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Mutuo pagato durante la convivenza: si può chiedere il rimborso dopo la rottura?

Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.11337 del 30/04/2025

Chi paga da solo le rate del mutuo per la casa in cui vive con il proprio convivente può chiedere la restituzione di quanto versato se la relazione finisce?

La risposta arriva dalla Cassazione civile, Sez. II, ordinanza 30 aprile 2025 n. 11337, che conferma l'orientamento giurisprudenziale sull'adempimento di obbligazioni naturali nel contesto della convivenza more uxorio.

La vicenda

Nel caso concreto, un uomo aveva versato in tre anni 24.000 euro per pagare da solo il mutuo dell'abitazione comune.

Dopo la rottura della relazione, aveva chiesto la restituzione della somma, sostenendo di essersi indebitamente impoverito a vantaggio dell'ex compagna.

Ma i giudici hanno respinto la sua domanda.

I principi in materia

L'art. 2034 c.c. esclude la ripetizione di quanto è stato prestato in adempimento di obbligazioni naturali.

Secondo la giurisprudenza consolidata, le attribuzioni patrimoniali tra conviventi, come il pagamento del mutuo per la casa comune, sono considerate prestazioni doverose quando:

  • sono adeguate alle circostanze;

  • sono proporzionate al patrimonio e alla condizione sociale del solvens;

  • rientrano nell'ambito di una relazione affettiva stabile, dove si presume un dovere reciproco di collaborazione e assistenza materiale e morale.

La Cassazione precisa anche che l'azione generale di arricchimento senza causa (§2041 c.c.) non può essere usata se il vantaggio ottenuto dall'altro convivente dipende da un atto di liberalità, da un contratto, o da una prestazione spontanea fondata su un dovere morale e sociale.

La decisione della Corte

La Cassazione ha ritenuto che il pagamento delle rate del mutuo fosse un atto spontaneo, frutto del dovere di contribuire alla vita comune.

La Corte d'appello aveva già stabilito che:

  • l'importo versato dal ricorrente non superava quanto sarebbe stato pagato per un canone di locazione;

  • la somma era congrua e proporzionata alla sua disponibilità economica;

  • la prestazione si inseriva nel contesto di una relazione affettiva consolidata.

La Suprema Corte ha quindi confermato questa valutazione, ritenendola incensurabile in sede di legittimità. Il ricorso è stato rigettato e il ricorrente condannato alle spese di lite.

Conclusione

Pagare il mutuo della casa in cui si vive con il proprio partner, anche senza essere sposati, non dà diritto alla restituzione di quanto versato, se la relazione finisce.

Lo dice la legge e lo ribadisce la Cassazione: si tratta di un adempimento spontaneo di un dovere morale e sociale. Solo quando i versamenti risultano eccessivi e sproporzionati rispetto alle condizioni patrimoniali di chi li compie, è possibile valutarli come ingiustificati.

Se volete mettervi al riparo da sorprese, valutate accordi scritti anche nella convivenza. Perché, come insegna il caso: “quando finisce l’amore… cominciano le citazioni. E non quelle poetiche".

Convivenza more uxorio, attribuzione patrimoniale a favore del convivente, adempimento di un'obbligazione naturale, limiti di proporzionalità e di adeguatezza

L'attribuzione patrimoniale a favore del convivente more uxorio configura l'adempimento di un'obbligazione naturale, sempre che il giudice di merito, ad esito di un giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità, abbia ritenuto che l'attribuzione medesima sia adeguata alle circostanze e proporzionata all'entità del patrimonio e alle condizioni sociali del solvens e, dunque, non travalichi i limiti di proporzionalità e di adeguatezza.

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Cassazione civile, sez. III, ordinanza 30/04/2025 (ud. 23/04/2025) n.11337

FATTI DI CAUSA

1. St.Mi. conveniva davanti al Tribunale di Brescia Va.Sa., chiedendo la condanna della convenuta al pagamento, in suo favore, della somma di Euro 20.000,00. A fondamento della domanda deduceva che a) aveva convissuto, more uxorio, con la Va.Sa. dal 2012 al febbraio 2015, presso l'appartamento di proprietà di quest'ultima, sito in M, via (Omissis), gravato da mutuo; b) lui lavorava come operaio, mentre la Va.Sa. era studente tirocinante psicologa in ospedale, maestra di karate e pluricampionessa italiana, europea e mondiale in questa disciplina; c) all'epoca della convivenza, la Va.Sa. non percepiva alcuno stipendio e, quindi, era stato lui a fare la spesa, pagare le bollette ed il mutuo della causa, per tre anni (sopportando esborsi per un totale di Euro 28.800,00); d) aveva provveduto a comprare dei mobili per la casa ed aveva anche versato 10.000,00 Euro alla Va.Sa., per l'acquisto di un'auto nuova, intestata alla madre della stessa, Bo.Br., ma in uso alla Va.Sa.; e) essendo venuta meno la relazione e non avendo egli altra abitazione, si era trasferito dalla madre.

