 01; cfr anche Sez. 5, n. 57005 del 27.9.2018 ud., dep. 18.12.2018, Rv. 274625 - 01; Sez. 5, n. 36838 del 20.7.2016 ud., dep. 05.9.2016, Rv. 268568 - 01).

10. Tuttavia il ricorrente non riporta nel ricorso il testo integrale degli articoli, o almeno delle loro parti essenziali e qualificanti, né li allega specificamente al ricorso per cassazione ex art. 366, comma 1, n. 6 e 369, comma 2, n. 4, c.p.c..

Il ricorrente ne cita solo delle frasi stralciate e decontestualizzate (pag.4) che appaiono del tutto inidonee a smentire l'assunto della Corte territoriale, come pure a consentire una valutazione complessiva della portata del messaggio trasmesso ai lettori, in ordine al punto determinante del riferimento alle assenze dalle votazioni o alle sedute e alla verifica dell'ambiguità ed equivocità allegate dal ricorrente.

Non è certamente sufficiente a integrare l'onere di allegazione specifica dei documenti su cui il ricorso si fonda la produzione degli interi fascicoli di parte dei giudizi di merito.

E' pur vero che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) - quale corollario del requisito di specificità dei motivi - anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del ****** - non deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e non può pertanto tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all'interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (Sez. U, n. 8950 del 18.3.2022).

Tuttavia, proprio per le caratteristiche del giudizio di legittimità l'onere di specificità delle censure impone al ricorrente di dar conto in modo puntuale di atti e documenti sui quali il ricorso si fonda e nel caso, quindi, dell'intero complessivo tenore degli articoli che sarebbe necessario valutare per cogliere un intento manipolativo e fuorviante al di là della verità oggettiva e putativa dei singoli fatti riferiti.

Ne' infine tale vizio genetico del ricorso potrebbe essere sanato da alcune, comunque incomplete, precisazioni racchiuse nella memoria illustrativa.

Nel giudizio civile di legittimità, con le memorie di cui all'art. 378 c.p.c., destinate esclusivamente ad illustrare ed a chiarire i motivi della impugnazione, ovvero alla confutazione delle tesi avversarie, non possono essere dedotte nuove censure né sollevate questioni nuove, che non siano rilevabili d'ufficio, e neppure può essere specificato, integrato o ampliato il contenuto dei motivi originari di ricorso (Sez. 2, n. 24007 del 12.10.2017; Sez. 1, n. 26332 del 20.12.2016; Sez. 6 - 3, n. 3780 del 25.2.2015; Sez. 2, n. 30760 del 28.11.2018).

11. Il ricorrente riferisce la frase relativa ai viaggi negli ****** "secondo noi sono stati pagati dai cittadini italiani che contribuivano a far accreditare ogni fine mese una lauta paga sul suo conto corrente per il lavoro e le presenze che avrebbe dovuto tenere nelle aule parlamentari" che accrediterebbe nel lettore l'assunto che i viaggi negli ****** dell'****** O. fossero stati effettuati a spese dello Stato.

A pagina 16, primo capoverso, la Corte trentina afferma che in nessun passo si legge che l'appellante sarebbe andato negli ****** a spese dei contribuenti italiani e cita, a smentita, una passaggio del secondo articolo volta a replicare all'affermazione dell'****** O. di esservi andato a proprie spese con la frase " ******".

La frase citata dal ricorrente, ancora un volta decontestualizzata, ben può significare anche quel che implicitamente ha ritenuto la Corte di appello e cioè che i viaggi erano stati pagati dall'****** O. con uno stipendio di parlamentare percepito senza svolgere effettivamente il proprio mandato.

Anche in questo caso una rivalutazione complessiva dell'effettiva portata dell'articolo e del significato trasmesso ai lettori in buona fede non è possibile per difetto di specificità della censura derivante dalla mancata riproduzione e allegazione degli articoli.

12. La terza accusa mossa all'****** O., ossia di essersi recato negli ****** per esigenze connesse alla carica di socio manager di una ditta americana piuttosto che per seguire il caso di F.C., non corrispondeva oggettivamente al vero, poiché è stato accertato che O.M. era solamente socio ma non amministratore della Marmareous LLC.

Tuttavia l'operato del giornale è stato ritenuto scriminato dalla verità putativa, perché il giornalista si era fondato su di un documento ufficiale che solo la successiva deposizione dell'avvocato Blake aveva dimostrato contenere dati inesatti.

L'avv. Blake era il professionista che si era occupato della registrazione e aveva dichiarato di aver indicato per errore O.M. come amministratore (manager) della società e non come mero socio; tuttavia era accertato che i pubblici registri americani indicavano, sia pure per errore, il ricorrente come manager della società.

13. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la divulgazione a mezzo stampa di notizie lesive dell'onore è scriminata per legittimo esercizio del diritto di cronaca se ricorrono: a) la verità oggettiva (o anche solo putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca), la quale non sussiste quando, pur essendo veri i singoli fatti riferiti, siano dolosamente o colposamente taciuti altri fatti, tanto strettamente ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato, ovvero quando i fatti riferiti siano accompagnati da sollecitazioni emotive, sottintesi, accostamenti, insinuazioni, allusioni o sofismi obiettivamente idonei a creare nella mente del lettore false rappresentazioni della realtà; b) l'interesse pubblico all'informazione, cioè la cosiddetta pertinenza; c) la forma "civile" dell'esposizione e della valutazione dei fatti, cioè la cosiddetta continenza. (Sez. 3, n. 14822 del 4.9.2012).

In tema di esercizio del diritto di cronaca il giornalista ha l'obbligo di controllare l'attendibilità della fonte informativa, a meno che non provenga dall'autorità investigativa o giudiziaria, e di accertare la verità del fatto pubblicato, restando altrimenti responsabile dei danni derivati dal reato di diffamazione a mezzo stampa, salvo che non provi l'esimente di cui all'art. 59, ultimo comma c.p., ossia la sua buona fede. A tal fine la cosiddetta verità putativa del fatto non dipende dalla mera verosimiglianza dei fatti narrati, essendo necessaria la dimostrazione dell'involontarietà dell'errore, dell'avvenuto controllo - con ogni cura professionale, da rapportare alla gravità della notizia e all'urgenza di informare il pubblico - della fonte e della attendibilità di essa, onde vincere dubbi e incertezze in ordine alla verità dei fatti narrati. (Sez. 1, n. 29265 del 7.10.2022; Sez. 3, n. 21969 del 12.10.2020).

Tale principio è stato esteso alle fonti di rilievo pubblico sul quale il giornalista può fare legittimo affidamento (Sez. 3, n. 4242 del 10.2.2023) e tale certamente può essere ritenuto un pubblico registro: ciò è quanto avvenuto nel caso di specie ove il giornalista ha fatto affidamento alle risultanze del pubblico registro commerciale statunitense, in cui erano stati inserite e pubblicate informazioni inesatte.

14. Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 4, nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 132, comma 2, n. 4 c.p.c. error in procedendo, nonché omessa pronuncia sul quarto motivo di appello relativo alla mancata ammissione dei mezzi istruttori.

Il motivo con cui si denuncia il vizio di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. è infondato perché, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, non ricorre il vizio di omessa pronuncia quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto della domanda o eccezione formulata dalla parte, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l'impostazione logico-giuridica della pronuncia (Sez. 2, n. 20718 del 13.8.2018; Sez. 5, n. 29191 del 6.12.2017; Sez. 1, n. 24155 del 13.10.2017); analogamente non si configura il vizio di omessa pronuncia, pur in difetto di un'espressa statuizione da parte del giudice in ordine ad un motivo di impugnazione, tuttavia la decisione adottata comporti necessariamente la reiezione di tale motivo, dovendosi ritenere che tale vizio sussista solo nel caso in cui sia stata completamente omessa una decisione su di un punto che si palesi indispensabile per la soluzione del caso concreto (Sez. 6 - 1, n. 15255 del 4.6.2019).

Nel caso la Corte di appello ha ritenuto che gli articoli non fossero diffamatori e non aveva quindi ragione di valutare la loro capacità di impatto e di influenza oggetto delle pretermesse deduzioni istruttorie, che ha implicitamente ritenuto irrilevanti.

15. Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente denuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione e falsa applicazione della Cost., artt. 24 e 111, degli artt. 112,115,116,183,188,191 e ss. e 356 c.p.c. nonché dell'art. 74 disp.att. c.p.c. e 2697 c.c..

Le stesse considerazioni sopra esposte con riferimento al terzo motivo valgono anche per il quarto motivo che si riferisce alle stesse circostanze, visto che le deduzioni probatorie dell'attore appellante, incluse quelle già ritenute non contestate dal Tribunale, sono state considerate non rilevanti agli effetti del decidere dalla Corte di appello.

16. Per i motivi esposti il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese in favore dei controricorrenti, liquidate come in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla l. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, occorre dar atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, ove dovuto.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore dei controricorrenti, liquidate per ciascuno di essi nella somma di Euro 7.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esborsi, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla l. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile, il 19 aprile 2023.

Depositato in Cancelleria il 3 maggio 2023.

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