Anche una condanna penale non definitiva può giustificare la sospensione cautelare di un avvocato.
Lo stabiliscono le Sezioni Unite civili della Cassazione con l’ordinanza n. 11464 depositata il 1° maggio 2025.
Un avvocato, condannato in primo grado a sette anni di reclusione per gravi reati di bancarotta, era stato sospeso cautelarmente dall’esercizio della professione per otto mesi dal Consiglio distrettuale di disciplina di Firenze.
La decisione si fondava sulla gravità delle condotte e sul cosiddetto strepitus fori, ossia il clamore e l’eco mediatica della vicenda, che aveva leso la reputazione non solo del singolo ma dell’intera categoria forense.
Il Consiglio Nazionale Forense aveva confermato la sospensione, escludendo la violazione del principio del ne bis in idem, nonostante l’avvocato avesse già subito misure cautelari penali.
La Suprema Corte ha chiarito che l’art. 60 della legge professionale forense (L. 247/2012) consente la sospensione cautelare anche in assenza di una condanna definitiva. La norma prevede che il Consiglio distrettuale possa sospendere l’avvocato già condannato in primo grado a una pena detentiva non inferiore a tre anni.
La Cassazione ha ribadito che questa scelta legislativa risponde alla necessità di una tutela tempestiva dell’immagine della professione e della fiducia del pubblico nella correttezza degli avvocati. Richiedere una condanna definitiva priverebbe la misura cautelare di efficacia, riducendola a una mera duplicazione della sanzione disciplinare.
Elemento centrale della decisione è il concetto di strepitus fori, ovvero il clamore suscitato dai fatti addebitati all’avvocato. Non è necessario che la notizia sia oggetto di una vasta copertura mediatica: è sufficiente che i fatti abbiano determinato una rilevante esteriorizzazione nel contesto professionale o nell’opinione pubblica, anche solo per effetto della pubblicità del dibattimento penale.
In questo caso, la sentenza di condanna e l’eco mediatica derivante dalla sua pubblicazione avevano determinato uno strepitus fori attuale e significativo.
La Corte ha inoltre escluso che il cumulo tra la sospensione disciplinare e la precedente sospensione penale violi il ne bis in idem o i limiti di durata previsti dall’art. 60. Le due misure hanno natura, presupposti e finalità differenti: quella penale tutela l’ordine pubblico; quella disciplinare protegge la dignità e il prestigio della professione.
Le Sezioni Unite confermano che:
la sospensione cautelare può essere disposta anche in caso di condanna non definitiva;
Il procedimento disciplinare è autonomo rispetto al processo penale;
Il cumulo di misure penali e disciplinari non viola il ne bis in idem;
lo strepitus fori giustifica la sospensione per tutelare l’immagine della categoria forense.
La sospensione cautelare non è una sanzione, ma una misura di tutela dell’interesse pubblico e della reputazione dell’avvocatura.
Cassazione civile, sez. un., ordinanza 01/05/2025 (ud. 11/03/2025) n. 11464
FATTI DI CAUSA
1. Con decisione del Consiglio distrettuale di disciplina forense per il distretto della Corte di Appello di Firenze del 7 maggio 2024, l'avvocato ricorrente veniva sospeso in via cautelare ai sensi dell'art. 60 LpF/32 Reg. disc. per mesi otto in seguito alla condanna da parte del Tribunale di Firenze, in data 24 gennaio 2024, alla pena di anni sette di reclusione all'esito del procedimento penale n. 8324/2017 r.g.n.r., che lo vedeva imputato per molteplici e gravi fattispecie di bancarotta in concorso con altri soggetti ai danni di una pluralità di società - condanna non definitiva e gravata di appello -.
Il sub procedimento cautelare era stato avviato nell'ambito di quello disciplinare n. 230/2019 già incardinato dinanzi al Consiglio distrettuale di disciplina ed iscritto al n. 230/2019, scaturito dalla vicenda oggetto del già menzionato procedimento penale n. 8324/2017 r.g.n.r.
In particolare, a fondamento dell'adottata sospensione, era posta la gravità delle condotte di cui all'imputazione penale a carico dell'odierno ricorrente e per le quali quest'ultimo era stato dichiarato responsabile con conseguente condanna a pesante pena detentiva.
