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Fisco può ricorrere all’autotutela in malam partem?

Corte di Cassazione, sez. Unite Civile, Sentenza n.30051 del 21/11/2024

In caso di accertamento tributario, l’Amministrazione può annullare un atto impositivo per vizi formali o sostanziali ed emetterne uno nuovo più oneroso per il contribuente?

Sul quesito sono intervenute le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza n. 30051 del 21 novembre 2024, chiarendo alcuni aspetti dell’autotutela tributaria in malam partem.

Secondo la Suprema Corte, il potere di autotutela tributaria trova fondamento nei principi costituzionali sanciti dagli articoli 2, 23, 53 e 97 della Costituzione, mirati al perseguimento dell'interesse pubblico alla corretta esazione dei tributi legalmente accertati.

Pertanto, l'Amministrazione finanziaria, purché non sia decorso il termine di decadenza per l'accertamento previsto per il singolo tributo e sull'atto non sia stata pronunciata una sentenza passata in giudicato, può legittimamente annullare un atto impositivo viziato—sia per vizi formali che sostanziali—ed emettere in sostituzione un nuovo atto anche con una maggiore pretesa fiscale.

Differenze con l’accertamento integrativo

È fondamentale distinguere tra l’autotutela sostitutiva in malam partem, che comporta l'adozione di un nuovo atto in sostituzione di quello annullato, e l’accertamento integrativo (art. 43, comma 3, D.P.R. n. 600/1973 e art. 57, comma 4, D.P.R. n. 633/1972):

  • Nell’autotutela, la valutazione riguarda l'atto originario che, essendo viziato, viene annullato e sostituito sulla base degli stessi elementi già considerati.
  • Nell’accertamento integrativo, il precedente atto rimane valido e ne viene affiancato un altro, contenente una pretesa aggiuntiva per il medesimo tributo e periodo d'imposta, senza necessità di rivalutare gli elementi di fatto e di diritto su cui si basava il primo atto.

Di conseguenza, il requisito della "sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi" non si applica al provvedimento emesso in autotutela sostitutiva, anche se comporta una maggiore imposizione.

Legittimo affidamento del contribuente

Un ulteriore aspetto riguarda il legittimo affidamento del contribuente in caso di autotutela tributaria sostitutiva in malam partem.

Secondo le Sezioni Unite:

  • Il legittimo affidamento non è configurabile sulla base della sola esistenza di un precedente atto viziato o di un'errata valutazione delle circostanze che lo fondavano, in virtù del dovere generale di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva, ai sensi degli articoli 2 e 53 della Costituzione.
  • Può invece sussistere il legittimo affidamento se vi sono state specifiche indicazioni erronee o comportamenti intrinsecamente contraddittori da parte dell'Amministrazione fiscale prima dell'adozione dell'atto illegittimo, specialmente se le somme pretese sono state integralmente versate e sussistono ragioni di certezza e stabilità.

La vicenda in esame

Nel caso di specie, l’Amministrazione finanziaria aveva emesso un nuovo atto impositivo a seguito dell'annullamento del primo atto per rilevata illegittimità. L'Agenzia delle Entrate, nella determinazione originaria dei ricavi, aveva considerato giustificati alcuni prelevamenti effettuati dal contribuente dal proprio conto corrente, sebbene mancasse un riscontro oggettivo, commettendo così un errore sostanziale nella valutazione del presupposto d'imposta. L'esercizio del potere di autotutela, come accertato dalla Commissione tributaria regionale, si è basato sulla rilevata illegittimità del primo atto ed è stato esercitato entro un tempo ragionevole dall'emissione dello stesso, che non era ancora divenuto definitivo in quanto impugnato dal contribuente.

Autotutela tributaria, fondamento, interesse pubblico alla corretta esazione dei tributi, conseguenze, esercizio in malam partem, ammissibilità, accertamento integrativo, differenze, tutela dell’affidamento del contribuente, configurabilità

In tema di accertamento tributario, il potere di autotutela tributaria, le cui forme e modalità sono disciplinate dall'art. 2-quater, comma 1, D.L. n. 564 del 1994, conv. dalla legge n. 656 del 1994 e dal successivo D.M. n. 37 del 1997, di attuazione, e, con decorrenza dal 18 gennaio 2024, dagli artt. 10-quater e 10 quinquies, legge n. 212 del 2000, trae fondamento, al pari della potestà impositiva, dai principi costituzionali di cui agli artt. 2,23,53 e 97 Cost. in vista del perseguimento dell'interesse pubblico alla corretta esazione dei tributi legalmente accertati; di conseguenza, l'Amministrazione finanziaria, ove non sia decorso il termine di decadenza per l'accertamento previsto per il singolo tributo e sull'atto non sia stata pronunciata sentenza passata in giudicato, può legittimamente annullare, per vizi sia formali che sostanziali, l'atto impositivo viziato ed emettere, in sostituzione, un nuovo atto anche per una maggiore pretesa.

In tema di accertamento tributario, l'autotutela sostitutiva in malam partem, con adozione di un nuovo atto per una maggiore pretesa in sostituzione di quello annullato, si differenzia, strutturalmente e funzionalmente, dall'accertamento integrativo, previsto dagli artt. 43, quarto comma (ora terzo), D.P.R. n. 600 del 1973 e 57, quarto comma, D.P.R. n. 633 del 1972, che pure comporta l'emissione di un nuovo atto per una ulteriore pretesa in aggiunta a quella originaria, posto che, nel primo caso, la valutazione investe l'atto originario che, in quanto viziato, viene annullato e sostituito sulla base degli stessi elementi già considerati, mentre, nel secondo, il precedente atto è valido e ad esso ne viene affiancato un altro, contenente una pretesa aggiuntiva per il medesimo tributo e periodo d'imposta, non ponendosi, neppure in astratto, l'esigenza di una rivalutazione degli elementi di fatto e diritto in base ai quali il primo atto è stato emesso; ne consegue che il requisito della "sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi" non si applica per il provvedimento emesso in autotutela sostitutiva ancorché fonte di una maggiore imposizione.

In caso di autotutela tributaria sostitutiva in malam partem, con adozione di un nuovo atto per una maggiore pretesa in sostituzione di quello annullato, il legittimo affidamento del contribuente non è integrato dalla mera esistenza del precedente atto viziato ovvero dall'errata valutazione delle circostanze poste a suo fondamento, ostandovi il generale dovere di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva in forza degli artt. 2 e 53 Cost.; può, per contro, assumere rilievo, ai fini della configurabilità del legittimo affidamento, l'esistenza di specifiche indicazioni erronee o di condotte intrinsecamente contraddittorie da parte dell'agenzia fiscale anteriormente all'adozione dell'atto illegittimo qualora le somme pretese siano state compiutamente versate e ricorrano ragioni di certezza e stabilità.

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Cassazione civile, sez. un., sentenza 21/11/2024 (ud. 22/10/2024) n. 30051

FATTI DI CAUSA


1. Bo.An. impugnava l'avviso di accertamento n. (Omissis), relativo all'anno 2003 per Irpef, Iva e contributi previdenziali, emesso dall'Agenzia delle entrate in sostituzione dell'avviso di accertamento n. (Omissis), fondato su accertamenti bancari ed annullato dall'Ufficio in autotutela con atto comunicato in data 14/2/2011.

2. Il primo avviso era stato emesso in base alle movimentazioni rilevate con il processo verbale redatto dalla Guardia di finanza in data 28/11/2008, solo in parte giustificate sulla base delle dichiarazioni rese dal contribuente, sicché, con riguardo al prelievo eseguito dal Bo.An. in data 21 luglio 2003, era stata ritenuta non giustificata solamente la somma di Euro 84.023,47 su un importo complessivo di Euro 552.251,47.

3. L'Amministrazione finanziaria, nelle more del giudizio proposto avverso il primo avviso, riteneva viziata la ricostruzione reddituale e non giustificato, per l'intero importo, il suddetto prelievo del luglio 2003, sicché, in via di autotutela, annullava l'avviso ed emetteva, in sostituzione, nuovo avviso per un maggior imponibile che veniva impugnato dal Bo.An.

4. La Commissione tributaria provinciale di Imperia rigettava il ricorso, ritenendo che il potere di autotutela fosse stato legittimamente attivato dall'Amministrazione finanziaria.

5. La sentenza era confermata dalla Commissione tributaria regionale in epigrafe, per la quale l'Ufficio aveva emendato l'errore che inficiava l'originario avviso senza procedere ad un'integrazione ex post.

6. Avverso detta decisione Bo.An. ha proposto ricorso per cassazione con due motivi, cui resiste l'Agenzia delle entrate con controricorso.

7. Con ordinanza interlocutoria n. 33665 del 2023, depositata il 1 dicembre 2023, la Sezione Tributaria ha rimesso la causa alla Prima Presidente per valutare l'opportunità dell'assegnazione della stessa alle Sezioni Unite civili, ravvisando un contrasto interpretativo negli orientamenti interni della Sezione, oltre che la particolare importanza delle questioni di diritto sottese, in ordine ai limiti per l'esercizio della autotutela tributaria quanto alla natura dei vizi dell'atto impositivo, all'ammissibilità di provvedimenti di annullamento e sostituzione dell'atto viziato in malam partem per il contribuente, nonché ai rapporti tra autotutela sostitutiva e accertamento integrativo.

8. La Prima Presidente ha quindi disposto l'assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.

9. In prossimità dell'udienza, la Procura Generale, in persona del sostituto procuratore generale Stanislao De Matteis, ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto affermarsi la legittimità dell'annullamento in sede di autotutela del provvedimento favorevole al contribuente, con emissione di nuovo atto sostitutivo di maggiore importo, e il rigetto del ricorso.

10. L'Agenzia delle entrate ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ., chiedendo il rigetto del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione degli artt. 43, quarto comma, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e 57, quarto comma, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 - recanti il divieto di integrazione dell'accertamento in mancanza di nuovi elementi - anche in relazione all'art. 10 della legge 27 luglio 2000, n. 212.

1.1. Lamenta l'erroneità della decisione impugnata che ha ritenuto legittimo il nuovo avviso, emesso in autotutela sostitutiva del primo, con cui era stato determinato un maggior imponibile pur in assenza di nuovi elementi ed in base ai medesimi già conosciuti al momento dell'emissione dell'originario avviso, ostandovi i principi di unicità dell'atto impositivo e i presupposti richiesti per l'emissione di un accertamento integrativo.

Deduce che l'autotutela sostitutiva deve ritenersi consentita per sanare l'illegittimità dell'atto per vizi formali o, in taluni casi, per vizi di motivazione ma non anche per vizi sostanziali: l'Amministrazione, per tale via, non può integrare l'imponibile ("se non per errori di calcolo nella determinazione delle aliquote, della stessa base imponibile, eccetera"), dovendo, a tal fine, emettere nuovo atto di accertamento integrativo consentito solo a fronte della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi.

