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Disconoscimento della copia fotografica di scrittura in giudizio deve essere tempestivo

Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.5755 del 24/02/2023

Se una copia fotografica di scrittura viene. prodotta in giudizio, essa si considera riconosciuta, a meno che non venga formalmente e inequivocabilmente disconosciuta nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla sua produzione.

Lo ha ribadito la Cassazione con l’ordinanza n. 5755 del 24 febbraio 2023.

Nel caso di specie, il ricorrente aveva dedotto che la Corte d'appello aveva omesso di considerare disconosciuta una scrittura privata recante l'approvazione delle tabelle millesimali. 

La Suprema  Corte ha precisato che:

  • il disconoscimento deve essere chiaro, circostanziato ed esplicito e deve essere effettuato nel rispetto delle preclusioni ex artt. 167 e 183 c.p.c.
  • il disconoscimento ex art. 2712 c.c. deve essere allegato con elementi che attestano la mancata corrispondenza tra la realtà fattuale e quella riprodotta
  • mentre il disconoscimento ex art. 215, n. 2 c.p.c. preclude l'utilizzazione della scrittura, il disconoscimento ex art. 2712 c.c. non impedisce che il giudice possa accertare la conformità all'originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni.

La Corte ha stabilito che il disconoscimento deve essere tempestivo, analogamente a quanto stabilito dall'art. 157, comma 2 c.p.c., e deve avvenire nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione della copia fotostatica.

In caso di produzione in giudizio di una copia fotografica di scrittura, così come - più in generale - di una riproduzione meccanica, il disconoscimento di conformità previsto rispettivamente dall'art. 2719 c.c. e dall'art. 2712 c.c. deve aver luogo nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione, essendo assoggettato ad un onere di tempestività omologo a quello previsto dall'art. 157, comma 2 c.p.c. con riferimento al rilievo del difetto di un requisto di forma-contenuto dell'atto processuale stabilito nell'interesse della parte.

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Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n. 5755 del 24/02/2023

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 2014, il Tribunale di Campobasso rigettò in primo grado l'opposizione a decreto ingiuntivo per il pagamento di spese condominiali, ottenuto dal Condominio nei confronti di D.S.M.R..

La D.S. contesta la propria qualità di condomina dell'edificio di (Omissis), allegando in fatto di: (a) essere proprietaria esclusiva di locali siti all'interno del cortile del già menzionato edificio collegati ad altro locale con accesso da (Omissis); (b) ai predetti locali si può accedere anche attraverso l'ingresso del fabbricato condominiale. Da ciò costei deduce in diritto di essere titolare unicamente di una servitù di passaggio sull'ingresso dell'edificio condominiale, con onere di partecipare eventualmente alle sole spese di pulizia dell'androne del fabbricato.

In primo grado si accertò che la D.S. riveste la qualità di condomina, poiché è emerso dall'istruzione probatoria che: (a) fino al 2009 costei raggiungeva i locali di sua proprietà unicamente dal cortile dell'edificio condominiale; (b) solo da tale data la sua proprietà era stata collegata al condomino di (Omissis); (c) costei continuava ad avere accesso anche dal cortile condominiale, con obbligo di partecipare a tutte le spese condominiali e non solo a quelle di pulizia dell'ingresso, non essendosi in presenza di una mera servitù di passaggio su quest'ultimo.

Il rigetto in primo grado dell'opposizione a decreto ingiuntivo è confermato in secondo grado.

Ricorre in cassazione D.S.M.R. con cinque motivi, illustrati da memoria, per un valore di 5.435,00 Euro. Resiste con controricorso il Condominio.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. - Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 113,115,116,166,167 c.p.c., nonché - in relazione alla Cost., artt. 111, comma 6 132, n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. La ricorrente denuncia la carente motivazione relativamente all'esame di fatti decisivi, per avere la Corte di appello omesso di considerare una serie di fatti e circostanze non contestati da controparte, tra le quali la mancata convocazione della D.S. alle assemblee condominiali. Si tratta quindi di una censura ex art. 360 c.p.c., n. 5 (ancorché l'art. 360 c.p.c. non sia menzionato in alcuna delle sue ipotesi).

Del primo motivo è da dichiarare l'inammissibilità. In primo luogo, entra in gioco l'inammissibilità ex art. 348-ter, comma 5 c.p.c. Ci troviamo infatti dinanzi ad una doppia pronuncia conforme in primo e secondo grado. In tale ipotesi, ex art. 348-ter, comma 5 c.p.c. (applicabile, ai sensi del D.L. 83-2012, art. 54, comma 2, conv. in l. 134-2012, ai giudizi d'appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), la parte ricorrente in cassazione, per evitare che il motivo ex art. 360 c.p.c., n. 5 sia dichiarato inammissibile (cfr. art. 348-ter, comma 5 c.p.c., nel suo richiamo al comma precedente), deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell'appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse, nonostante che il dispositivo della sentenza di secondo grado sia di rigetto dell'appello e di conferma della sentenza di primo grado sul capo investito dal motivo di ricorso (cfr. Cass. 7724/2022). Nel caso di specie, il processo d'appello è iniziato nel 2014 e la ricorrente non ha assolto il già menzionato onere di differenziazione. Per tacere del fatto che la motivazione della sentenza impugnata è effettiva, comprensibile e non irriducibilmente contraddittoria, pertanto si sottrarrebbe in ogni caso alla censura ex art. 360. n. 5 c.p.c..

