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Rinuncia all’eredità non comporta la perdita dell’assegno di divorzio

Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.13351 del 16/05/2023

La rinuncia all'eredità da parte di un ex coniuge non comporta la perdita del rinunciante ad ottenere l'assegno di divorzio.

Lo ha stabilito la Cassazione, sezione I civile, con l’ordinanza n. 13351 del 16 maggio 2023.

Nel caso di specie, il ricorrente sosteneva che la rinuncia all'eredità della ex moglie avrebbe dovuto determinare la perdita del suo diritto all'assegno di divorzio. L’ex marito sosteneva che la rinuncia era stata effettuata intenzionalmente per evitare un incremento delle risorse economiche e patrimoniali.

La Suprema Corte, tuttavia, ha sottolineato che l'ordinamento giuridico rispetta il principio di libertà nella decisione di accettare un'eredità, come stabilito dall'articolo 470 del codice civile. Questa norma tiene conto non solo delle considerazioni economiche - dal momento che l'erede è responsabile per i debiti dell'eredità - ma anche di scelte altamente personali, che potrebbero essere influenzate dalle relazioni con il defunto.

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Cassazione civile sez. I, 16/05/2023, (ud. 02/03/2023, dep. 16/05/2023), n. 13351

RILEVATO CHE

Il ricorrente ha chiesto la modifica delle condizioni di divorzio, deducendo un decremento delle proprie condizioni patrimoniali ed un incremento delle condizioni patrimoniali della ex moglie. Il Tribunale di Busto Arsizio ha respinto la domanda. Il G. ha proposto appello che la Corte milanese ha respinto osservando: a) non è dimostrato che il G. abbia subito un decremento della propria condizione reddituale risultando agli atti che il reclamante abbia venduto un immobile per la somma di Euro 350.000,00 acquistandone altro per il minore importo di Euro 220.000,00 e non risultando provata l'effettiva stipula del contratto di mutuo asseritamente da lui contratto al fine di pagarne il prezzo di acquisto; b) non risulta dimostrato che la D.G. abbia migliorato la propria situazione reddituale avendo percepito nel 2019 un reddito complessivo in linea con le dichiarazioni dei redditi riferite agli anni precedenti; nessun rilievo può essere riconosciuto all'apertura della successione ereditaria della madre della D.G. stante la documentata rinuncia all'eredità.

Il G. ha proposto ricorso per cassazione affidandosi a due motivi. Si è costituita con controricorso la D.G.. Entrambe le parti hanno depositato memoria. La causa è stata tratta alla udienza camerale non partecipata del 2 marzo 2023.

RITENUTO CHE

1.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta in relazione all'art. 360 c.p.c. nn. 3 e 5 la violazione dell'art. 116 c.p.c. con conseguente falsa applicazione della L. 1 dicembre 1970 n. 898, artt. 9 e 12 bis. La parte denuncia l'errore in cui è incorsa la Corte di Appello nell'omettere indagini istruttorie atte sia a quantificare la massa ereditaria sia a comprendere le motivazioni sottese alla manifestata rinuncia all'eredità della D.G.. Deduce che ha errato la Corte a non valutare il non volere migliorare la propria condizione economica e patrimoniale, e che la signora D.G. ha "simulato" la rinuncia all'eredità (poiché è evidente che l'accettazione avverrà a nome dei figli, consentendole di godere appieno dei beni patrimoniali della defunta madre) al solo scopo di non perdere i diritti correlati alla titolarità dell'assegno divorzile. Chiede l'applicazione del seguente principio di diritto "l'assegno divorzile continua ad essere dovuto ovvero vengono a cessare i presupposti e viene a mancare il diritto a percepirlo se l'ex coniuge rinuncia intenzionalmente ai propri diritti ereditari con conseguente rinuncia spontanea ed autonoma con la finalità di non accrescere le proprie risorse economiche e patrimoniali".

2.- Il motivo è inammissibile.

