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Confisca di immobile abusivo: l’ipoteca del creditore si estingue?

Corte di Cassazione, sez. Unite Civile, Ordinanza n.10933 del 25/04/2025

Cosa succede all'ipoteca iscritta su un immobile abusivo quando quest'ultimo viene acquisito gratuitamente al patrimonio comunale?

La risposta viene dalle Sezioni Unite della Cassazione con l'ordinanza n. 10933 del 29 aprile 2025.

La vicenda

Nel caso di specie, una società vantava un credito risalente agli anni 1984-1985. Nel 1994 ottenne un decreto ingiuntivo e iscrisse ipoteca su un terreno dei debitori. Successivamente, il Comune di Agrigento acquisì gratuitamente al proprio patrimonio il terreno e l'immobile abusivamente costruito sopra. Quando, anni dopo, la cessionaria del credito tentò il pignoramento, il giudice dell'esecuzione dichiarò l'esecuzione improseguibile, ritenendo estinta l'ipoteca.

I principi in materia

La questione coinvolge:

  • L'art. 7, co. 3, della l. 47/1985 (e oggi l'art. 31, co. 3, del d.P.R. 380/2001);

  • La sentenza della Corte costituzionale n. 160/2024, che ha dichiarato illegittima la cancellazione automatica dell'ipoteca iscritta dal creditore non responsabile prima dell'acquisizione;

  • Gli artt. 602 ss. c.p.c. sulla espropriazione forzata.

La decisione delle Sezioni Unite

Applicando questi principi, le Sezioni Unite chiariscono che:

  • La confisca amministrativa dell'immobile abusivo non estingue l'ipoteca iscritta prima della trascrizione dell'acquisizione se il creditore è estraneo all'abuso edilizio.

  • L'esecuzione forzata è quindi possibile.

  • Solo se il Comune dichiara formalmente (ex art. 31, co. 6, d.P.R. 380/2001) di voler destinare l'immobile a un prevalente interesse pubblico, facendolo entrare nel patrimonio indisponibile, allora l'ipoteca si estingue.

  • Se l'immobile rimane nel patrimonio disponibile, il creditore può procedere al pignoramento.

La Cassazione aggiunge che:

  • L'aggiudicatario, in caso di acquisto all'asta, dovrà chiedere la sanatoria edilizia se ricorrono i presupposti;

  • In caso contrario, rimarrà obbligato a provvedere alla demolizione dell'immobile abusivo.

Conclusioni

Se l'ipoteca è iscritta prima della trascrizione dell'atto di acquisizione comunale e il creditore è innocente rispetto all'abuso, l'espropriazione forzata dell'immobile è ancora possibile.

Prima di avviare un pignoramento su immobili abusivi, occorre quindi verificare la data di iscrizione dell'ipoteca e provvedimenti del Comune.

Confisca amministrativa, ipoteca anteriormente iscritta da creditore non responsabile dell’abuso edilizio, estinzione, esclusione

La confisca amministrativa ex art. 31, comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001 non determina l’estinzione dell’ipoteca iscritta prima della sua trascrizione dal creditore che non sia responsabile dell’abuso edilizio.

L’estinzione dell’ipoteca conseguirà, nondimeno, alla dichiarazione ex art. 31, comma 6, d.P.R. n. 380 del 2001, con la quale il comune abbia eventualmente attratto l’immobile al proprio patrimonio indisponibile, attestando l’esistenza di prevalenti interessi pubblici alla sua conservazione. In mancanza di tale dichiarazione (e, dunque, nell’ipotesi in cui il bene sia stato acquisito al patrimonio disponibile del comune), il creditore ipotecario potrà, invece, sottoporlo ad espropriazione forzata nelle forme di cui agli artt. 602 ss. c.p.c.

In tale ultimo caso, l’aggiudicatario, qualora ricorrano le condizioni per la sanatoria ex art. 13 della l. n. 47 del 1985, ratione temporis vigente, dovrà presentare domanda di concessione in sanatoria entro centoventi giorni dalla notifica del decreto di trasferimento, ai sensi dell’art. 17, comma 5, della l. n. 47 del 1985, mentre, ove tali condizioni non ricorrano - e fermo restando che il carattere abusivo e non sanabile dell’immobile deve risultare dall’avviso di vendita -, riceverà il bene con l’obbligazione propter rem di provvedere alla relativa demolizione, con tutte le conseguenze che ne derivano in caso di inottemperanza.

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Cassazione civile, sez. un., ordinanza 25/04/2025 (ud. 11/03/2025) n. 10933

FATTI DI CAUSA

1. La società Sicilsud Leasing Spa, vantando un diritto di credito sorto tra il 16 luglio 1984 e il febbraio 1985, chiese ed ottenne dal Tribunale di Palermo un decreto ingiuntivo nei confronti dei propri debitori Sc.Ge. e Ma.Ca. per la somma di Lire 222.420.647 (pari ad Euro 114.870,68), oltre accessori e spese. In forza del suddetto decreto ingiuntivo, notificato il 23-25 giugno 1993, il 21 gennaio 1994 la società creditrice iscrisse ipoteca su un fondo di proprietà dei debitori, esteso per mq 1.150. Dopo l'iscrizione ipotecaria, la Sicilsud cedette il credito, che per effetto di successive ulteriori cessioni pervenne infine alla BRERA SERVIZI AZIENDALI Srl

Con provvedimento del 22 settembre 1994, di otto mesi successivo all'iscrizione dell'ipoteca, il Comune di Agrigento trascrisse provvedimento di acquisizione gratuita al patrimonio del Comune, ai sensi dell'art. 7 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, di un immobile costruito sul fondo suddetto in assenza di autorizzazione, unitamente "all'area di sedime e pertinenziale" circostante l'immobile abusivo.

A seguito di precetto notificato il 6-8 aprile 2013, la Brera, con atto di pignoramento del 4 luglio 2013, iniziò l'esecuzione forzata pignorando sia il terreno, nei confronti dei debitori, che il fabbricato sullo stesso realizzato, nei confronti del Comune di Agrigento, ed in data 22 ottobre 2013 la società ricorrente rinnovò l'ipoteca giudiziale iscritta sul fondo.

Il giudice dell'esecuzione, con ordinanza del 16 giugno 2017, rigettò l'istanza di vendita proposta dalla Brera dichiarando "improseguibile" l'esecuzione forzata, sul presupposto che l'acquisizione al patrimonio del Comune dell'immobile abusivo aveva comportato l'estinzione dell'ipoteca iscritta sul fondo sul quale l'immobile era stato edificato.

