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Spettacoli rumorosi in piazza, il comune è responsabile?

Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.18676 del 09/07/2024

Il comune che organizza spettacoli o manifestazioni culturali in piazza è responsabile dei danni per i rumori che superano la normale tollerabilità arrecati ai proprietari degli edifici circostanti?

La questione è stata affrontata dalla Terza sezione civile della Cassazione con l’ordinanza n. 18676 depositata il 9 luglio 2024.

Nel caso di specie, il Comune di Albissola Marina organizzava nel periodo estivo alcune manifestazioni culturali in piazza. I rumori provocati dagli spettacoli, sia durante l'allestimento del palco che nel loro svolgimento fino a tarda notte, superavano la normale tollerabilità, rendendo difficile il soggiorno per alcuni proprietari di seconde case, utilizzate come residenze estive. I proprietari hanno quindi chiesto al giudice il risarcimento dei danni derivanti dal disturbo causato dai rumori degli spettacoli organizzati dal Comune.

Il Tribunale, a seguito di una CTU che confermava il superamento dei decibel consentiti, ha condannato il Comune a liquidare equitativamente la somma di 1.000 Euro a ciascuno dei proprietari come risarcimento. La Corte d’Appello ha aumentato il risarcimento a 3.000 Euro, ribadendo che l'interesse pubblico degli spettacoli non può sacrificare il diritto del privato oltre la tollerabilità.

La Cassazione, investita della questione, ha confermato la condanna del Comune.

La Suprema Corte ha ricordato che:

  • Secondo l'articolo 844 del codice civile, le immissioni rumorose devono rispettare la normale tollerabilità.
  • Anche gli enti pubblici sono soggetti a questo obbligo e possono essere condannati al risarcimento del danno, oltre al "facere" necessario a ridurre le immissioni al di sotto della soglia di tollerabilità (Cass. 14209/2023).
  • I limiti alle emissioni sonore previsti dal D.P.C.M. 5.12.1997 sono relativi alle attività produttive, e quindi non possono applicarsi alle manifestazioni culturali, come quelle organizzate dal Comune in piazza.
  • La tollerabilità delle immissioni va valutata considerando luoghi, orari e abitudini degli abitanti, e l'interesse pubblico non può giustificare il superamento di questi limiti.

Immissioni, responsabilità dell'ente pubblico, soglia della normale tollerabilità, risarcimento

L'ente pubblico è soggetto all'obbligo di non provocare immissioni rumorose ed è responsabile dei danni conseguenti alla lesione dei diritti soggettivi dei privati, cagionata da immissioni provenienti da aree pubbliche, potendo conseguentemente essere condannata al risarcimento del danno, così come al "facere" necessario a ricondurre le dette immissioni al di sotto della soglia della normale tollerabilità, dal momento che tali domande non investono - di per sé - atti autoritativi e discrezionali, bensì un'attività materiale soggetta al richiamato principio del "neminem laedere".

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Cassazione civile, sez. III, ordinanza 09/07/2024 (ud. 12/04/2024) n. 18676

FATTI DI CAUSA

1.- Il Comune di Albissola Marina organizza periodicamente, nel periodo estivo, manifestazioni culturali che si svolgono in (…).

Alcuni abitanti, residenti in quella piazza, hanno lamentato tuttavia che, sia per l'allestimento del palco che poi per lo svolgimento degli spettacoli, che si protraevano fino a tarda notte, si verificavano rumori che superavano la normale tollerabilità e che rendevano difficile il soggiorno pregiudicando il godimento dell'appartamento che costoro avevano destinato a loro residenza estiva.

1.1 - Ma.Gi. e Br.Gr., per l'appunto proprietari degli immobili insistenti su piazza (…), hanno citato in giudizio il Comune di Albissola Marina per accertare che gli spettacoli producevano immissioni intollerabili e per ottenere la condanna del comune al risarcimento del danno.

Il Tribunale ha effettuato una consulenza tecnica dalla quale è emerso che quei rumori superavano la soglia dei decibel consentiti, e dunque ha liquidato equitativamente la somma di 1.000 Euro ciascuno, oltre accessori, a ristoro del pregiudizio subito. Il Comune di Albissola ha impugnato questa decisione con appello principale, mentre i due attori hanno proposto appello incidentale relativamente all'ammontare del danno loro liquidato.

1.2. - La Corte di appello di Genova ha rigettato l'appello principale ed ha accolto quello incidentale, riconoscendo ai due appellanti la somma di 3.000 Euro anziché quella di 1.000 Euro inizialmente liquidata.

1.3 - Questa sentenza è oggetto di ricorso per Cassazione da parte del Comune di Albissola con due motivi.

Per contro si sono costituiti Br.Gr. e Ma.Gi. per chiedere il rigetto del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

2. - La Corte di appello ha confermato la decisione di primo grado. Nel corso del giudizio di primo grado infatti era stata espletata una consulenza tecnica, che aveva rilevato il rumore sia a finestre chiuse che a finestre aperte, e comunque in diverse ore del giorno, ed erano state altresì assunte prove testimoniali sulle immissioni rumorose e sull'attività che le produceva.