La Corte d'appello considera la rinuncia alla eredità come un fatto documentato, che rende quindi irrilevante, al fine di ritenere il (preteso) miglioramento delle condizioni economiche della D.G., la chiamata ereditaria. Il ricorrente oppone, in questa sede, che si tratterebbe di una rinuncia "simulata" ovvero con la unica motivazione di continuare a gravare sull'ex coniuge (atto emulativo), questioni di cui nel provvedimento impugnato non vi è cenno e pertanto, egli avrebbe dovuto specificare se ha le sottoposte al giudice d'appello, e in che termini, e se ha indicato specifici atti istruttori che la Corte avrebbe omesso malgrado la loro rilevanza ed ammissibilità. Posto che il ricorrente non ha assolto a quest'onere la censura deve considerarsi nuova, proposta per la prima volta in Cassazione e quindi inammissibile (Cass. n. 15430 del 13/06/2018). Il motivo è comunque inammissibile anche per altre ragioni, in quanto non si confronta compiutamente con la ratio decidendi del provvedimento impugnato, posto che la questione della (rinunciata) eredità materna è stato solo uno solo di uno degli elementi tenuti in considerazione della Corte nell'ambito di una complessiva valutazione, volta ad escludere la sussistenza dei presupposti per la revisione delle condizioni di divorzio, che costituisce giudizio di fatto di cui in questa sede non si può sollecitare la revisione.

Ne' è sufficiente a superare questi evidenti difetti in punto di ammissibilità della censura la enunciazione in ricorso di un preteso "principio di diritto" che la Corte di merito avrebbe violato; non poggia infatti su alcuna norma di diritto positivo l'affermazione che "viene a mancare il diritto a percepirlo (l'assegno n.d.r.) se l'ex coniuge rinuncia intenzionalmente ai propri diritti ereditari con conseguente rinuncia spontanea ed autonoma con la finalità di non accrescere le proprie risorse economiche e patrimoniali". Viceversa il nostro ordinamento conosce il principio della libertà nella accettazione della eredità (art. 470 c.c.) posto che essa involge sia scelte di convenienza economica -dato che l'erede è tenuto al pagamento dei debiti- nonché scelte di carattere personalissimo, legate alle relazioni con il de cuius.

3.- Con il secondo motivo del ricorso si lamenta la violazione dell'art. 116 c.p.c. con conseguente falsa applicazione della L. 1 dicembre 1970 n. 898, art. 9 in relazione all'art. 360 c.p.c n. 5, per erronea applicazione dei parametri su cui fondare la richiesta di modifica dell'assegno divorzile ed omessa valutazione delle circostanze di fatto esistenti. La parte deduce di avere posto in luce la variazione reddituale e patrimoniale data dal raggiungimento della soglia pensionistica e la negoziazione di un mutuo. Il giudice dell'impugnazione ha falsamente applicato la legge 01 dicembre 1970 n. 898, art. 9 ritenendo erroneamente non essere stato dimostrato il decremento economico subito per effetto del pensionamento e dei nuovi impegni finanziari. Al riguardo la Corte territoriale si è limitata a rilevare la mancata traccia della stipula dell'atto di mutuo ha quindi così omesso di esaminare a priori l'incidenza che lo status di pensionato e il debito contratto potesse avere sulla condizione economica del ricorrente.

4.- Il motivo è inammissibile.

Si propone, sotto veste di censura ex art. 360 c.p.c., n. 5, una censura di merito, peraltro avverso una sentenza conforme a quella di primo grado, deducendo da un lato il travisamento della prova, censura inammissibile in sede di legittimità se non si traduce in un vizio di motivazione costituzionalmente rilevante (Cass. n. 37382 del 21/12/2022), e deducendo quale "fatto" di cui sarebbe stato omesso l'esame le conseguenze economiche di una condizione personale (l'essere pensionato che ha contratto un debito) che Corte ha invece tenuto in considerazione, osservando che non è stato dimostrato che il richiedente abbia subito un decremento dalla sua condizione reddituale; con ciò la parte incorre anche in un evidente difetto di pertinenza della censura rispetto alla ratio decidendi.

Ne consegue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, Euro 200,00 per spese non documentabili oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla l. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.

Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti, riportati nella ordinanza.

Così deciso in Roma, il 2 marzo 2023.

Depositato in Cancelleria il 16 maggio 2023.

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