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Addebito della separazione non è escluso dalla conflittualità esistente prima del matrimonio

Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.11631 del 30/04/2024

In tema di separazione giudiziale dei coniugi, l'esistenza di una conflittualità tra i coniugi sorta precedentemente alla celebrazione del matrimonio può escludere l'addebito della separazione in capo ad un coniuge?

Questa è la domanda a cui ha risposto la Prima sezione civile della Cassazione con l'ordinanza n. 11631 depositata il 30 aprile 2024.

La norma applicabile è l'art. 151 c.c., che stabilisce che la separazione può essere chiesta per fatti che rendono intollerabile la prosecuzione della convivenza o che recano grave pregiudizio all'educazione della prole. Importante è la dichiarazione, da parte del giudice, dell'addebito della separazione, se ne ricorrono le circostanze.

In via generale, per determinare l'addebito, è necessaria una valutazione comparativa dei comportamenti di entrambi i coniugi (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 14162 del 14/11/2001). Le violenze fisiche e morali, tuttavia, rappresentano violazioni così gravi dei doveri matrimoniali che esonerano il giudice dal dovere di tale comparazione, e possono giustificare di per sé l'addebito della separazione al coniuge violento (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 31351 del 24/10/2022; Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 3925 del 19/02/2018).

Nel caso di specie, la Corte territoriale aveva respinto l'impugnazione riguardante l'addebito della separazione al marito, ritenendo che la crisi coniugale risultava determinata da una conflittualità esistente tra i coniugi fin dall'inizio del matrimonio e, anzi, risalente alla nascita delle figlia, che aveva preceduto di pochi mesi il matrimonio stesso.

In tale ottica, la Corte territoriale ha ritenuto irrilevante, ai fini della pronuncia sull'addebito, le prove testimoniali capitolate dalla moglie riferite a condotte violente e aggressive del marito nei confronti della moglie e dei suoi familiari, che avevano data successiva all'allontanamento della moglie dalla casa familiare, per tornare insieme alla figlia, a casa della madre.

Tale ricostruzione è stata respinta dalla Cassazione secondo cui la mera presenza di difficoltà e disaccordi già prima del matrimonio non può portare ad escludere l'addebito della separazione. Occorre invecce valutare se, in costanza di matrimonio, tali difficoltà si sono tradotte in comportamenti contrari ai doveri coniugali. Se così fosse, l'addebito è giustificato, in quanto tali comportamenti hanno creato una situazione di intollerabilità  della convivenza che va oltre la semplice conflittualità iniziale.

Per questi motivi la Cassaizone ha accolto il ricorso della moglie.

Separazione giudiziale dei coniugi, accertamento dell'addebito, criticità e disaccordi esistenti prima del matrimonio, conseguenze

In tema di separazione giudiziale dei coniugi, l'accertamento dell'addebito non è escluso dall'esistenza di criticità e disaccordi esistenti prima del matrimonio, poiché la connotazione di conflittualità del rapporto è diversa dalla situazione di vera e propria intollerabilità della convivenza, la quale, se è cagionata da violazioni di obblighi matrimoniali da parte di uno dei coniugi, può determinare l'addebito della separazione.

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Cassazione civile sez. I, ordinanza 30/04/2024 (ud. 15/11/2023) n. 11631

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 775/2019 pubblicata il 30/09/2019, il Tribunale di Pesaro dichiarava la separazione personale dei coniugi rigettando le reciproche domande di addebito e disponendo l'affidamento della figlia minore St.An. (nata nel 2012) in maniera condivisa tra i coniugi con collocamento della stessa presso la madre. Disponeva inoltre l'elaborazione da parte del Consultorio competente per territorio di un progetto secondo le indicazioni offerte dalla CTU, cui dare effettiva attuazione nel termine di mesi 4, riservando all'esito ogni più puntuale determinazione in ordine al diritto di visita del padre. Il Tribunale confermava, quanto alle statuizioni economiche, l'ordinanza presidenziale del 24/02/2016, compensando le spese di lite tra le parti.