2. La società Brera ha proposto opposizione agli atti esecutivi avverso la suddetta ordinanza, che è stata rigettata con sentenza n. 943 del 9 luglio 2019 del Tribunale di Agrigento. Il Tribunale a sostegno della decisione ha rilevato che: 1) l'acquisizione al patrimonio del Comune di un immobile abusivo costituisce un modo di acquisto a titolo originario, con cancellazione di tutti i diritti reali di garanzia gravanti sul bene, senza che rilevi l'eventuale anteriorità della relativa trascrizione o iscrizione; 2) nel caso di specie "non sembrano emergere altre aree non colpite dal provvedimento comunale" (provvedimento comunale che, tuttavia, il Tribunale dichiara non essere presente in atti); 3) è irrilevante che il creditore ipotecario - il quale, non potendo disporre del bene ipotecato, nemmeno può ritenersi inciso dal provvedimento ablatorio - non abbia avuto notizia del procedimento ablatorio e del provvedimento che lo concluse, "non avendo alcuna legittimazione ad impugnare" tali provvedimenti dinanzi al giudice amministrativo.

Il Tribunale ha infine ritenuto infondate le argomentazioni con le quali la parte opponente aveva prospettato profili di legittimità costituzionale della normativa in questione, perché l'ipoteca, pur essendo un diritto reale, "non conferisce poteri o facoltà di godimento del bene ipotecato".

3. Avverso la sentenza del Tribunale la BRERA SERVIZI AZIENDALI Srl in liquidazione ha proposto ricorso per cassazione basato su quattro motivi.

Tutte le controparti sono rimaste intimate.

4. La Terza Sezione Civile di questa Corte, con ordinanza interlocutoria del 30 dicembre 2022, n. 38143, ha rimesso gli atti al Primo Presidente ai fini dell'assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, ravvisando una questione di massima di particolare importanza in ordine alla decisione del quarto motivo di ricorso.

Rimessa la causa alle Sezioni Unite, con ordinanza interlocutoria n. 583 dell'8 gennaio 2024, è stata dichiarata rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3,24,42 e 117, primo comma, Cost., nonché all'art. 1 del Protocollo Addizionale della CEDU, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, terzo comma, della legge n. 47 del 1985 e dell'art. 31, comma 3, del D.P.R. n. 380 del 2001, con la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.

5. La Corte Costituzionale con la sentenza n. 160 del 3 ottobre 2024 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 7, terzo comma, della legge n. 47 del 1985, nella parte in cui non fa salvo il diritto di ipoteca iscritto a favore del creditore, non responsabile dell'abuso edilizio, in data anteriore alla trascrizione nei registri immobiliari dell'atto di accertamento dell'inottemperanza alla ingiunzione di demolire, ed in via conseguenziale, ai sensi dell'art. 27 della legge n. 53 del 1987, dell'art. 31, co. 3, primo e secondo periodo del D.P.R. n. 380/2001, nella parte in cui non fa salvo il diritto di ipoteca iscritto a favore del creditore, non responsabile dell'abuso edilizio, in data anteriore alla trascrizione nei registri immobiliari dell'atto di accertamento dell'inottemperanza alla ingiunzione a demolire.

La causa è stata quindi fissata per l'adunanza camerale dell'11 marzo 2025.

6. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 3) e n. 5), cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell'art. 599 cod. proc. civ. anche in relazione agli artt. 2740 e 2697 cod. civ., nonché omesso esame di un fatto discusso tra le parti e decisivo per il giudizio, per avere omesso il Tribunale di valutare se, come eccepito dalla ricorrente e come risultante dai rilievi della consulenza espletata in corso di causa, esistesse una porzione di fondo pignorato non acquisito al patrimonio del Comune di Agrigento, sulla quale l'azione esecutiva sarebbe dovuta proseguire. Anche volendo applicare la misura massima dell'acquisizione prevista dalla legge - pari cioè al decuplo della superficie abusivamente occupata - dalla relazione di stima esperita in sede esecutiva era emerso che il fabbricato abusivo aveva una superficie di mq 91,96 e che la superficie dell'intero terreno pignorato era pari a mq 1.150.

Pertanto, seppure per una piccola differenza (mq 240 liberi e commerciabili), la parte creditrice conservava il diritto a fare espropriare il bene staggito con le forme dell'art. 599 cit. Il Tribunale avrebbe dovuto disporre un supplemento di istruttoria o la vendita dell'intero terreno a causa dell'indeterminatezza delle indicazioni provenienti dal provvedimento del giudice dell'esecuzione oggetto di opposizione.

Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 810,2740,2813 e 2900 cod. civ., anche in relazione all'art. 40, sesto comma, della legge n. 47 del 1985 e all'art. 31 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.

Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell'art. 31, comma 3, del D.P.R. n. 380 del 2001 in relazione all'art. 40, sesto comma, della legge n. 47 del 1985, per avere il Tribunale erroneamente ritenuto che l'effetto ablatorio in favore del Comune si verifichi anche in caso di sanabilità dell'immobile, anche da parte del terzo non autore dell'abuso, non proprietario della cosa ma che vanta diritti sulla cosa.

Nei due motivi la ricorrente deduce che anche la conclusione relativa al perimento giuridico del bene, quale conseguenza della sua demolizione, e la sua irreversibile trasformazione in res extra commercium, quale conseguenza dell'acquisizione al patrimonio comunale, andrebbe limitata all'ipotesi di manufatto abusivo non più sanabile e con un abuso non più eliminabile. Allorché, invece, sia possibile sanare l'abuso o rimuoverlo, il bene non dovrebbe essere considerato assolutamente extra commercium, ma solo relativamente extra commercium, nel senso che l'autore dell'abuso o il suo beneficiario non potrà avvalersene.

Ma ciò dovrebbe soffrire un'eccezione per il terzo incolpevole che possa porvi rimedio.

La ricorrente deduce, pertanto, che dalla combinazione dell'art. 2813 cod. civ. e dell'art. 40, sesto comma, della legge n. 47 del 1985 conseguirebbe il diritto del creditore ipotecario a demolire il manufatto abusivo o a sanarlo, impedendo così il perimento del bene ipotecato e l'effetto estintivo della garanzia reale; ciò anche tenendo conto che il bene poteva essere sanato o demolito dall'assegnatario per esecuzione forzata ai sensi dell'art. 40, ultimo comma, della legge n. 47 del 1985, posto che le ragioni di credito per cui la Brera procedeva esecutivamente erano di data anteriore all'entrata in vigore della suddetta legge. Ne consegue, secondo la ricorrente, che nel caso di specie per il creditore ipotecario il termine per proporre la domanda di sanatoria sarebbe ancora aperto, andando esso a scadere 120 giorni dopo l'ordinanza di assegnazione o di vendita del bene staggito.

Con i due motivi in esame, inoltre, si censura l'ordinanza del Tribunale anche nella parte in cui afferma che l'acquisizione dell'immobile abusivo al patrimonio del Comune costituirebbe un acquisto a titolo originario; trattandosi, infatti, di un trasferimento che segue all'esito di un procedimento amministrativo e del provvedimento di trascrizione, "il trasferimento, ancorché imperativo, avviene a titolo derivativo, con tutte le conseguenze di legge, perlomeno rispetto al creditore iscritto".

Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell'art 117 Cost in relazione all'art. 7 CEDU e agli artt. 1 e 6 del Protocollo addizionale. Si sostiene che la soluzione adottata dal Tribunale avrebbe avuto per effetto di privare il creditore ipotecario, incolpevole ed ignaro, della garanzia reale di cui era titolare. Aggiunge la ricorrente che le garanzie reali dei crediti godono delle medesime garanze accordate dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo al diritto di proprietà, con la conseguenza che quelle garanzie non possono essere espropriate senza tutele e senza contropartita.

Conclude perciò sostenendo che, avendo il giudice nazionale il dovere di interpretare la norma interna in conformità ai princìpi della CEDU, il Tribunale avrebbe dovuto, alternativamente, o ritenere nulli i procedimenti ablatori cui il creditore ipotecario non sia stato messo in condizione di partecipare ovvero consentire al creditore ipotecario di proseguire l'esecuzione anche nei confronti dell'Amministrazione comunale.

Come extrema ratio si reputa che il Tribunale avrebbe dovuto sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art. 7 della legge n. 47 del 1985 e dell'art. 31 del D.P.R. n. 380 del 2001.

7. Al fine di favorire la comprensione degli sviluppi del presente procedimento, occorre ricordare che la precedente ordinanza interlocutoria n. 583/2024 di queste Sezioni Unite, dopo aver richiamato i passaggi dell'ordinanza con la quale la Terza Sezione Civile aveva ritenuto opportuno rimettere la controversia alla Prima Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, ha proceduto ad una puntuale ricostruzione del quadro normativo di riferimento, che risulta opportuno anche in questa sede riportare, anche al fine di dare conto delle ricadute dell'intervento della Corte Costituzionale.

7.1. L'acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere eseguite in totale difformità o in assenza di concessione fu prevista per la prima volta dall'art. 15 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, che prevedeva (al terzo comma) che tali opere, se non demolite, a cura e spese del proprietario, entro il termine fissato dal sindaco con propria ordinanza, fossero "gratuitamente acquisite, con l'area su cui insistono, al patrimonio indisponibile del comune che le utilizza a fini pubblici, compresi quelli di edilizia residenziale pubblica".

La norma, nel rendere obbligatoria la demolizione delle opere in contrasto con rilevanti interessi urbanistici o ambientali o comunque non utilizzabili per fini pubblici, si inseriva nel contesto della legge n. 10 del 1977 che contestualmente aveva introdotto una serie di intensi poteri pubblici di vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia.

La disposizione dell'art. 15 cit. venne ripresa dal successivo art. 7 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, in base al quale il sindaco, accertata l'esecuzione delle opere in assenza o in totale difformità dalla concessione, ne doveva ingiungere la demolizione, con l'espressa previsione, contenuta nel terzo comma, per cui, in caso di mancata ottemperanza all'ordine di demolizione da parte del responsabile dell'abuso nel termine di novanta giorni dall'ingiunzione, il bene e l'area di sedime fossero "acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune"; con il limite, peraltro, secondo cui l'acquisizione non poteva "essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita". Il successivo quarto comma dell'art. 7 disponeva che l'accertamento dell'inottemperanza all'ordine di demolizione nel termine previsto costituisse "titolo per l'immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari, che deve essere eseguita gratuitamente".

Nella norma del 1985 era scomparso il riferimento testuale dell'acquisizione al patrimonio indisponibile del comune. La previsione dell'art. 7, applicabile alla fattispecie ratione temporis, è trasmigrata, in sostanza senza modifiche, nell'art. 31, commi 3 e 4, del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 380 (Testo unico sull'edilizia). All'interno di tale art. 31, poi, sono stati successivamente interpolati - ad opera dell'art. 17, comma 1, lettera q-bis, del D.L. 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modifiche, nella legge 11 novembre 2014, n. 164 - i commi 4-bis, 4-ter e 4-quater, i quali consentono all'autorità competente, una volta accertata l'inottemperanza all'ingiunzione di demolizione, di irrogare una sanzione amministrativa pecuniaria a carico del trasgressore.

8. Il complesso normativo ora richiamato, come rilevato dall'ordinanza n. 38143/2022, ha posto in essere un capovolgimento di alcuni principi in materia di accessione e di ipoteca.

Mentre, infatti, l'art. 934 cod. civ. dispone che, di regola, ogni "costruzione od opera esistente sopra o sotto il suolo appartiene al proprietario", e l'art. 2811 cod. civ., in armonia col principio dell'accessione, stabilisce che l'ipoteca "si estende ai miglioramenti, nonché alle costruzioni e alle altre accessioni dell'immobile ipotecato, salve le eccezioni stabilite dalla legge", l'art. 7 della legge n. 47 del 1985 e l'art. 31 del D.P.R. n. 380 del 2001 dettano criteri di segno contrario. Per effetto di tali disposizioni, infatti, è il soggetto che acquista d'imperio la proprietà dell'immobile abusivamente costruito (il comune) ad acquisire anche quella dell'area di sedime, salvo il limite del decuplo della superficie complessiva abusivamente costruita; e ciò anche se, come nel caso di specie, sul terreno sia stata precedentemente iscritta un'ipoteca giudiziale.

La Corte costituzionale, chiamata a scrutinare la legittimità dell'art. 7, terzo comma, della legge n. 47 del 1985, ebbe modo di chiarire già molti anni addietro che l'acquisizione gratuita dell'area non è "una misura strumentale, per consentire al comune di eseguire la demolizione, né una sanzione accessoria di questa, ma costituisce una sanzione autonoma che consegue all'inottemperanza all'ingiunzione, abilitando poi il sindaco ad una scelta fra la demolizione d'ufficio e la conservazione del bene, definitivamente già acquisito, in presenza di "prevalenti interessi pubblici"" (sentenza n. 345 del 1991).

L'acquisizione gratuita è perciò la reazione dell'ordinamento alla duplice inottemperanza del privato il quale, dopo aver costruito in assenza o in totale difformità dalla concessione, si rifiuti poi anche di eseguire l'ordine di demolizione a lui impartito.

Nell'ordinanza interlocutoria n. 583/2024, è stata richiamata la sentenza di questa Corte n. 1693/2006, che è stata reputata avere poi orientato la successiva giurisprudenza di legittimità, nel senso che l'acquisizione gratuita dell'immobile abusivo in capo all'ente pubblico si connota "per la natura originaria del relativo titolo d'acquisto, essendo inconfigurabile, nella specie, una qualsivoglia vicenda di trasferimento dal precedente titolare del bene (ciò che caratterizza invece gli acquisti a titolo derivativo del diritto dominicale o di altro diritto reale limitato): questo, e non altro, risulta il significato da attribuire al sintagma normativo che predica l'acquisizione "di diritto", di talché eventuali pesi o vincoli preesistenti sono destinati a caducarsi in uno con il caducarsi del precedente diritto dominicale, al di là ed a prescindere dall'eventuale anteriorità della relativa trascrizione e/o iscrizione".