Inoltre, il Consiglio distrettuale riteneva conclamato lo "strepitus fori", in quanto la vicenda aveva destato sin dal suo esordio particolare attenzione da parte delle testate giornalistiche cittadine ed era tornata alla ribalta con la notizia della sentenza di condanna del Tribunale di Firenze.
Evidenziava l'insussistenza della violazione del principio del "ne bis in idem" in riferimento al fatto che all'avvocato era stata applicata, in sede penale, la misura cautelare degli arresti domiciliari, prima, e della interdizione dall'esercizio della professione, successivamente, per un complessivo periodo tra il 13.5.2019 ed il 27.1.2021, trattandosi di provvedimenti basati su presupposti del tutto differenti.
2. Avverso tale pronuncia l'incolpato proponeva ricorso al Consiglio Nazionale Forense che con decisione n. 336/2024 lo rigettava.
Il C.N.F. escludeva vizi motivazionali nella decisione del Consiglio distrettuale in punto di sussistenza dello "strepitus fori".
Evidenziava che nella decisione impugnata si era dato atto della esistenza della sentenza penale di condanna, della assoluta gravità e della pluralità dei fatti, della loro inerenza con l'esercizio dell'attività professionale, oltre che dell'eco mediatica dei medesimi tale da collocare il comportamento di cui era accusato l'incolpato in una dimensione oggettiva di rilevante esteriorizzazione, non solo nello stretto ambiente professionale, di per sé dotato di recettori adeguati e consapevoli, ma anche e soprattutto nell'ambito più vasto dell'opinione pubblica.
Richiamava propri precedenti e la decisione di questa Corte a SS.UU, n. 10740 del 22 aprile 2021 secondo cui il fatto che la notizia sia stata pubblicata da un solo giornale e per un'unica volta non basta di per sé ad escludere il c.d. "strepitus fori", giacché la rilevanza mediatica suscitata dal comportamento imputato al professionista non deve essere misurata esclusivamente sulla base del numero degli articoli pubblicati sulla vicenda e comunque riteneva che lo "strepitus fori" potesse essere determinato, in caso di sentenza di condanna penale, anche dalla naturale diffusività della notizia procurata dalla pubblicità del dibattimento.
Quanto allo "strepitus fori" riteneva legittima la sospensione cautelare anche nell'ipotesi di un lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dei fatti penalmente rilevanti giacché, ai fini dell'irrogazione della misura, quel che rileva è proprio l'attualità dello "strepitus fori" anche se verificatasi dopo molto tempo dall'accadimento dei fatti e/o dall'eventuale inizio del relativo procedimento disciplinare.
Escludeva la sussistenza della violazione del principio del "ne bis in idem", ritenendo che la sentenza di condanna penale, in relazione alla quale il Consiglio distrettuale di disciplina aveva adottato la sospensione cautelare, costituisse un "fatto nuovo" rispetto ad altre circostanze già vagliate in precedenza dagli organi di disciplina e non ritenute tali da giustificare l'emissione della misura interinale.
Riteneva, poi, possibile, sulla base del combinato disposto dell'art. 29, comma 1, lettera c), del Regolamento C.N.F. n. 2/2014 e dell'art. 35, comma 6, del medesimo Regolamento, che il professionista scontasse due periodi di sospensione cautelare dall'esercizio della professione, in ipotesi anche complessivamente superiori al limite massimo di un anno previsto dall'art. 60 della legge professionale, in conseguenza di una misura cautelare interdittiva adottata in sede penale e di una sospensione cautelare emessa dall'organo di disciplina forense, trattandosi di misure aventi natura, presupposti e finalità del tutto differenti.
Escludeva l'eccessività e la sproporzione della sospensione cautelare per otto mesi per essere i fatti penalmente rilevanti ancora sub iudice, valorizzando la diversa finalità e natura della sospensione cautelare rispetto alla sanzione irrogata a conclusione del procedimento disciplinare.
Escludeva, altresì, la violazione dell'art. 60 della legge professionale e dell'art. 32 del Regolamento C.N.F. n. 2/2014 per avere il Consiglio distrettuale effettuato una valutazione sul merito della condotta ascrivibile all'incolpato in assenza di contraddittorio e anticipando la pronuncia disciplinare sui fatti di cui alla sentenza penale ritenendo che le considerazioni espresse apparivano necessarie ai fini della legittima irrogazione della misura cautelare.