Avverso tale sentenza proponeva appello Ri.Ma., chiedendo dichiararsi la nullità della sentenza impugnata, in quanto il giudice estensore era stato già ricusato, trovandosi in situazione di incompatibilità ex artt. 51 e 52 c.p.c. Nel merito, reiterava la richiesta di addebito della separazione al marito, con affidamento in via esclusiva della figlia minore St.An. alla madre, collocamento presso quest'ultima e divieto di visite da parte del padre, anche in forma protetta, chiedendo anche la revoca di tutte le disposizioni adottate con la gravata sentenza, oltre che di tutti i successivi provvedimenti interlocutori. Chiedeva, infine, procedersi alla sospensione del padre della minore dall'esercizio della responsabilità genitoriale ex artt. 330 e 333 c.c. e la revoca del divieto di espatrio della minore. Formulava altresì la richiesta di porre a carico dello St.Ma. un contributo al mantenimento della minore di Euro 400,00 mensili, da rivalutarsi annualmente secondo gli indici Istat, oltre al 50% delle spese straordinarie.

St.Ma. si costituiva in giudizio contestando i motivi di appello e, con appello incidentale, chiedeva disporsi l'affidamento della figlia St.An. in suo favore, con la previsione di un contributo al mantenimento della minore a carico della moglie, unitamente al 50% delle spese straordinarie.

La Corte di merito, in parziale accoglimento dell'appello principale, rigettato quello incidentale, ed in parziale modifica della gravata sentenza, revocava il divieto di espatrio, ponendo a carico di St.Ma. il versamento in favore dell'appellante principale di un assegno per il mantenimento della figlia di Euro 300,00 mensili, rivalutabili annualmente secondo gli indici ufficiali Istat; respingeva la domanda di sospensione della responsabilità genitoriale di St.Ma.; disponeva, tuttavia, l'affidamento della figlia minore St.An. ai Servizi Sociali del Comune di Urbino ai quali dava incarico:

- di procedere secondo il progetto elaborato dal CTU Dott.ssa Antonelli e secondo i tempi dalla stessa individuati, organizzando tre mesi di percorso individuale dei genitori (5-6 colloqui individuali), a cui dovevano seguire due mesi di percorso congiunto dei genitori (4 colloqui congiunti), cui doveva aggiungersi, durante lo stesso periodo di cinque mesi, un percorso individuale di preparazione della minore (10 colloqui individuali);

- di relazionare nel termine di sei mesi dall'inizio del progetto al giudice tutelare territorialmente competente circa l'andamento del progetto medesimo;

- di procedere all'esito di tale verifica ad incontri protetti fra la minore ed il padre e di determinarne le modalità di tali incontri ed il relativo calendario con frequenza progressiva correlata al positivo andamento degli stessi;

- di relazionare al giudice tutelare territorialmente competente ogni due mesi sull'andamento degli incontri protetti.

Avverso tale pronuncia Ri.Ma. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi di impugnazione. L'intimato non si è difeso con controricorso. la ricorrente ha depositato memoria difensiva.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso è formulata la seguente censura: "Violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 151 c.c. derivata dall'erronea applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. - Omessa pronuncia sulle istanze istruttorie richieste dalle parti - Indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione di legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata - Modifiche alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado."

La ricorrente ha censurato la decisione della Corte di merito nella parte in cui ha confermato il rigetto della richiesta di addebito della separazione al marito, non ammettendo le prove richieste e confermando la decisione impugnata nella parte in cui aveva ritenuto che la crisi coniugale era stata determinata da una conflittualità esistente tra i coniugi fin dall'inizio del matrimonio, ed ancor prima della celebrazione dello stesso.

Secondo la ricorrente, la Corte di merito non ha considerato i gravi fatti dalla stessa dedotti in primo grado, relativi alle violenze domestiche e ai soprusi commessi dal coniuge durante la convivenza, compresa la violenza inflitta nel mese di marzo 2015, in relazione ai quali laRi.Ma. aveva formulato istanze istruttorie, che non erano state ammesse, e aveva depositato documenti, aggiungendo che erroneamente la Corte aveva ritenuto che le allegazioni in fatto dell'appellante fossero state contestate dalla controparte.

La stessa ricorrente ha censurato la decisione impugnata, ove ha dato rilievo al fatto che tutte le denunce elencate al punto 2) dell'appello erano successive all'allontanamento della signora Ri.Ma. dalla casa coniugale, risalente al marzo 2015, senza tenere conto che i fatti denunciati erano antecedenti o concomitanti all'esplosione della crisi coniugale e che la signora Ri.Ma. si era allontanata dalla casa familiare proprio a causa delle violenze inferte dal coniuge.

Con il secondo motivo di ricorso è formulata la seguente censura: "2) Violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 337 quater c.c. - Violazione e falsa applicazione degli art. 8 e ss. della Legge n. 27/06/2013 n. 77 di ratifica della Convenzione Internazionale di Istanbul del 11/05/2011 – Violazione della normativa internazionale ed interna in materia di affidamento di figli minori - Violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c."

