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Dirigente inadeguato? Licenziamento legittimo

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.23031 del 22/08/2024

È legittimo licenziare un dirigente che non si dimostra adeguato al suo ruolo?

Della questione si è occupata la Sezione Lavoro della Cassazione con la recente ordinanza n. 23031 del 22 agosto 2024.

Nel caso di specie, un direttore generale di una banca, protetto da un patto di stabilità che prevedeva la sua licenziabilità solo per giusta causa, è stato licenziato per gravi carenze nello svolgimento delle sue mansioni. In particolare, sono emerse gravi carenze nella gestione del processo del credito, ritardi nella classificazione di posizioni a rischio, inadeguate azioni dirette al recupero del credito e insufficienze nel sistema dei controlli interni.

La Corte ha ribadito che, in tema di licenziamento del dirigente, la giusta causa "consiste in un fatto che, valutato in concreto, determina una tale lesione del rapporto fiduciario da non consentire neppure la prosecuzione temporanea del rapporto". Non si tratta quindi semplicemente di mancato raggiungimento di obiettivi, ma di comportamenti che violano gli obblighi fondamentali del ruolo ricoperto.

La Corte ha ribadito che, in caso di licenziamento del dirigente, la giusta causa, che esonera il datore di lavoro dal preavviso o dall'indennità sostitutiva, si distingue dalla giustificatezza, che esonera solo dal pagamento dell'indennità supplementare prevista dal contratto collettivo". La giusta causa implica un fatto così grave da non permettere la continuazione, neanche temporanea, del rapporto di lavoro, mentre la giustificatezza riguarda situazioni meno gravi, esonerando il datore solo da specifiche indennità contrattuali.

Nella vicenda esaminata, le condotte del direttore generale non erano mere inadempienze rispetto a obiettivi prefissati, ma rappresentavano una violazione degli obblighi essenziali derivanti dal suo incarico. L'organizzazione e il controllo delle procedure per la concessione dei crediti non erano solo compiti accessori, ma costituivano l'oggetto principale della sua prestazione lavorativa. L'adeguatezza di tali condotte trova il suo fondamento negli obblighi ben precisi previsti dal Regolamento della Banca.

La Corte ha quindi confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa, ritenendo che le azioni del dirigente avessero compromesso in modo irreparabile il rapporto fiduciario con la banca. Non sussistevano, inoltre, elementi per considerare il licenziamento come ritorsivo o basato su motivi economici.

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Cassazione civile, sez. lav., ordinanza 22/08/2024 (ud. 11/06/2024) n. 23031

RILEVATO CHE


1. Con lettera del 14.4.2017 la Banca di Credito Cooperativo del Veneziano, incorporata in Banca Annia con effetto dall'1.1.2017, intimava a Giorgio Ca.Gi., direttore generale, beneficiario di un patto di stabilità che prevedeva la sua licenziabilità solo per giusta causa e, in caso di accertata illegittimità del licenziamento, l'applicazione della tutela reale convenzionale, licenziamento per giusta causa.

2. Impugnato il provvedimento di recesso, il Tribunale di Venezia riteneva provati e costituenti giusta causa alcuni degli addebiti contenuti nella contestazione disciplinare del 14.3.2017 e, precisamente: l'addebito sub c) relativo a gravi carenze nella gestione del processo del credito con importanti ritardi nella classificazione a maggiore rischio di posizioni caratterizzate da conclamati segnali di deterioramento; l'addebito sub d) relativo ad inadeguate azioni dirette al recupero del credito; l'addebito sub c) relativo a carenze della definizione del sistema dei controlli interni. Il primo giudice escludeva che si trattasse di un licenziamento dissimulato per giustificato motivo oggettivo e che il recesso avesse natura ritorsiva.

3. Proposti reclami da entrambe le parti la Corte di appello di Venezia, con la sentenza n. 136/2021, confermava la pronuncia di primo grado.