Reputa, infine, la condotta dell'Amministrazione lesiva dell'affidamento generato nel contribuente dall'emissione del primo avviso in ordine alla valutazione già compiuta sugli elementi acquisiti a seguito di contraddittorio preprocessuale.

2. Il secondo motivo denuncia, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., omessa motivazione circa la configurabilità di un accertamento integrativo, essendosi la Commissione tributaria regionale limitata ad affermare che l'Ufficio non aveva proceduto a integrare ex post l'avviso ma aveva solo corretto un errore.

3. I due motivi che precedono sollevano le questioni poste a queste Sezioni Unite con l'ordinanza interlocutoria n. 33665 del 2023, concernenti la natura, i presupposti e le condizioni per l'esercizio del potere di autotutela tributaria da parte dell'Amministrazione finanziaria.

In ispecie, i profili specificamente devoluti a queste Sezioni Unite investono i seguenti aspetti:

"1) se l'esercizio del potere di autotutela tributaria, in ragione dell'art. 1 dm n. 37 del 1997, presupponga l'esistenza di soli vizi formali nell'atto impositivo e non anche vizi a carattere sostanziale e, di conseguenza, se sia diretto alla tutela dell'interesse individuale del contribuente, con esclusione del potere dell'amministrazione finanziaria di annullamento in malam partem, o sia finalizzato alla tutela dell'interesse pubblico alla corretta esazione dei tributi con gli unici limiti della decadenza dei termini accertativi e del giudicato;"

"2) se l'esercizio del potere di autotutela tributaria correlato alla sussistenza di vizi sostanziali (e non solo formali) sia riconducibile ad un accertamento che, quanto meno limitatamente al maggior imponibile accertato, costituisca un accertamento integrativo e configuri una ulteriore deroga (non specificamente normata alla luce dell'art. 1 dm n. 37 del 1997) al principio dell'unicità dell'accertamento tenuto conto anche della diversità strutturale e funzionale del potere di autotutela rispetto al potere di accertamento integrativo".

4. L'ordinanza interlocutoria, dopo aver delineato il quadro normativo vigente (a quel momento) e la sua pregressa evoluzione, ha evidenziato che l'orientamento, prevalente, della Suprema Corte in merito alla natura e all'esercizio del potere di autotutela è attestato sui seguenti capisaldi:

a) il potere di autotutela ha carattere generale e può essere legittimamente esercitato sino a che non sia decorso il termine di decadenza per l'accertamento o non si sia formato il giudicato sull'atto (v. ex multis Cass. 31 maggio 2017, n. 24994; Cass. 28 ottobre 2019, n. 27481; Cass. 23 giugno 2021, n. 17924; Cass. 2 febbraio 2022, nn. 3267 e 3268; recentemente, in motivazione, Cass. 11 settembre 2024, n. 24387);

b) costituisce un potere-dovere dell'Amministrazione finanziaria, la quale è onerata, in virtù del principio di perennità, a sostituire l'atto viziato - che deve essere espressamente annullato nel rispetto del principio del divieto di doppia imposizione in dipendenza dello stesso presupposto - con nuovo atto emendato dai vizi (v. ex multis Cass. 20 marzo 2019, n. 7751; Cass. 6 luglio 2020, n. 13807; Cass. 18 maggio 2021, n. 13407; Cass. 11 settembre 2024, n. 24387);

c) il potere permane e non si consuma anche dopo il suo (primo) esercizio e può essere sempre rinnovato (Cass. 21 settembre 2022, n. 27706, oltre alla giurisprudenza già sopra citata);

d) può essere esercitato per rimuovere non solo vizi formali ma anche per emendare vizi sostanziali, trovando il suo fondamento nell'interesse pubblico a reperire le entrate fiscali legalmente accertate (Cass. 11 settembre 2024, n. 24387; Cass. 1 marzo 2022, n. 6621; Cass. 6 luglio 2020, n. 13807);

e) è legittimo l'esercizio in malam partem: può essere annullato anche un atto favorevole al contribuente con emissione in sostituzione di un nuovo atto con effetti a lui pregiudizievoli "anche sulla base di una diversa e più approfondita valutazione di quelli già in possesso dell'ufficio", senza che, a differenza dell'accertamento integrativo ex artt. 43 D.P.R. n. 600 del 1973 e 57 D.P.R. 633 del 1972, sia necessaria la sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi (Cass. 27 luglio 2021, n. 21417; Cass. 9 giugno 2020, n. 10981; Cass. 27 febbraio 2015, n. 4029; Cass. 19 marzo 2014, n. 6398; in precedenza Cass. 22 febbraio 2002, n. 2531);

f) infine, il potere di autotutela costituisce un mezzo a tutela non del contribuente ma dell'interesse pubblico alla percezione dei tributi, da cui l'ammissibilità del sindacato giurisdizionale sul rifiuto di autotutela avuto riguardo "alle ragioni di rilevante interesse generale alla rimozione dell'atto" e non alla fondatezza della pretesa (Cass. 24 agosto 2018, n. 21146; Cass. 14 dicembre 2016, n. 25705; recentemente Cass. 31 luglio 2024, n. 21590).

5. A fronte di tale orientamento, altre pronunce (Cass. 3 giugno 2015, n. 11421; Cass., 20 giugno 2007, n. 14377; Cass., 8 maggio 2006, n. 10526; recentemente Cass. 16 marzo 2020, n. 7293; per alcuni profili anche Cass. 11 settembre 2024, n. 24387) hanno invece ritenuto che, in caso di annullamento in via di autotutela con sostituzione dell'originario atto impositivo viziato, non sia possibile emettere un nuovo atto per una maggiore pretesa che si fondi solo su una diversa valutazione dei medesimi elementi.

Si è conseguentemente esclusa la possibilità di un esercizio del potere in malam partem.

5.1. L'ordinanza rileva che, con tali decisioni, il fondamento del potere di autotutela viene individuato, quanto all'ipotesi di possibile sostituzione dell'originario atto con altro di maggiore onerosità, non più nell'interesse generale alla rimozione dell'atto, ma nell'interesse proprio e individuale del contribuente destinatario dell'atto illegittimo, posto che la norma prevede che l'Amministrazione proceda all'annullamento "nei casi in cui sussista l'illegittimità dell'atto".

La prospettiva così avanzata, inoltre, viene ancorata all'esigenza, segnalata anche dalla dottrina, di un coordinamento tra autotutela sostitutiva e accertamento integrativo alla luce del principio dell'unicità dell'accertamento poiché, ove si ritenga che l'Ufficio possa avanzare una pretesa maggiore in base ai medesimi elementi, ne deriverebbe una deroga non prevista al suddetto principio.

Il discrimen tra autotutela sostitutiva e accertamento integrativo, pertanto, si verrebbe a collocare lungo questa linea di confine: la prima riguarderebbe solo le ipotesi in cui la pretesa originaria resti identica o venga diminuita, mentre quando la pretesa fiscale ne risulti accresciuta il nuovo atto sarà possibile solo in presenza delle condizioni di cui all'art. 43, quarto comma (ora terzo comma), D.P.R. n. 600 del 1973 e 57, quarto comma, D.P.R. n. 633 del 1972, ossia per "la sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi".

Se ne deriva che proprio la positiva individuazione di tale limite rafforzerebbe l'assunto che il potere di autotutela sostitutivo debba ritenersi diretto a correggere solo vizi formali dell'atto impositivo e non anche vizi a carattere sostanziale.

6. L'ordinanza, infine, nel sottolineare la problematicità del rapporto tra accertamento integrativo e autotutela sostitutiva, nonché dell'esercizio del potere di autotutela sostitutiva per vizi sostanziali, con modificazione della pretesa in malam partem rispetto al contribuente, rileva l'esigenza di un bilanciamento di interessi tra principio di perennità del potere di autotutela, principio di capacità contributiva e principio di buona amministrazione dell'azione dell'Amministrazione finanziaria.

7. Ritiene questa Corte, condividendo le conclusioni del Procuratore Generale, che debba darsi continuità all'orientamento già maggioritario e prevalente.

8. Appare opportuno, prima di procedere all'esame delle questioni sopra evidenziate, un inquadramento di ordine generale - senza pretesa di compendiare il vasto dibattito giurisprudenziale e dottrinale, che esula dalla presente sede - del più ampio fenomeno dell'autotutela amministrativa.

Nell'ambito di questa, infatti, si inserisce, pur con tratti di specificità ed autonomia, l'autotutela tributaria, il cui quadro normativo - tenuto anche conto, per l'evidente incidenza sulle problematiche in oggetto, del recente intervento del legislatore attuato con i decreti legislativi del 30 dicembre 2023, n. 219 e n. 220 - ha caratteri in parte comparabili.

9. Quando viene in rilievo una Pubblica Amministrazione, il potere di autotutela costituisce una prerogativa di cui è titolare la stessa Pubblica Amministrazione e che si giustifica in quanto connaturata al compito istituzionale di perseguire la miglior cura dell'interesse pubblico affidato: la posizione di supremazia dei soggetti pubblici significa che essi hanno non solo il potere di provvedere alla cura degli interessi a loro assegnati, ma anche quello di intervenire per rimediare agli eventuali pregiudizi che siano insorti in ragione della stessa attività amministrativa.

L'autotutela amministrativa, come rilevato dalla dottrina e dalla stessa giurisprudenza (v. Cons. Stato Sez. V, 07/02/2022, n. 833), trova fondamento, prima ancora della espressa codifica operata con la legge 11 febbraio 2005, n. 15, che ha modificato e integrato la legge 7 agosto 1990, n. 241, introducendo il Capo IV-bis e, in ispecie, gli artt. 21-quinquies e seguenti, negli stessi principi costituzionali di legalità e buon andamento dell'amministrazione predicati dall'art. 97 Cost., ai quali l'azione amministrativa deve ispirarsi.

9.1. Si distinguono tre diverse forme di autotutela della Pubblica Amministrazione:

- l'autotutela sanzionatoria, ossia il potere di irrogare sanzioni;

- l'autotutela esecutoria, quale potestà di portare ad esecuzione unilateralmente e coattivamente i propri provvedimenti, il cui positivo riconoscimento normativo è costituito dall'art. 21-ter della legge n. 241 del 1990;

- l'autotutela decisoria, che si identifica nel potere di riesaminare discrezionalmente i propri atti da parte del soggetto che lo ha adottato, avuto riguardo a profili di legittimità o anche di opportunità, in funzione della loro conferma, modifica, revoca o annullamento.

In sede di autotutela decisoria, categoria che ha specifico interesse per la vicenda in giudizio, la Pubblica Amministrazione procede, anche in assenza dell'iniziativa della parte, ad un riesame della validità degli atti in vista della conformità all'interesse pubblico tutelato, esame che si può concludere con la conferma dell'atto o con la sua rimozione, eventualmente parziale.

9.2. La disciplina positiva è contenuta nell'attuale Capo IV-bis della legge n. 241 del 1990; hanno particolare rilievo, per quanto qui di interesse, gli artt. 21-quinquies (Revoca del provvedimento), 21-septies (Nullità del provvedimento), 21-octies (Annullabilità del provvedimento) e 21-novies (Annullamento d'ufficio).