In primo luogo, la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata, nella parte in cui ha respinto la domanda di affidamento esclusivo della figlia minore avanzata dalla ricorrente sul presupposto che tutti i procedimenti penali aperti a carico di St.Ma. in relazione alle violenze poste in essere nei confronti della figlia erano stati archiviati, inclusi quelli aperti nei confronti dei figli dello St.Ma. davanti al Tribunale per i Minorenni, senza dare il giusto rilievo agli esiti dell'incidente probatorio svolto in sede penale, scagionando il padre della minore da ogni accusa di inadeguatezza genitoriale, arrivando a reinterpretare gli esiti di un certificato medico, a giustificare il degrado dell'abitazione paterna, a non dare rilievo alla detenzione di materiale pornografico e pedopornografico da parte di questi, alla detenzione di sostanze stupefacenti da parte della convivente e del consumo di tali sostanze confessato dal medesimo St.Ma. in sede di CTU e in atti.

Ad opinione della ricorrente, dalle numerose risultanze in fatto richiamate emergeva che non esistevano i presupposti minimi per un affidamento al servizio sociale e ancora meno per un affidamento condiviso fra i genitori. Sussistevano, invece, tutte le condizioni per un affidamento super-esclusivo in favore della madre, poiché lo St.Ma. aveva dimostrato di non conoscere neanche gli elementi essenziali cardine della responsabilità genitoriale.

In secondo luogo, la ricorrente ha criticato la sentenza con riferimento alle disposizioni rivolte ai servizi sociali affidatari della minore, per violazione dei combinato disposto degli artt. 18 e 48 della Convenzione di Istanbul dell'11/05/2011, ratificata con l. n. 77 del 2013 (Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la domestica), nella parte in cui la Corte d'appello ha previsto anche l'espletamento di un percorso congiunto delle parti (4 colloqui congiunti), in vista dell'avvio delle visite protette della minore da parte del padre, poiché con il combinato disposto delle menzionate norme convenzionali gli Stati contraenti si sono impegnati ad adottare le necessarie misure legislative o di altro tipo per vietare il ricorso obbligatorio a procedimenti di soluzione alternativa delle controversie, incluse la mediazione e la conciliazione, in relazione a tutte le forme di violenza che rientrano nel campo di applicazione della Convenzione.

2. Il primo motivo di ricorso è fondato, sia pure nei termini di seguito evidenziati.

2.1. Com'è noto ai sensi dell'art. 151 c.c. "La separazione può essere chiesta quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio alla educazione della prole. Il giudice, pronunziando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio."

In via generale, ai fini dell'addebito della separazione, l'indagine sull'intollerabilità della convivenza deve essere svolta sulla base della valutazione globale e sulla comparazione dei comportamenti di entrambi i coniugi, non potendo la condotta dell'uno essere giudicata senza un raffronto con quella dell'altro, consentendo solo tale comparazione di riscontrare se e quale incidenza esse abbiano riservato, nel loro reciproco interferire, nel verificarsi della crisi matrimoniale (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 14162 del 14/11/2001).

Tuttavia, le violenze fisiche e morali inflitte da un coniuge all'altro, costituiscono violazioni talmente gravi dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti la intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione di addebito all'autore di esse. Il loro accertamento esonera, infatti, il giudice del merito dal dovere di procedere alla comparazione, ai fini dell'adozione delle relative pronunce, col comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze, trattandosi di atti che, in ragione della loro estrema gravità, sono comparabili solo con comportamenti omogenei (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 31351 del 24/10/2022; Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 3925 del 19/02/2018).

Con particolare riguardo, poi, alle violenze fisiche, questa Corte ha ritenuto che esse costituiscono violazioni talmente gravi ed inaccettabili dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé sole - quand'anche concretantisi in un unico episodio di percosse - la pronuncia di separazione personale con addebito all'autore, esonerando il giudice del merito dal dovere di comparare con esse, ai fini dell'adozione delle relative pronunce, il comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze, restando altresì irrilevante la posteriorità temporale delle violenze rispetto al manifestarsi di una situazione di crisi della coppia (Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 7388 del 22/03/2017).

