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Infedeltà del coniuge, è possibile ottenere il risarcimento del danno?

Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.9934 del 12/04/2024

In caso di infedeltà nell'ambito di un matrimonio, il coniuge tradito può ottenere il risarcimento dei danni subiti?

La Sezione I civile della Cassazione, con l'ordinanza n. 9934 del 12 aprile 2024, ha ribadito che la violazione del dovere di fedeltà è sanzionabile civilmente se e nella misura in cui, per le modalità dei fatti, uno dei coniugi subisca un danno alla propria dignità personale o eventualmente un pregiudizio alla salute.

Nel caso di specie, la ex moglie aveva citato in giudizio l'ex coniuge chiedendone la condanna al pagamento dell'indennità prevista dall'art. 129-bis del codice civile e al risarcimento dei danni subiti a causa del tradimento di quest'ultimo. Il Tribunale di Trani aveva accolto la domanda condannando l'ex marito al pagamento di 9.000 euro a titolo di indennità, oltre al risarcimento per altre spese legate al matrimonio e ai procedimenti giuridici seguiti.

Tuttavia, la Corte d'appello di Bari ha ribaltato questa decisione, sostenendo che non era dimostrabile la malafede del marito al momento del matrimonio, in quanto non esistevano relazioni stabili che potessero configurare una violazione dei doveri di correttezza. Inoltre, è stata rilevata una consuetudine di infedeltà reciproca, già nota prima del matrimonio, che escludeva la protezione legale solitamente garantita dal citato articolo del codice civile.

La Cassazione, confermando la sentenza della Corte d'Appello, ha rigettato il ricorso della ex moglie.

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Cassazione civile, sez. I, ordinanza 12/04/2024 (ud. 21/03/2024) n. 9934

RILEVATO CHE:


1. Ro.Po. evocava in giudizio l'ex coniuge Ma.To. e Gr.Co. perché il tribunale, preso atto della sentenza di nullità del matrimonio pronunciata in sede ecclesiastica, per esclusione della fedeltà da parte del marito, delibata dalla Corte d'appello, dichiarasse la responsabilità del Ma.To. e lo condannasse al pagamento dell'indennità prevista dall'art. 129-bis cod. civ. e al risarcimento dei danni subiti.

Il Tribunale di Trani, con sentenza n. 1865/2019, accoglieva la domanda e condannava Ma.To. al pagamento in favore di Ro.Po. della somma di Euro 9.000 a titolo di indennità ex art. 129-bis cod. civ. nonché al risarcimento di alcuni dei danni patrimoniali lamentati (costituiti dalle spese per il ricevimento nuziale, nella misura del 50%, e dai costi sostenuti per i giudizi ecclesiastici e per quello di delibazione) e del danno morale.

2. La Corte d'appello di Bari, a seguito dell'impugnazione del Ma.To., riteneva, invece, che nel caso di specie l'appellante non potesse essere considerato in malafede, dato che questi, non avendo al momento del matrimonio alcuna altra relazione stabile in essere, non aveva tenuto alcuna condotta contraria ai doveri di correttezza, tali da determinare la Ro.Po. all'unione coniugale, essendo invece nota ai nubendi, per essersi già più volte verificata, la possibilità di violazione del dovere di fedeltà da parte di entrambi; doveva perciò essere esclusa anche la buona fede dell'appellata, la quale era consapevole dell'atteggiamento, verificato come più volte fedifrago, del compagno e di Lei medesima (pure verificatosi in precedenza), oltre che della prevedibile ripetibilità di simili condotte, secondo l'id quod plerumque accidit.

Osservava che la consuetudine della coppia era da sempre non rispettosa del dovere di fedeltà, sicché non poteva giustificarsi nessuna tutela particolare ex art. 129-bis cod. civ., che l'ordinamento assicura a quel coniuge in buona fede che si trovi, soltanto a causa dell'altrui comportamento, senza volerlo e senza poterlo in alcun modo prevedere, a subire la nullità di un matrimonio che aveva tutti i requisiti per essere, invece, valido.

Riteneva che non potessero essere riconosciuti alla Ro.Po., in assenza anche di qualsiasi forma di affidamento incolpevole, le spese del banchetto nuziale (peraltro neppure provate) e le spese legali dei giudizi canonici e del successivo giudizio di delibazione.