Tanto premesso in fatto, l'odierno attore esponeva in diritto che, non essendo stati rispettati, nella convivenza more uxorio, i principi di proporzionalità ed adeguatezza alle condizioni sociali, aveva diritto a vedersi ripetere quanto corrisposto in eccesso ex art. 2033 cod. civ. e segg. e, se del caso, anche ex art 2041 cod. civ., oltre interessi e rivalutazione dalla data di messa in mora al saldo ed oltre al risarcimento dei danni subiti.

Nella contumacia della convenuta, la causa veniva istruita mediante acquisizione della documentazione prodotta dalle parti; ammissione dell'interrogatorio formale della convenuta (che non si presentava a renderlo); audizione dei testi dedotti da parte attorea.

Il Tribunale di Brescia, con sentenza n. 950/23, condannava la convenuta contumace Va.Sa. a pagare in favore dello St.Mi. la somma di Euro 12.000, "oltre interessi legali dal dovuto", per lo "squilibrio economico" determinatosi durante la convivenza more uxorio in conseguenza del pagamento in favore della convenuta della somma complessiva di Euro 24.000, "anche probabilmente per il pagamento del mutuo della casa".

Avverso la sentenza del giudice di primo grado veniva proposto appello dalla Va.Sa., che in via preliminare, eccepiva la nullità della notificazione dell'atto di citazione trasmesso via PEC all'indirizzo estratto dall'Albo dell'Ordine degli Psicologi, benché il contenzioso afferisse alla sua attività professionale; nel merito, chiedeva la riforma della sentenza gravata, sul presupposto che i versamenti di danaro eseguiti durante la convivenza fossero irripetibili in quanto eseguiti in adempimento di un'obbligazione naturale.

Si costituiva nel giudizio di appello lo St.Mi., che chiedeva il rigetto del gravame.

La Corte d'Appello di Brescia, con sentenza n. 795/2024, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda dello St.Mi., condannandolo alle spese processuali relative al grado.

2. Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto ricorso lo St.Mi.

Ha resistito con controricorso la Va.Sa.

Per l'odierna adunanza il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte.

Il Difensore di parte ricorrente ha depositato memoria.

La Corte si è riservata il deposito della motivazione entro il termine di giorni sessanta dalla decisione.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. St.Mi. articola in ricorso due motivi.

1.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia "nullità sentenza ex art. 132 comma 2 n. 4 cpc violazione e falsa applicazione art 360 n.3 cpc in relazione all'art. 116 e 232 cpc e all'art. 2 Cost., art. 2034 -2041 - 2043 cod. civ." nella parte in cui la corte territoriale - dopo aver confermato la regolarità della notifica degli atti di prime cure alla Va.Sa., che quindi era rimasta contumace nel processo, e non era comparsa neppure a rendere interpello, non ha tratto le conseguenze di legge sul punto, ex art. 116 -232 Cpc, in quanto, pur dando per provate le sue elargizioni, ha ritenuto insussistente il suo diritto di ripetere le attribuzioni patrimoniali effettuate nel corso della relazione, senza tener conto della giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 3713/2003 e n. 11303/2020), formatasi in materia, che impone una disamina sulla proporzionalità e sulla adeguatezza alla luce dell'entità del patrimonio e delle condizioni sociali dei conviventi.

Osserva che a) la corte di merito ha sostenuto che le dazioni fatte da un convivente all'altro vanno intese come adempimenti che la coscienza sociale ritiene doverosi nell'ambito di un consolidato rapporto affettivo che non può non implicare forme di collaborazione e di assistenza morale e materiale; b) che, in disparte il fatto che il suo rapporto affettivo con la Va.Sa. era durato appena tre anni, detta ricostruzione è vera per le spese ordinarie di vita, ma non per quelle elargizioni che sono straordinarie ed effettuate con bonifico; c) lui non ha chiesto la restituzione di tutte le somme impiegate per il mantenimento ordinario della compagna nel corso dei tre anni di convivenza (in punto di vitto, bollette, assicurazioni, carburante, spese condominiali, vacanze eccetera, ma) ha chiesto la restituzione delle sole somme versate alla compagna direttamente con bonifici periodici e utilizzate dalla stessa per il pagamento del mutuo relativo all'immobile di proprietà Va.Sa.; d) lui ha dimostrato l'acquisto dei mobili, dell'automobile, beni che, nell'impoverire lui, avevano invece arricchito la Va.Sa.