9.2.1. La prima norma disciplina una fattispecie tipicamente connessa all'esercizio discrezionale delle potestà amministrative, consentendo la rimozione dell'atto a fronte di sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell'adozione del provvedimento o, anche, in certi casi, a seguito di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario.

La revoca, quindi, è incardinata su una valutazione di opportunità: alla Pubblica Amministrazione compete, anche dopo l'adozione del provvedimento, il potere di continuare a valutare gli interessi in gioco e, in coerenza con i principi di buona amministrazione, di adeguare il contenuto dell'atto in ragione delle sopravvenienze o di una più attenta valutazione degli interessi stessi (salvo il ristoro dell'eventuale sacrificio del privato).

9.2.2. L'art. 21-novies (in connessione con il 21-octies e con le esclusioni di cui all'art. 21-septies) riguarda, invece, l'ipotesi in cui il provvedimento sia illegittimo perché "adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza".

Il presupposto per l'esercizio del potere di autotutela è dunque costituito dalla rilevazione di una illegittimità dell'atto.

Tale condizione, tuttavia, pur necessaria, non è sufficiente per procedere all'annullamento in via di autotutela: occorre, infatti, una rivalutazione della situazione di fatto e diritto e una ponderazione degli interessi ("può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico"). Il legislatore, inoltre, ha previsto per l'attivazione del potere un termine (12 mesi), talune condizioni (la considerazione degli interessi dei destinatari e dei controinteressati), alcune eccezioni, nonché la salvaguardia del contraddittorio.

9.3. In queste ipotesi, la rivalutazione operata dalla Pubblica Amministrazione avviene nell'ambito di un nuovo procedimento che non è la prosecuzione di quello che aveva determinato l'adozione dell'originario atto.

L'oggetto immediato del riesame è costituito dal provvedimento ritenuto viziato (o inadeguato ad assolvere alla tutela dell'interesse perseguito), che è sottoposto, con una nuova procedura, ad una rinnovata valutazione della sua rispondenza a soddisfare l'interesse pubblico e gli interessi coinvolti, a fronte della quale la Pubblica Amministrazione è chiamata a decidere se provvedere alla rimozione, modifica o conferma dell'atto medesimo.

In caso di rimozione dell'atto, inoltre, il procedimento può risolversi nella eliminazione del provvedimento oppure nell'adozione di un nuovo provvedimento sostitutivo di quello originario ed emendato dei vizi.

9.4. L'autotutela amministrativa, dunque, è un potere della Pubblica Amministrazione, la quale, per il principio della inesauribilità del potere amministrativo in funzione della cura dell'interesse pubblico, può intervenire al fine di modificare l'assetto degli interessi coinvolti nella singola vicenda; a tale scopo, può attivarsi, con le forme e nei termini stabiliti dalle vigenti norme, per riesaminare l'atto, avviando un nuovo procedimento di secondo grado volto ad annullare, rimuovere (e, eventualmente, sostituire) o, anche, convalidare un atto viziato, quale che sia la tipologia di vizio che lo inficia.

10. L'autotutela nel diritto tributario costituisce una particolare declinazione del più generale istituto dell'autotutela amministrativa.

Come per quest'ultima, infatti, l'autotutela tributaria consiste nel potere dell'Amministrazione finanziaria, che può essere esercitato d'ufficio o su istanza di parte, di annullare o rettificare un proprio atto, affetto da un vizio. Anche l'autotutela tributaria, difatti, è espressione di un potere ancorato al soddisfacimento di un interesse pubblico, nella specie a reperire le entrate fiscali legalmente accertate.

Parimenti, anche l'autotutela tributaria si realizza con un procedimento di secondo grado: oggetto del riesame è l'atto impositivo precedentemente adottato e non, direttamente, la pretesa fatta valere con quest'ultimo.

In termini omologhi, inoltre, in esito a questa rinnovata valutazione il procedimento di autotutela si può concludere con l'annullamento, la modifica o la convalida dell'atto viziato, nonché, in caso di annullamento, con l'adozione di un nuovo atto sostitutivo del primo ed emendato dai vizi che lo avevano inficiato (cd. autotutela sostitutiva).

10.1. Peraltro, vanno subito rimarcate le differenze tra i due ambiti, poiché l'autotutela amministrativa è una attività caratterizzata dalla discrezionalità amministrativa innanzi ad interessi legittimi, mentre l'autotutela tributaria riguarda atti conseguenti a presupposti impositivi definiti dalla legge, dunque di natura vincolata, e interviene su posizioni di diritto soggettivo, ossia il diritto del contribuente a non subire una tassazione non in linea con le previsioni normative, lesiva del principio di capacità contributiva ex art. 53 Cost.

Resta pertanto esclusa la stessa possibilità di una rimozione o una modifica dell'atto impositivo per ragioni di opportunità o "convenienza".

Ciò non significa, tuttavia, che l'autotutela tributaria perda una connotazione di discrezionalità poiché - come precisato anche dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 181 del 2017, che ha escluso che l'autoannullamento d'ufficio abbia una natura giustiziale - non costituisce uno strumento per l'accertamento dei vizi di legittimità o di merito a tutela del contribuente e permane in capo all'Amministrazione fiscale la titolarità di una valutazione dell'interesse generale alla revisione dell'atto, commisurata alla comparazione tra l'interesse del privato alla giusta imposizione e gli interessi pubblici coinvolti, in ispecie a reperire le giuste entrate fiscali, alla certezza del diritto e alla stabilità dei rapporti, nonché alla necessità di prevenire o risolvere contenziosi.

Né va trascurata, in ispecie per i tributi di matrice unionale, l'esigenza di assolvere ai prioritari obblighi verso l'Unione Europea.

Tale connotazione, come si vedrà, ha subito un temperamento con il recente D.Lgs. n. 219 del 2023, che ha introdotto, per talune ipotesi, un regime di obbligatorietà dell'autotutela tributaria.

11. L'autotutela tributaria si colloca nell'alveo di un'articolata cornice di principi costituzionali. In particolare:

- l'art. 53 Cost. per il quale "Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva" e "il sistema tributario è informato a criteri di progressività";

- l'art. 2 Cost. che fonda il principio di solidarietà e si pone in stretta correlazione con l'art. 53 Cost., costituendo il dovere di concorrere alle spese pubbliche uno dei "doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale" ivi sanciti;

- l'art. 23 Cost. che, nel disporre che "Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge", fonda il principio di legalità;

- non meno rilevante, infine, è l'art. 97 Cost. che, al secondo comma, afferma che l'attività dell'Amministrazione pubblica, dunque anche quella dell'Amministrazione finanziaria, è informata ai principi "di buon andamento e imparzialità", così individuando i canoni che debbono orientare il raggiungimento dell'interesse pubblico perseguito.

Da tali principi discende il cd. principio di perennità: il potere dell'Amministrazione persiste anche dopo esser stato esercitato e assolve all'esigenza di assicurare la continua e puntuale aderenza dell'azione amministrativa all'interesse pubblico, nella specie costituito dall'interesse a reperire le entrate fiscali (legittime).

Una specifica declinazione di questi valori, in ispecie dell'art. 97 Cost., è individuabile anche nei principi di collaborazione e buona fede, affermati dall'art. 10 della legge n. 212 del 2000.

11.1. Il fondamento positivo dell'istituto, dunque, trova la sua legittimazione negli stessi principi (e correlati poteri) in base ai quali l'Amministrazione finanziaria ha il potere di adottare gli atti di amministrazione attiva - atti impositivi e rimborsi - posto che, come pure si è osservato in dottrina, "le funzioni amministrative non possono non comprendere in sé, accanto alla possibilità di fare, anche quella di eliminare quel che non doveva farsi".

Ciò giustifica, in primo luogo, la configurabilità del potere in coerenza con il principio di legalità: discende dalla stessa attribuzione del potere di adottare gli atti impositivi la giustificazione normativa della possibilità di intervenire in autotutela.

In tal senso, la disciplina, introdotta in via generale dal 1992 in poi, regola forme, limiti e modalità dell'autotutela, ma non fonda la titolarità del potere, né esaurisce l'ambito dello stesso.

In secondo luogo, da tale connotazione discende la possibilità dell'Amministrazione finanziaria di procedere, anche ripetutamente, in via di autotutela e di annullare l'atto già emesso in via di autotutela, adottandone uno differente ovvero ripristinando quello originario fino alla persistenza del potere impositivo.

11.2. La stretta derivazione dall'originario potere impositivo delinea un limite strutturale dell'autotutela tributaria, ossia l'avvenuta decadenza del potere di accertamento.

La questione si pone soprattutto per le ipotesi in cui l'illegittimità dell'atto sia suscettibile di risolversi in un pregiudizio per l'erario.

In questo caso, l'atto successivo, con cui viene richiesta al contribuente una maggiore imposta, può venire legittimamente ad esistenza solamente se il potere dell'Amministrazione finanziaria non sia, in sé, venuto meno e, dunque, entro i termini di decadenza previsti per l'esercizio dell'attività di accertamento per il singolo tributo.

11.3. Un ulteriore limite, di natura funzionale, all'esercizio del potere di autotutela (nella specie, a favore del contribuente) è costituito dal giudicato di merito favorevole all'Amministrazione.

L'autotutela non ha natura giudiziale o giustiziale per la rilevata connotazione discrezionale della valutazione dell'Amministrazione; infatti, è necessario ma non sufficiente che l'atto sia viziato, occorrendo anche una valutazione della sussistenza di un interesse pubblico alla sua rimozione.

Tuttavia, il controllo di merito in sede giurisdizionale nel momento in cui attesta, con efficacia di giudicato, la correttezza dell'esercizio della potestà impositiva, è idoneo a comportare un effetto preclusivo sulla rilevanza dell'asserito vizio e, quindi, ad orientare in termini negativi la possibilità per l'Agenzia fiscale di attivarsi diversamente.

Del resto, questa conclusione risponde ad una esigenza logica di stabilità e di certezza del provvedimento, ormai non solo definitivo, ma anche convalidato dal vaglio giurisdizionale.

Il legislatore, nell'originaria previsione contenuta nell'art. 2, comma 2, del D.M. n. 37/1997, attribuiva rilievo ai motivi per i quali era intervenuta la decisione favorevole, locuzione che, peraltro, era intesa nel senso di includere sia i vizi dedotti che quelli deducibili, o rimasti assorbiti, in relazione al medesimo oggetto e, pertanto, "non soltanto le ragioni giuridiche e di fatto esercitate in giudizio, ma anche tutte le possibili questioni, proponibili in via di azione o eccezione, che, sebbene non dedotte specificamente, costituiscono precedenti logici, essenziali e necessari, della pronuncia" (Cass. n. 21698 del 29/07/2021).