2.2. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha respinto l'impugnazione del capo della decisione di primo grado che non aveva addebitato la separazione al marito, senza ammette le prove richieste dalla Ri.Ma. ai fini dell'accoglimento di tale domanda, ritenendo che il primo giudice non si era limitato ad affermare il mancato assolvimento dell'onere probatorio da parte della Ri.Ma., dopo avere respinto le istanze istruttorie di quest'ultima, ma aveva ritenuto che la crisi coniugale risultava determinata da una conflittualità esistente tra i coniugi fin dall'inizio del matrimonio e, anzi, risalente alla nascita delle figlia, che aveva preceduto di pochi mesi il matrimonio stesso.

La Corte d'appello ha rilevato che tale circostanza si evinceva dalle stesse allegazioni della Ri.Ma., contenute nell'atto di appello, ove era stato ricordato che quest'ultima, nel costituirsi, aveva già evidenziato che ""Le vere cause della crisi coniugale che, lungi dall'essere dovute ai fatti confusamente esposti dal ricorrente, erano da rinvenirsi in altre e ben più gravi ragioni da quest'ultimo appositamente taciute. Deduceva, infatti, la sig.ra Ri.Ma. che, dalla nascita della figlia St.An., ma soprattutto a partire dalla celebrazione del matrimonio con la stessa, St.Ma. aveva iniziato a manifestare atteggiamenti dapprima scostanti e di disinteresse nei confronti della moglie e della figlia per poi assumere comportamenti sempre più provocatori e violenti nei confronti di queste e dei famigliari della moglie coinvolgendo in queste dinamiche aggressive e violente anche gli altri tre figli, nati da precedente unione. A quanto sopra si aggiungeva che, per tutto il periodo della convivenza, prima e dopo il matrimonio, St.Ma. spesso e volentieri, senza dare alcuna spiegazione, si allontanava dall'abitazione coniugale, Ciò era accaduto anche il giorno successivo alla celebrazione del matrimonio." La stessa Corte d'appello ha aggiunto che nel medesimo senso deponevano alcune riflessioni del CTU di primo grado, evidenziate dal primo giudice, laddove aveva affermando che non era dato comprendere cosa potesse avere indotto le parti alla idea di contrare un matrimonio, definito da entrambi "triste" e, quindi, non appagante, riferendo entrambi importanti difficoltà, di disaccordi e dell'assenza di abitudini e interessi condivisi già fin dalla convivenza (p. 9 e s. della sentenza impugnata).

In tale ottica, la Corte territoriale ha ritenuto irrilevante, ai fini della pronuncia sull'addebito, le prove testimoniali capitolate dalla Ri.Ma., e dalla stessa riproposte, aggiungendo che non erano utili neppure le denunce elencate nel punto a2) dell'appello, riferite a condotte violente e aggressive del marito nei confronti della moglie e dei suoi familiari, che avevano data successiva all'allontanamento della Ri.Ma. dalla casa familiare, accaduto nel marzo 2015, per tornare insieme alla figlia, a casa della madre (p. 10 e s. della sentenza impugnata).

2.3. La ricostruzione operata dal giudice di merito non appare conforme ai principi sopra enunciati.

La mera presenza di difficoltà e disaccordi già prima del matrimonio non può portare ad escludere che l'intollerabilità della convivenza matrimoniale possa essere stata causata da fatti specifici tenuti da uno dei coniugi che, da soli o nel loro susseguirsi, hanno reso non più possibile per l'altro continuare a vivere insieme al coniuge.

In effetti, la decisione di sposarsi subito dopo la nascita della figlia, nonostante alcune criticità, può solo far ritenere che, al momento del matrimonio, tali criticità non erano dai coniugi considerate tali da ostacolare tale scelta, ma, come appena evidenziato, ciò non può escludere che, in costanza di matrimonio, le criticità si siano poi reiterate e aggravate, come dedotto dalla ricorrente, sostanziandosi anche in condotte violative degli obblighi matrimoniali da alcuno dei coniugi.

Occorre, infatti, distinguere l'esistenza di un rapporto, che possa darsi dall'inizio come difficile o addirittura conflittuale, dalla vera e propria situazione d'intollerabilità della convivenza, che a differenza del primo stato di difficoltà relazionale è, questa sì, causa della separazione e può dipendere dal contegno di uno solo dei coniugi a cui la separazione va di conseguenza addebitata.

2.4. Il primo motivo di ricorso va dunque accolto in applicazione del seguente principio: "In tema di separazione giudiziale dei coniugi, l'accertamento dell'addebito non è escluso dall'esistenza di criticità e disaccordi esistenti prima del matrimonio, poiché la connotazione di conflittualità del rapporto è diversa dalla situazione di vera e propria intollerabilità della convivenza, la quale, se è cagionata da violazioni di obblighi matrimoniali da parte di uno dei coniugi, può determinare l'addebito della separazione."