La Corte di appello ha inoltre rigettato l'argomento del comune appellante in base al quale il CTU avrebbe fatto riferimento, per le misurazioni, al DPCM del 1997 relativo invece alle attività produttive, e che non poteva applicarsi alle manifestazioni culturali, quali erano quelle che il comune organizzava in quella piazza. A tale riguardo, la Corte di appello ha osservato che il Tribunale non ha fatto applicazione di quel DPCM, quanto piuttosto ha usato il metodo comparativo indicato dalla giurisprudenza secondo cui la tollerabilità va valutata caso per caso in relazione alle circostanze concrete.

Ha inoltre osservato che l'interesse pubblico allo svolgimento degli spettacoli non poteva comportare il sacrificio del diritto del privato oltre il limite della tollerabilità.

Infine, quanto al danno, la corte di merito ha ritenuto che quello non patrimoniale era stato provato per via presuntiva dalla impossibilità di utilizzare la casa per le vacanze, ed, in accoglimento dell'appello incidentale, ha rideterminato in 3.000 Euro l'ammontare del risarcimento sulla base della considerazione che quel risarcimento deve essere integrale e non limitato ai soli giorni di effettivo probabile utilizzo dell'immobile, ma deve tener conto della circostanza che l'immobile diventa per i ricorrenti inutilizzabile comunque.

3. - Questa ratio è contestata con due motivi.

Con il primo motivo si eccepisce l'illegittima applicazione del DPCM del 1997 e dell'articolo 844 del codice civile.

Il motivo contiene due censure.

Quanto alla prima censura, la tesi del ricorrente è che il CTU ha erroneamente preso a base delle sue valutazioni le immissioni considerate dal DPCM del 1997, senza tener conto però che tale provvedimento è relativo alle attività produttive, commerciali e professionali, tra le quali certamente non rientra lo svolgimento di manifestazioni culturali e di spettacoli.

Secondo i ricorrenti l'eccezione non ha tenuto conto del regolamento delle attività rumorose adottato dallo stesso consiglio comunale nel 2004, che consente, nell'ipotesi, per l'appunto di manifestazioni e spettacoli all'aperto, di arrivare fino al limite di 70 decibel.

La seconda censura attiene alla liquidazione del danno e mira a dire che erroneamente esso è stato liquidato equitativamente e ritenuto sussistente.

Il motivo va disatteso. Quanto alla prima censura, le ragioni di infondatezza sono due: in generale, i limiti posti dai singoli regolamenti, compreso dunque quello richiamato dal comune, e dallo stesso comune approvato, sono puramente indicativi in quanto anche immissioni che rientrino in quei limiti possono considerarsi intollerabili nella situazione concreta, posto che la tollerabilità è, per l'appunto, da valutarsi tenendo conto dei luoghi, degli orari, delle caratteristiche della zona e delle abitudini degli abitanti (Cass. 28201/ 2018), che è ciò che il consulente ha fatto.

In secondo luogo, anche un ente pubblico è soggetto all'obbligo di non provocare immissioni rumorose ed «è responsabile dei danni conseguenti alla lesione dei diritti soggettivi dei privati, cagionata da immissioni provenienti da aree pubbliche, potendo conseguentemente essere condannata al risarcimento del danno, così come al "facere" necessario a ricondurre le dette immissioni al di sotto della soglia della normale tollerabilità, dal momento che tali domande non investono - di per sé - atti autoritativi e discrezionali, bensì un'attività materiale soggetta al richiamato principio del "neminem laedere".» (Cass. 14209/2023, in caso analogo).

La seconda censura, invece, è del tutto insufficiente a costituire motivo di ricorso: apoditticamente si contesta la prova e la stima del danno, senza indicare quali criteri legali siano stati in concreto violati ed in che termini lo siano stati.

Il secondo motivo prospetta omesso esame di un fatto decisivo e controverso e rimprovera alla decisione impugnata di non aver tenuto in alcuna considerazione l'interesse pubblico allo svolgimento di tali manifestazioni: ove la Corte lo avesse fatto avrebbe potuto verificare che un tale interesse può costituire deroga al limite di tollerabilità delle emissioni. Il motivo è inammissibile.

La Corte ha tenuto conto dell'interesse pubblico, ed ha correttamente osservato che non può giustificare il sacrificio del diritto del privato oltre la normale tollerabilità.

Dunque, la questione è stata oggetto di esame. La circostanza secondo cui le immissioni sono state imposte dal perseguimento di un interesse pubblico è stata esaminata.

Va da sé che l'apprezzamento circa la prevalenza dell'uno o dell'altro interesse, ossia l'apprezzamento circa la tollerabilità delle immissioni, soglia entro la quale è tutelato l'interesse pubblico, è rimessa al giudice di merito ed è incensurabile in cassazione.

Il ricorso va dichiarato inammissibile, e le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, nella misura di € 1.600,00, oltre 200,00 euro di esborsi, ed oltre spese generali.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.

Così deciso in Roma, il 12 aprile 2024.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2024.

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