La stessa sorte d'inammissibilità tocca - sebbene indirettamente - anche al profilo relativo alla violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. (mentre il richiamo all'art. 115 c.p.c. viene meno per difetto di specificità ex art. 366, n. 4 c.p.c.). Ai fini del rispetto del combinato disposto delle predette norme, al giudice del merito non è richiesto di dar conto dell'esito dell'esame di tutte le prove prodotte o acquisite (nonché di tutti gli argomenti prospettategli), ma di fornire una motivazione effettiva, comprensibile e non irriducibilmente contraddittoria, che evidenzi le fonti probatorie del proprio convincimento, cosicché la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5 e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (cfr. tra le altre Cass. 24434-2016). Ne segue che è inammissibile nel suo complesso un motivo di ricorso in cui un profilo di denuncia di violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. sia congiunto ad un profilo di doglianza ex art. 360 c.p.c., n. 5, già inammissibile in virtù dell'art. 348-ter, comma 5 c.p.c., laddove il bersaglio del primo profilo sia identico al secondo, vale a dire intenda censurare l'omesso esame degli stessi fatti decisivi.

In conclusione, il primo motivo è inammissibile.

2. - Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1117 e 1123 c.c.; 113, 115 c.p.c., con riferimento a prove che si ritengono mai acquisite relativamente ad un'altra serie di fatti, tra i quali la funzione del cortile, la ricezione di aria e luce da parte dei locali di proprietà della ricorrente, l'accesso a questi ultimi.

Con il terzo motivo, si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1061,1062 c.c.; 113, 115 c.p.c. per avere la Corte di appello escluso il carattere apparente della pretesa servitù di passaggio sull'ingresso dell'edificio condominiale.

3. - Il secondo e il terzo motivo sono da esaminare congiuntamente, poiché sono accomunati dalla seguente impostazione, che li rende inammissibili. Sotto forma di violazione e/o falsa applicazione di norme non sono denunciati errori di diritto (nel senso di difetti di interpretazione di regole giuridiche o di sussunzione nella fattispecie prevista da regole giuridiche), bensì sono censurati errori in cui il giudice di merito sarebbe incorso nello stesso accertamento dei fatti rilevanti.

Ciò è reso evidente anche dalla circostanza che in entrambi i motivi la denuncia di violazione di norme sostanziali è affiancata da una censura che si indirizza alla violazione di principi in tema di prove (cfr. art. 115 c.p.c.). Ne segue che l'allegata falsa applicazione di norme di diritto non discende da errori di qualificazione giuridica della situazione di fatto rilevante, ma (semmai) da errori occorsi nella stessa ricostruzione di quest'ultima. Orbene, è appena il caso di osservare che solo l'erronea risoluzione di una quaestio iuris (di diritto sostanziale) si traduce in un vizio censurabile in cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, mentre l'erronea risoluzione di una quaestio facti non è direttamente denunciabile in sede di legittimità, ma solo indirettamente attraverso la censura di omessa motivazione circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5 Pertanto, si ricadrebbe in ogni caso nell'inammissibilità, per le stesse ragioni già argomentate in relazione al primo motivo.

4. - Con il quarto motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2712 c.c.; 214 e 215 c.p.c., nonché omesso esame di un fatto decisivo, per avere la Corte di appello omesso di considerare disconosciuta una scrittura privata del 1972 della dante causa della ricorrente, recante approvazione delle tabelle millesimali.

Il motivo è infondato. Con tale motivo la ricorrente non contesta di aver mancato di disconoscere la scrittura privata entro i termini e secondo le modalità ex artt. 214, comma 2 e 215, n. 2 c.p.c., ma nega che tali termini e modalità si applichino nel caso di specie, poiché la scrittura privata era stata prodotta in fotocopia e non in originale. In tal caso secondo la ricorrente si applicherebbe l'art. 2712 c.c., che sottrarrebbe il disconoscimento "ai termini e alle modalità stabiliti per le scritture private dagli artt. 214 e ss. c.p.c. (cfr. Cass. 12715-1998)".

A prescindere dal fatto che la ricorrente invoca a sostegno della propria tesi una mezza frase estrapolata da un risalente precedente di questa Corte in un diverso contesto fattuale rilevante, la tesi è infondata.

In primo luogo, alla fattispecie si applica la più specifica disposizione dell'art. 2719 c.c., relativa alle copie fotografiche di scritture, in relazione alla quale il Collegio dà continuità all'indirizzo di questa Corte secondo cui la copia fotostatica non autenticata si ha per riconosciuta, tanto nella sua conformità all'originale quanto nella scrittura e sottoscrizione, se non venga disconosciuta in modo formale e inequivoco alla prima udienza, o nella prima risposta successiva alla sua produzione (cfr. Cass. 18074/2019, 3540/2019, 4053/2018, con richiamo agli artt. 214 e 215 c.c.).

