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Appalto, quando si configura l'accettazione tacita dell'opera

Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.4021 del 09/02/2023

In materia di appalto, l'accettazione tacita dell'opera è da presumersi solo quando sono rispettati determinati presupposti e comportamenti da parte del committente.

Torna a occcuparsi del tema la Cassazione, con ordinanza n. 4021 del 9 febbraio 2023, fornando alcuni chiarimenti.

In particolare, l'art. 1665, comma 4 c.c., prevede che il presupposto dell'accettazione tacita sia la consegna dell'opera al committente, intesa come la messa a disposizione del bene a suo favore. Tuttavia, la consegna non costituisce di per sé l'accettazione dell'opera. Quest'ultima richiede, infatti, l'espressione del gradimento da parte del committente, anche mediante comportamenti che portino a tale conclusione.

La Suprema Corte ha sottolineato che il fatto concludente dell'accettazione tacita è rappresentato dalla ricezione dell'opera senza riserve da parte del committente. Anche se il committente non ha effettuato una verifica dettagliata dell'opera, la mancanza di riserve sulla sua qualità e conformità alla richiesta del committente, comporta la presunzione di accettazione tacita.

L'accettazione tacita dell'opera ha effetti importanti per l'appaltatore, poiché comporta l'esonero da ogni responsabilità per eventuali vizi e difformità dell'opera stessa e il conseguente diritto al pagamento del prezzo pattuito.

Appalto, accettazione tacita dell'opera, presupposti

L'art. 1665 c.c., pur non enunciando la nozione di accettazione tacita dell'opera, indica i fatti e i comportamenti dai quali deve presumersi la sussistenza dell'accettazione da parte del committente e, in particolare, al comma 4 prevede come presupposto dell'accettazione tacita la consegna dell'opera al committente e come fatto concludente la ricezione senza riserve da parte di quest'ultimo, anche se non si sia proceduto alla verifica.

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Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n. 4021 del 09/02/2023

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Padova revocò il decreto ingiuntivo, con il quale Favaretti s.r.l. aveva richiesto a Gicar s.r.l. il pagamento della somma di Euro 12.200, per la riparazione di una tensostruttura, già fornita alla controparte e danneggiatasi a seguito di un violento temporale.

Su impugnazione principale della Favaretti ed incidentale condizionata della Gicar, la Corte d'appello di Venezia riformò la sentenza del Tribunale, confermando l'originario provvedimento monitorio e condannando Favaretti a consegnare a Gicar il manufatto in suo possesso, subordinatamente al pagamento delle somme di cui al medesimo decreto ingiuntivo.

Il giudice di secondo grado ritenne che Gicar non avesse adeguatamente giustificato il rifiuto dell'accettazione del manufatto successivamente alla sistemazione, che Favaretti avrebbe offerto "corredata delle rappresentazioni fotografiche dell'opera riparata".

Contro la predetta sentenza (n. 2534 del 2021) ricorre per cassazione Gicar s.r.l., affidandosi a due motivi.

Si è costituita Favaretti s.r.l., depositando controricorso.

In prossimità dell'udienza, entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

RAGIONI DI DIRITTO

1) Attraverso la prima censura, la ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, con riferimento all'art. 1665 c.c., ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3 La Corte d'appello avrebbe erroneamente ritenuto assolto l'onere della prova in capo alla Favaretti sulla scorta di principi che esulavano dalla fattispecie legale codificata dall'art. 1665 c.c., mentre l'accettazione tacita dell'opera si sarebbe potuta presumere solo nell'ipotesi di ricezione senza riserve, oppure in caso di mancata verifica.

2) Con il secondo mezzo, la Gicar s.r.l. si duole della violazione e falsa applicazione delle norme di diritto, con riferimento agli artt. 1460,1665 e 2756 c.c., ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3 I giudici di secondo grado avrebbero trascurato di considerare che, in un contratto a prestazioni corrispettive, la prestazione di un contraente può e deve avvenire a fronte della prestazione dell'altro contraente. Sotto questo profilo, la consegna della struttura avrebbe piuttosto dovuto essere subordinata alla verifica delle riparazioni e non al pagamento del prezzo.

Il primo motivo è fondato.

Secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, in tema di appalto, ai sensi dell'art. 1665, comma 4 c.c., è necessario distinguere tra atto di "consegna" e atto di "accettazione" dell'opera: la consegna costituisce un atto puramente materiale che si compie mediante la messa a disposizione del bene a favore del committente, mentre l'accettazione esige, al contrario, che il committente esprima (anche "per facta concludentia") il gradimento dell'opera stessa, con conseguente manifestazione negoziale la quale comporta effetti ben determinati, quali l'esonero dell'appaltatore da ogni responsabilità per i vizi e le difformità ed il conseguente suo diritto al pagamento del prezzo (Sez. 1, n. 19019 del 31 luglio 2017).

In particolare, il presupposto dell'accettazione tacita è costituito dalla consegna dell'opera al committente (alla quale è parificabile l'immissione nel possesso) e, come fatto concludente, la ricezione senza riserve da parte di quest'ultimo, anche se non si sia proceduto alla verifica (Sez. 2, n. 10452 del 3 giugno 2020; Sez. 2, n. 13224 del 16 maggio 2019).

La sentenza impugnata ha testualmente affermato "E' vero che l'appellata non ha accettato la consegna dell'opera e, dunque, grava sull'appaltatore provare di aver eseguito l'opera conformemente al contratto, ma è vero anche che il rifiuto della consegna non è stato adeguatamente giustificato da Gicar, se non lamentando un ritardo nella consegna" ed, inoltre che l'adempimento di Favaretti sarebbe stato dimostrato "dalla corrispondenza con la quale Favaretti ha reiteratamente offerto di consegnare la tensostruttura corredata dalle rappresentazioni fotografiche dell'opera riparata, senza che siano intervenute contestazioni da parte di Gicar in ordine alla corretta esecuzione del lavoro".

E' evidente come le suddette affermazioni non indichino elementi idonei, in sé, a supportare l'assunto della sussistenza della intervenuta accettazione tacita dell'opera, neppure per "facta concludentia", in assenza di qualunque richiamo a una effettiva consegna dell'opera medesima.

La Corte d'appello non si è dunque attenuta al principio che, in materia di appalto, regola l'accettazione dell'opera da parte del committente e che viene all'uopo ribadito: "l'art. 1665 c.c., pur non enunciando la nozione di accettazione tacita dell'opera, indica i fatti e i comportamenti dai quali deve presumersi la sussistenza dell'accettazione da parte del committente e, in particolare, al comma 4 prevede come presupposto dell'accettazione tacita la consegna dell'opera al committente e come fatto concludente la ricezione senza riserve da parte di quest'ultimo, anche se non si sia proceduto alla verifica".

Il secondo motivo resta assorbito.

Pertanto, la sentenza va cassata e rinviata alla Corte d'appello di Venezia, in diversa composizione, affinché riesamini la vicenda oggetto di causa alla luce delle considerazioni sopra esposte.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia alla Corte d'appello di Venezia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2023.

Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2023.

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