Riteneva, inoltre, insussistente la violazione dell'art. 60 della legge professionale e dell'art. 32, comma 1, lettera e), del Regolamento C.N.F. n. 2/2014, evidenziando che la sentenza penale, per costituire valido presupposto per l'irrogazione della sospensione cautelare, non doveva essere definitiva.
3. Contro tale sentenza l'avvocato condannato ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.
4. Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.
5. L'Ufficio della Procura generale della Corte di cassazione ha presentato memoria chiedendo che questa Corte di cassazione voglia rigettare il ricorso dichiarandolo inammissibile o infondato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ex art. 36, comma 6, della L. n. 247/2012, violazione di legge e in particolare dell'art. 60 LpF e 32 Reg. disc. e/o eccesso di potere nella valutazione dello "strepitus fori".
Sostiene che il C.N.F., senza contrastare la deduzione difensiva secondo la quale uno dei due articoli di stampa fondanti il provvedimento del Consiglio distrettuale non faceva menzione dell'incolpato quale avvocato (e che quindi non poteva essere lesivo della categoria professionale) ed attribuendo valore teorico ad un solo articolo di giornale come fondamento di un generico provvedimento di sospensione, sia incorso nella violazione delle norme che precludono al C.N.F. di poter valutare il merito del provvedimento di sospensione cautelare, oltre che incorso nel vizio di eccesso di potere nel motivare, al posto del Consiglio distrettuale, la sufficienza di un solo articolo di giornale per fondare il giudizio di sospensione attribuito all'esclusiva discrezionalità del Consiglio distrettuale.
2. Il motivo è infondato.
Esso innanzitutto, ancorché formalmente prospetti la violazione e la falsa applicazione di norme di legge, in realtà sollecita un rinnovato scrutinio di merito in ordine ai presupposti di fatto della disposta sospensione cautelare, inammissibile in sede di legittimità.
Inoltre, la sentenza impugnata ha rilevato "l'assoluta gravità e la pluralità dei fatti e la loro inerenza con l'esercizio dell'attività professionale, oltre che l'eco mediatica dei medesimi collocano il comportamento di cui è accusato l'incolpato in una dimensione oggettiva di rilevante esteriorizzazione, non solo nello stretto ambiente professionale, di per sé dotato di recettori adeguati e consapevoli, ma anche e soprattutto nell'ambito più vasto dell'opinione pubblica", richiamando sul punto gli elementi di fatto acquisiti a valutati dal Consiglio distrettuale.
Il C.N.F. ha confermato la delibera del Consiglio distrettuale di disciplina, mettendo in rilievo che la sospensione cautelare è stata applicata a fronte di una sentenza di condanna alla pena della reclusione per anni sette e, dunque, al ricorrere di un'ipotesi espressamente prevista dal legislatore (la condanna a pena detentiva non inferiore a tre anni) e in presenza dell'ulteriore presupposto dello "strepitus fori", quale effetto concreto ed attuale della condanna penale del professionista, motivato dal Consiglio distrettuale di disciplina in considerazione dell'oggettiva gravità dei reati commessi, ma con ricadute sull'immagine di avvocato iscritto all'ordine professionale e sull'intero ceto forense.
Il ragionamento è corretto.
Dispone il primo comma dell'art. 60 della legge n. 247/2012: "La sospensione cautelare dall'esercizio della professione o dal tirocinio può essere deliberata dal consiglio distrettuale di disciplina competente per il procedimento, previa audizione, nei seguenti casi: applicazione di misura cautelare detentiva o interdittiva irrogata in sede penale e non impugnata o confermata in sede di riesame o di appello; pena accessoria di cui all'articolo 35 del codice penale, anche se è stata disposta la sospensione condizionale della pena, irrogata con la sentenza penale di primo grado; applicazione di misura di sicurezza detentiva; condanna in primo grado per i reati previsti negli articoli 372,374,377,378,381,640 e 646 del codice penale, se commessi nell'ambito dell'esercizio della professione o del tirocinio, 244, 648-bis e 648- ter del medesimo codice; condanna a pena detentiva non inferiore a tre anni".