L'attuale formulazione (art. 10-quater, comma 2), in sostanziale aderenza al diritto vivente, indica come ragione di insussistenza dell'obbligo di procedere all'autotutela obbligatoria la sentenza passata in giudicato favorevole all'Amministrazione finanziaria senza ulteriori precisazioni.

12. Appare dunque opportuno delineare lo specifico quadro normativo dell'istituto.

12.1. L'art. 68 del D.P.R. 27 marzo 1992 n. 287, rubricato "Tutela dei diritti dei contribuenti e trasparenza dell'azione amministrativa", introdusse, per la prima volta, una disposizione generale regolatrice dell'autotutela tributaria, disponendo al comma 1 "Salvo che sia intervenuto giudicato, gli uffici dell'Amministrazione finanziaria possono procedere all'annullamento, totale o parziale, dei propri atti riconosciuti illegittimi o infondati con provvedimento motivato comunicato al destinatario dell'atto".

A tale disposizione seguì l'introduzione dell'art. 2-quater del D.L. 30 settembre 1994 n. 564, convertito dalla legge del 30 novembre 1994, n. 656, che, esplicitamente rubricata "Autotutela", ha previsto testualmente (avuto riguardo al testo da ultimo modificato dal D.Lgs. 24 settembre 2015 n. 159, che ha introdotto i commi 1-sexies e seguenti):

"1. Con decreti del Ministro delle finanze sono indicati gli organi dell'Amministrazione finanziaria competenti per l'esercizio del potere di annullamento d'ufficio o di revoca, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, degli atti illegittimi o infondati. Con gli stessi decreti sono definiti i criteri di economicità sulla base dei quali si inizia o si abbandona l'attività dell'amministrazione.

1-bis. Nel potere di annullamento o di revoca di cui al comma 1 deve intendersi compreso anche il potere di disporre la sospensione degli effetti dell'atto che appaia illegittimo o infondato.

1-ter. Le regioni, le province e i comuni indicano, secondo i rispettivi ordinamenti, gli organi competenti per l'esercizio dei poteri indicati dai commi 1 e 1 -bis relativamente agli atti concernenti i tributi di loro competenza.

1-quater. In caso di pendenza del giudizio, la sospensione degli effetti dell'atto cessa con la pubblicazione della sentenza.

1-quinquies. La sospensione degli effetti dell'atto disposta anteriormente alla proposizione del ricorso giurisdizionale cessa con la notificazione, da parte dello stesso organo, di un nuovo atto, modificativo o confermativo di quello sospeso; il contribuente può impugnare, insieme a quest'ultimo, anche l'atto modificato o confermato.

1-sexies. Nei casi di annullamento o revoca parziali dell'atto il contribuente può avvalersi degli istituti di definizione agevolata delle sanzioni previsti per l'atto oggetto di annullamento o revoca alle medesime condizioni esistenti alla data di notifica dell'atto purché rinunci al ricorso. In tale ultimo caso le spese del giudizio restano a carico delle parti che le hanno sostenute.

1-septies. Le disposizioni del comma 1-sexies non si applicano alla definizione agevolata prevista dall'articolo 17, comma 2, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472.

1-octies. L'annullamento o la revoca parziali non sono impugnabili autonomamente.".

Il Ministero delle Finanze diede attuazione alla delega adottando il regolamento di cui al D.M. 1 febbraio 1997, n. 37, di cui i primi tre articoli hanno previsto:

"Articolo 1 (Organi competenti per l'esercizio del potere di annullamento e di revoca d'ufficio o di rinuncia all'imposizione in caso di autoaccertamento)

1. Il potere di annullamento e di revoca o di rinuncia all'imposizione in caso di autoaccertamento spetta all'ufficio che ha emanato l'atto illegittimo o che è competente per gli accertamenti d'ufficio ovvero in via sostitutiva, in caso di grave inerzia, alla Direzione regionale o compartimentale dalla quale l'ufficio stesso dipende."

"Articolo 2 (Ipotesi di annullamento d'ufficio o di rinuncia all'imposizione in caso di autoaccertamento).

1. L'Amministrazione finanziaria può procedere, in tutto o in parte, all'annullamento o alla rinuncia all'imposizione in caso di autoaccertamento, senza necessità di istanza di parte, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, nei casi in cui sussista illegittimità dell'atto o dell'imposizione, quali tra l'altro: a) errore di persona;

b) evidente errore logico o di calcolo;

c) errore sul presupposto dell'imposta;

d) doppia imposizione;

e) mancata considerazione di pagamenti di imposta, regolarmente eseguiti;

f) mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini di decadenza;

g) sussistenza dei requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni o regimi agevolativi, precedentemente negati;

h) errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall'Amministrazione.

2. Non si procede all'annullamento d'ufficio, o alla rinuncia all'imposizione in caso di autoaccertamento, per motivi sui quali sia intervenuta sentenza passata in giudicato favorevole all'Amministrazione finanziaria."

"Articolo 3 (Criteri di priorità)

1. Nell'attività di cui all'articolo 2 è data priorità alle fattispecie di rilevante interesse generale e, fra queste ultime, a quelle per le quali sia in atto o vi sia il rischio di un vasto contenzioso."

Va, infine, ricordato che, ai sensi dell'art. 7, comma 2, lett. b), L. n. 212 del 2000, negli atti dell'Amministrazione finanziaria, deve essere indicata l'autorità presso la quale è possibile promuovere la loro revisione in sede di autotutela, mentre il successivo art. 13, comma 6, attribuiva al Garante del contribuente la facoltà di attivare "le procedure di autotutela nei confronti di atti amministrativi di accertamento o di riscossione notificati al contribuente".

12.2. Questo complesso ed articolato quadro normativo è stato innovato con il D.Lgs. n. 219 del 2023, che ha abrogato l'art. 2-quater e il D.M. n. 37/1997 e modificato l'art. 13 L. n. 212 del 2000, eliminando l'esplicito riferimento all'autotutela.

La vicenda qui in giudizio resta, ratione temporis, soggetta alla precedente disciplina.

Parimenti, in una prospettiva di sistema appare necessario, per una più compiuta disamina delle questioni in esame, tenere conto delle modifiche intervenute, che, seppure accompagnate da importanti novità (frutto anche del recepimento di indicazioni contenute nella sentenza della Corte costituzionale n. 181 del 2017), si pongono in sostanziale continuità con il precedente assetto.

La nuova disciplina dell'autotutela è contenuta negli artt. 10-quater e 10 quinquies della legge n. 212 del 2000, introdotti dall'art. 1, lett. m), D.Lgs. 219 del 2023. In particolare:

- Art. 10-quater (Esercizio del potere di autotutela obbligatoria)

"1. L'amministrazione finanziaria procede in tutto o in parte all'annullamento di atti di imposizione ovvero alla rinuncia all'imposizione, senza necessità di istanza di parte, anche in pendenza di giudizio o in caso di atti definitivi, nei seguenti casi di manifesta illegittimità dell'atto o dell'imposizione:

a) errore di persona;

b) errore di calcolo;

c) errore sull'individuazione del tributo;

d) errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall'amministrazione finanziaria;

e) errore sul presupposto d'imposta;

f) mancata considerazione di pagamenti di imposta regolarmente eseguiti;

g) mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini ove previsti a pena di decadenza.

2. L'obbligo di cui al comma 1 non sussiste in caso di sentenza passata in giudicato favorevole all'amministrazione finanziaria, nonché decorso un anno dalla definitività dell'atto viziato per mancata impugnazione.

3. Con riguardo alle valutazioni di fatto operate dall'amministrazione finanziaria ai fini del presente articolo, in caso di avvenuto esercizio dell'autotutela, la responsabilità di cui all'articolo 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e successive modificazioni, è limitata alle ipotesi di dolo."

- Art. 10-quinquies (Esercizio del potere di autotutela facoltativa)

"1. Fuori dei casi di cui all'articolo 10-quater, l'amministrazione finanziaria può comunque procedere all'annullamento, in tutto o in parte, di atti di imposizione, ovvero alla rinuncia all'imposizione, senza necessità di istanza di parte, anche in pendenza di giudizio o in caso di atti definitivi, in presenza di una illegittimità o dell'infondatezza dell'atto o dell'imposizione.

2. Si applica il comma 3 dell'articolo 10-quater."

Con il D.Lgs. n. 220 del 2023 (art. 1, comma 1, lett. l), inoltre, è stato modificato l'art. 19, comma 1, D.Lgs. n. 546 del 1992 inserendo due nuove ipotesi di atti impugnabili, ossia:

"g-bis) il rifiuto espresso o tacito sull'istanza di autotutela nei casi previsti dall'articolo 10-quater della legge 27 luglio 2000, n. 212;"

"g-ter) il rifiuto espresso sull'istanza di autotutela nei casi previsti dall'articolo 10-quinquies della legge 27 luglio 2000, n. 212;".

13. L'analisi del complesso articolato normativo evidenzia, in primo luogo, che la regolamentazione operata dal legislatore dell'istituto dell'autotutela ha perseguito lo scopo di consentire l'emersione delle ipotesi in cui l'invalidità, formale o sostanziale, dell'atto impositivo si riverbera in danno del contribuente.

Ciò emerge in termini piani dalle formule utilizzate dal legislatore nel 1994 ("atti illegittimi o infondati") e nel 2023 ("in presenza di una illegittimità o dell'infondatezza dell'atto o dell'imposizione") che hanno una evidente valenza onnicomprensiva, volta a coprire ogni possibile vizio.

L'intervento innovatore ha ulteriormente accentuato tale carattere, attesa anche la sostanziale conformità tra le ipotesi (pacificamente non tassative) di possibile autotutela previste dall'art. 2 del D.M. n. 37/1997 e i casi (da ritenere tassativi) in cui l'autotutela è obbligatoria ex art. 10-quater.

13.1. La scelta del legislatore, invero, appare chiara ove si tenga conto che, storicamente, gli uffici finanziari sono stati spesso restii ad intervenire per modificare o annullare gli atti impositivi anche a fronte di evidenti illegittimità in danno del contribuente.

Si può osservare che una tale condotta rinveniva le sue possibili spiegazioni non solo nella concezione, meno sensibile a principi di collaborazione e compliance, che in passato permeava la percezione del Fisco nel rapporto con il contribuente, ma anche nel timore, per il funzionario competente, di incorrere in responsabilità per aver fatto venire meno una imposizione che, pur errata, era oramai definitiva.

Opportunamente, dunque, l'art. 10-quater, comma 3, ha limitato la responsabilità contabile, in caso di avvenuto esercizio dell'autotutela, alle ipotesi di dolo.

13.2. L'autotutela oggetto della specifica disciplina su illustrata, dunque, non esaurisce l'ambito dell'istituto nel diritto tributario che riguarda anche tutte le situazioni nelle quali l'illegittimità si risolve in un pregiudizio per l'erario.

L'evidenza di queste situazioni, del resto, trova il suo primo riscontro proprio nella disciplina su illustrata, che, nell'individuare i casi di potenziale esercizio del potere di autotutela, legittima la pari considerazione delle ipotesi, speculari, in cui il vizio dell'atto riversi i suoi effetti nei confronti del contribuente o nei confronti dell'erario.