Infine, dopo aver ricordato che la violazione del dovere di fedeltà è sanzionabile civilmente quando, per le modalità dei fatti, uno dei coniugi riporti un danno alla propria dignità personale o eventualmente un pregiudizio alla salute, escludeva che nel caso di specie i comportamenti del Ma.To., negli incontri con la Gr.Co. avvenuti nel corso del matrimonio, fossero stati caratterizzati da modalità particolarmente offensive del decoro, della dignità personale e della salute del coniuge.

Accoglieva, pertanto, l'appello e, per l'effetto, rigettava le originarie domande proposte da Ro.Po. nei confronti di Ma.To.

3. Ro.Po. ha proposto ricorso per la cassazione di questa sentenza, pubblicata in data 5 dicembre 2022, prospettando quattro motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso Ma.To.

CONSIDERATO CHE:

4. Il primo motivo di ricorso denuncia, ex art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ., la nullità della sentenza impugnata per motivazione meramente apparente, al di sotto del minimo costituzionale, nonché, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ., l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti: la Corte territoriale ha posto a base della decisione una circostanza di fatto inesistente, assumendola come provata, costituita dal fatto che la Ro.Po. fosse a conoscenza delle infedeltà del Ma.To. durante il fidanzamento.

In realtà quest'ultimo, nel corso del giudizio canonico, aveva dichiarato che la Ro.Po. nulla sapeva della relazione discontinua che egli aveva intrattenuto con la Gr.Co.; allo stesso modo la Ro.Po. non aveva mai affermato di essere a conoscenza di asserite infedeltà del Ma.To.

L'affermazione in contestazione sarebbe poi totalmente apodittica e priva di qualsiasi riscontro negli atti di causa, risolvendosi in un'affermazione meramente autoreferenziale.

5. Il motivo risulta in parte infondato, in parte inammissibile.

5.1 Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte la motivazione della decisione assume carattere solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non renda però percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (cfr., per tutte, Cass., Sez. U., 22232/2016).

Nel caso di specie la Corte territoriale ha fornito una chiara ed inequivoca spiegazione delle ragioni poste a base della propria decisione, acclarando, sulla base delle risultanze delle sentenze ecclesiastiche, l'esistenza di diversi tradimenti dell'una e dell'altro, già al momento della costituzione del vincolo, "con reciproca indecisione al matrimonio proprio per tali riconosciute situazioni di tradimento da parte di entrambi" (pag. 8).

In ragione di una simile situazione i giudici distrettuali hanno ritenuto che la relazione fra il Ma.To. e la Gr.Co., seppur conosciuta dopo il matrimonio, fosse comunque una "situazione prevedibile alla luce dei comportamenti pregressi delle parti per lo più noti ed oggetto di discussione tra i nubendi" (pag. 9).

La doglianza, quindi, non può che essere rigettata, dato che nella sentenza impugnata una motivazione esiste ed è ben comprensibile.

5.2 Rispetto alle risultanze delle sentenze ecclesiastiche, che la Corte d'appello ha valutato nei termini appena riportati, il mezzo in esame si duole poi, non tanto di un omesso esame, ma di un esame non conforme alla lettura che l'odierna ricorrente vorrebbe dare delle emergenze processuali.

Questa interpretazione, tuttavia, non è coerente con la censura sollevabile ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., che consente di lamentare l'omissione dell'esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio e non la valorizzazione di tale fatto in un senso differente da quello voluto dalla parte (Cass. 14929/2012, Cass. 23328/2012).

6. Il secondo motivo di ricorso prospetta, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 129-bis e 1147 cod. civ.: dalla sentenza ecclesiastica era possibile evincere - in tesi di parte ricorrente - che il Ma.To. ebbe a contrarre matrimonio canonico per motivi di mera convenienza, dopo essere stato rassicurato della fedeltà della Ro.Po., alla quale ben si guardò dal palesare l'esistenza di una relazione parallela con Gr.Co., della quale l'odierna ricorrente era venuta a conoscenza solo in un periodo successivo.

Pertanto, al momento della celebrazione del matrimonio Ma.To., nell'omettere la comunicazione al coniuge in buona fede del fatto invalidante, costituito dall'esistenza di una sua relazione sentimentale/sessuale con altra donna, aveva tenuto un comportamento contrario al generale dovere di correttezza che aveva contribuito alla celebrazione del matrimonio nullo, mentre Ro.Po. si trovava nella condizione di incolpevole ignoranza della specifica circostanza per la quale era stata poi pronunciata la nullità.

