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Cortile condominiale o no?

Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.27481 del 23/10/2024

Nell'ambito di un condominio, in quali casi il cortile può essere considerato una parte comune dell'edificio?

La Corte di Cassazione si è nuovamente espressa su questo tema con l'ordinanza n. 27481 del 23 ottobre 2024.

La Suprema Corte ha ribadito che, ai sensi dell'art. 1117 del codice civile, il cortile è una parte comune dell'edificio, destinata a fornire luce e aria agli ambienti circostanti o a consentire l'accesso. Tale presunzione dicondominialità non può essere superata semplicemente dal fatto che l'accesso al cortile sia riservato a un solo condomino, salvo che un titolo specifico preveda diversamente.

Nel caso di specie, i ricorrenti avevano richiesto e ottenuto dal Tribunale di Bergamo il riconoscimento della proprietà esclusiva di un cortile situato a Curno.

Tuttavia, la Corte d'Appello di Brescia, aveva ribaltato il giudizio di primo grado, stabilendo che il cortile era in comproprietà tra tutti i condomini, facendo riferimento all'atto di donazione del 1992, in cui il cortile era espressamente indicato come comune.

La Cassazione, investita del caso, ha rigettato il ricorso presentato dai ricorrenti, evidenziando come la donazione del 1992 non escludeva chiaramente la comunione del cortile, anzi, lo definiva esplicitamente come cortile comune.

La Corte ha sottolineato che l'utilità particolare di un singolo condomino non incide sulla destinazione tipica del bene come parte comune.

Condominio, cortile, parti comuni dell'edificio, presunzione di condominialità, proprietà esclusiva, circostanze

Costituisce cortile, ai fini dell'elencazione nelle parti comuni dell'edificio eseguita dall'art. 1117 cod. civ., qualsiasi area scoperta tra i corpi di fabbrica di un edificio o di più edifici, che serva a dare luce e aria agli ambienti circostanti, o che abbia anche la sola funzione di consentirne l'accesso.

Diametralmente, l'individuazione delle parti comuni di un condominio, risultante dall'art. 1117 cod. civ., non opera con riguardo a cose che, per le loro caratteristiche strutturali, risultino destinate oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari.

La presunzione di condominialità ai sensi dell'art. 1117 cod. civ. del cortile, destinato prevalentemente a dare aria e luce allo stabile comune, non può essere vinta dalla circostanza che a esso si acceda solo dalla proprietà esclusiva di un solo condomino, in quanto l'utilità particolare che deriva da tale fatto non incide sulla destinazione tipica del bene e sullo specifico nesso di accessorietà del cortile rispetto all'edificio condominiale; la presunzione di condominialità posta dall'art. 1117 cod. civ. non è vincibile con qualsiasi prova contraria, ma può essere superata soltanto dalle opposte risultanze del titolo che ha dato luogo alla formazione del condominio per effetto del frazionamento dell'edificio in più proprietà individuali, dal quale deve risultare una chiara e univoca volontà di riservare esclusivamente a uno o più condomini la proprietà di dette parti e di escluderne gli altri.

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Cassazione civile, sez. II, ordinanza 23/10/2024 (ud. 15/10/2024) n. 27481

FATTI DI CAUSA


1.Con la sentenza n. 1795/2014 il Tribunale di Bergamo, per quanto ancora interessa, ha accolto la domanda proposta da Co.An., Co.Ad. e Co.Ro. nei confronti di Ma.Pi. e Ma.Cl., con la chiamata in causa di Co.Gi., e ha dichiarato che il mappale (Omissis) adibito a cortile del compendio immobiliare sito a C in via (Omissis) era di loro esclusiva proprietà.

Avverso la sentenza Ma.Pi. e Ma.Cl. hanno proposto appello, che la Corte d'Appello di Brescia ha parzialmente accolto con sentenza n. 312/2019 pubblicata il 18-2-2019, dichiarando che il cortile di cui al mappale (Omissis) era in comproprietà di tutti i condomini.

