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Usucapione di un fondo, non è sufficiente coltivarlo

Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.11663 del 30/04/2024

Per usucapire un terreno non è sufficiente, ai fini della prova del possesso uti dominus del bene, la sua mera coltivazione.

Questo principio è stato ribadito dalla Seconda Sezione della Cassazione con l’ordinanza n. 11663 del 30 aprile 2024.

La Suprema Corte ha chiarito che l’attività di coltivazione è pienamente compatibile con una relazione materiale basata su un titolo convenzionale o sulla mera tolleranza del proprietario. Questa attività, di per sé, non è idonea a realizzare "l'esclusione dei terzi" dal godimento del bene, un requisito fondamentale per stabilire l'espressione tipica del diritto di proprietà.

Nel caso di specie, un soggetto, con atto di citazione, aveva convenuto in giudizio il proprietario di un terreno per sentir dichiarare l'avvenuto acquisto della proprietà, per maturata usucapione ventennale, di detto terreno. La domanda veniva accolta in primo grado e confermata parzialmente in appello. Il proprietario proneva ricorso in Cassazione.

La Suprema Corte ricorda che il giudice deve verificare come sia stata manifestata "l'opposizione al proprietario", perché, per l'usucapione, "l'intento del coltivatore di possedere deve realizzarsi in un'attività materiale inequivocabilmente svolta uti dominus": la semplice interversione nel possesso non può avvenire solo mediante un atto di volontà interno, ma deve manifestarsi esternamente in una maniera che permetta di dedurre chiaramente che il detentore stia esercitando il controllo del bene in maniera esclusiva e non per conto di altri. Questa manifestazione deve essere specificamente indirizzata contro il possessore attuale, affinché questi possa riconoscere il cambiamento e l'opposizione al suo possesso (Cass. Sez. 2, n. 17376 del 03/07/2018).

La decisione di se un individuo ha diritto a diventare proprietario attraverso usucapione è quindi un accertamento di fatto, delegato al giudice del merito. Questi deve valutare, caso per caso, l'insieme dei poteri esercitati su un bene, non limitandosi a considerare la semplice attività di coltivazione, ma anche il comportamento globale del proprietario e come questo si correla con l'attività del presunto possessore (Cass. Sez. 6 - 2, n. 6123 del 05/03/2020).

La sentenza della Corte d'Appello non ha chiarito adeguatamente la natura e l'inizio delle attività svolte, né la frequenza con cui queste sono state eseguite, e soprattutto, in che modo sia stata manifestata "l'opposizione al proprietario". Inoltre, la Corte d'appello ha considerato l'attività di coltivazione come sufficiente per stabilire il possesso utile, senza specificare se il richiedente aveva accesso al terreno per coltivarlo direttamente dal terzo conduttore, o se questo ultimo aveva abbandonato la gestione del terreno.

Inoltre, la continuità del possesso, un altro requisito essenziale che deve protrarsi ininterrottamente per più di venti anni, non sembra essere stata adeguatamente dimostrata nella sentenza impugnata, mancando una verifica del periodo necessario per l’usucapione, iniziando dalla data incerta tra il 1982/83 fino al 2003, senza che vi fosse evidenza del completamento dell'usucapione alla data della compravendita.

Per queste considerazioni, concludono i giudici di legittimità, la Corte d'appello non ha statuito sulla domanda in corretta applicazione di principi consolidati in materia di usucapione.

Usucapione, fondo destinato ad uso agricolo, prova del possesso uti dominus, coltivazione, insufficienza

In relazione alla domanda di accertamento dell'intervenuta usucapione della proprietà di un fondo destinato ad uso agricolo non è sufficiente, ai fini della prova del possesso uti dominus del bene, la sua mera coltivazione, poiché tale attività è pienamente compatibile con una relazione materiale fondata su un titolo convenzionale o sulla mera tolleranza del proprietario e non esprime, comunque, un'attività idonea a realizzare esclusione dei terzi dal godimento del bene che costituisce l'espressione tipica del diritto di proprietà.

