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Schiamazzi notturni dopo la chiusura del locale, sì alla condanna del comune

Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.14209 del 23/05/2023

In presenza di rumori e schiamazzi notturni provenienti dalla strada, è possibile rivolgersi al giudice ordinario per chiedere la condanna del comune a provvedere, con tutte le misure adeguate, all'eliminazione o alla riduzione nei limiti della soglia di tollerabilità delle emissioni acustiche nocive, oltre che al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali.

È quanto stabilito dalla Cassazione con la sentenza n. 14209 del 23 maggio 2023.

Nel caso di specie, una coppia citava in giudizio il proprio Comune, sostenendo di essere stata disturbata da rumori intollerabili prodotti dagli avventori degli esercizi commerciali situati sulla loro strada. Gli abitanti locali, soprattutto durante le sere estive del fine settimana, causavano disturbo alla quiete pubblica, rimanendo all'aperto oltre l'orario di chiusura dei suddetti esercizi.

I coniugi richiedevano in particolare che fosse accertata l'intollerabilità dei rumori provenienti dalla strada comunale, chiedendo che il Comune venisse condannato ai sensi dell'art. 844 del Codice Civile. Richiedevano altresì la cessazione immediata di tali disturbi o l'implementazione di misure atte a ridurre i rumori a un livello tollerabile. Inoltre, hanno richiesto un risarcimento per i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti.

La Corte territoriale, tuttavia, stabiliva che il Comune non era responsabile, sostenendo che non esistessero norme specifiche che imponessero all'ente un intervento diretto, oltre l'obbligo di garantire la quiete pubblica. Ha inoltre escluso che le richieste avanzate dai coniugi potessero legittimare un potere del giudice ordinario di determinare le modalità di intervento della Pubblica Amministrazione, superando i limiti della giurisdizione prevista dalla Costituzione e dalla legge n. 2248 del 1865.

La Cassazione ha invece accolto il ricorso dei coniugi. Secondo i giudici, la Corte territoriale si è basata su una premessa errata. La tutela del diritto alla salute (garantito costituzionalmente), del diritto alla vita familiare (garantito a livello convenzionale) e della proprietà, possono essere lesi da immissioni intollerabili, come nel caso di rumori provenienti da un'area pubblica. Questa protezione si applica anche nei confronti della Pubblica Amministrazione, che è tenuta a rispettare determinate norme tecniche e canoni di diligenza nella gestione dei propri beni.

La Suprema Corte ha sottolineato che la Pubblica Amministrazione può essere ritenuta responsabile sia per il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale sofferto dai privati a causa delle immissioni nocive, sia per la condanna a prendere misure per ridurre le immissioni al di sotto del livello di tollerabilità. Tale richiesta non implica la scelta o l'atto autoritativo, ma un'attività soggetta al principio del non recare danno ad altri.

La Cassazione ha dunque riconosciuto la responsabilità del Comune di fronte alle richieste di risarcimento e inibitorie avanzate dalla coppia, in relazione ai danni causati dalle immissioni intollerabili provenienti dalla strada.

Immissioni nocive, responsabilità della p.a., principio del neminem laedere

La Pubblica Amministrazione è tenuta ad osservare le regole tecniche o i canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni e, quindi, il principio del neminem laedere, con ciò potendo essere condannata sia al risarcimento del danno (artt. 2043 e 2059 c.c.) patito dal privato in conseguenza delle immissioni nocive che abbiano comportato la lesione di quei diritti, sia la condanna ad un facere, al fine di riportare le immissioni al di sotto della soglia di tollerabilità, non investendo una tale domanda, di per sé, scelte ed atti autoritativi, ma, per l'appunto, un'attività soggetta al principio del neminem laedere.

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Cassazione civile sez. III, Sentenza 23/05/2023, (ud. 19/04/2023, dep. 23/05/2023), n. 14209

FATTI DI CAUSA

1. - I coniugi P.G. e N.P. convennero in giudizio il Comune di (Omissis) deducendone la responsabilità per le immissioni di rumore nella propria abitazione, sita nella via (Omissis), prodotte dagli avventori degli esercizi commerciali ivi ubicati, i quali, nelle sere di fine settimana del periodo estivo, si trattenevano in strada recando disturbo alla quiete pubblica anche ben oltre l'orario di chiusura degli stessi.