La sentenza ha considerato che il condominio era stato costituito con l'atto di donazione del 1992, con il quale il padre Co.Gi. aveva assegnato i due negozi con accesso solo dalla strada pubblica al figlio Co.Gi. e le quattro unità residenziali agli altri quattro figli, ai quali aveva attribuito altresì in proprietà, per la quota di un quarto ciascuno, l'area coperta dalla tettoia collocata sul cortile comune e adibita a posti auto. Ha considerato che il Tribunale aveva valorizzato il dato letterale dell'atto dispositivo, dal quale si evinceva che nel lotto attribuito a Co.Gi. non vi era menzione alla comproprietà del cortile, mentre in ciascuna delle altre attribuzioni ai fratelli vi era, oltre a una unità abitativa, un quarto della tettoia adibita a posti auto sita nel cortile comune; il Tribunale aveva altresì accertato che, all'epoca della donazione, i negozi non avevano apertura diretta sul cortile e che non era mai stato contestato che, per tutto il periodo in cui i locali erano stati adibiti a esercizio commerciale, il cortile non era mai stato utilizzato dal titolare dell'esercizio commerciale. Posti questi dati, la sentenza ha considerato che il titolo parlava di tettoia destinata a parcheggio che occupava solo parzialmente il cortile definito espressamente come comune, contrariamente alla tettoia che era stata frazionata solo in quattro parti attribuite esclusivamente alle unità abitative; a fronte della presunzione di condominialità ex art. 1117 cod. civ. e a fronte del titolo che non escludeva ma utilizzava il termine "cortile comune", non assumeva alcuna rilevanza contraria la mancanza di un accesso diretto alle unità immobiliare già di Co.Gi. e poi di Ma.Pi. e Ma.Cl. sull'area cortilizia, né il pregresso non utilizzo della medesima; ha dichiarato che il cortile aveva la funzione precipua di dare luce e aria a tutti gli immobili che vi si affacciavano indipendentemente da uno sbocco diretto, che non era esistente neppure per gli appartamenti collocati ai piani superiori.

2.Avverso la sentenza Co.An.. Co.Ro. e Co.Ad. hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Sono rimasti intimati Ma.Pi. e Ma.Cl., ai quali la notificazione è stata eseguita presso il difensore avv. Alessandro Pedone a mani il 16-9-2019 e Co.Gi., al quale la notificazione è stata eseguita presso l'avv. Giovanni Valtulini a mezzo posta con consegna il 19-9-2019.

In data 28-12-2023 è stata depositata proposta di definizione ex art. 380-bis cod. proc. civ. per manifesta infondatezza del ricorso e in data 6-2-2024 il difensore dei ricorrenti munito di nuova procura speciale ha chiesto la decisione.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380-bis 1 cod. proc. civ. e all'esito della camera di consiglio del 15-10-2024 la Corte ha riservato il deposito dell'ordinanza.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione ex art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ. degli artt. 1117 e 1321 cod. civ. e lamentano che la sentenza impugnata, applicando la presunzione di cui all'art. 1117 cod. civ., abbia negato qualsiasi valore alla volontà del donante; evidenzia che, essendo stato donato al dante causa dei Ma.Pi. e Ma.Cl. un negozio con accesso sulla pubblica via, senza sbocco né accesso al cortile interno dell'edificio, lo stesso non abbisognava di aria e luce proveniente dal retrobottega. Aggiunge che, esaminando l'atto di donazione, non si può non concludere che il donante aveva attribuito ai quattro figli il cortile e la tettoia esistente su quel cortile e all'altro figlio i due negozi con accesso dalla pubblica via ed esclusione del cortile, non necessario né funzionale ai negozi donati.

2.Con il secondo motivo i ricorrenti ulteriormente deducono la violazione ex art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ. dell'art. 1117 cod. civ. e degli artt. 1362 e ss. cod. civ.; rilevano che secondo l'art. 1117 cod. civ. i cortili sono oggetto di proprietà comune se non risulta diversamente dal titolo e che nella fattispecie con la donazione ai proprietari delle unità immobiliari è stata assegnata anche la proprietà di un quarto della tettoia esistente sul cortile comune, mentre nessuna menzione in relazione al cortile è eseguita per Co.Gi., al quale è stato trasferito il negozio. Sostengono che l'intenzione del padre donante fosse quella di escludere dall'uso del cortile il negozio donato al figlio Co.Gi., in quanto l'unità donata allo stesso non contiene alcun richiamo al cortile, la tettoia esistente sul cortile è stata assegnata solo alle unità residenziali e il cortile è stato definito comune in funzione dell'assegnazione alle sole quattro unità abitative.