3. L'esame del secondo motivo di ricorso impone un preliminare rilievo ufficioso che, necessario in via pregiudiziale, comporta la cassazione della sentenza impugnata.

3.1. Parte ricorrente ha evidenziato di avere proposto appello avverso la decisione di primo grado, che aveva disposto l'affidamento condiviso della minore, con collocamento prevalente presso la madre, prevedendo interventi di supporto del Consultorio, chiedendo, tra l'altro, l'affidamento in via esclusiva della figlia minore e il collocamento della stessa presso di sé, con divieto di visite da parte del padre, anche in forma protetta, e la sospensione del padre della minore dall'esercizio della responsabilità genitoriale, con l'adozione di provvedimenti ex artt. 330 e 333 c.c.

Di quest'ultima domanda, formulata in appello, il giudice ha fatto menzione nella sentenza impugnata.

Anche se non ha accolto le specifiche richieste ex artt. 330 e 333 c.c. dellaRi.Ma., la Corte ha, tuttavia, ritenuto di dover adottare una misura fortemente limitativa della responsabilità genitoriale di entrambi i genitori, disponendo l'affidamento della figlia della coppia ai servizi sociali, impartendo - a questi ultimi -disposizioni dettagliate sugli interventi che i medesimi servizi avrebbero dovuto effettuare nei riguardi dei genitori.

3.2. Occorre, infatti precisare che, nei procedimenti nei quali si discute dell'intervento dei servizi sociali nell'assunzione delle decisioni sull'affidamento dei figli minori - anche prima dell'entrata in vigore dell'art. 5 bis l. n. 184 del 1983 - si distingue l'ipotesi in cui a questi ultimi siano attribuiti compiti di vigilanza, supporto e assistenza senza limitazione di responsabilità genitoriale da quella in cui l'affidamento sia conseguente a un provvedimento limitativo della medesima responsabilità genitoriale.

Nel primo caso, la presa in carico dei servizi sociali, non incidendo per sottrazione sulla responsabilità genitoriale, non richiede, nella fase processuale che precede la sua adozione, la nomina di un curatore speciale, salvo che il giudice non ravvisi comunque, in concreto, un conflitto di interessi, e non escluda che i servizi possano attuare anche altri interventi di sostegno rientranti nei loro compiti istituzionali. Nel secondo caso, invece, l'affidamento, giustificato dalla necessità di non potersi provvedere diversamente all'attuazione degli interessi morali e materiali del minore, necessita della nomina di un curatore speciale, che ne curi gli interessi e il provvedimento deve evidenziare i compiti specifici attribuiti al predetto curatore e ai servizi sociali, i quali debbono svolgere la loro funzione nell'ambito esclusivo di quanto individuato nel provvedimento di nomina (v. Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 8627 del 26/03/2021; cfr. anche Cass., Sez. 1, Sentenza n. 2829 del 31/01/2023; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 7734 del 09/03/2022; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 8627 del 26/03/2021).

3.3. Nella specie, la prima tipologia di statuizioni è stata adottata in primo grado, ove la figlia minore è stata affidata ad entrambi i genitori ma è stato previsto solo un intervento di supporto del Consultorio, finalizzato a favorire le riprese delle visite del padre (v. supra).

La seconda tipologia di statuizioni è stata adottata in secondo grado, ove la Corte d'appello ha respinto la domanda di adozione di misure ablative o limitative della responsabilità genitoriale, formulata ai sensi dell'art. 330 e 333 c.c. dalla ricorrente nei confronti del marito, ma ha statuito come segue: "dispone l'affidamento della minore St.An ai Servizi Sociali del Comune di Urbino ai quali viene demandato: di procedere secondo il progetto elaborato dal CTU Dott.ssa Antonelli, e secondo i tempi dalla stessa individuati, tre mesi per il percorso individuale dei genitori (5-6 colloqui individuali), a cui seguiranno 2 mesi di percorso congiunto dei genitori (4 colloqui congiunti), durante lo stesso periodo di cinque mesi percorso individuale di preparazione della minore (10 colloqui individuali); di relazionare nel termine di sei mesi dall'inizio del progetto al giudice tutelare territorialmente competente circa l'andamento del progetto medesimo; di procedere all'esito di tale verifica ad incontri protetti fra la minore ed il padre e di determinarne le modalità di tali incontri ed il relativo calendario con frequenza progressiva correlata al positivo andamento degli stessi; di relazionare al giudice tutelare territorialmente competente ogni due mesi sull'andamento degli incontri protetti."