7. Il motivo è inammissibile.

Esso, infatti, non evidenzia alcuna criticità in punto di diritto riguardo alla decisione impugnata, ma intende esprimere un dissenso rispetto all'apprezzamento compiuto dalla Corte di merito in ordine al fatto che nel caso di specie non era ascrivibile al Ma.To. una situazione di mala fede (dovendosi escludere che questi, al momento del matrimonio, avesse tenuto un comportamento, commissivo e omissivo, contrario ai doveri di correttezza, dato che non aveva alcuna relazione stabile in essere ed essendo, invece, nota ai nubendi la possibilità, per essersi già più volte verificata, di violazione del dovere di fedeltà da parte di entrambi), così come non era ipotizzabile una condizione di buona fede in capo alla Ro.Po. e una violazione del principio dell'affidamento (non essendo possibile sostenere che la donna fosse nell'incolpevole ignoranza dell'atteggiamento infedele del Ma.To., non limitato alla relazione fisica con la Gr.Co., e quindi della sua prevedibile ripetibilità secondo l'id quod plerumque accidit).

A fronte di questi accertamenti di fatto, rientranti nei compiti istituzionali del giudice di merito, la censura in esame deduce, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (v. Cass. 5987/2021, Cass., Sez. U., 34476/2019, Cass. 29404/2017, Cass. 19547/2017, Cass. 16056/2016).

8. Il terzo motivo di ricorso prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218,2043 e 2049 c.c., 2 Cost. e 8CEDU: la Corte territoriale ha erroneamente negato - in tesi - il risarcimento dei danni patiti in conseguenza della violazione dell'obbligo di fedeltà da parte del Ma.To. dopo il matrimonio, il rimborso delle spese anticipate per ottenere la declaratoria di nullità del matrimonio e la successiva delibazione da parte della Corte d'appello, malgrado tale giudizio fosse la via obbligata per ottenere la declaratoria di nullità del vincolo sacramentale, e la risarcibilità del danno non patrimoniale, a dispetto del fatto che la condotta del Ma.To. avesse inciso sul suo diritto al matrimonio, alla costruzione di una famiglia, alla sessualità e alla salute.

9. Il motivo risulta, nel suo complesso, inammissibile.

9.1 La doglianza in esame non contesta in alcun modo che le spese del banchetto nuziale non risultassero provate, come ha accertato la Corte di merito.

Peraltro, la constatazione dell'assenza di qualsiasi forma di affidamento incolpevole, posta a base dell'esclusione del rimborso del medesimo esborso e delle spese dei giudizi canonici e della successiva delibazione, costituisce un accertamento di fatto di pertinenza della Corte di merito che non può essere rivisto in questa sede di legittimità.

La ricorrente, inoltre, non ha sollevato alcuna contestazione in ordine al rilievo secondo cui la parte non poteva pretendere di superare in altra sede processuale la disciplina sulle spese propria di quei giudizi.

Questa pluralità di ragioni concorre a rendere inammissibili le doglianze sollevate in ordine al rigetto della domanda di rimborso delle spese avanzata dall'odierna ricorrente.

9.2 La sentenza impugnata spiega a chiare lettere che la violazione del dovere di fedeltà è sanzionabile civilmente se e nella misura in cui, per le modalità dei fatti, uno dei coniugi ne riporti un danno alla propria dignità personale o eventualmente un pregiudizio alla salute.

Sul punto il mezzo in esame non si confronta in alcun modo con la motivazione offerta dal collegio d'appello e risulta così inammissibile, tenuto conto che il ricorso per cassazione deve necessariamente contestare in maniera specifica la ratio decidendi posta a fondamento della pronuncia impugnata (Cass. 19989/2017).

10. Il quarto motivo di ricorso, nell'assumere la violazione dell'art. 91 cod. proc. civ., si limita a confidare nella cassazione della sentenza impugnata e nella conseguente previsione di un diverso regime delle spese di lite.

Una simile doglianza è inammissibile, perché auspica che l'accoglimento dell'impugnazione provochi gli effetti previsti dall'art. 336 cod. civ., ma non solleva alcuna critica in ordine alla corretta applicazione della norma denunciata come violata in sede di appello.

11. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, ove dovuto.

Così deciso in Roma in data 21 marzo 2024.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2024.

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