A tal fine, gli attori chiesero che fosse accertata l'intollerabilità delle immissioni provenienti da detta strada comunale e, quindi, venisse condannato il Comune di (Omissis), ex art. 844 c.c., "alla cessazione immediata delle predette immissioni ovvero alla messa in opera delle necessarie misure per ricondurre alla normale tollerabilità le immissioni medesime", nonché al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti.

1.1. - Instaurato il contraddittorio con il Comune di (Omissis), l'adito Tribunale di Brescia, all'esito del giudizio e con sentenza del settembre 2017, condannò il Comune medesimo: 1) "a far cessare le immissioni di rumore nella proprietà degli attori provenienti da via (Omissis) ovvero ad adottare le cautele idonee a riportare dette immissioni entro la soglia della normale tollerabilità, mediante la predisposizione di un servizio di vigilanza, organizzato per tutte le sere dal giovedì alla domenica nei mesi da maggio ad ottobre, con impiego di agenti comunali che si adoperino, entro la mezz'ora successiva alla scadenza dell'orario di chiusura degli esercizi commerciali autorizzati, a far disperdere ed allontanare dalla strada comunale via (Omissis) le persone che stazionano lungo la stessa"; 2) al pagamento della somma di Euro 20.000,00, in favore di ciascun attore a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale; 3) al pagamento della somma di Euro 9.049,70, oltre interessi, in favore della N. a titolo di danno patrimoniale.

2. - Avverso tale decisione proponeva appello il Comune di (Omissis), che, nel contraddittorio con il P. e la N., la Corte di appello di Brescia accoglieva con sentenza resa pubblica in data 27 ottobre 2020, con la quale, in riforma della pronuncia di primo grado, rigettava le domande proposte dagli attori.

2.1 - La Corte territoriale, a fondamento della decisione (e per quanto ancora rileva in questa sede), osservava che: a) l'art. 844 c.c. trovava applicazione anche nei confronti della pubblica amministrazione, i cui provvedimenti non potevano affievolire il diritto alla salute, così da radicare davanti al giudice ordinario la giurisdizione sulle cause in materia; b) tuttavia, nella specie, "l'utilizzo della strada quale bene di cui l'ente locale è proprietario" non avveniva, "da parte degli avventori dei locali pubblici, nell'ambito di un provvedimento ampliativo concessorio", ma la presenza dei locali costituiva "l'occasione per gli assembramenti molesti", là dove, poi, "il potere-dovere di intervenire in capo all'ente locale non (poteva) essere riferito a un generico dovere di tutelare la quiete pubblica ma va ancorato a precise disposizioni di legge per non sfociare in attività arbitrarie"; c) pertanto, "per configurarsi una responsabilità omissiva" non era sufficiente il richiamo all'art. 844 c.c., ma necessitava "ancorare l'obbligo di intervenire a una disposizione di legge che imponga il controllo sull'utilizzo della strada al fine di evitare schiamazzi notturni"; d) "nessuna delle fonti indicate dagli appellati era idonea allo scopo": non il richiamo ad una sentenza del TAR Lombardia, sez. di Brescia (n. 1255 DEL 2017), priva di un intelligibile riferimento a determinata normativa; non le norme del codice della strada (la cui finalità è solo quella della sicurezza della circolazione dei veicoli); non le norme in materia di sicurezza e ordine pubblico (che intestano tali compiti allo Stato e non al l'ente locale, se non per circostanze eccezionali, non ricorrenti nel caso del Comune di (Omissis)); non il D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 54, non essendo nella specie "contestato l'uso del potere di regolamentazione degli orari da parte del sindaco, bensì la mancata adozione di provvedimenti concreti per rendere effettiva l'osservanza di ordinanze emesse", non potendo "configurarsi un obbligo del Comune, e in particolare del Sindaco quale ufficiale di governo, di dare esecuzione coattiva alle proprie ordinanze"; e) in ogni caso, non sussisteva la "giurisdizione del Giudice Ordinario a conoscere di cause simili", poiché non era ad esso giudice consentito "di disporre l'effettuazione di un pubblico servizio, arrivando addirittura a dettarne le modalità esecutive, pena la violazione dei principi stessi sul riparto di giurisdizione previsti dalla Cost., art. 113 e dalla L. 2248 del 1865 all. E, art. 4", là dove un "diverso argomentare porterebbe il giudice ordinario semplicemente a sostituirsi all'autorità locale in un caso in cui alcuna norma consente tal sorta di operazione e in violazione del principio costituzionale della separazione dei poteri".