In sostanza l'acquisizione, che rappresenta un'ipotesi di acquisto a titolo originario (cfr. anche Cass. S.U. n. 322/1999), in relazione alla posizione del terzo creditore ipotecario è "del tutto assimilabile, quoad effecta, al "perimento del bene", vicenda della quale l'art. 2878 cod. civ. predica, come conseguenza, l'estinzione del diritto reale di garanzia.

Alla soluzione del giudice di legittimità risulta poi essersi conformata anche la giurisprudenza amministrativa (cfr. ex multis Consiglio di Stato 7 marzo 1997, n. 220, 16 gennaio 2019, n. 398, e 9 giugno 2020, n. 3697; 11 ottobre 2023, n. 16), che nel ribadire l'acquisto a titolo originario da parte del Comune, ha sottolineato che l'ordinanza di acquisizione gratuita al patrimonio del Comune dell'immobile costruito in totale difformità o assenza della concessione si connota, infatti, per la duplice funzione di sanzionare comportamenti illeciti e di prevenire perduranti effetti dannosi di essi, con la conseguenza che l'ipoteca e gli altri eventuali pesi e vincoli preesistenti vengono caducati, senza che rilevi l'eventuale anteriorità della relativa trascrizione o iscrizione. sentenza).

9. Queste Sezioni Unite, nel prendere atto di quella che era l'interpretazione consolidata d civile ed amministrativa, hanno dubitato della conformità a Costituzione di tale esegesi.

In tal senso le soluzioni alternative proposte per assicurare una tutela al creditore ipotecario - e precisamente o quella di far valere il proprio diritto reale di garanzia sulla sola parte del terreno che eccede il decuplo dell'area di sedime acquisibile insieme all'immobile, o quella di chiedere il risarcimento del danno conseguente al fatto che l'acquisizione al patrimonio del comune ha determinato il venir meno della garanzia della quale egli disponeva - sono state reputate non prive di criticità e comunque inappaganti per il terzo.

Infatti, la prima potrebbe essere frustrata per il fatto che l'acquisizione dell'immobile con l'area di sedime coincida con l'acquisizione dell'intero terreno sul quale grava la costruzione, e senza contare che, anche ammettendo che residui una quantità di terreno significativa, il creditore ipotecario vedrebbe comunque fortemente ridimensionata la sua garanzia, dal momento che l'espropriazione di una parte di un terreno sul quale è stato costruito un immobile abusivo, la cui demolizione può essere disposta solo dal comune che ne è proprietario, rende quel terreno di valore assai minore. La seconda non tiene conto del dato evidente della diversità esistente tra un diritto reale di garanzia come l'ipoteca e la necessità di intraprendere un giudizio risarcitorio, nel quale potrebbe, tra l'altro, non essere pacifica l'identificazione del soggetto responsabile.

Di qui la valutazione delle Sezioni Unite circa la necessità di sollevare la questione di legittimità costituzionale delle menzionate norme, valorizzando soprattutto il profondo cambiamento sopravvenuto nella giurisprudenza della Corte EDU nel tempo intercorso dopo la pronuncia della sentenza n. 1693 del 2006 di questa Corte.

La giurisprudenza della Corte europea - attraverso alcune fondamentali pronunce già richiamate nell'ordinanza interlocutoria della Terza Sezione Civile (sentenza 20 gennaio 2009, in causa Sud Fondi e altri contro Italia, sentenza 29 ottobre 2013, in causa Varvara contro Italia, e sentenza della Grande Camera 28 giugno 2018, in causa G.I.E.M. contro Italia) - ha tracciato un percorso interpretativo che ha trovato poi recepimento anche nella giurisprudenza delle Sezioni Unite penali di questa Corte.

A seguito della sentenza n. 49 del 2015 della Corte costituzionale, infatti, la Corte EDU è tornata sulla questione della compatibilità tra confisca penale e prescrizione del reato e, sostanzialmente avallando le indicazioni della Corte costituzionale, con la citata sentenza G.I.E.M. della Grande Camera ha modificato l'orientamento espresso con la sentenza Varvara, ritenendo compatibile con l'art. 7 CEDU l'applicazione della confisca in seguito ad un accertamento di tutti gli elementi del reato di lottizzazione abusiva, ancorché contenuto in una sentenza di proscioglimento per prescrizione. Tale orientamento, poi, è stato recepito dalla sentenza 30 gennaio 2020, n. 13539 (imp. Perroni), delle Sezioni Unite Penali di questa Corte.

E la Corte costituzionale, ritornando sull'argomento dopo la sentenza G.I.E.M. della Grande Camera, ha posto in luce come della "necessità di un adeguamento delle modalità applicative della confisca per lottizzazione abusiva ai contenuti della sentenza G.I.E.M." si fosse nel frattempo "fatta carico la giurisprudenza di legittimità", anche allo scopo "di verificare il rispetto del principio di proporzionalità della sua applicazione" (sentenza n. 146 del 2021).

Pur essendo la presente vicenda aliena da risvolti penalistici, discutendosi della c.d. confisca amministrativa regolata dalle norme che si sono in precedenza richiamate, tuttavia è stato evidenziato che non poteva ignorarsi l'approdo della giurisprudenza euroconvenzionale, essendo ormai patrimonio acquisito, nella giurisprudenza nazionale e sovranazionale, il principio in base al quale la confisca non può aver luogo in danno del proprietario incolpevole, o del terzo che vanti diritti sul bene (se la misura è sproporzionata), senza che questi siano stati messi in condizione di difendersi, partecipando al procedimento.

Poiché, nel caso in esame, emergeva che il creditore ipotecario poteva subire la perdita del diritto di garanzia, che rientra nella nozione allargata di bene di cui all'art. 1 del Protocollo addizionale della CEDU, senza alcuna prova di una cooperazione del creditore ipotecario nell'attività illecita di costruzione del bene immobile abusivo e che al procedimento amministrativo concluso dal provvedimento di acquisizione del bene al patrimonio del comune il creditore ipotecario non era stato messo in condizione di partecipare, doveva reputarsi che il recepimento puro e semplice dell'orientamento consolidato, offriva il fianco a dubbi sulla sua compatibilità con i principi CEDU enunciati dalla Corte di Strasburgo.

Peraltro, la tutela esecutiva costituisce una componente fondamentale del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva, come più volte ribadito dalla Corte Costituzione, che ha ribadito che la fase di esecuzione forzata delle decisioni giudiziarie, in quanto intrinseco ed essenziale connotato della funzione giurisdizionale, è quindi costituzionalmente necessaria, mentre eccezionali sono le deroghe al principio, espresso dall'art. 2740 cod. civ. Perciò le limitazioni al diritto del creditore di agire in sede esecutiva sono ammissibili solo se fondate su circostanze eccezionali e se circoscritte nel tempo (Corte Cost. n. 198 del 2010; Corte Cost. n. 236/2021, che ha ricordato altresì che "uno svuotamento legislativo degli effetti di un titolo esecutivo giudiziale non è compatibile con l'art. 24 Cost. se non è limitato ad un ristretto periodo temporale ovvero controbilanciato da disposizioni di carattere sostanziale che garantiscano per altra via l'effettiva realizzazione del diritto di credito. In difetto di queste cautele, la disposizione legislativa vulnera il diritto di azione").