Si duole che, mentre il giudice di primo grado, in conformità al principio di diritto affermato da Cass. n. 4659/2015, aveva affermato il suo diritto a percepire la metà di quanto versato con bonifico alla compagna in costanza di convivenza, la corte di merito con motivazione apodittica e perplessa ha invece sostenuto che la coscienza sociale ritiene corrispondente ad assistenza morale e materiale della convivente tutto intero il suo patrimonio per tre interi anni di convivenza.

In definitiva, secondo il ricorrente, le elargizioni da lui effettuate, nella misura di Euro 25.400, sarebbero da ritenersi del tutto sproporzionate rispetto alle sue possibilità quale solvens ed avrebbero determinato un indebito arricchimento a favore della Va.Sa., con la conseguenza che dovrebbe essere confermato il suo diritto ad ottenere detta somma almeno nella metà.

1.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia "violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360 comma 1 n. 5 cpc. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti" nella parte in cui la corte di merito ha affermato che lui non aveva provato la sua consistenza patrimoniale, così argomentando lui, era sì di professione operaio e, oltre a mantenere la sua compagna nella quotidianità e in tutte le di lei esigenze di vita, aveva sì versato alla stessa con rimesse periodiche per la durata della convivenza (tre anni) la somma di 25.400 euro; tuttavia, non avendo lui specificato l'entità della sua retribuzione, ha ritenuto la somma di 25.400 Euro pari a 666 Euro al mese e corrispondente ad un proporzionato corrispettivo per canone locatizio.

Sottolinea che a) dagli estratti di conto corrente, da lui depositati, risulta non soltanto l'accredito sul conto corrente del suo stipendio mensile pari a circa 1.700 Euro al mese dalla datrice di lavoro Bon.Da Velocar Srl, per tutti e tre gli anni di convivenza, ma anche che l'accredito dello stipendio costituiva la sua sola entrata; b) i bonifici non avvenivano mensilmente, ma secondo scansioni temporali diverse, indice questo che non erano finalizzati al pagamento di un canone mensile o per spese di vita, ma di un impegno economico di natura straordinaria; c) al termine della convivenza lui era rimasto senza alcuna risorsa propria, mentre la compagna si era arricchita per effetto del mutuo, che aveva pagato lui, e dei beni da lui pagati.

In definitiva, secondo il ricorrente, la corte di merito è incorsa nel vizio denunciato nella parte in cui non ha tenuto conto dell'entità del suo stipendio ai fini delle valutazioni di proporzionalità e adeguatezza degli esborsi e non ha condannato la Va.Sa. a restituirgli quanto versato in eccesso rispetto alle normali necessità quotidiane.

2. Il ricorso non è fondato.

2.1. Non fondato è il primo motivo.

In via generale, va ribadito che a) l'azione generale di arricchimento ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell'altro che sia avvenuta senza giusta causa, sicché non è dato invocare la mancanza o l'ingiustizia della causa qualora l'arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalità o dell'adempimento di un'obbligazione naturale; b) la nozione di arricchimento di cui all'art. 2041 c.c., va intesa, indifferentemente, sia in senso qualitativo che in senso quantitativo e può consistere tanto in un incremento patrimoniale, quanto in un risparmio di spesa e, più in generale, in una mancata perdita economica; correlativamente il depauperamento può consistere tanto in erogazioni di un'entità pecuniaria, quanto in attività o prestazioni di cui si avvantaggia l'arricchito; c) l'indennizzo, previsto dall'art. 2041 c.c., è finalizzato a reintegrare il patrimonio del depauperato, ragion per cui esso va commisurato all'arricchimento, riconoscendo, in via sostitutiva, al depauperato un quid monetario nei limiti dello stesso arricchimento (perché, altrimenti, si verificherebbe un arricchimento nel senso inverso).