3.Con il terzo motivo il ricorrente ulteriormente deduce la violazione ex art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ. dell'art. 1117 cod. civ. e degli artt. 1322 e 1324 cod. civ.; sostiene che la destinazione del cortile sia stata voluta non solo dal donante ma sia congruente con lo stato dei luoghi, perché a ogni unità residenziale è stata assegnata una quota della tettoia che si trova sul cortile comune e in questo modo l'utilizzo del cortile è consentito ai proprietari della tettoia che si trova sul cortile, che rimane comune alle unità residenziali, senza che il negozio partecipi alla comproprietà del cortile.

4.I motivi, esaminati congiuntamente stante la stretta connessione, sono infondati per le ragioni di seguito esposte.

Per consolidata interpretazione, costituisce cortile, ai fini dell'elencazione nelle parti comuni dell'edificio eseguita dall'art. 1117 cod. civ., qualsiasi area scoperta tra i corpi di fabbrica di un edificio o di più edifici, che serva a dare luce e aria agli ambienti circostanti, o che abbia anche la sola funzione di consentirne l'accesso (Cass. Sez. 2 8-9-2021 n. 24189 Rv. 662169-01, Cass. Sez. 2 2-8-2010 n. 17993 Rv. 614187-01, Cass. Sez. 2 30-7-2004 n. 14559 Rv. 575122-01). Diametralmente, l'individuazione delle parti comuni di un condominio, risultante dall'art. 1117 cod. civ., non opera con riguardo a cose che, per le loro caratteristiche strutturali, risultino destinate oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari (Cass. Sez. U 7-71993 n. 7449 Rv. 483033-01). La presunzione di condominialità ai sensi dell'art. 1117 cod. civ. del cortile, destinato prevalentemente a dare aria e luce allo stabile comune, non può essere vinta dalla circostanza che a esso si acceda solo dalla proprietà esclusiva di un solo condomino, in quanto l'utilità particolare che deriva da tale fatto non incide sulla destinazione tipica del bene e sullo specifico nesso di accessorietà del cortile rispetto all'edificio condominiale (Cass. Sez. 2 23-10-2020 n. 23316 Rv. 659381-01, Cass. Sez. 2 1-8-2014 n. 17556 Rv. 631830-01, Cass. Sez. 2 7-4-2000 n. 4350 Rv. 535405-01); la presunzione di condominialità posta dall'art. 1117 cod. civ. non è vincibile con qualsiasi prova contraria, ma può essere superata soltanto dalle opposte risultanze del titolo che ha dato luogo alla formazione del condominio per effetto del frazionamento dell'edificio in più proprietà individuali, dal quale deve risultare una chiara e univoca volontà di riservare esclusivamente a uno o più condomini la proprietà di dette parti e di escluderne gli altri (Cass. Sez. 2 17-2-2020 n. 3852 Rv. 657106-02, Cass. Sez. 2 18-12-2014 n. 26766 Rv. 633884-01, Cass. Sez. 2 19-11-2002 n. 16292 Rv. 558589-01).