La stessa sentenza della Corte Costituzionale n. 26 del 2019 in tema di tutela dei terzi creditori in ipotesi di confisca di beni alla criminalità organizzata, ha affermato, tra l'altro, che il "radicale sacrificio dell'interesse di un creditore che abbia acquisito il proprio diritto confidando, in buona fede, nel futuro adempimento da parte del debitore, pur in presenza delle condizioni ritenute idonee a evitare condotte collusive dall'art. 52 del D.Lgs. n. 159 del 2011, si risolve ... in una restrizione sproporzionata - in quanto eccessiva rispetto al pur legittimo scopo antielusivo perseguito - del diritto patrimoniale del creditore medesimo, in violazione dell'art. 3 Cost." (in senso conforme Corte costituzionale n. 5 del 2023 che ha ribadito che ogni confisca impone una puntuale verifica del suo carattere proporzionato, rispetto alla finalità legittima perseguita, alla luce dei parametri costituzionali e sovranazionali che tutelano il diritto di proprietà (art. 42 Cost., nonché art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 1 del Protocollo addizionale CEDU, e artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 17 CDFUE).

È stata perciò sollevata la questione di legittimità costituzionale delle norme indicate, sul presupposto che delle stesse non fosse possibile offrirne un'interpretazione costituzionalmente conforme.

Infatti, le due diverse ipotesi interpretative non sono state reputate meritevoli di seguito.

La possibilità di costruire l'atto di acquisizione del bene immobile al patrimonio del comune come diritto di proprietà superficiaria, intesa ai sensi dell'art. 952, secondo comma, cod. civ., con la conseguenza che il comune non diverrebbe proprietario pieno, bensì proprietario superficiario (che garantirebbe la sopravvivenza del diritto del creditore che abbia ipotecato il solo terreno) è stata però ritenuta in contrasto insormontabile con l'obiettività del dato legislativo che stabilisce, come si è detto, che in caso di inottemperanza, nel termine di novanta giorni dall'ingiunzione, all'ordine di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi, il bene viene acquisito con "l'area di sedime".

La diversa soluzione, che consisterebbe nel consentire al creditore ipotecario di "coltivare l'esecuzione forzata, al fine di pervenire ad una vendita sottoposta alla condizione sospensiva dell'assunzione dell'obbligazione di demolire l'abuso o della presentazione d'una domanda di sanatoria", è stata del pari reputata impraticabile, perché la natura di acquisto a titolo originario che caratterizza l'acquisizione regolata dalla legge, non consente di affermare che l'ipoteca possa sopravvivere, sebbene iscritta sul solo terreno e non anche sull'immobile abusivo.

La questione di legittimità costituzionale delle norme è stata quindi posta in relazione al parametro di cui all'art. 3 Cost., inteso come principio di ragionevolezza, essendo irragionevole che il creditore che abbia iscritto ipoteca sul fondo, senza avere alcuna responsabilità nell'abuso edilizio e nel conseguente rifiuto di procedere alla demolizione dell'immobile, veda di fatto cancellato il suo diritto di ipoteca (e senza che gli sia stata offerta la possibilità di partecipare al procedimento, cioè senza potersi opporre né all'edificazione abusiva né all'ordine di demolizione). Altro parametro è stato individuato nell'art. 24 Cost., in ordine al rilievo costituzionale della tutela esecutiva, ed un terzo parametro è stato indicato nell'art. 117, primo comma, Cost., collegato con l'art. 42 Cost., in considerazione del contrasto tra la norma in esame e l'art. 1 del Protocollo addizionale della CEDU.

10. La Corte Costituzionale con la sentenza n. 160 del 3 ottobre 2024 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 7, terzo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie), nella parte in cui non fa salvo il diritto di ipoteca iscritto a favore del creditore, non responsabile dell'abuso edilizio, in data anteriore alla trascrizione nei registri immobiliari dell'atto di accertamento dell'inottemperanza alla ingiunzione a demolire, ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 31, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, recante "Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia. (Testo A)", sollevate, in riferimento agli artt. 3,24,42 e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, dalla Corte di cassazione, sezioni unite civili, con l'ordinanza indicata in epigrafe, ed ha dichiarato, in via consequenziale, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l'illegittimità costituzionale dell'art. 31, comma 3, primo e secondo periodo, del D.P.R. n. 380 del 2001, nella parte in cui non fa salvo il diritto di ipoteca iscritto a favore del creditore, non responsabile dell'abuso edilizio, in data anteriore alla trascrizione nei registri immobiliari dell'atto di accertamento dell'inottemperanza alla ingiunzione a demolire. 11. La Consulta, dopo aver ribadito che nella fattispecie è applicabile solo l'art. 7, terzo comma, della legge n. 47 del 1985, ha ritenuto fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate in riferimento agli artt. 3,24 e 42 Cost.

Richiamato il contenuto della norma (anche in relazione al punto per cui la novella del 1985 non prevede più che le opere gratuitamente acquisite dal comune entrino a far parte del patrimonio indisponibile dell'ente pubblico e non subordina più l'acquisizione del bene e dell'area di sedime all'adozione di un'ordinanza motivata del sindaco, vidimata e resa esecutiva dall'autorità giudiziaria, come invece statuiva l'art. 15, commi terzo, quarto e quinto, della legge n. 10 del 1977), la sentenza ha condiviso il presupposto interpretavo dal quale prendeva le mosse l'ordinanza di rimessione delle Sezioni Unite, quanto alla qualifica di acquisto a titolo originario da parte del Comune che reca con sé la conseguenza dell'estinzione del diritto reale di garanzia, evidenziando come in realtà a favore di tale qualifica si fosse formato un diritto vivente.

È stato altresì rimarcato che l'onere della trascrizione rientra nell'ambito della funzione della pubblicità di natura dichiarativa, costituendo (come anche chiarito dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 16 del 2023) l'adempimento all'onere di trascrizione "... un atto indispensabile al fine di rendere pubblico nei rapporti con i terzi l'avvenuto trasferimento del diritto di proprietà e consolidarne gli effetti".

La Corte Costituzionale ha però ritenuto irragionevole il sacrificio imposto al creditore ipotecario non responsabile dell'abuso edilizio.

La sentenza ha preso le mosse dalla protezione peculiare che l'ordinamento giuridico accorda al diritto di ipoteca, che discende dalla realità del diritto di garanzia e dalla sua accessorietà al credito, così che essendo una componente del patrimonio del creditore, comporta, in caso di espropriazione per pubblica utilità, un obbligo indennitario al pari degli altri diritti reali, come previsto dall'art. 25, comma 1, del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, recante "Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità. (Testo A)" e gode di una tutela riconducibile all'art. 42 Cost.