4. La Corte territoriale rilevava che: a) andava esclusa la natura economica del recesso in quanto, qualora non si fosse trovato l'accordo sull'incentivo all'esodo richiesto dallo stesso Ca.Gi., quest'ultimo avrebbe potuto continuare a lavorare se non fossero intervenuti i fatti costituenti giusta causa; b) dalle risultanze istruttorie dovevano ritenersi effettivamente sussistenti, come correttamente rilevato dal primo giudice, i fatti addebitati e questi erano imputabili alla figura del direttore generale; c) non era ravvisabile la eccepita violazione del principio di tempestività della contestazione disciplinare atteso che il momento in cui la Banca aveva avuto piena conoscenza dell'inadempimento del Ca.Gi. andava individuato nel dicembre del 2016, allorquando si era conclusa l'ispezione della Banca d'Italia ed erano stati acquisiti tutti gli elementi necessari, a fronte di una contestazione disciplinare del marzo del 2017, avvenuta dopo che vi era stata una immediata sospensione dal servizio con attribuzione delle deleghe al vice direttore, con un lasso temporale intercorso da ritenersi assolutamente congruo; d) la sanzione espulsiva era proporzionata rispetto alla gravità e alla pluralità degli addebiti; e) conseguentemente andava esclusa la natura ritorsiva del licenziamento.

5. Avverso la sentenza di secondo grado Ca.Gi. proponeva ricorso per cassazione affidato a tre motivi cui resisteva con controricorso la Banca di Credito Cooperativo di Venezia, Padova e Rovigo -Banca Annia Soc. Cooperativa.

6. La Banca ha depositato memoria.

7. Il Collegio si è riservato il deposito dell'ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 c.p.c..

CONSIDERATO CHE

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2119,2094,2104 c.c., in relazione all'art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., per avere la Corte territoriale considerato sussistente la giusta causa omettendo di accertare la reale natura degli obblighi in capo ad esso direttore in virtù del rapporto di lavoro subordinato ove non erano ravvisabili obbligazioni di facere in relazione ai risultati da raggiungere e senza la previsione di un termine finale entro cui realizzare il relativo adempimento: ciò in relazione a tutti gli addebiti ritenuti fondanti il recesso disciplinare.

3. Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione dell'art. 7 commi 3 e 4 legge n. 300 del 1970, degli artt. 1175 e 1375 c.c., in relazione all'art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., per non avere la Corte distrettuale correttamente applicato il principio di

immediatezza/tempestività della contestazione disciplinare, deducendo che il datore di lavoro non poteva attendere tre mesi per contestare al dipendente fatti già noti nei loro elementi essenziali, con la giustificazione di doverli valutare, senza così incorrere nella violazione della tardività della contestazione.

4. Con il terzo motivo si eccepisce l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all'art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., per avere la Corte di merito omesso di considerare l'irrogazione della sospensione cautelare disposta nei confronti del Ca.Gi. quale elemento cruciale ai fini della qualificazione del licenziamento. Si obietta che i giudici di seconde cure, omettendo di valutare l'indebito uso della sospensione cautelare da parte dell'Istituto di Credito, non avevano riscontrato come fosse stato evidente l'intento di allontanare il direttore generale a seguito del rifiuto dell'incentivo all'esodo e risolvere il rapporto di lavoro, confezionando "a tavolino" una giusta causa in realtà inesistente.

5. Il primo motivo non è fondato.

6. È opportuno precisare che, in tema di licenziamento del dirigente, la giusta causa, che esonera il datore di lavoro dall'obbligo di concedere il preavviso o di pagare l'indennità sostitutiva, non coincide con la giustificatezza, che esonera il datore di lavoro soltanto dall'obbligo di pagare l'indennità supplementare prevista dalla contrattazione collettiva, in quanto la giusta causa consiste in un fatto che, valutato in concreto, determina una tale lesione del rapporto fiduciario da non consentire neppure la prosecuzione temporanea del rapporto (Cass. n. 5671/2012).

7. Ciò premesso, nella fattispecie in esame, la Corte territoriale non ha ravvisato la giusta causa del recesso, come invece sostiene parte ricorrente, nel mancato raggiungimento dei risultati connessi alla qualifica di direttore generale rivestita dal Ca.Gi., bensì nell'addebito di fatti specifici, idonei a ledere il rapporto fiduciario quali le gravi carenze nella gestione del credito, la inadeguatezza delle azioni dirette al recupero dei crediti e le gravi carenze nella definizione del sistema dei controlli interni: tutti comportamenti riscontrati in concreto e di cui era necessario l'adempimento da parte del Ca.Gi.