È sufficiente considerare il caso dell'errore di calcolo (art. 2, comma 1, lett. b) D.M. 37/1997 e art. 10-quater, lett. b), che può risolversi in una determinazione eccessiva delle somme dovute dal contribuente, ma anche in un importo inferiore a quello che deve essere versato.

Analogamente con riguardo all'errore sul presupposto d'imposta (art. 2, comma 1, lett. c) D.M. 37/1997 e 10-quater, lett. e).

L'errore, in questo caso, investe il fatto economico, ossia un elemento diverso a seconda delle imposte o, comunque, anche in relazione alla medesima imposta, un elemento suscettibile di vario e differenziato apprezzamento per entità e tipologia di vicenda economica, con evidenti ricadute di ampia portata. La genericità dell'espressione, del resto, è idonea a ricomprendere in sé tendenzialmente ogni ipotesi di illegittimità dell'imposizione.

In via esemplificativa, merita di essere ricordata la controversa valutazione delle operazioni economiche frazionate per qualificare la fattispecie come cessione d'azienda ai fini Iva e l'ampio dibattito in ordine ai rapporti tra imposta di registro e Iva a seguito della modifica dell'art. 20 TUR, con interventi della Corte costituzionale e della Corte di giustizia (da ultimo, con riguardo all'Iva, si veda Cass. n. 12450 del 07/05/2024).

14. In conclusione, l'autotutela nel diritto tributario costituisce un potere dell'Amministrazione finanziaria che trova il suo fondamento nelle stesse norme che giustificano l'esercizio delle potestà attive per la esazione dei tributi.

Ne deriva che la possibilità del suo esercizio - anche reiterato - permane inalterata per il principio di perennità dell'azione, salvi solo i limiti derivanti dai termini di decadenza per l'esercizio delle attività di accertamento per i singoli tributi ovvero dall'avvenuto passaggio in giudicato di sentenza favorevole all'Amministrazione finanziaria.

È, inoltre, un procedimento di secondo grado, poiché investe l'atto già adottato in quanto illegittimo, di cui è operato un riesame al fine del suo annullamento, sostituzione, modifica o conferma.

Tuttavia, l'azione dell'Amministrazione, pur doverosa a fronte dell'illegittimità dell'atto impositivo, è caratterizzata da discrezionalità quanto all'esercizio concreto del potere di autotutela, dovendo valutare la sussistenza di un interesse generale alla revisione dell'atto alla luce del complesso degli interessi coinvolti. La recente riforma, prevedendo casi di autotutela obbligatoria, ha temperato tale connotazione, rendendo doverosa, per le ipotesi ivi considerate, l'attivazione del procedimento di revisione dell'atto illegittimo.

La disciplina positiva appare orientata, in prevalenza, a consentire l'emersione delle ipotesi di illegittimità dell'atto impositivo in danno del contribuente; la stessa però non esaurisce gli spazi dell'autotutela tributaria, che si può realizzare anche nelle situazioni in cui l'illegittimità determini un pregiudizio per l'erario, che risultano, in molti casi, speculari e necessariamente implicate in quelle oggetto di specifica considerazione a favore del contribuente.

15. Alla luce del complessivo quadro delineato è pertanto possibile affrontate le questioni devolute, da esaminare partitamente.

16. I vizi rilevanti per l'esercizio del potere di autotutela.

16.1. Due sono i presupposti da cui è opportuno partire.

16.2. Sotto un primo profilo, come rilevato, il potere di autotutela trae il suo fondamento dallo stesso originario potere in base al quale venne emesso l'atto impositivo viziato.

L'Amministrazione finanziaria in sede di autotutela ha la medesima posizione che ricopriva rispetto al primo atto: la valutazione, in fatto e diritto, in base alla quale l'atto viene annullato, sostituito o modificato (o convalidato) è, quindi, omogenea (ma con un esito diverso) a quella originaria.

Proprio la natura doverosa dell'imposizione fiscale impone che, in sede di riesame per l'autotutela, siano suscettibili di considerazione, per valutarne la coerenza rispetto all'obbligo di legge, tutti gli elementi formali e strutturali che avevano dato origine all'atto impositivo di primo grado.

Ne deriva che, in termini generali, la rinnovata valutazione di conformità dell'atto impositivo ai requisiti formali e sostanziali necessari per la sua adozione (e conservazione) non incontra alcun limite, salvo che non sia espressamente previsto.

16.3. In secondo luogo, dalla disciplina positiva - sia previgente che quella adottata a seguito del D.Lgs. n. 219 del 2023 - non emerge alcuna delimitazione di ordine generale alla tipologia di vizi rilevabili.

La stessa casistica individuata dall'art. 2 D.M. n. 37/1997 e, oggi, dall'art. 10-quater, comma 1, L. n. 212 del 2000 annovera vizi sia formali che sostanziali.

Tra i primi vanno annoverati, ad esempio, l'errore di calcolo e l'errore di persona; altre ipotesi, non codificate, ma sicuramente riconducibili a tale categoria possono essere l'omessa sottoscrizione, l'errata indicazione delle aliquote, il mancato rispetto del termine ex art. 12, comma 7, L. n. 212 del 2000.

Tra i secondi spicca, tra le ipotesi positivamente considerate, l'errore sul presupposto impositivo, ambito cui è possibile ricondurre l'errore sui fatti oggetto di imposizione che si traducano in valutazioni inesatte e, quindi, in una non corretta determinazione dell'imponibile ovvero l'errore logico commesso nel ragionamento seguito per la ripresa impositiva.

Il legislatore, quindi, ha indistintamente considerato le diverse tipologie di vizi suscettibili di determinare l'illegittimità dell'atto impositivo.

16.4. Né si può ritenere che sia prefigurabile una diversa soluzione secundum partem, ossia che in caso di errori in danno del contribuente assumano rilievo entrambe le categorie di vizi, mentre per gli errori che si traducano in un danno per l'erario possano assumere rilevanza solo gli errori cd. formali o procedurali.

Una tale ipotesi non solo contrasta con i presupposti costitutivi e sistematici dell'autotutela ma non trova riscontro nei dati normativi, né pare suscettibile di risolversi in una indicazione di ordine generale, che, oltre a sollevare profili di razionalità, si porrebbe in frizione con i principi costituzionali di cui agli artt. 2,53 e 97 Cost. e al dovere di contribuire a concorrere alla spesa pubblica, nonché con gli stessi principi unionali.

Per quest'ultimo versante, va ricordato, in via esemplificativa, che, in materia di aiuti di Stato, la Commissione Europea (Decisione C/2015, 5549 Final, del 14 agosto 2015), nel dichiarare l'illegittimità della disciplina italiana che autorizzava a versare solo del 10% delle imposte (art. 9, comma 17, legge n. 289 del 2002 e successive modifiche) in relazione al sisma che aveva interessato la Sicilia in quanto integrante un aiuto di Stato, ha previsto, indicando i presupposti di fatto da valutare per ricondurre l'erogazione ad un aiuto non illecito, l'obbligo di recuperare (salvo limitate eccezioni v. par. 150 dec. Final cit.) le somme già rimborsate.

L'atto di rimborso, dunque, doveva essere annullato (in via di autotutela) in relazione a fatti che, in esito alla rinnovata valutazione dei presupposti impositivi, integravano un aiuto illecito.

16.5. Tale assetto non è modificato dalla recente novella, in ispecie dall'art. 9-bis ("Divieto di bis in idem nel procedimento tributario") della L. n. 212 del 2000, introdotto con il D.Lgs. n. 219 del 2023, che ha disposto:

"1. Salvo che specifiche disposizioni prevedano diversamente e ferma l'emendabilità di vizi formali e procedurali, il contribuente ha diritto a che l'amministrazione finanziaria eserciti l'azione accertativa relativamente a ciascun tributo una sola volta per ogni periodo d'imposta.".

Sotto un primo profilo, infatti, la norma, mirata prioritariamente ad evitare i rischi della doppia imposizione per il medesimo presupposto impositivo, oltre a far salve le specifiche disposizioni che prevedano diversamente e ritenere avulsa dal fenomeno ("ferma l'emendabilità") la correzione dei vizi formali e procedurali, è in realtà estranea ai meccanismi dell'autotutela.

L'Amministrazione, quando esercita il potere di autotutela, avvia un procedimento di secondo grado avente ad oggetto il precedente atto impositivo viziato, che viene posto nel nulla.

Ne deriva che in sede di autotutela non viene esercitata una nuova azione accertativa, che resta sempre e soltanto quella originaria, ancorata agli elementi di fatto e ai presupposti esistenti al momento del primo atto.

Manca, pertanto, la reiterazione dell'azione accertativa, restando sempre e solo quella originaria e riguardando il riesame solo i vizi che inficiavano il provvedimento emesso; né si può assistere alla contemporanea esistenza di una duplicità di atti atteso il necessario, preventivo o contestuale, annullamento del primo ove ne venga emesso un secondo in sostituzione.

In secondo luogo, l'art. 9-bis va raccordato con l'art. 7, comma 1-bis, della legge n. 212 del 2000 - pure introdotto con il D.Lgs. n. 219 del 2023 (art. 1, lett. g, n. 3) - che ha previsto:

"1-bis. I fatti e i mezzi di prova a fondamento dell'atto non possono essere successivamente modificati, integrati o sostituiti se non attraverso l'adozione di un ulteriore atto, ove ne ricorrano i presupposti e non siano maturate decadenze."

L'interpretazione sistematica e congiunta delle due norme conduce infatti a ritenere, alla luce del richiamo ai Sfatti e mezzi di prova", che pure i vizi sostanziali siano necessariamente valutabili ai fini, tra l'altro, della sostituzione dell'atto, attività che non può che avvenire mediante l'adozione di un nuovo atto in via di autotutela.

17. L'autotutela in malam partem e gli interessi tutelati.

17.1. Sul piano normativo la possibilità di un annullamento con effetti sfavorevoli per il contribuente trova un primo specifico aggancio nelle ipotesi considerate dall'art. 2, D.M. n. 37/1997 e dall'art. 10-quater, L. n. 212 del 2000.

La disciplina in oggetto, invero, non opera alcuna distinzione tra atti in bonam partem o in malam partem.

Per chiarezza, va ribadito che ancorché le ipotesi considerate dalle norme richiamate riguardino, prioritariamente, eventi in danno del contribuente, ciò non toglie che le stesse evenienze sono - come già prima rilevato - meramente speculari rispetto a quelle in pregiudizio per l'erario, in quanto tali suscettibili di autotutela facoltativa e ciò, tanto più, a fronte dell'ampia latitudine dell'art. 10-quinquies ("Fuori dei casi di cui all'articolo 10-quater"), introdotto con la recente novella.

Ciò premesso, l'ipotesi più semplice e di immediata percezione è quella regolata dalla lett. b) dell'art. 2 D.M. n. 37/1997, ossia l'errore di calcolo, che può risolversi sia a favore che a danno del contribuente.