Ciò implica che la sua tutela sia attratta nell'alveo protettivo dell'art. 24 Cost., quale strumento vòlto ad assicurare una tutela preferenziale del credito in sede esecutiva.

Una volta ricostruito il meccanismo di tutela che l'ordinamento accorda al creditore ipotecario e che richiama lo schermo protettivo degli artt. 24 e 42 Cost., la Corte ha ricordato che l'acquisizione ex lege da parte del comune integra "una sanzione in senso stretto, distinta dalla demolizione, che "rappresenta la reazione dell'ordinamento al duplice illecito posto in essere da chi, dapprima esegue un'opera abusiva e, poi, non adempie all'obbligo di demolirla" (sentenza n. 345 del 1991, punto 2. del Considerato in diritto; nello stesso senso, sentenza n. 427 del 1995 e ordinanza n. 82 del 1991; analogamente, Corte di cassazione, sezione terza civile, sentenza 26 gennaio 2006, n. 1693)".

Ciò ha indotto a ritenere che - qualora il proprietario sia radicalmente estraneo all'illecito e "non abbia la possibilità di ottemperare direttamente all'ordine di demolizione" (sentenza n. 345 del 1991), non essendo il bene nella sua materiale disponibilità, "non ricorr(o)no i presupposti per l'acquisizione gratuita del bene (e) la funzione ripristinatoria dell'interesse pubblico violato dall'abuso, sia pur ristretta alla sola possibilità della demolizione, rimane affidata al potere-dovere degli organi comunali di darvi esecuzione d'ufficio" (sentenza n. 140 del 2018, che riprende la sentenza n. 345 del 1991).

Avuto riguardo a tale funzione, è stata reputata palese l'irragionevolezza di una disciplina che determina l'automatica estinzione del diritto reale di ipoteca e il conseguente pregiudizio alla tutela del credito, a scapito di un creditore ipotecario che non sia responsabile dell'abuso, il quale finisce per subire le conseguenze sanzionatorie di un illecito al quale è del tutto estraneo, poiché - se non è responsabile dell'abuso edilizio - non può essere destinatario dell'ordine di demolizione, di cui all'art. 7, terzo comma, della legge n. 47 del 1985, e, dunque, non può rispondere dell'inottemperanza all'ordine.

Né potrebbe opinarsi nel senso che il creditore ipotecario non sia obbligato propter rem alla demolizione, posto che tale diritto reale di garanzia non gli attribuisce né il possesso né la detenzione del bene.

Non vi sono perciò ragioni per circoscrivere la tutela del creditore ipotecario al solo caso in cui abbia iscritto ipoteca sul terreno o sia divenuto cessionario del diritto prima della realizzazione dell'immobile abusivo., in quanto la natura abusiva di un immobile non incide sulle vicende relative al diritto di ipoteca.

Conforta tale conclusione anche il dettato dell'art. 17, primo comma, secondo periodo, della legge n. 47 del 1985, abrogato dal t.u. edilizia e sostituito dall'art. 46, comma 1, secondo periodo, del D.P.R. n. 380 del 2001, di identico tenore , che esclude che la nullità degli atti tra vivi aventi per oggetto il trasferimento di diritti reali sugli immobili, rispetto ai quali non risultino gli estremi della concessione a edificare o della concessione in sanatoria, si applichi agli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia (di analogo contenuto,- con riferimento alle opere realizzate prima del 1 ottobre 1983 e non condonate - l'art. 40, secondo comma, della legge n. 47 del 1985).

Inoltre, la sentenza che accerta tale nullità non pregiudica i diritti reali di garanzia acquisiti in base a un atto iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda diretta a far accertare detta nullità (artt. 17, terzo comma, e 40, quarto comma, della legge n. 47 del 1985, nonché, di seguito, art. 46, comma 3, del D.P.R. n. 380 del 2001), ponendosi una deroga all'art. 2652, primo comma, numero 6), cod. civ., che, viceversa, fa salvi i diritti acquistati a qualunque titolo dai terzi solo se la domanda di nullità è stata trascritta cinque anni dopo la trascrizione dell'atto impugnato e solo se i terzi hanno trascritto o iscritto in buona fede il loro atto anteriormente alla trascrizione della domanda.

Tale disciplina denota quindi come la ratio sottostate risponda all'esigenza di offrire una particolare protezione al creditore titolare di diritti reali di garanzia, sul presupposto che le ragioni creditorie risultino estranee a quelle istanze di tutela dei traffici giuridici e di contrasto alle finalità speculative, insite nella disciplina di repressione dell'abusivismo, che giustificano la nullità di cui ai citati artt. 17, primo comma, primo periodo, e 40, secondo comma, della legge n. 47 del 1985, nonché 46, comma 1, primo periodo, t.u. edilizia.

Né deve trascurarsi la necessità di raccordare la tutela del diritto di ipoteca con le regole che presiedono le procedure esecutive che investono immobili abusivi, che sono esentate dalla sanzione della nullità, essendo la stessa inapplicabile agli atti "derivanti da procedure esecutive immobiliari, individuali o concorsuali" (art. 17, quinto comma, della legge n. 47 del 1985, introdotto con l'art. 8, comma 5-bis, del decreto-legge 23 aprile 1985, n. 146, recante "Proroga di taluni termini di cui alla legge 28 febbraio 1985, n. 47, concernente norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive", convertito, con modificazioni, nella legge 21 giugno 1985, n. 298, anch'esso in seguito abrogato dal t.u. edilizia e riprodotto nel corrispondente art. 46, comma 5, del D.P.R. n. 380 del 2001).

Con specifico riferimento alla questione che pone il ricorso in esame, è stato quindi affermato che la presenza di un abuso edilizio non incide sulla circolazione e sulla tutela del credito ipotecario, le cui facoltà si fanno valere in sede espropriativa, nel rispetto della normativa urbanistico-edilizia, non essendovi valide ragioni per cui il creditore ipotecario, non responsabile dell'abuso edilizio, debba essere pregiudicato solo perché l'immobile abusivo viene confiscato dal comune per effetto di una sanzione inflitta per l'inottemperanza a un ordine di demolizione, di cui altri devono rispondere.

La sentenza ha altresì evidenziato che l'irragionevolezza del sacrificio imposto dalla norma censurata al creditore ipotecario non responsabile dell'abuso edilizio, trova conforto anche nell'ulteriore considerazione per la quale il titolare del diritto di ipoteca - a fronte di una norma che non facesse salvo il suo diritto reale - si vedrebbe, infatti, costretto a una continua vigilanza sull'immobile, onde poter chiedere all'autorità giudiziaria la cessazione di quegli atti del debitore o di terzi che, in quanto idonei a creare i presupposti della confisca edilizia, sarebbero tali da cagionare il perimento giuridico del bene e, con esso, l'estinzione della sua garanzia (art. 2813 cod. civ.).

Ma, si tratta di iniziative inesigibili, alla stregua dei principi generali elaborati dalla giurisprudenza di legittimità.