3. - Per la cassazione di tale sentenza ricorrono P.G. e N.P., affidando le sorti dell'impugnazione a due motivi.

Resiste con controricorso il Comune di (Omissis).

I ricorrenti hanno presentato istanza di discussione orale.

Il pubblico ministero ha depositato le proprie conclusioni scritte, chiedendo l'accoglimento del ricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. - Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 1, c.p.c., violazione della Cost., art. 113 e della L. n. 2248 del 1865, all. E , art. 4, per aver la Corte territoriale erroneamente escluso, in contrasto con la giurisprudenza di legittimità, la "sussistenza della giurisdizione dell'A.G.O. sulla controversia avente ad oggetto la domanda di condanna della p.a. a provvedere, con tutte le misure adeguate, all'eliminazione o alla riduzione nei limiti della soglia di tollerabilità delle emissioni nocive, oltre che al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, atteso che l'inosservanza da parte della p.a. delle regole tecniche o dei canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni può essere denunciata dal privato davanti al giudice ordinario, non solo per conseguire la condanna della p.a. al risarcimento dei danni, ma anche per ottenerne la condanna ad un facere, tale domanda non investendo scelte ed atti autoritativi della p.a., ma un'attività soggetta al principio del neminem laedere".

2. - Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 1 e n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione della Cost., artt. 32 e 42, 8 CEDU, 832, 844 e 2043 c.c., per aver la Corte territoriale erroneamente ritenuto necessario ancorare l'intervento del Comune, al fine di poterne configurare una responsabilità omissiva in relazione all'obbligo di far cessare le immissioni nocive, ad "una disposizione di legge che imponga il controllo sull'utilizzo della strada al fine di evitare schiamazzi notturni", senza considerare che detta responsabilità poteva ritenersi sussistente già in forze delle norme sopra indicate, giacché "l'attività della p.a., anche nel campo della discrezionalità tecnica, deve svolgersi nei limiti posti non solo dalla legge, ma anche dal divieto di neminem laedere, essendo fonte di responsabilità, specie qualora emergano gravi pregiudizi per i beni primari della salute e della proprietà privata, che gli enti hanno il compito istituzionale di tutelare".

I ricorrenti argomentano, altresì, sul fatto che, comunque, sono individuabili "numerose norme... a tutela della quiete pubblica, con la previsione di specifici compiti a carico degli enti locali" (nel ricorso sono indicate le seguenti disposizioni: L. n. 447 del 1995, artt. 6 e 14 (legge quadro sull'inquinamento acustico); D.Lgs. n. 267 del 2000 (testo unico sugli enti locali), artt. 50 e 54; art. 15 della legge della regione Lombardia n. 13 del 2001 (sulla vigilanza e controllo dei Comuni in materia di inquinamento acustico, avvalendosi del supporto dell'ARPA); artt. 36 e 38 del regolamento del Comune di (Omissis), in materia di rispetto della quiete pubblica)).

3. - I motivi sono fondati nei termini di seguito precisati.

3.1. - Va osservato, in primo luogo, che la Corte territoriale (come anche rilevato dal Comune di (Omissis)) non ha declinato la propria giurisdizione sulle domande proposte dai coniugi P. e N. - ossia la condanna del Comune convenuto a far cessare, ex art. 844 c.c., le immissioni intollerabili provenienti dalla strada in cui si trova l'abitazione degli attori, nonché la condanna del medesimo Comune al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, conseguentemente patiti dagli stessi attori -, ma ha ritenuto, per un verso, che la titolarità passiva del rapporto giuridico dedotto in giudizio non spettasse al Comune di (Omissis) in assenza di norme specifiche che ne imponessero l'obbligo di un puntuale intervento al riguardo (che non si riducesse al mero dovere di assicurare la quiete pubblica) e, per altro verso, ha comunque escluso che le pretese azionate dagli attori potessero radicare un potere del giudice ordinario di determinare le modalità di intervento della P.A., esorbitando le stesse dai limiti interni della giurisdizione ad esso spettante, in forza del combinato disposto della Cost., artt. 113 e 4 della L. n. 2248 del 1865 all. E.

Di qui, pertanto, la declaratoria di rigetto delle pretese attoree.