In tale ipotesi, l'Amministrazione procederà prima all'annullamento dell'atto impositivo erroneo e, quindi, emetterà un nuovo atto che potrà essere, a seconda dei casi, per un minore o maggiore importo. Nel caso di errore in pregiudizio del contribuente, invero, può essere sufficiente una modifica dell'originario avviso di accertamento (revoca parziale) o anche, come riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte (Cass. n. 18625 del 07/09/2020), una mera riduzione della pretesa, eventualmente dedotta nell'ambito del giudizio contenzioso.

17.2. Questa prospettiva appare peraltro evidente se si consideri, fuori dalle esplicite ipotesi normate, il caso di un atto esclusivamente favorevole per il contribuente, quale il riconoscimento dell'istanza di rimborso di un credito d'imposta o di una agevolazione d'imposta.

Ove il provvedimento favorevole risulti illegittimo - ad esempio per l'avvenuta decadenza del diritto per il decorso dei termini per la presentazione dell'istanza di rimborso (o della richiesta di fruire del diverso beneficio), riscontrabile alla luce della documentazione presentata ma, per errore, non rilevata - ritenere che non sia possibile annullare, in via di autotutela, l'originario provvedimento per emettere un atto di diniego appare esito del tutto irragionevole, oltre che lesivo dei principi di efficienza e buona amministrazione.

17.3. La questione può essere meglio inquadrata tenendo conto degli interessi coinvolti nella valutazione operata dall'Amministrazione in sede di autoannullamento tributario.

17.4. In via generale, come già evidenziato, il potere di autotutela è esercitato dall'Amministrazione finanziaria, anche d'ufficio, sulla base di valutazioni largamente discrezionali e non costituisce uno strumento di protezione del contribuente.

L'esercizio del potere di autotutela presuppone una valutazione della sussistenza di un interesse generale ad intervenire a fronte di una illegittimità dell'atto: non basta che l'atto sia illegittimo ma occorre che ricorrano ragioni di interesse generale perché sia annullato, modificato o sostituito.

L'interesse primario, che discende dalla stessa matrice del potere di imposizione, ad attivare l'autotutela è costituito dall'interesse pubblico alla corretta esazione dei tributi.

17.5. Quando l'atto illegittimo abbia determinato una ingiusta percezione di somme, non dovute, da parte dell'Agenzia fiscale, tale interesse tende in sostanza a coincidere con quello del contribuente a corrispondere solo la "giusta" imposizione, traendo entrambi origine, in termini simmetrici, dai principi tutelati dall'art. 53 Cost., di reperire le entrate fiscali e di capacità contributiva.

L'annullamento dell'atto, dunque, in questa situazione sarebbe, di per sé, idoneo a soddisfare l'interesse pubblico alla corretta esazione dei tributi.

Peraltro, nell'apprezzare l'interesse all'autoannullamento dell'atto, l'Amministrazione può e deve tenere conto, in una valutazione comparativa, anche degli altri eventuali interessi che concorrano nella vicenda, quali, ad esempio, l'interesse alla certezza del diritto e alla stabilità dei rapporti giuridici, in ispecie ove sia decorso un ampio intervallo di tempo e l'atto sia oramai inoppugnabile ovvero sulla questione sia intervenuta una decisione favorevole all'Amministrazione passata in giudicato: solo in esito a questa articolata valutazione sono adottati i conseguenti provvedimenti.

17.6. La recente riforma, nell'introdurre ipotesi di autotutela obbligatoria, suscettibili di esplicita tutela giurisdizionale in forza della modifica dell'art. 19 D.Lgs. n. 546 del 1992 ad opera del D.Lgs. n. 220 del 2023, ha parzialmente modificato tale assetto.

Tuttavia, con riguardo alla posizione del contribuente non pare che la prospettiva da considerare, nel suo nucleo essenziale, sia mutata.

Il legislatore, in queste ipotesi, ha, in realtà, direttamente operato con le norme il bilanciamento degli interessi, ritenendo di privilegiare, ai fini dell'esercizio del potere di autotutela, l'interesse del contribuente alla giusta imposizione rispetto alla propria capacità contributiva, peraltro sovrapponibile all'interesse pubblico alla corretta esazione.

Va sottolineato che il fattore "tempo" mantiene, anche in questo caso, una sua evidente rilevanza: decorso un anno dalla definitività dell'atto viziato per mancata impugnazione l'obbligo cessa e si riespande l'ambito della valutazione discrezionale dell'erario.

La previsione richiama quanto già previsto dall'art. 21-novies L. n. 241 del 1990 e si giustifica proprio nell'ottica di una necessaria stabilizzazione della pretesa impositiva.

17.7. Naturalmente, la medesima valutazione comparativa deve essere operata dall'Amministrazione finanziaria nelle ipotesi in cui l'illegittimità dell'atto, e la sua sostituzione, sia idonea a comportare un risultato in malam partem per il contribuente.

Tuttavia, in questa situazione l'assetto degli interessi coinvolti si articola in termini differenti: l'applicazione doverosa delle norme fiscali comporta un aggravamento del trattamento impositivo che, però, non può ritenersi lesivo del principio della capacità contributiva.

L'atto impositivo illegittimo, infatti, determinava l'assoggettamento del contribuente ad una esazione inferiore a quella dovuta in forza dei presupposti di legge, sicché la sua posizione di interesse non solo non si può fondare sul principio di capacità contributiva ma è, per questo aspetto, recessiva rispetto a quella dell'erario, ancorata all'interesse alla corretta (e doverosa) esazione.

Invero, anche in questa evenienza non può ritenersi sufficiente la mera illegittimità dell'atto originario ed è necessaria una valutazione comparativa del coacervo di interessi di volta in volta coinvolti, tra i quali, di nuovo, l'avvenuto decorso del tempo dalla definitività dell'atto, l'esistenza di vasti contenziosi che possono dilatare fortemente la percezione delle somme e la stessa incertezza sugli esiti finali.

Parimenti assume rilievo la considerazione dei principi unionali che siano coinvolti, ad esempio quando sulla questione sia intervenuta la Corte di giustizia, fornendo indicazioni non collimanti con la disciplina interna.

17.8. Da ultimo, merita di essere evidenziato che rafforza questo esito un'ulteriore considerazione di ordine generale e sistematico.

Il potere di procedere in via di autotutela sostitutiva, in bonam o in malam partem, infatti, trova come corrispettivo omologo il diritto del contribuente, in caso di errori e/o omissioni nelle dichiarazioni fiscali, di emendare le dichiarazioni stesse, attività che può essere realizzata ex art. 8, comma 2, D.P.R. n. 322 del 1998 se diretta ad evitare un danno alla Pubblica Amministrazione ovvero ex art. 8, comma 2-bis, dello stesso D.P.R., se relativa ad un danno per il contribuente.

Si tratta - al di là delle specificità delle singole discipline - di fattispecie strutturalmente sovrapponibili: il contribuente che si avvede di un (proprio) errore può intervenire e porvi rimedio sia in bonam che in malam partem; quando è l'Amministrazione finanziaria che rileva il (proprio) errore, essa può agire in autotutela e tale azione non può che articolarsi, anche in una prospettiva di uguaglianza sostanziale tra le parti, sia in bonam che in malam partem.

17.9. Appare evidente, pertanto, che i principi che presiedono alla valutazione dell'Amministrazione finanziaria nelle ipotesi in cui l'illegittimità finisca per tradursi nell'adozione di un nuovo atto in malam partem per il contribuente hanno quantomeno pari - se non maggiore - consistenza e rilievo rispetto a quelli che sottendono l'annullamento in bonam partem.

Nel caso di annullamento in malam partem, infatti, non è invocabile a favore del contribuente la lesione del principio di capacità contributiva, la cui valenza, nella fattispecie in questione, milita piuttosto ad accrescere l'importanza e la cogenza dell'illegittimità dell'atto, restando declinato sul versante del dovere generale di concorrere, secondo la propria capacità contributiva, alla spesa pubblica ex artt. 2 e 53 Cost.

Il naturale precipitato, dunque, è la piena razionalità e compatibilità con l'ordinamento costituzionale e tributario dell'esercizio del potere di autotutela anche in malam partem.

18. Fermo quanto sopra, occorre tuttavia interrogarsi se vi siano ulteriori condizioni per il corretto esercizio del potere di autotutela in via sostitutiva ove, in conseguenza, venga emesso un nuovo atto per un maggior imponibile a carico del contribuente.

Due sono i profili di specifico interesse: quale sia il rapporto tra autotutela sostitutiva e accertamento integrativo e quale sia l'ambito dell'affidamento del contribuente sul primo atto, illegittimo.

19. Autotutela sostitutiva e accertamento integrativo.

19.1. Nell'autotutela sostitutiva in malam partem viene accertato un maggior imponibile.

Una situazione analoga si realizza con l'accertamento integrativo; in questo caso, però, per potersi ritenere legittima la maggior pretesa dell'Amministrazione, l'atto deve fondarsi su nuovi elementi che non erano conosciuti al momento del primo accertamento, i quali debbono essere specificamente indicati nel nuovo avviso.

19.2. L'affinità tra le due situazioni ha portato a ritenere, secondo l'orientamento minoritario della giurisprudenza, in linea con alcune posizioni della dottrina, che tale condizione debba sussistere anche rispetto all'autotutela sostitutiva quando da essa consegua un maggior imponibile in pregiudizio del contribuente.

19.3. Tale conclusione non è condivisibile.

19.4. L'accertamento integrativo è previsto dall'art. 43, quarto comma (ora terzo), D.P.R. n. 600 del 1973 per le imposte dirette, e dall'art. 57, quarto comma, D.P.R. n. 633 del 1972 per l'Iva.

L'art. 43, quarto comma (ora terzo), D.P.R. n. 600 del 1973, dispone:

"3. Fino alla scadenza del termine stabilito nei commi precedenti l'accertamento può essere integrato o modificato in aumento mediante la notificazione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi da parte dell'Agenzia delle entrate.

Nell'avviso devono essere specificamente indicati, a pena di nullità, i nuovi elementi e gli atti o fatti attraverso i quali sono venuti a conoscenza dell'ufficio delle imposte."

Analogamente, l'art. 57, quarto comma, D.P.R. n. 633 del 1972, dispone:

"4. Fino alla scadenza del termine stabilito nei commi precedenti le rettifiche e gli accertamenti possono essere integrati o modificati, mediante la notificazione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi da parte dell'Agenzia delle entrate.

Nell'avviso devono essere specificamente indicati, a pena di nullità, i nuovi elementi e gli atti o fatti attraverso i quali sono venuti a conoscenza dell'ufficio dell'imposta sul valore aggiunto."

Giova precisare che la possibilità di un accertamento frazionato è consentita anche da un'ampia ulteriore varietà di disposizioni, quali, in particolare, gli artt. 36-ter, secondo comma, 38-bis, 41-bis (accertamento parziale) D.P.R. n. 600 del 1973 in materia di imposte dirette, nonché l'art. 54, quarto comma, (accertamento parziale), D.P.R. n. 633 del 1972.