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Cassazione civile, sez. II, ordinanza 30/04/2024 (ud. 26/10/2023) n. 11663

FATTI DI CAUSA


1.Con atto di citazione notificato in data 16.01.2009, Ag.Al. convenne in giudizio Torelli Beni Immobili Srl (TBI) per sentir dichiarare l'avvenuto acquisto della proprietà, per maturata usucapione ventennale, di una porzione di mq. 803 di una più ampia particella (la n. 1525 del foglio 6, dell'estensione totale di mq. 1750) identificativa di un terreno sito a Sirolo, acquistato in data 14.01.2003 dalla società convenuta.

Il contraddittorio fu integrato, ad istanza di TBI, nei confronti dei suoi danti causa Bi.Gi., Ci.Ma. e Ci.Va., per garanzia in caso di evizione, riduzione del prezzo d'acquisto e risarcimento del danno.

2. Con sentenza n. 1161/2013, il Tribunale di Ancona dichiarò l'usucapione, in favore di Ag.Al., dell'intera particella, ma rigettò la domanda di evizione, pur ritenendola fondata nell'an, per difetto di prova sul quantum.

3. Con sentenza n.1267/2018, la Corte d'appello di Ancona, in parziale accoglimento dell'appello principale e dell'appello incidentale, limitò l'usucapione alla minore estensione di mq. 803 della particella n. 1525, confermando, con diversa motivazione, il rigetto della domanda di evizione.

In particolare, la Corte territoriale affermò che "la coltivazione del terreno configura un'attività senza dubbio corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà vantato dall'appellante, in quanto coltivare il terreno significa disporre materialmente di esso" (così in sentenza), che "per possesso continuo non deve intendersi un possesso esercitato mediante un'ingerenza assidua sul bene", essendo invece necessaria "una situazione in cui il possessore conservi la possibilità di esperire, quando lo voglia, atti di signoria relativamente alla cosa", che "non ricorre nella fattispecie un'ipotesi di evizione in considerazione del fatto che l'inizio della decorrenza del termine utile ad usucapire, individuata negli anni 1982/1983, non consente di ritenere provato che alla data della compravendita, avuta il 14/01/2003, gli alienanti non fossero più proprietari del frustolo di terreno per intervenuta maturazione dei venti anni richiesti dall'art. 1158 c.c.", potendo anche assumersi che il ventennio sia maturato dopo l'acquisto del terreno.

4. Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione Torelli Beni Immobili Srl, affidandolo a sei motivi, a cui hanno resistito con controricorso Ag.Al. e, con unico atto, Bi.Gi., Ci.Ma. e Ci.Va..

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente deve rilevarsi che, come ripetutamente affermato da questa Corte (Sez. 1, n. 3551 del 02/06/1981, Sez. U, n. 6311 del 22/06/1990, Sez. 6 - 3, n. 8973 del 15/05/2020) la morte di una parte, nelle more del giudizio di legittimità, dichiarata dal suo difensore e intervenuta a contraddittorio già instaurato, non produce alcuna conseguenza interruttiva, in considerazione della particolare struttura e della disciplina proprie del procedimento di legittimità che, dopo la notificazione e il deposito del ricorso, prosegue per impulso d'ufficio: l'istanza di interruzione del giudizio per morte di Gianfranco Bi.Gi., pertanto, non può trovare accoglimento.

1. Con il primo motivo, la Torelli Beni Immobili Srl ha denunciato la nullità della sentenza ex art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., in relazione all'art. 112 cod. proc. civ., per difetto di motivazione in ordine alla censura di mancato compimento del ventennio utile ad usucapire: in particolare, la società ricorrente ha rappresentato che su questa questione, sollevata nell'atto di appello alle pag. 4 e 5, la Corte ha omesso di pronunciare, considerando soltanto la data di inizio, gli anni tra il 1982 e il 1983, dell'attività identificata come esercizio del possesso senza individuare il compimento del ventennio, seppure esplicitamente contestato.