Peraltro, tale soluzione si impone a prescindere dal richiamo agli artt. 214 e 215 c.p.c. e si estende all'art. 2712 c.c., cosicché si può rispondere alla censura formulata dalla parte ricorrente, nei termini in cui è stata formulata. Sotto un primo profilo, il disconoscimento di conformità ex art. 2712 c.c. è da effettuare in generale e in ogni caso nel rispetto delle preclusioni ex artt. 167 e 183 c.p.c. e ha da essere chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendosi concretizzare in allegazione di elementi che attestano la mancata corrispondenza tra la realtà fattuale e quella riprodotta (cfr. Cass. 1250/2018). Sotto un secondo profilo, mentre il disconoscimento ex art. 215, n. 2 c.p.c. preclude l'utilizzazione della scrittura (in mancanza di positivo esperimento di verificazione giudiziale), il disconoscimento ex art. 2712 c.c. non impedisce che il giudice possa accertare la conformità all'originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni (Cass. 13519-2022).

Nel contesto delineato da tali due profili, ci si può confrontare con l'argomentazione sviluppata dalla parte ricorrente. Nel caso di specie risulta dagli atti che il disconoscimento della scrittura privata fotocopiata abbia avuto luogo non già alla prima udienza utile (cioè nell'udienza di prima comparizione del 16/12/2009), ma pur sempre nella memoria ex art. 183, comma 6, n. 1 c.p.c. (depositata il 10/02/2010 c.p.c.). Ebbene, è vero che Cass. 1250/2018 afferma che il disconoscimento ex art. 2712 c.c. deve avvenire nel rispetto delle preclusioni ex artt. 167 e 183 c.p.c., ma tale precedente è da precisare alla luce di un principio di tempestività, che trova un'espressione generale nell'art. 157, comma 2 c.p.c. ("prima istanza o difesa successiva all'atto o alla notizia di esso") ed una espressione specifica praticamente identica nell'art. 215, comma 2 c.p.c. ("nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione"). In altri termini, il disconoscimento ex art. 2712 c.p.c. (al pari di quello ex art. 2719 c.c.) è da compiersi nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione.

D'altra parte, con riferimento al caso specifico in causa, relativo alla produzione in giudizio di una copia fotografica (fotocopia) di scrittura, l'inserimento dell'art. 215, n. 2 c.p.c. nel più ampio contesto sistematico dischiuso dal collegamento con l'art. 157, comma 2 c.p.c. non solo rinviene un indizio nella locuzione sostanzialmente identica usata nelle due disposizioni. Tale inserimento trova fondamento anche nella considerazione che il difetto di autenticità (cioè di autenticazione) della sottoscrizione è omologo al difetto di un requisito di forma-contenuto dell'atto processuale stabilito nell'interesse di una parte. Pertanto, l'estensione dell'onere di tempestività ex art. 215, n. 2 c.p.c. al disconoscimento ex art. 2719 c.c. della scrittura privata in fotocopia, come sostenuto dall'indirizzo giurisprudenziale menzionato indietro, si profila come persuasivo (anche) grazie al collegamento con l'art. 157, comma 2 c.p.c..

Se questo è vero, allora coerenza sistematica impone di ricomprendere anche la fattispecie più ampia dell'art. 2712 c.c., in cui parimenti campeggia un onere di disconoscimento di conformità: nel senso che debba trattarsi di un onere di disconoscimento tempestivo, cioè scandito dai tempi e dai modi ex artt. 157, comma 2 e 215, comma 2 c.p.c..

In definitiva, questo è il principio di diritto: "In caso di produzione in giudizio di una copia fotografica di scrittura, così come - più in generale - di una riproduzione meccanica, il disconoscimento di conformità previsto rispettivamente dall'art. 2719 c.c. e dall'art. 2712 c.c. deve aver luogo nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione, essendo assoggettato ad un onere di tempestività omologo a quello previsto dall'art. 157, comma 2 c.p.c. con riferimento al rilievo del difetto di un requisto di forma-contenuto dell'atto processuale stabilito nell'interesse della parte".

Sulla base di tale principio di diritto, il quarto motivo è rigettato.

5. - L'inammissibilità o infondatezza di ogni motivo su cui il ricorso si fonda determina l'infondatezza di quest'ultimo nel suo complesso. Pertanto, il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

Inoltre, ai sensi D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla l. 228-12, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento ad opera della parte ricorrente dell'ulteriore somma pari al contributo unificato per il ricorso a norma dell'art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio in favore della parte controricorrente, che liquida in complessivi 2.500,00 Euro oltre a 200,00 Euro per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi e agli accessori di legge.

Sussistono i presupposti per il versamento, ad opera della parte ricorrente, dell'ulteriore importo pari al contributo unificato per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 28 novembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2023.

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