L'art. 32 del Reg. disc. n. 2/2014, in larga parte ripetitivo del contenuto della norma primaria, non introduce elementi di utile valutazione per quel che qui rileva.
Come già affermato da questa Corte (v. Cass., Sez, Un., n. 10740 del 22 aprile 2021), si è in presenza, come d'usuale in simili casi, di una norma a contenuto aperto, nel senso che il "può" evocato dalla legge, indirizza verso l'esercizio da parte dell'autorità disciplinare d'una discrezionalità applicativa che, ragionevolmente collegata alla "ratio legis", determini presupposti e ambito della tutela cautelare. Laddove il verbo potere non investe d'arbitrio la scelta, la quale, per contro, diviene obbligata ove ricorrano le circostanze che la impongano. Per quel che qui è di rilievo, non è dubbio che trattasi di opzione che, in presenza di condanna penale, che quanto all'entità della pena inflitta, che al titolo dei reati addebitati (art. 640, cod. pen.), integra l'ipotesi normativa sopra riportata, attiene al vaglio motivazionale. La giustificazione motivazionale è di esclusivo dominio del giudice del merito, con la sola eccezione del caso in cui essa debba giudicarsi meramente apparente (cfr. Cass., Sez. Un., n. 8053 del 7 aprile 2014; Cass., Sez. Un., n. 8054 del 7 aprile 2014; Cass. n. 21257 dell'8 ottobre 2014; Cass. n. 22598 del 25 settembre 2018; Cass. n. 7090 del 3 marzo 2022).
Nella specie il Giudice disciplinare, ben lungi dall'avere assegnato automaticità alla sospensione, e, peraltro ben conscio della gravità dei fatti (tutti maturati nell'esercizio della professione d'avvocato) addebitati al ricorrente con la sentenza di condanna penale, rispondendo a precisa censura del ricorso, ha compiutamente e razionalmente spiegato che lo "strepitus fori" può essere determinato, in caso di sentenza di condanna penale, anche dalla naturale diffusività della notizia procurata dalla pubblicità del dibattimento (richiamando, sul punto, un proprio precedente costituito dalla sentenza del C.N.F. n. 165 del 17 settembre 2020, confermata da questa Corte a Sezioni Unite proprio con la citata sentenza n. 10740/2021 che ha ripreso principi già affermati da Cass., Sez. Un., n. 26148 del 3 novembre 2017 e da Cass., Sez. Un. n. 18984 del 31 luglio 2017).
Inoltre, l'eco di notorietà dei fatti derivante dalla pronuncia di pubblica condanna penale, a prescindere dall'epoca alla quale i fatti risalgono, e, come ovvio, dalla consistenza dell'incolpazione, di esclusivo dominio del giudice penale, rende attuale quello "strepitus fori" costituente la ragione della misura (v. Cass., Sez. Un., n. 19711 del 13 novembre 2012).
Tanto basta a sorreggere la decisione in punto di "strepitus fori", irrilevante essendo la pretesa erroneità della pronuncia là dove avrebbe attribuito diverso peso specifico ai due articoli di giornale posti a fondamento della decisione del Consiglio distrettuale.
3. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ex art. 36, comma 6, della L. n. 247/2012, violazione di legge e in particolare dell'art. 60 LpF, 29 e 32 Reg. disc. e/o eccesso di potere nella misura cautelare sotto il profilo del "ne bis in idem" e della durata massima della sospensione.
Rileva che la sentenza penale nel procedimento disciplinare avviato con la misura cautelare non è un fatto nuovo, ma l'epilogo di (soltanto alcuni e di molto minori) fatti sui quali il procedimento disciplinare era stato avviato.
Sostiene, quanto all'affermata indipendenza tra la sospensione comminata in sede penale e sospensione in sede disciplinare, che, anche a volerle considerare due misure autonome, le stesse sono unificate da una medesima ratio, che è quella di privare l'avvocato solo temporaneamente della possibilità di esercitare la professione.
Essendo, dunque, l'ambito professionale di applicazione delle due misure il medesimo, contrariamente a quanto ritenuto dal C.N.F., la sospensione (all'evidenza un provvedimento ablativo di natura temporanea) non deve superare complessivamente un anno.