3.4. La materia del contendere è regolata dalla disciplina previgente alla l. n. 209 del 2021 (che ha previsto espressamente ipotesi di nomina del curatore speciale del minore, introducendo i commi 3 e 4 all'art. 78 c.p.c.), poi seguita dal D.Lgs. n. 149 del 2022 che, abrogando i commi 3 e 4 dell'articolo 78 c.p.c., appena menzionati, ne ha riportato il contenuto nell'art. 473-bis.8 c.p.c., recante l'attuale disciplina della nomina del curatore speciale del minore nei procedimenti in materia di persone, minorenni e famiglie ("Il giudice provvede alla nomina del curatore speciale del minore, anche d'ufficio e a pena di nullità degli atti del procedimento: a) nei casi in cui il pubblico ministero abbia chiesto la decadenza dalla responsabilità genitoriale di entrambi i genitori, o in cui uno dei genitori abbia chiesto la decadenza dell'altro; b) in caso di adozione di provvedimenti ai sensi dell'articolo 403 del Codice Civile o di affidamento del minore ai sensi degli articoli 2 e seguenti della legge 4 maggio 1983, n. 184; c) nel caso in cui dai fatti emersi nel procedimento venga alla luce una situazione di pregiudizio per il minore tale da precluderne l'adeguata rappresentanza processuale da parte di entrambi i genitori; d) quando ne faccia richiesta il minore che abbia compiuto quattordici anni. In ogni caso il giudice può nominare un curatore speciale quando i genitori appaiono per gravi ragioni temporaneamente inadeguati a rappresentare gli interessi del minore. Il provvedimento di nomina del curatore deve essere succintamente motivato. ...omissis...").

In relazione alla disciplina nella specie applicabile, l'orientamento di questa Corte si è comunque consolidato nel ritenere che, nei giudizi riguardanti l'adozione dei provvedimenti limitativi, ablativi, o restitutivi della responsabilità genitoriale, al minore che non sia già rappresentato da un tutore, deve necessariamente essere nominato un curatore speciale ex art. 78 c.p.c., in mancanza del quale il giudizio è nullo e la nullità è rilevabile d'ufficio anche in sede di legittimità (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 38719 del 06/12/2021). In tali procedimenti, infatti, come in tutti gli altri per i quali sia prescritta la difesa tecnica del minore, quest'ultimo è parte in senso formale e il conflitto di interessi con i genitori deve ritenersi presunto, a differenza dei giudizi in cui il minore sia soltanto parte in senso sostanziale, ove la sussistenza del conflitto di interessi ai fini della nomina del curatore speciale deve essere valutata caso per caso (v., sul punto, oltre a Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 38719 del 06/12/2021, anche Cass., Sez. 1 , Ordinanza n. 40490 del 16/12/2021; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 1471 del 25/01/2021).

3.5. Nel caso di specie, come sopra evidenziato, nella sentenza impugnata si legge che la ricorrente, nel proporre appello, ha formulato la domanda volta ad ottenere l'adozione di provvedimenti ex artt. 330 e 333 c.p.c. nei confronti del marito e, con la stessa decisione, risulta essere stata disposta una misura grandemente limitativa della responsabilità di entrambi i genitori, essendo stato disposto l'affidamento ai servizi sociali della minore (unitamente ad altre misure).

Non risulta, tuttavia, essere stato nominato alla minore un curatore speciale.

Decidendo sul ricorso, deve pertanto essere dichiarata d'ufficio la nullità della sentenza impugnata, nella parte in cui ha proceduto all'esame della domanda ex artt. 330 e 333 c.c. della ricorrente e ha disposto l'affidamento alla figlia minore ai servizi sociali (con le ulteriori misure), senza prima provvedere alla nomina del curatore speciale della minore.

La nullità attiene alla sola statuizione in grado di appello relativa all'affidamento della minore e alle statuizioni correlate, tenuto conto che è in tale grado che sono state chieste e adottate dette misure limitative della responsabilità genitoriale (cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 2829 del 31/01/2023).

Alla dichiarazione ufficiosa di nullità delle menzionate statuizioni, adottate senza la previa nomina di un curatore speciale alla minore, segue il rinvio del procedimento alla Corte d'appello, chiamata a rinnovare gli atti di causa necessari, a seguito e nei limiti della dichiarazione di nullità, ovviamente dopo avere provveduto alla nomina del curatore speciale che è mancata.