1.2. Con il secondo motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell'art. 360 cod. proc. civ., la società ha lamentato la violazione e falsa applicazione degli artt. 1141,1158 e 1164 cod. civ. e dell'art. 115 cod. proc. civ., per avere la Corte ritenuto idonea ad integrare il possesso utile all'usucapione di un fondo, avente peraltro destinazione edificabile, l'attività di coltivazione che è, invece, in sé non inequivoca manifestazione di un comportamento uti dominus.

1.3. Con il terzo motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell'art. 360 cod. proc. civ., la ricorrente ha quindi lamentato la violazione e falsa applicazione degli artt. 1141,1158 e 1164 cod. civ., per non avere la Corte, considerato che, in ogni caso, l'esercizio dell'asserito possesso aveva carattere occasionale e non vi era alcuna apparenza dell'uso perdurante del bene.

1.4. Con il quarto motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell'art. 360 cod. proc. civ., la TBI ha quindi prospettato la violazione e falsa applicazione degli art. 112,324 e 329 cod. proc. civ., per vizio di ultrapetizione, per avere la Corte d'appello escluso la fondatezza della domanda di evizione anche nell'an, sebbene sul punto non vi fosse stata impugnazione.

1.5. Con il quinto motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell'art. 360 cod. proc. civ., la società ha prospettato la violazione e falsa applicazione degli artt. 1484 e 1487 cod. civ. soltanto in considerazione della posteriorità del fatto evittivo (il compimento dell'usucapione) rispetto all'atto di vendita, laddove quest'ultimo, in ipotesi di compimento dell'usucapione, avrebbe dovuto essere imputato alla negligenza dei proprietari.

1.6. Con il sesto motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell'art. 360 cod. proc. civ., la TBI ha, infine, lamentato la violazione e falsa applicazione degli artt. 1484,1480 e art. 1479 cod. civ. nonché degli art. 112 e 115 cod. proc. civ., in riferimento al difetto di prova sulla entità di prezzo da ridurre in conseguenza dell'evizione.

2. Il primo, secondo e terzo motivo, che possono essere trattati congiuntamente per continuità di argomentazione, sono fondati.

In relazione alla domanda di accertamento dell'intervenuta usucapione della proprietà di un fondo destinato ad uso agricolo non è sufficiente, ai fini della prova del possesso uti dominus del bene, la sua mera coltivazione, poiché tale attività è pienamente compatibile con una relazione materiale fondata su un titolo convenzionale o sulla mera tolleranza del proprietario e non esprime, comunque, un'attività idonea a realizzare esclusione dei terzi dal godimento del bene che costituisce l'espressione tipica del diritto di proprietà (così, per indirizzo consolidato, Sez. 2, n. 1796 del 20/01/2022, Sez. 6 - 2, n. 6123 del 05/03/2020, Sez. 2, n. 18215 del 29/07/2013, Sez. 2, n. 19478 del 20/09/2007).

È necessario, allora, che il Giudice individui in che modo sia stata manifestata "l'opposizione al proprietario", perché "a fini della prova degli elementi costitutivi dell'usucapione - il cui onere grava su chi invoca la fattispecie acquisitiva - l'intento del coltivatore di possedere deve realizzarsi in un'attività materiale inequivocabilmente svolta uti dominus: l'interversione nel possesso non può avere luogo, infatti, mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, dalla quale sia possibile desumere che il detentore abbia iniziato ad esercitare il potere di fatto sulla cosa esclusivamente in nome proprio e non più in nome altrui e detta manifestazione deve essere rivolta specificamente contro il possessore, in maniera che questi sia posto in grado di rendersi conto dell'avvenuto mutamento e della concreta opposizione al suo possesso (Cass. Sez. 2, n. 17376 del 03/07/2018).

Costituisce, quindi, accertamento di fatto, rimesso al giudice del merito, valutare, caso per caso, l'intero complesso dei poteri esercitati su un bene, non limitandosi a considerare l'attività di chi si pretende possessore, ma considerando anche il modo in cui tale attività si correla con il comportamento concretamente esercitato del proprietario (Cass. Sez. 6 - 2, n. 6123 del 05/03/2020).