In particolare, il dovere del creditore di tenere una condotta attiva, atta a mitigare il danno, non comprende l'esercizio di attività gravose, quali sarebbero la vigilanza incessante sull'immobile e l'accertamento del carattere abusivo di eventuali manufatti, nonché l'assunzione di iniziative dispendiose e implicanti rischi, quale sarebbe l'avvio di un'azione giudiziale (Corte di cassazione, sezione lavoro, ordinanza 5 agosto 2021, n. 22352; sezione prima civile, ordinanza 8 febbraio 2019, n. 3797; sezione terza civile, ordinanza 5 ottobre 2018, n. 24522; sezione lavoro, sentenza 11 marzo 2016, n. 4865).

Inoltre, la sproporzione del sacrificio determinato dall'estinzione dell'ipoteca non sarebbe mitigata dall'esistenza di rimedi successivi, che residuerebbero al creditore in caso di perimento giuridico del bene, il quale dovrebbe confidare nella permanenza di una parte del terreno oggetto della garanzia reale, non acquisito dal comune, sul quale esercitare l'azione esecutiva, o tentare di richiedere idonea garanzia su altri beni del debitore (art. 2743 cod. civ.) o agire, in via risarcitoria, rispetto al responsabile dell'inottemperanza all'obbligo di demolizione, per la perdita del diritto di ipoteca. Trattasi, infatti, secondo la Consulta, di forme alternative di tutela ipotetiche e aleatorie, tali da risultare inadeguate a compensare il sacrificio imposto.

Alla declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 7 comma 3 della legge n. 47 del 1985, pur dandosi atto della irrilevanza della analoga questione sollevata da queste Sezioni Unite in relazione all'art. 31, comma 3, del D.P.R. n. 380 del 2001 - stante la non applicabilità alla fattispecie ratione temporis - la sentenza ha però ritenuto doveroso dichiarane l'illegittimità costituzionale, e per le medesime ragioni, in via conseguenziale, in quanto l'identità del tenore letterale rispetto alla norma correttamente censurata, ne evidenzia la pari irragionevolezza, potendosi pertanto invocare il disposto di cui all'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale).

12. Una volta riepilogati gi snodi procedurali che hanno portato all'intervento della Corte Costituzionale e richiamato il contenuto della sentenza n. 160 del 2024, e l'incidenza sulla normativa destinata trovare applicazione nella fattispecie, può quindi procedersi alla disamina dei motivi di ricorso.

Il primo motivo, ad avviso della Corte, è fondato.

Il motivo di ricorso richiama il contenuto della relazione di stima, riportando con precisione sia la superficie oggetto di abusiva edificazione (mq. 91,96), sia la superficie effettiva del terreno (mq. 1150), evidenziando che, proprio tenendo conto del limite massimo suscettibile di acquisizione (dieci volte la superficie utile abusivamente costruita), sarebbe residuata in capo ai debitori una porzione di terreno esclusa dall'acquisto da parte del Comune, per la quale correttamente era stato compiuto il pignoramento in danno dei debitori, che ne avevano conservato la proprietà.

La risposta della sentenza impugnata risulta sostanzialmente elusiva della questione che poneva la ricorrente, avendo semplicemente affermato che dalla consulenza tecnica non sembravano emergere altre aree non colpite dal provvedimento comunale, aggiungendo altresì che non risultava versata in atti l'ordinanza comunale di acquisizione (che invece la ricorrente sostiene essere negli atti del fascicolo dell'esecuzione).

Alla luce dei dati emergenti dalla stessa relazione di stima e tenuto conto del limite dimensionale posto dallo stesso legislatore

all'acquisizione delle aree di sedime, la sentenza non ha adempiuto al dovere di verificare se effettivamente residuassero delle aree ancora di proprietà dei debitori originari della ricorrente, rispetto alle quali la procedura esecutiva non è sottoposta alle regole specificamente dettate per l'ipotesi di espropriazione di beni abusivi.

La sentenza deve pertanto essere cassata, dovendo il giudice di rinvio, previo esame del contenuto dell'ordinanza di acquisizione, verificare la porzione di terreno ancora di proprietà dei debitori, nei cui confronti la ricorrente aveva provveduto ad effettuare il pignoramento.

14. Gli altri motivi di ricorso possono essere congiuntamente esaminanti per la loro connessione.

Rilevato che, in adesione alle sollecitazioni che poneva il quarto motivo, è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale della previsione di cui all'art. 7 della legge n. 47 del 1985, che avevano indotto il Tribunale a ritenere insuscettibile di prosecuzione l'azione esecutiva intentata dal creditore ipotecario, il cui diritto era stato sottoposto a formalità pubblicitaria ancor prima della realizzazione dell'abuso edilizio e dell'adozione del provvedimento di acquisizione (e della sua trascrizione), e, considerato che a seguito dell'intervento della Corte Costituzionale con la menzionata sentenza n. 160 del 2024, risulta superata l'interpretazione che della norma ha offerto il giudice di merito (e che è oggetto si specifica censura con il secondo ed il terzo motivo), emerge con evidenza l'erroneità dell'esito cui è approdato il Tribunale, dovendosi pertanto pervenire alla cassazione della sentenza impugnata.

Infatti, proprio a seguito della declaratoria di incostituzionalità dell'art. 7 della legge n. 47 del 1985, si palesa erronea l'affermazione secondo cui la procedura esecutiva intrapresa dal creditore ipotecario - il cui diritto sia anteriore all'acquisizione del bene al patrimonio comunale - sarebbe proseguibile, e la causa va pertanto rimessa al Tribunale affinché dia impulso alla procedura intrapresa.

14.1 Tuttavia, ed in vista degli incombenti di cui è onerato il giudice di rinvio, deve rimarcarsi che è la stessa sentenza della Corte Costituzionale ad avere tracciato le linee cui dovrà attenersi il giudice dell'esecuzione.

Il giudice delle leggi, al punto 9.4 della sentenza n. 160/2024, ha espressamente sottolineato che la confisca edilizia non frappone ostacoli alla esperibilità della vendita forzata nei confronti del comune che abbia acquisito l'immobile, l'area di sedime e quella circostante, ex art. 7, terzo comma, della legge n. 47 del 1985, ciò in quanto il comune va considerato a tutti gli effetti quale terzo acquirente del bene ipotecato, ai sensi degli artt. 2858 e seguenti cod. civ., e i beni confiscati devono ritenersi acquisiti al patrimonio disponibile dell'ente pubblico (come confermato dal diverso tenore della norma de qua rispetto al testo del previgente art. 15, terzo comma, della legge n. 10 del 1977, il quale stabiliva espressamente l'acquisizione dei beni confiscati dal comune al patrimonio indisponibile dell'ente pubblico, in linea con la previsione del loro necessario utilizzo a fini pubblici).