4. Va inoltre aggiunto, a quanto sopra statuito, che la rinnovazione degli atti dovrà far tenere conto delle considerazioni svolte con il secondo motivo di ricorso, onde evitare un nuovo giudizio avanti a questa Corte che rinnovi le doglianze di cui al secondo motivo, non scrutinate nel merito.

4.1. Com'è noto, la Corte costituzionale ha precisato che l'art. 117, comma 1, Cost. non attribuisce rango costituzionale alle norme contenute negli accordi internazionali, poi ratificati con legge ordinaria delle Stato (com'è il caso delle norme della CEDU e di qualsiasi trattato internazionale), ponendo semplicemente l'obbligo del legislatore ordinario di rispettare dette norme. Con l'art. 117, comma 1, Cost. si è realizzato, in definitiva, un rinvio mobile alla disposizione convenzionale di volta in volta conferente, la quale dà vita e contenuto a quegli obblighi internazionali genericamente evocati dalla Carta costituzionale e, con essi, al parametro, tanto da essere comunemente qualificata "norma interposta", soggetta a sua volta, come si dirà in seguito, ad una verifica di compatibilità con le norme della Costituzione. Ne consegue che al giudice comune spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò sia permesso dai testi delle norme. Qualora ciò non sia possibile, ovvero il giudice dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale "interposta", egli deve investire la Corte costituzionale della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell'art. 117, comma 1, Cost. (Corte cost., Sentenza n. 349 del 24/10/2007).

In tale ottica, il giudice di legittimità ha più volte affermato che il diritto convenzionale derivante dai trattati internazionali "entra" a far parte dell'ordinamento nazionale attraverso l'art. 117, comma 1, Cost. e, conseguentemente, le sue eventuali antinomie con il diritto interno possono essere risolte dal giudice, interpretando le norme interne in senso conforme a quelle convenzionali, salva la possibilità di sollevare la questione di legittimità costituzionale delle prime nell'ipotesi in cui l'interpretazione conforme non risulti possibile (cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 22834 del 29/09/2017 e, con specifico riferimento alla CEDU, Cass., Sez. L, Sentenza n. 2286 del 30/01/2018; Sez. L, Sentenza n. 4049 del 19/02/2013).

4.2. Nella specie, occorre tenere conto che lo Stato italiano ha sottoscritto la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, firmata ad Istanbul l'11/05/2011 e ratificata dall'Italia con l. n. 77 del 2013.

Solo con la recente riforma del processo civile, introdotta con il D.Lgs. n. 149 del 2022, sono state previste specifiche disposizioni processuali per la trattazione dei procedimenti in materia di persone, minorenni e famiglie in cui vi siano condotte di violenza domestica e di genere (cfr. gli artt. 473 bis.40 e ss. c.p.c.).

Nella relazione illustrativa al D.Lgs. n. 149 del 2022, è evidenziato che la diffusione della violenza di genere e domestica ha indotto il legislatore delegante a prevedere numerosi principi di delega finalizzati a evitare il verificarsi, nell'ambito dei procedimenti civili e minorili, aventi ad oggetto la disciplina delle relazioni familiari, ed in particolare l'affidamento dei figli minori, di fenomeni di vittimizzazione secondaria, la quale si realizza quando le stesse autorità chiamate a reprimere il fenomeno delle violenze, non riconoscendolo o sottovalutandolo, non adottano nei confronti della vittima le necessarie tutele per proteggerla da possibili condizionamenti e reiterazioni delle violenze stesse (cfr. il cd. rapporto GREVIO - Group of Expert on Action against Violence against Women and Domestic Violence - redatto nel 2019 all'esito dell'attività del Gruppo di esperti chiamato a verificare l'applicazione della Convenzione di Istanbul del Consiglio d'Europa).

Le disposizioni introdotte dal D.Lgs. n. 149 del 2022 non sono applicabili ratione temporis alla controversia in esame.

Tuttavia, tenuto conto di quanto sopra evidenziato, occorre considerare l'intervenuta ratifica della Convenzione di Istanbul, sopra menzionata, almeno ai fini dell'interpretazione delle norme interne in senso ad essa conforme.

Si deve, pertanto, menzionare l'art. 3, ove si precisa che, ai fini di detta Convenzione, l'espressione "violenza domestica" designa tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all'interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l'autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima.