Nella sentenza impugnata, invece, non risulta esattamente ricostruito che tipo di attività sia stata svolta, quando sia esattamente iniziata e con quale frequenza sia stata compiuta e, soprattutto, in che modo sia stata manifestata la suindicata "opposizione al proprietario".

In tal senso la Corte d'appello, pur dando atto che la porzione oggetto di domanda era stata concessa in affitto a un terzo che lo deteneva, ha ritenuto l'attività di coltivazione sufficiente ad integrare il possesso utile, senza spiegare se l'attore Ag.Al. avesse avuto accesso al fondo per coltivarlo dal terzo conduttore - come detto, mero detentore - o se il terzo avesse abbandonato il terreno, cessandone di fatto la gestione.

A ciò si aggiunga che il possesso richiesto dall'art. 1158 cod. civ., oltre ad essere non equivoco, pacifico e pubblico, accompagnato dall'animo di tenere la cosa come propria, deve essere continuo e non interrotto e deve protrarsi per oltre venti anni.

Il requisito della continuità, evidentemente necessario, diversamente da quanto affermato in sentenza, si fonda sulla necessità che il possessore esplichi costantemente il potere di fatto corrispondente al diritto reale posseduto e lo manifesti con il compimento puntuale di atti di possesso conformi alla qualità ed alla destinazione della cosa e tali da rivelare, anche esternamente, una indiscussa e piena signoria di fatto sulla res.

La continuità si distingue, pertanto, dall'interruzione del possesso, giacché per la prima rileva unicamente il comportamento del possessore, e non già la volontà contraria del proprietario, mentre la seconda deriva dal fatto del terzo che privi il possessore del possesso (interruzione naturale) o dall'attività del titolare del diritto reale, il quale compia un atto di esercizio del diritto medesimo (così Sez. 2, n. 27376 del 2021, con richiamo a Cass. Sez. 2, 13/12/1994, n. 10652; Cass. Sez. 2, 17/07/1998, n. 6997; Cass. Sez. 2, 09/10/2003, n. 15092).

Infine, sarebbe stato altresì necessario individuare quando si fosse concluso il ventennio necessario ad usucapire: il Giudice ha, infatti, il potere/dovere di accertare in ogni caso, anche d'ufficio e indipendentemente dall'attività processuale del convenuto, la sussistenza degli elementi costitutivi del diritto fatto valere dall'attore, e l'art. 1158 cod. civ. pone, tra gli elementi costitutivi dell'usucapione, proprio il protrarsi continuativo del possesso per il previsto periodo ventennale: l'attore che intenda avvalersene, pertanto, è onerato della prova dell'intero decorso di tale periodo (cfr. Cass. Sez. 2, n. 5487 del 18/03/2004).

Nella sentenza impugnata, invece, la Corte d'appello non ha proprio verificato il compimento del ventennio, fissandone una incerta decorrenza iniziale tra il 1982/83 (pur dando atto che a tale epoca il bene era ancora detenuto in affitto dal terzo Sc.) e pur tuttavia ritenendo che alla data della compravendita, nel 2003, non vi fosse prova della compiuta usucapione.

3. Per queste considerazioni è evidente che la Corte d'appello non ha statuito sulla domanda in corretta applicazione di principi consolidati in materia di usucapione.

Dalla fondatezza dei primi tre motivi deriva il logico assorbimento delle censure concernenti la statuizione sulla domanda di evizione.

4. Il ricorso è perciò, accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata, con conseguente rinvio alla Corte d'appello di Ancona in diversa composizione perché esamini la domanda in applicazione dei principi suesposti, statuendo anche sulle spese di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo, secondo e terzo motivo di ricorso, assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'appello di Ancona in diversa composizione, anche per le spese di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte suprema di Cassazione del 26 ottobre 2023.

Depositata in Cancelleria il 30 aprile 2024.

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