In queste ipotesi, invero, non è esplicitamente prevista la necessità della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi; tuttavia, la particolare tipologia di accertamenti (cartolari, parziali, mirati sulla compensazione di crediti inesistenti/non spettanti), obbiettivamente limitati, conduce a ritenere fisiologica la maggiore ampiezza, anche fattuale, dell'ulteriore "azione accertativa".

19.5. Nell'autotutela sostitutiva la "rivalutazione" avviene sempre e comunque ex post rispetto all'atto già adottato, facendo esclusivo riferimento agli elementi che erano presenti quando l'Amministrazione finanziaria aveva emesso l'atto originario, senza alcuna integrazione: sono gli stessi elementi che avevano dato origine alla pretesa ad essere oggetto di riesame poiché il primo atto ne aveva concretizzato un esito viziato, una illegittimità "originaria", come tale da eliminare.

Nell'accertamento integrativo, invece, il successivo nuovo atto non viene emesso perché è stato rilevato un errore o una non corretta valutazione degli elementi di fatto e diritto in base ai quali è stato adottato il primo atto.

Anzi, l'originaria prospettazione e valutazione è corretta e resta inalterata: l'atto non viene espunto, ma ad esso si affianca un nuovo atto (integrativo) che contiene una pretesa aggiuntiva. Per consentire questo risultato il legislatore esige che vi siano nuovi elementi prima non conosciuti.

In altri termini, gli elementi che debbono essere apprezzati non appartenevano all'insieme di fatti e circostanze già acquisiti, ma sono pervenuti alla conoscenza dell'Ufficio solo dopo l'avvenuta adozione dell'originario avviso (v. da ultimo Cass. n. 10226 del 16/04/2024, che ha altresì precisato che il requisito della "sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi", deve ritenersi integrato anche nell'ipotesi in cui i dati siano conosciuti da un ufficio fiscale, ma non erano ancora in possesso di quello che ha emesso l'avviso di accertamento al momento della sua adozione).

19.6. La differenza tra le due situazioni è, dunque, radicale:

Quanto all'autotutela sostitutiva:

- è un procedimento di secondo grado che si fonda sull'esistenza di un primo atto, di cui è rilevata e valutata l'illegittimità;

- gli elementi di fatto e diritto posti a fondamento del primo atto sono quindi rivalutati ex novo ed ex post, ma in maniera diversa da quella originaria;

- in dipendenza di ciò, il primo atto deve essere espressamente annullato e sostituito con quello nuovo;

- il potere di autotutela non è destinato a consumarsi fino a che non siano maturati i termini di decadenza;

Quanto all'accertamento integrativo:

- presuppone che il primo atto sia valido ed efficace, destinato a permanere inalterato non ponendosi, neppure in astratto, l'esigenza di una rivalutazione degli elementi di fatto e diritto in base ai quali è stato emesso;

- presuppone l'esistenza del primo atto solamente al fine di poterne evidenziare gli elementi di novità sopravvenuti - da individuare specificamente nella relativa motivazione - che giustificano il potere di procedere ad un nuovo accertamento;

- è sempre un procedimento di primo grado poiché si fonda sulla rilevata esistenza di nuove circostanze, non conosciute in precedenza, così come l'originario potere di accertamento;

- da tutto ciò risulta legittimato il (nuovo) esercizio del potere impositivo, altrimenti non consentito.

19.7. Il tratto qualificante dell'autotutela sostitutiva è costituito dalla valutazione di un atto illegittimo, che viene posto nel nulla e sostituito sulla base dei medesimi elementi già considerati.

Il tratto qualificante dell'accertamento integrativo, invece, è la sopravvenienza di nuovi non conosciuti elementi rispetto all'originario accertamento, che permettono l'adozione di un nuovo atto accertativo che si affianca e si aggiunge a quello primitivo.

Nonostante le apparenti affinità, pertanto, le due situazioni sono strutturalmente e funzionalmente differenti e tale differenza emerge ulteriormente rispetto al principio di unicità dell'accertamento.

L'accertamento integrativo, infatti, costituisce una deroga al principio di unicità dell'accertamento, consentita dal legislatore in quanto l'attività sia giustificata dalla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi.

L'autotutela sostitutiva, per contro, non deroga al principio di unicità dell'accertamento - di cui, anzi, si presenta come espressione -posto che l'azione è stata esercitata un'unica volta e unico resta l'atto impositivo.

19.8. Non deve poi trarre in inganno il rilievo, che emerge talora in alcune decisioni, secondo cui "l'avviso che abbia sostituito quello annullato in autotutela, ove incrementativo della ripresa a tassazione, non può fondarsi sulla mera rivalutazione fattuale e giuridica degli stessi elementi posti a fondamento di quello annullato, ma, in forza di quanto previsto dall'art. 43, comma 3, del D.P.R. n. 600 del 1973 (vigente "ratione temporis"), su elementi in precedenza non conosciuti dall'Ufficio accertatore" (v. Cass. n. 7293 del 16/03/2020), che pare fondare una possibile "zona grigia" di confine tra le due categorie.

In realtà, in una simile evenienza l'atto originario è illegittimo per un vizio che - come sopra precisato (v. punto 16.3) - è caduto sui fatti oggetto di imposizione, traducendosi in valutazioni inesatte, ovvero in un errore logico nel ragionamento seguito per la ripresa impositiva, sicché l'atto sostitutivo emesso in autotutela non è condizionato dai limiti previsti dagli artt. 43 D.P.R. n. 600 del 1973 e 57 D.P.R. n. 633 del 1972.

I due istituti, dunque, restano distinti e autonomi, non essendo concettualmente e concretamente ipotizzabile uno spazio comune o "di confine".

La circostanza che in entrambi i casi - accertamento integrativo e autotutela sostitutiva - possa derivare una maggiore imposizione costituisce un esito assimilabile solamente sul piano fenomenico, che, tuttavia, si fonda su presupposti e condizioni radicalmente diverse.

20. L'affidamento del contribuente.

20.1. La valutazione discrezionale dell'Amministrazione finanziaria qualora l'atto originale sia illegittimo e, in sede di autotutela, venga annullato e sostituito con un nuovo atto portante una maggiore pretesa presuppone che si tenga conto, insieme al primario interesse alla corretta esazione, del complesso degli interessi in gioco, tra i quali assume uno specifico rilievo l'affidamento del contribuente.

Il carattere immanente del principio di affidamento e la sua idoneità ad orientare la stessa interpretazione sistematica degli istituti nel diritto tributario, ancorandone la loro concreta applicazione, è stato affermato, del resto, anche dalle Sezioni Unite, con la sentenza n. 2320 del 31/01/2020 nel rapporto, in materia di rimborso dell'eccedenza Iva, tra la garanzia ex art. 38-bis, primo comma, D.P.R. n. 633 del 1972 e gli istituti previsti dagli artt. 23, comma 1, D.Lgs. n. 472 del 1997 e 69 r.d. n. 2440 del 1923 (fermo amministrativo).

20.2. Occorre peraltro chiarire quale sia, nella concreta situazione, l'effettivo contenuto di tale interesse e a quali valori e principi debba essere ancorato.

20.3. L'art. 10, comma 1, della legge n. 212 del 2000 ("Tutela dell'affidamento e della buona fede. Errori del contribuente") sancisce il principio generale per il quale "I rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede".

Il comma 2, come modificato dall'art. 1, lett. l), del D.Lgs. 219 del 2023, prevede inoltre che "Non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell'amministrazione finanziaria, ancorché successivamente modificate dall'amministrazione medesima, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori dell'amministrazione stessa. Limitatamente ai tributi unionali, non sono altresì dovuti i tributi nel caso in cui gli orientamenti interpretativi dell'amministrazione finanziaria, conformi alla giurisprudenza unionale ovvero ad atti delle istituzioni unionali e che hanno indotto un legittimo affidamento nel contribuente, vengono successivamente modificati per effetto di un mutamento della predetta giurisprudenza o dei predetti atti.".

20.4. Questa Corte, invero, con la sentenza n. 17576 del 10/10/2002 - relativa, tra l'altro, ad un provvedimento adottato in via di autotutela, in malam partem nei confronti del contribuente, in presenza di una situazione giuridica soggettiva di vantaggio di quest'ultimo - e, poi, nuovamente, con la sentenza n. 12372 del 11/05/2021, ha già ampiamente esaminato l'ambito e la portata applicativa del principio di tutela dell'affidamento e della buona fede.

La Corte ha rilevato, in primo luogo, che il principio della tutela del legittimo affidamento del cittadino "trova la sua base costituzionale nel principio di eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge (art. 3 Cost.) e costituisce un elemento essenziale dello Stato di diritto" limitandone l'attività legislativa e amministrativa ed "è immanente in tutti i rapporti di diritto pubblico ed anche nell'ambito della materia tributaria, dove è stato reso esplicito dall'art. 10, comma primo, della legge n. 212 del 2000".

Si è poi precisato il significato che deve essere attribuito a termini quali "collaborazione" e "buona fede".

Il primo trova il suo riferimento, dal lato dell'Amministrazione finanziaria, nei principi di "buon andamento", "efficienza" e "imparzialità" dell'azione amministrativa tributaria di cui all'articolo 97, secondo comma, Cost.; dal lato del contribuente, invece, vengono in rilievo quei "comportamenti non collidenti con il dovere, sancito dall'articolo 53, comma 1, della Costituzione e imposto a "tutti" i contribuenti, di "concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva".

Il termine "buona fede", invece, "se riferito all'amministrazione finanziaria, coincide, almeno in gran parte, con i significati attribuibili al termine "collaborazione", posto che entrambi mirano ad assicurare comportamenti dell'amministrazione stessa "coerenti", vale a dire "non contraddittori" o "discontinui" (mutevoli nel tempo)".

Il medesimo termine, "se riferito al contribuente, presenta un'analoga, parziale coincidenza con quello di "collaborazione" ed allude a un generale "dovere di correttezza", volto ad evitare comportamenti capziosi, dilatatori, sostanzialmente connotati da "abuso" di diritti e tesi a eludere una giusta pretesa tributaria".

Si è quindi affermato il principio che la situazione del contribuente tutelabile è quella caratterizzata da "a) da un'apparente legittimità e coerenza dell'attività dell'Amministrazione finanziaria, in senso favorevole al contribuente; b) dalla buona fede del contribuente, rilevabile dalla sua condotta, in quanto connotata dall'assenza di qualsiasi violazione del dovere di correttezza gravante sul medesimo; c) dall'eventuale esistenza di circostanze specifiche e rilevanti, idonee a indicare la sussistenza dei due presupposti che precedono".