Fondamentale è anche il successivo art. 18 della Convenzione, il quale stabilisce, tra gli obblighi generali, che" 1. Le Parti adottano le necessarie misure legislative o di altro tipo per proteggere tutte le vittime da nuovi atti di violenza. ...omissis", aggiungendo che le stesse Parti contraenti "si accertano che le misure adottate in virtù del presente capitolo ...omissis... mirino ad evitare la vittimizzazione secondaria".

Deve anche essere ricordato l'art. 48 della medesima Convenzione, ove si legge che "1 Le parti devono adottare le necessarie misure legislative o di altro tipo per vietare il ricorso obbligatorio a procedimenti di soluzione alternativa delle controversie, incluse la mediazione e la conciliazione, in relazione a tutte le forme di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione."

Il riferimento all'assunzione di misure di "altro tipo", oltre a quelle legislative, volte a proteggere le vittime di violenza domestica, previsto all'art. 18 della Convenzione, impone di considerare l'obiettivo di evitare che i processi siano luoghi in cui si consumi la vittimizzazione secondaria, quale finalità che, ancor prima della entrata in vigore delle norme introdotte dal D.Lgs. n. 149 del 2022, deve improntare lo svolgimento anche dei processi civili in cui emergano condotte di violenza domestica.

4.3. Pertanto, nei procedimenti sulla responsabilità genitoriale, in presenza dell'allegazione di fatti di violenza domestica, il giudice, ove non escluda tali fatti, al momento in cui adotta i "provvedimenti convenienti" di cui all'art. art. 333 c.c., è tenuto a valutare la compatibilità delle misure adottate con il rischio che, nel caso concreto, si verifichino situazioni di vittimizzazione secondaria.

Tale valutazione deve senza dubbio essere effettuata quando il giudice ritiene di disporre "colloqui congiunti" dei genitori con gli operatori dei servizi sociali, i quali - pur distinguendosi dalla vera e propria attività di mediazione o conciliazione, espressamente esclusa dall'art. 48 della Convenzione - comportano, comunque, una interazione tra i coniugi, che può essere foriera di nuovi episodi di violenza, anche solo psicologica, che la Convenzione mira ad evitare.

Nella specie, la sentenza impugnata ha previsto "colloqui congiunti" dei genitori con gli operatori dei servizi sociali, senza che sia stata esclusa l'effettiva esistenza delle dedotte condotte di violenza e, conseguentemente, senza che sia stata valutata la compatibilità della misura adottata con l'esigenza di evitare, nel caso concreto, situazioni di vittimizzazione secondaria.

4.4. La nullità della sentenza di appello per le ragioni ufficiose già riportate, e la rinnovazione degli atti processuali necessari a definire la controversia, dovrà altresì, in conclusione, tenere conto del seguente principio di diritto: "Nei procedimenti sulla responsabilità genitoriale in cui siano adottati i "provvedimenti convenienti" di cui all'art. 333 c.c., ove venga dedotto la commissione di condotte di violenza domestica (come definita dall'art. 3 della Convenzione del Consiglio d'Europa, firmata ad Istanbul l'11/05/2011 e ratificata dall'Italia con l. n. 77 del 2013), il giudice, anche con riferimento a fatti anteriori all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 149 del 2022, se non esclude l'esistenza di tali fatti e intenda adottare i menzionati "provvedimenti", è chiamato a valutare, la compatibilità delle misure assunte con l'esigenza di evitare, nel caso concreto, possibili situazioni di vittimizzazione secondaria."

5. Insomma, deve essere accolto il ricorso nei termini di cui in motivazione e, dichiarata la nullità delle statuizioni con cui la minore è stata affidata ai servizi sociali (con le connesse disposizioni di vigilanza) senza la previa nomina del curatore speciale alla minore, la sentenza impugnata deve essere cassata nei limiti dei motivi accolti, con rinvio della causa alla Corte di appello di Ancona, in diversa composizione anche per la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità.

6. In caso di diffusione, devono essere omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati nella decisione, a norma dell'art. 52 D.Lgs. n. 196 del 2003.

P.Q.M.

La Corte

accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione e, dichiarata anche la nullità dell'impugnata sentenza in relazione alle statuizioni con cui, senza la previa nomina di un curatore speciale alla minore, quest'ultima è stata affidata ai servizi sociali, rinvia la causa alla Corte di appello di Ancona in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità; dispone che, in caso di diffusione della presente ordinanza, siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati, a norma dell'art. 52 D.Lgs. n. 196 del 2003.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 15 novembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2024.

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