Nella fattispecie la Corte territoriale ha dato per acquisito che l'area coperta da tettoia destinata a parcheggio occupava solo una parte del cortile e ha accertato, mediante l'apprezzamento di fatto a essa spettante e che rimane estraneo al sindacato di legittimità, che l'obiettiva destinazione primaria del cortile in questione era quella di dare aria e luce a tutte le unità immobiliari e non solo alle unità adibite ad abitazione di proprietà degli attuali ricorrenti; quindi ha accertato la relazione di accessorietà necessaria che, al momento della formazione del condominio, legava il cortile alle proprietà individuali e ne comportava l'inserimento tra le parti comuni ai sensi dell'art. 1117 cod. civ. A questo punto, al fine di escludere la presunzione ex art. 1117 cod. civ. di comunione pro indiviso del cortile, era necessario verificare se nel titolo costitutivo del condominio sussistesse chiara e univoca volontà di riservare esclusivamente alle unità immobiliari adibite ad abitazione la proprietà del cortile interno; tale volontà la sentenza ha escluso, valorizzando il dato che la donazione aveva attribuito l'area adibita a parcheggio coperta da tettoia alle unità abitative e aveva utilizzato per definire il resto dell'area scoperta il termine "cortile comune". Gli argomenti di segno diverso del ricorrente, volti a sostenere che la donazione prevedesse l'assegnazione del cortile in comproprietà soltanto ai proprietari delle unità abitative, in sostanza si risolvono in una critica all'interpretazione del titolo costitutivo del condominio, che rimane a sua volta estranea al giudizio di legittimità. Infatti, l'interpretazione del contratto, quale è nella fattispecie la donazione costituente titolo del condominio, consistendo in una operazione di accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico, si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito; quindi il ricorrente, al fine di fare valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è tenuto altresì a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati, o se lo stesso li abbia applicati sulla base di considerazioni illogiche o insufficienti, non potendo la censura risolversi nella mera contrapposizione tra l'interpretazione del ricorrente e quella accolta dalla sentenza impugnata, poiché quest'ultima non deve essere l'unica astrattamente possibile, ma solo una delle plausibili interpretazioni (Cass. Sez. 1 9-4-2021 n. 9461 Rv. 661265-01, Cass. Sez. 3 28-11-2017 n. 28319 Rv. 646649-01, Cass. Sez. 1 15-11-2017 n. 27136 Rv. 646063-01). Nella fattispecie il ricorrente si limita a proporre la propria interpretazione del contenuto della donazione, ma non è in grado di individuare il canone di interpretazione violato dalla sentenza impugnata che effettivamente, valorizzando il dato che nella donazione il cortile fosse definito espressamente come comune, ha eseguito l'interpretazione letterale del contratto; infatti, diversamente, l'atto avrebbe specificato che il cortile era comune soltanto ai donatari delle unità abitative.

5.In conclusione il ricorso è integralmente rigettato, senza nulla disporre sulle spese del giudizio di legittimità, essendo le controparti rimaste intimate.

Però, poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ex art. 380-bis cod. proc. civ., deve essere applicato, come previsto dal comma terzo dello stesso art. 380-bis cod. proc. civ., il quarto comma dell'art. 96 cod. proc. civ., con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento di somma a favore della cassa delle ammende.

Come evidenziato da Cass. Sez. U 27-9-2023 n. 27433 (Rv. 668909-01) e Cass. Sez. U 13-10-2023 n. 28540 (Rv. 669313-01), l'art. 380-bis co.3 cod. proc. civ., richiamando, per i casi di conformità tra proposta e decisione finale, l'art. 96 co. 3 e 4 cod. proc. civ., codifica, attraverso una valutazione legale tipica compiuta dal legislatore, un'ipotesi di abuso del processo, giacché non attenersi alla delibazione del proponente che trovi conferma nella decisione finale lascia presumere una responsabilità aggravata. Seppure l'omessa costituzione degli intimati precluda la statuizione ex art. 96 co. 3 cod. proc. civ., non ricorrendo una situazione che consenta una pronuncia sulle spese, si impone la condanna al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma ex art. 96 co. 4 cod. proc. civ., alla stregua dell'autonoma valenza precettiva del richiamo a tale ultima disposizione, contenuto nell'art. 380-bis cod. proc. civ. (Cass. Sez. 3 4-10-2023 n. 27947 Rv. 669107-01).

Infine, in considerazione dell'esito del ricorso, ai sensi dell'art. 13 co. 1-quater D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

condanna i ricorrenti al pagamento ex art. 96 co. 4 cod. proc. civ. di Euro 2.000,00 a favore della cassa delle ammende. Sussistono ex art.13 co. 1-quater D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 i presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

La Corte rigetta il ricorso;

condanna i ricorrenti al pagamento ex art. 96 co. 4 cod. proc. civ. di Euro 2.000,00 a favore della cassa delle ammende. Sussistono ex art.13 co. 1-quater D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 i presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte suprema di cassazione il 15 ottobre 2024.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2024.

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