In tale direzione, è stato perciò precisato che, a seguito della novella del 1985 (e senza che la successiva modifica del testo unico di cui al D.P.R. n. 380/2001 abbia apportato novità), i beni confiscati sono acquisiti al patrimonio disponibile, a meno che non risulti integrata l'ipotesi, divenuta eccezionale, del mantenimento dell'opera per prevalenti interessi pubblici, ai sensi dell'art. 7, quinto comma, della legge n. 47 del 1985, e ciò in considerazione di quanto disposto dall'art. 826 c.c. che dispone che appartengono al patrimonio indisponibile solo i beni di enti pubblici "destinati ad un pubblico servizio" (e ciò al ricorrere del doppio requisito - soggettivo ed oggettivo - della manifestazione di volontà dell'ente titolare del diritto reale pubblico di destinare quel determinato bene ad un pubblico servizio e dell'effettiva ed attuale destinazione del bene al pubblico servizio; Cass. n. 13585/2011; Cass. S.U. n. 24563/2010; Cass. n. 26402/2009; Cass. S.U. n. 14865/2006, nonché da ultimo Cass. n. 17427/2023).

Ne consegue che la prima verifica che si impone come doverosa al giudice di rinvio sarà quella di riscontrare se nelle more non sia intervenuta una manifestazione di volontà dell'ente dichiarativa, ai sensi dell'art. 7 co. 5 (ovvero dell'art. 31, co. 6 del D.P.R. n. 380/2001), dell'esistenza di prevalenti interessi pubblici.

Ancorché, infatti, si giustifichi l'esigenza di preservare, alle condizioni specificate, il diritto di ipoteca, tale diritto è destinato nondimeno a estinguersi, ove il comune dichiari - secondo il procedimento e nel rispetto dei limiti di cui all'art. 7, quinto comma, della legge n. 47 del 1985 - l'esistenza di prevalenti interessi pubblici al mantenimento dell'immobile (da assumere, accertando "l'esistenza di uno specifico interesse pubblico alla conservazione (dell'immobile) e la prevalenza di questo sull'interesse pubblico al ripristino della conformità del territorio alla normativa urbanistico-edilizia"; Corte Cost. sentenza n. 140 del 2018), atteso che tale scelta imprime un vincolo di destinazione al bene acquisito dal comune, che finisce per attrarlo nel patrimonio indisponibile dell'ente.

Ove però tale verifica sia negativa, e quindi il bene risulti ancora facente parte del patrimonio disponibile del Comune, il richiamo alla qualificazione di tale ente come terzo acquirente, nei cui confronti si può procedere ex art. 602 c.p.c., la stessa Corte Costituzionale, al punto 9.3 della sentenza, ha indicato quale debba essere l'esito della procedura esecutiva, onde assicurare al contempo il rispetto della normativa urbanistico-edilizia.

Infatti, l'aggiudicatario, qualora l'immobile si trovi nelle condizioni di cui all'articolo 13 della legge n. 47/1985 - vale a dire qualora presenti la cosiddetta doppia conformità - dovrà presentare domanda di concessione in sanatoria entro 120 giorni dalla notifica del decreto emesso dalla autorità giudiziaria (art. 17, quinto comma, della legge n. 47 del 1985). Parimenti, qualora l'immobile sia condonabile, in quanto rientri nelle previsioni di sanabilità di cui al Capo IV della medesima legge e sia oggetto di un trasferimento derivante da procedure esecutive, "la domanda di sanatoria può essere presentata entro centoventi giorni dall'atto di trasferimento dell'immobile purché le ragioni di credito per cui si interviene o procede siano di data anteriore all'entrata in vigore della medesima legge" (art. 40, sesto comma, della legge n. 47 del 1985 e successivamente, art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, recante "Misure di razionalizzazione della finanza pubblica" e art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante "Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici", convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326).

Se invece, non ricorrano i presupposti per ottenere la sanatoria dell'immobile o non trovino applicazione eventuali condoni, da un lato, il carattere abusivo e non sanabile dell'immobile deve risultare dall'avviso di vendita (cfr. Cass., sentenza 11 ottobre 2013, n. 23140) e, da un altro lato, il bene sarà trasferito all'aggiudicatario unitamente all'obbligazione propter rem di provvedere alla demolizione, con tutte le conseguenze che ne derivano in caso di inottemperanza.

Rileva il Collegio che tale seconda ipotesi era stata reputata di difficile praticabilità dalla precedente ordinanza interlocutoria di queste Sezioni Unite n. 583 del 2024, che alla pag. 24, aveva dubitato della possibilità di ammettere una vendita sottoposta alla condizione sospensiva dell'assunzione dell'obbligo di demolizione da parte dell'acquirente, sul presupposto che la scelta della demolizione e la possibilità di eseguirla sarebbero una prerogativa esclusiva del Comune.

Tuttavia, tale dubbio, oltre ad apparire evidentemente risolto dalla sentenza della Corte Costituzionale, che esplicitamente contempla tale soluzione, sembra dissolversi alla luce di quanto previsto per effetto della recente introduzione nel t.u. edilizia della norma che consente al comune, a determinate condizioni, di alienare i beni confiscati.

Infatti, "(n)ei casi in cui l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, culturali, paesaggistici, ambientali o di rispetto dell'assetto idrogeologico, il comune, previo parere delle amministrazioni competenti ai sensi dell'articolo 17-bis della legge n. 241 del 1990, può, altresì, provvedere all'alienazione del bene e dell'area di sedime determinata ai sensi del comma 3, nel rispetto delle disposizioni di cui all'articolo 12, comma 2, della legge 15 maggio 1997, n. 127, condizionando sospensivamente il contratto alla effettiva rimozione da parte dell'acquirente delle opere abusive.

È preclusa la partecipazione del responsabile dell'abuso alla procedura di alienazione. Il valore venale dell'immobile è determinato dall'agenzia del territorio tenendo conto dei costi per la rimozione delle opere abusive" (art. 1, comma 1, lettera d, del D.L. n. 69 del 2024, come convertito, che ha aggiunto la citata disposizione dopo il primo periodo dell'art. 31, comma 5, del D.P.R. n. 380 del 2001).

La netta scelta legislativa a favore della trasmissione dell'obbligo di demolizione in capo all'acquirente del bene acquisito al patrimonio disponibile del Comune conforta sul piano del diritto positivo, quindi, la soluzione indicata dalla Consulta che, per le ipotesi di non sanabilità dell'abuso, impone all'aggiudicatario di dover provvedere alla demolizione dell'opera abusiva, a conferma del fatto che non si tratta, come invece dubitato da parte di queste stesse Sezioni Unite, di una prerogativa esclusiva dell'ente pubblico.

15. Il ricorso è pertanto accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Agrigento, in persona di diverso magistrato, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e dichiara proseguibile l'esecuzione, con rinvio al Tribunale di Agrigento, in persona di diverso magistrato, anche per le spese del giudizio di legittimità;

Così deciso, in Roma, nella Camera di consiglio, l'11 marzo 2025.

Depositato in Cancelleria il 25 aprile 2025.

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