Orbene - con specifico riferimento ai doveri morali e sociali, che trovano la loro fonte nella formazione sociale costituita dalla convivenza more uxorio - i versamenti di denaro eseguiti da un convivente a favore dell'altro durante la convivenza costituiscono adempimento di un'obbligazione naturale e cioè l'esecuzione di un dovere morale e sociale, con conseguente impossibilità di chiederne la restituzione. Tali dazioni vanno generalmente intese come adempimenti che la coscienza sociale ritiene doverosi nell'ambito di un consolidato rapporto affettivo, che non può non implicare forme di collaborazione e, per quanto qui maggiormente interessa, di assistenza morale e materiale.

Nel solco del principio che precede, questa Corte ha avuto modo di precisare (cfr. Cass. n. 14732/2018, n. 11303/2020) che è configurabile l'ingiustizia dell'arricchimento di un convivente more uxorio ai danni dell'altro in presenza di prestazioni, compiute dal secondo a vantaggio del primo, che esulino dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza - il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto - e travalichino i limiti di proporzionalità e di adeguatezza.

Orbene, nella sentenza impugnata la corte di merito - dopo aver affermato, con accertamento di fatto, che lo St.Mi., di professione operaio, era, tra i due conviventi, unico percettore di reddito ed aveva provveduto a pagare, per la durata della convivenza (tre anni), le rate del mutuo, per complessivi Euro 24 mila, di cui era gravata la casa, nella quale entrambi i conviventi avevano vissuto - ha ritenuto che detto importo (pari ad Euro 8000 all'anno e, dunque, ad Euro 666 al mese), in quanto corrispondente a quanto notoriamente sarebbe stato speso a titolo di canone di locazione per una unità immobiliare, fosse proporzionato e, come tale, da ricondursi ad una forma di collaborazione e di assistenza morale e materiale, che si reputa doverosa nell'ambito di un consolidato rapporto affettivo (Cass. n. 3713/2003, Cass. n. 11303/2020)

Tanto affermando, la corte di merito non ha soltanto qualificato i versamenti effettuati dallo St.Mi. come adempimenti di obbligazioni naturali ex art. 2034 c.c., in quanto eseguiti nell'ambito di una convivenza more uxorio consolidata, ma ha anche compiuto una non implausibile valutazione di proporzionalità e di adeguatezza, richiesta dalla giurisprudenza di questa Corte e rimessa all'esclusivo apprezzamento del giudice di merito.

In definitiva, va qui ribadito il principio per cui l'attribuzione patrimoniale a favore del convivente more uxorio configura l'adempimento di un'obbligazione naturale, sempre che il giudice di merito, ad esito di un giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità, abbia ritenuto che l'attribuzione medesima sia adeguata alle circostanze e proporzionata all'entità del patrimonio e alle condizioni sociali del solvens (e, dunque, non travalichi i limiti di proporzionalità e di adeguatezza).

2.2. Inammissibile è il secondo motivo.

Il ricorrente si duole che la corte territoriale non ha tenuto conto degli estratti di conto corrente, da lui prodotti, dai quali risultava l'accredito mensile del suo stipendio, che fu pari ad Euro 1700 per tutti e tre gli anni di convivenza.

Senonché il ricorrente, tanto affermando, ignora che la sentenza impugnata ha formulato il sopra menzionato giudizio di proporzionalità e di adeguatezza sulla base della non contestata quantificazione delle somme corrisposte (dallo St.Mi.) per il pagamento delle rate del mutuo (della Va.Sa.), "in difetto di più compiute allegazioni".

Con tale inciso, la corte ha implicitamente rilevato che l'entità degli accrediti non era risultata corroborata da documenti fiscali sul reddito complessivo vale a dire, tali da comprovare che quegli accrediti costituissero davvero l'unico reddito durante tutto il tempo della convivenza.

Ed il ricorrente inammissibilmente non si confronta con detta ratio decidendi non bastando, al riguardo, la doglianza della mancata considerazione di documenti, quali i soli estratti di conto corrente, da cui in teoria sarebbero state desumibili alcune poste reddituali attive, ma non anche il determinante dato della loro esclusività ai fini della composizione del reddito.

Donde l'inammissibilità del motivo.

3. Al rigetto del ricorso consegue la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese sostenute da parte resistente, nonché la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell'importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).

P.Q.M.

La Corte

- rigetta il ricorso;

- condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, spese che liquida in Euro 3.100 per compensi, oltre, alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di parte ricorrente in favore del competente ufficio di merito, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma il 23 aprile 2025.

Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2025.

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