8. L'adeguatezza di tali condotte trova il suo fondamento negli obblighi ben precisi previsti dal Regolamento della Banca secondo cui il direttore generale è "responsabile della adozione degli orientamenti strategici e delle linee guida definiti dal consiglio. In tal ambito, predispone le misure necessarie ad assicurare l'istituzione, il mantenimento ed il corretto funzionamento di un efficace sistema di gestione e controllo dei rischi. Il direttore generale verifica costantemente la funzionalità complessiva, l'efficienza e l'efficacia del sistema organizzativo provvedendo, con contributo del comitato direzione/rischi, al suo costante adeguamento anche rispetto alla gestione dei rischi. È il responsabile gerarchico della struttura organizzativa e attua le soluzioni organizzative, operative e di controllo finalizzate ad assicurare l'efficienza ed efficacia nello svolgimento dei processi del lavoro, è responsabile dei risultati ottenuti nei confronti del CdA, formula proposte all'organo amministrativo su ogni materia inerente la gestione aziendale, provvede a rilevare le aree di potenziale conflitto di interessi e ad assicurare l'adeguata segregazione di funzioni e o ruoli in conflitto, al fine di ridurre tali aree al minimo; laddove residuano situazioni di conflitto di interesse, ne dà rappresentazione al Consiglio di Amministrazione e istituisce controlli aggiuntivi all'indicazione del relativo rischio".

9. L'organizzazione ed il controllo delle procedure per la concessione de crediti non era, pertanto, il risultato di una obbligazione di facere, ma costituiva, nel caso de quo, proprio l'oggetto della prestazione del direttore generale della Banca.

10. Il secondo motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.

11. In tema di licenziamento disciplinare, l'immediatezza della contestazione va intesa in senso relativo, dovendosi dare conto delle ragioni che possono cagionare il ritardo (quali il tempo necessario per l'accertamento dei fatti o la complessità della struttura organizzativa dell'impresa), con valutazione riservata al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, se sorretta da motivazione adeguata e priva di vizi logici (per tutte, Cass. n. 281/2016; Cass. n. 16841/2018).

12. La Corte distrettuale, in punto di diritto, si è attenuta al principio di diritto sopra precisato e con un accertamento in fatto, conforme a quello del primo giudice, ha ritenuto il periodo trascorso nel segmento temporale intercorso, tra la commissione dei fatti, fino al momento in cui il Consiglio di amministrazione ha avuto piena consapevolezza in ordine agli inadempimenti del direttore generale (dicembre 2016 all'esito della ispezione degli Organi della Banca d'Italia) e fino a quando è stata effettuata la contestazione disciplinare (del marzo 2017, dopo un periodo di sospensione cautelare del Ca.Gi. dal dicembre 2016), adeguato con riguardo alla tempestività dell'addebito, stante la complessità delle questioni da esaminare e la documentazione da verificare.

13. Vertendosi, pertanto, in una ipotesi di cd. "doppia conforme", relativamente ad una questione in fatto decisa allo stesso modo dai giudici di merito e fondata, in diritto, su consolidati orientamenti giurisprudenziali di legittimità, la doglianza si rivela, pertanto, non meritevole di accoglimento.

14. Anche il terzo motivo, formulato ai sensi dell'art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., è infondato.

15. L'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall'art. 54 del D.L. n. 83 del 2012, conv. in L. n. 134 del 2012, ha introdotto nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); pertanto, l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. n. 27415/2018; Cass. 19881/2014).

16. Nel caso in esame la qualificazione del licenziamento come disciplinare, e non come ritorsivo o di natura economica, è stata valutata sia dai giudici di primo grado (fase sommaria e di merito) sia da quelli di secondo grado e tutti, in modo conforme, hanno ritenuto che non si trattasse di una simulazione di un recesso intimato per giusta causa allo scopo di nascondere altre ragioni.

17. Di fronte a tale accertamento di fatto, è evidente che il riferimento alla sospensione cautelare, disposta nel dicembre del 2016 al Ca.Gi., asseritamente secondo il ricorrente in modo indebito, non assume assolutamente carattere decisivo perché comunque i fatti posti a fondamento della stessa sono stati esaminati e ritenuti fondati.

18. Quanto, poi, alla problematica della dedotta illegittimità della sospensione cautelare in quanto priva di motivazione e sganciata da ogni contestazione, trattasi di questione non riconducibile al denunciato vizio di cui all'art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c. e, comunque, trattandosi di un provvedimento provvisorio e strumentale all'accertamento dei fatti relativi alla violazione contestata al lavoratore, essa esaurisce i suoi effetti con l'adozione dei provvedimenti disciplinari definitivi e ad essa non è applicabile l'art. 7 della legge n. 300 del 1970 (Cass. n. 25136/2010; Cass. n. 15353/2012): ciò a prescindere dalla circostanza che, nella fattispecie, la comunicazione della Banca del dicembre 2016 indicava le ragioni della sospensione precauzionale della prestazione lavorativa.

19. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.

20. Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.

21. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in € 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in € 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, l'11 giugno 2024..

Depositata in Cancelleria il 22 agosto 2024.

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