20.5. Alla luce dei principi sopra esposti, dunque, va innanzitutto escluso che la mera - ed erronea - valutazione già operata dall'Amministrazione sugli elementi a fondamento dell'atto impositivo sia, in sé, sufficiente a generare un affidamento legittimo poiché equivale a sostenere che l'affidamento è determinato dalla mera illegittimità dell'atto originario, condizione che, in sé, precluderebbe lo stesso esercizio del potere di autotutela.

La stessa Corte di giustizia, del resto, ha chiarito, in materia di tributi armonizzati, che il principio del legittimo affidamento "si estende a ogni individuo in capo al quale un'autorità amministrativa abbia fatto sorgere fondate speranze a causa di assicurazioni precise che essa gli avrebbe fornito" (Corte di giustizia, 14 giugno 2017, Santogal M-Comércio e Reparagao de Automóveis, in causa C-26/16, punto 76), ma "non può basarsi su una prassi illegittima dell'amministrazione" (Corte di giustizia, 11 aprile 2018, SEB bankas, in causa C-532/16, punto 50) e, dunque, a maggior ragione, neppure a fronte di una mera errata valutazione dell'Amministrazione.

Non a caso, ai sensi della prima parte del comma 2 dell'art. 10 L. n. 212 del 2000, l'errore dell'Amministrazione è solo idoneo a impedire l'applicazione delle sanzioni e degli interessi, mentre la seconda parte della norma - introdotta dalla novella - impedisce sì la richiesta di maggiori imposte (per i tributi unionali), ma solo in quanto la più elevata imposizione discenda da una modifica degli originari orientamenti in sede europea, dunque a fronte di un elemento non originario ma sorto successivamente all'adozione dell'atto impositivo.

20.6. In secondo luogo, va rilevato che la posizione di interesse del contribuente non trae fondamento dal principio di capacità contributiva ex art. 53 Cost.: l'originaria pretesa impositiva, inferiore a quella dovuta, non può, per il solo fatto che essa era stata recepita in un atto rivelatosi illegittimo, trovare copertura nel principio di capacità contributiva, principio che, al contrario, rafforza la necessità di una rimozione del primo atto e la sua sostituzione in forza del corrispondente dovere, ex artt. 2 e 53 Cost., di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva.

In questo senso, la mera pretesa di non dare corso all'emissione di un nuovo atto per esserne già stato emesso uno precedente non appare, in sé, suscettibile di valutazione positiva ai sensi dell'art. 10, comma 1, L. n. 212 del 2000: la condotta del contribuente, ancorata ad un errore dell'Agenzia fiscale, si risolve nella pretesa di un vantaggio ingiusto, ossia di ottenere una imposizione minore a quella dovuta, non riconducibile, in assenza di altri specifici elementi che ne caratterizzino la situazione, ad una valutazione di correttezza e buona fede.

20.7. Diviene dunque necessario che la pretesa sia ancorata ad ulteriori specifiche circostanze di fatto, tali da consentire di qualificare la condotta, nonostante che dall'illegittimità dell'atto originario discenda una imposizione minore a quella spettante, come immune da violazioni dei doveri di correttezza, si da far ritenere recessiva la caducazione dell'originario atto con la sua sostituzione e richiesta di una maggiore imposizione.

In altri termini, la situazione deve essere caratterizzata da elementi concreti e puntuali che portino a ritenere, da un lato, che l'originaria pretesa fosse apparentemente corretta e, dall'altro, che la conseguente condotta del contribuente sia stata scevra da violazioni dei doveri di correttezza.

In questa prospettiva, appaiono suscettibili di assumere rilievo l'esistenza di pregresse specifiche erronee indicazioni (precedenti e ulteriori rispetto a quanto indicato nell'atto viziato) fornite al contribuente ovvero il compimento da parte dell'Agenzia fiscale di attività, anteriori all'adozione dell'atto illegittimo, intrinsecamente contraddittorie rispetto alla maggiore pretesa, condizioni da rapportare al compiuto versamento delle somme richieste e al decorso di un rilevante lasso temporale, nonché alla definitività dell'atto (milita in senso contrario la pendenza di un contenzioso riferito al primo atto, da cui la preminenza dell'interesse all'esatta imposizione).

In via esemplificativa, nella citata sentenza n. 17576 del 2002, l'Ufficio impositore aveva indicato, nel verbale di constatazione di una violazione, la facoltà per il contribuente di avvalersi di una disposizione di condono - l'art. 21 del D.L. n. 69 del 1989 - al cui ricorso l'Amministrazione aveva archiviato il procedimento, salvo emettere, a distanza di alcuni anni, un nuovo atto d'imposizione fondato sugli identici presupposti di fatto e diritto sull'assunto dell'inapplicabilità della disposizione di condono.

20.8. In conclusione, l'affidamento del contribuente nell'assetto determinato dall'adozione del primo atto non sorge per il solo fatto della sua illegittimità ovvero per l'errata valutazione delle circostanze posto a suo fondamento ma resta ancorato ai concreti elementi che contraddistinguono la specifica vicenda, coniugati ad esigenze di certezza e stabilità dei rapporti, e confluisce, nei termini così caratterizzati, nella valutazione che l'Amministrazione finanziaria è tenuta ad effettuare alla luce dei principi di imparzialità e buona amministrazione ex art. 97 Cost. in funzione del riesame dell'atto e della sua sostituzione.

21. Vanno, pertanto, affermati i seguenti principi di diritto:

"in tema di accertamento tributario, il potere di autotutela tributaria, le cui forme e modalità sono disciplinate dall'art. 2-quater, comma 1, D.L. n. 564 del 1994, conv. dalla legge n. 656 del 1994 e dal successivo D.M. n. 37 del 1997, di attuazione, e, con decorrenza dal 18 gennaio 2024, dagli artt. 10-quater e 10 quinquies, legge n. 212 del 2000, trae fondamento, al pari della potestà impositiva, dai principi costituzionali di cui agli artt. 2,23,53 e 97 Cost. in vista del perseguimento dell'interesse pubblico alla corretta esazione dei tributi legalmente accertati; di conseguenza, l'Amministrazione finanziaria, ove non sia decorso il termine di decadenza per l'accertamento previsto per il singolo tributo e sull'atto non sia stata pronunciata sentenza passata in giudicato, può legittimamente annullare, per vizi sia formali che sostanziali, l'atto impositivo viziato ed emettere, in sostituzione, un nuovo atto anche per una maggiore pretesa".

"In tema di accertamento tributario, l'autotutela sostitutiva in malam partem, con adozione di un nuovo atto per una maggiore pretesa in sostituzione di quello annullato, si differenzia, strutturalmente e funzionalmente, dall'accertamento integrativo, previsto dagli artt. 43, quarto comma (ora terzo), D.P.R. n. 600 del 1973 e 57, quarto comma, D.P.R. n. 633 del 1972, che pure comporta l'emissione di un nuovo atto per una ulteriore pretesa in aggiunta a quella originaria, posto che, nel primo caso, la valutazione investe l'atto originario che, in quanto viziato, viene annullato e sostituito sulla base degli stessi elementi già considerati, mentre, nel secondo, il precedente atto è valido e ad esso ne viene affiancato un altro, contenente una pretesa aggiuntiva per il medesimo tributo e periodo d'imposta, non ponendosi, neppure in astratto, l'esigenza di una rivalutazione degli elementi di fatto e diritto in base ai quali il primo atto è stato emesso; ne consegue che il requisito della "sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi" non si applica per il provvedimento emesso in autotutela sostitutiva ancorché fonte di una maggiore imposizione".

"In caso di autotutela tributaria sostitutiva in malam partem, con adozione di un nuovo atto per una maggiore pretesa in sostituzione di quello annullato, il legittimo affidamento del contribuente non è integrato dalla mera esistenza del precedente atto viziato ovvero dall'errata valutazione delle circostanze poste a suo fondamento, ostandovi il generale dovere di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva in forza degli artt. 2 e 53 Cost.; può, per contro, assumere rilievo, ai fini della configurabilità del legittimo affidamento, l'esistenza di specifiche indicazioni erronee o di condotte intrinsecamente contraddittorie da parte dell'agenzia fiscale anteriormente all'adozione dell'atto illegittimo qualora le somme pretese siano state compiutamente versate e ricorrano ragioni di certezza e stabilità".

22. Alla luce dei principi sopra esposti, dunque, i motivi del ricorso vanno rigettati.

23. Nella vicenda in giudizio, il nuovo atto impositivo è stato emesso il 14 febbraio 2011 a fronte della rilevata illegittimità, con contestuale annullamento, del primo atto, adottato in data 11 dicembre 2009, in quanto l'Agenzia delle entrate, nell'originaria determinazione dei ricavi, aveva ritenuto giustificati alcuni prelevamenti operati dal contribuente dal proprio conto corrente ancorché essi fossero privi di riscontro, incorrendo, dunque, in un errore di natura sostanziale sulla corretta valutazione del presupposto d'imposta.

24. L'esercizio del potere di autotutela, pertanto, come accertato dalla Commissione tributaria regionale, si è fondato sulla rilevata illegittimità del primo atto ed è stato esercitato a poco più di un anno di distanza dal momento dell'emissione di questo, neppure divenuto definitivo in quanto autonomamente impugnato dal contribuente.

Inoltre, la diversità tra autotutela sostitutiva e accertamento integrativo e la ricorrenza, nella specie, dei presupposti per l'esercizio del potere di autoannullamento escludono l'applicabilità degli artt. 43, quarto comma, D.P.R. n. 600 del 1973 e 57, quarto comma, D.P.R. n. 633 del 1972.

24.1. Neppure sussiste la dedotta violazione dell'affidamento del contribuente, chiaramente ancorato nel ricorso alla sola esistenza del precedente atto illegittimo e al vizio che lo segnava.

La stessa Commissione tributaria regionale, del resto, ha anche esplicitamente escluso che vi sia stata lesione dei diritti di difesa del contribuente ("al di fuori di contestazioni meramente formali ed irrilevanti, è stato sicuramente in grado di controdedurre").

24.2. Quanto al secondo motivo, in ogni caso, non ricorre l'asserita "omessa motivazione circa la configurabilità di un accertamento integrativo".

La Commissione tributaria regionale, infatti, seppur con indicazione sintetica, ha chiaramente affermato che nella fattispecie era "stato legittimamente attivato dall'Amministrazione Finanziaria il potere di autotutela... sussistendo in merito pienamente i presupposti di legge", posto che, come precisato nella parte in fatto, l'atto era illegittimo "per errore... sulle giustificazioni di alcuni prelevamenti operati dal ricorrente sul proprio conto corrente".

In realtà, escluso che la motivazione sia omessa od apparente, il motivo contesta e attinge, in parte qua, la sufficienza e l'adeguatezza della motivazione, censura non più proponibile ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.

25. Il ricorso va pertanto rigettato.

Ricorrono giusti motivi per compensare le spese del giudizio, in relazione alle ragioni che hanno indotto la Sezione Tributaria a rimettere a queste Sezioni Unite l'esame del ricorso.

Sussistono i presupposti per l'applicazione dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115/2002.

P.Q.M.

La Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso e compensa le spese. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2024.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2024.

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