3.2. - Ciò premesso, è errata la premessa da cui muove la Corte territoriale, poiché la tutela del privato che lamenti la lesione, anzitutto, del diritto alla salute (costituzionalmente garantito e incomprimibile nel suo nucleo essenziale (Cost., art. 32)), ma anche del diritto alla vita familiare (convenzionalmente garantito (art. 8 CEDU: cfr., tra le altre, Cass. n. 2611/2017; Cass. n. 19434/2019; Cass. n. 21649/2021)) e della stessa proprietà (che rimane diritto soggettivo pieno sino a quando non venga inciso da un provvedimento che ne determini l'affievolimento (Cass. n. 1636/1999)), cagionata dalle immissioni (nella specie, acustiche) intollerabili, ex art. 844 c.c., provenienti da area pubblica (nella specie, da una strada della quale la Pubblica Amministrazione è proprietaria), trova fondamento, anche nei confronti della P.A., anzitutto nelle stesse predette norme a presidio dei beni oggetto dei menzionati diritti soggettivi.

La P.A. stessa, infatti, è tenuta ad osservare le regole tecniche o i canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni e, quindi, il principio del neminem laedere, con ciò potendo essere condannata sia al risarcimento del danno (artt. 2043 e 2059 c.c.) patito dal privato in conseguenza delle immissioni nocive che abbiano comportato la lesione di quei diritti, sia la condanna ad un facere, al fine di riportare le immissioni al di sotto della soglia di tollerabilità, non investendo una tale domanda, di per sé, scelte ed atti autoritativi, ma, per l'appunto, un'attività soggetta al principio del neminem laedere (tra le più recenti: Cass., S.U., n. 21993/2020; Cass., S.U., n. 25578/2020; Cass., S.U., n. 23436/2022; Cass., S.U., n. 27175/2022; Cass., S.U., n. 5668/2023).

Ne consegue la titolarità dal lato passivo del convenuto Comune di (Omissis) a fronte delle domande, risarcitoria e inibitoria, proposte dagli attori a fronte del dedotto vulnus che le immissioni intollerabili, provenienti dalla strada comunale in cui si trova la loro abitazione, sono idonee a cagionare ai diritti dai medesimi vantati.

3.3. - Posta tale diversa premessa, e', altresì, errata la decisione della Corte territoriale di ritenere, di per sé, infondate le domande attoree in quanto esorbitanti dai limiti interni della giurisdizione del giudice ordinario.

Anzitutto, la domanda di risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti dagli attori in conseguenza delle immissioni acustiche intollerabili, non postula alcun intervento del giudice ordinario di conformazione del potere pubblico e, dunque, non spiega alcuna incidenza rispetto al perimetro dei limiti interni della relativa giurisdizione, ma richiede soltanto la verifica della violazione da parte della P.A. del principio del neminem laedere e, dunque, della sussistenza o meno della responsabilità ai sensi dell'art. 2043 c.c., per aver mancato di osservare le regole tecniche o i canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni quale condotta, connotata da c.d. colpa generica, determinativa di danno ingiusto per il privato.

Anche la domanda volta a far cessare le immissioni intollerabili, come detto, non implica, di per sé, una attribuzione al giudice ordinario di poteri esorbitanti rispetto a quelli previsti dall'ordinamento e, dunque, ad esso inibiti dal principio desumibile dalla L. 20 marzo 1865 n. 2248 All. E., art. 4, comma 2, siccome incidenti sul potere discrezionale riservato alla Pubblica Amministrazione nell'espletamento dei suoi compiti istituzionali.

La circostanza che il primo giudice avesse predeterminato il facere del Comune convenuto imponendo ad esso taluni comportamenti implicanti l'adozione di provvedimenti discrezionali ed autoritativi - come l'effettuazione di un servizio pubblico di vigilanza, organizzandone anche le modalità operative - non impediva, però, ogni diversa delibazione del giudice di secondo grado, coerente con la portata della domanda formulata dagli attori, che fosse volta ad imporre alla P.A. (non già le modalità di esercizio del potere discrezionale ad essa spettante, ma) di procedere agli interventi idonei ed esigibili per riportare le immissioni acustiche entro la soglia di tollerabilità, ossia quegli interventi orientati al ripristino della legalità a tutela dei diritti soggettivi violati.

4. - Il ricorso va, dunque, accolto per quanto di ragione e la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa rinviata alla Corte di appello di Brescia, in diversa composizione, che si atterrà ai principi innanzi enunciati nella delibazione delle domande proposte dagli originari attori, altresì dovendo provvedere alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione;

cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Brescia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 19 aprile 2023.

Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2023.

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