4. Il motivo è infondato.
Esso non intercetta il decisum laddove ha attribuito alla sopravvenuta sentenza di condanna, in uno con la assoluta gravità e la pluralità dei fatti e la loro inerenza con l'esercizio dell'attività professionale, oltre che l'eco mediatica dei medesimi, la valenza di fatto idoneo a collocare il comportamento dell'incolpato in una dimensione oggettiva di rilevante esteriorizzazione del comportamento dell'incolpato.
Per il resto la decisione del C.N.F. è conforme rispetto a quanto questa Corte ha da tempo affermato (si vedano Cass., Sez. Un., n. 29878 del 20 novembre 2018 e Cass. n. 2927 del 3 febbraio 2017, n. 2927 che hanno distinto il diverso ambito di operatività della sospensione cautelare disposta in sede disciplinare e di quella adottata dal giudice penale ed ulteriormente precisato che non può ipotizzarsi la violazione dell'art. 6 CEDU in relazione al principio del "ne bis in idem" secondo le statuizioni della sentenza Corte Europea dei Diritti dell'Uomo 4/3/2014, Grande Stevens ed altri c/ Italia, atteso che il provvedimento adottato in sede disciplinare ha come destinatari gli appartenenti ad un ordine professionale, ed è preordinato all'effettivo adempimento dei doveri inerenti al corretto esercizio dei compiti loro assegnati, sicchè ad esso non può attribuirsi natura sostanzialmente penale).
Quanto detto consente di superare anche la questione, posta dal ricorrente, secondo cui il tempo della sospensione dall'esercizio della professione disposto in sede penale e quello della sospensione cautelare disciplinare non debbano nel complesso superare l'anno di cui all'art. 60.
È, infatti, errata la premessa da cui muove il ricorrente (ai fine della ritenuta necessità del contenimento complessivo del periodo di sospensione entro l'anno) e cioè che la misura della sospensione penale (melius la misura cautelare penale trasformata in misura interdittiva in ragione del fatto che l'indagato continuava ad esercitare la professione) e quella della sospensione cautelare disciplinare abbiamo la medesima ratio.
Va ribadito che i provvedimenti tendono a salvaguardare esigenze differenti (nel primo caso, di ordine pubblico; nel secondo caso, di protezione della funzione sociale dell'Ordine Forense, al fine di prevenire la ripetizione di illeciti legati all'esercizio della professione e di proteggere chi potrebbe interagire con un avvocato che ha abusato del suo ruolo per scopi estranei alla difesa) pur avendo l'identico effetto di impedire lo svolgimento della professione.
La sospensione adottata in sede disciplinare, che - si ricorda - non ha natura di sanzione disciplinare ma è un provvedimento amministrativo di carattere precauzionale e provvisorio, svincolato dalle forme e dalle garanzie del procedimento disciplinare (caratteristiche che sono rimaste immutate anche con la nuova formulazione dell'istituto di cui all'art. 60 della L. n. 247/2012: v. Cass., Sez. Un., n. 26148/2017 cit.), ha la propria ratio nell'esigenza di salvaguardare la dignità e il prestigio dell'Ordine forense (v. in tal senso già Cass., Sez. Un., n. 28505 del 23 dicembre 2005) ed il bene tutelato è l'immagine stessa della categoria, che è il risultato della reputazione di ognuno e che non può consentire che l'onore e la credibilità di tutti i professionisti vengano pregiudicati dal comportamento del singolo.
Ed allora, le indicate misure, disciplinate da norme specificamente dettate per ciascuna di esse, hanno autonome e distinte previsioni di durata.
Non può, dunque, parlarsi di consumazione del potere di cui all'art. 60 L. n. 247/2012 per il fatto dell'essere stato l'incolpato già sospeso cautelarmente in sede penale.
Del resto, come evidenziato anche nella sentenza impugnata, la possibilità che l'avvocato sconti due periodi di sospensione cautelare dall'esercizio della professione, in ipotesi anche complessivamente superiori al limite massimo di un anno previsto dall'art. 60 della legge professionale, in conseguenza di una misura cautelare interdittiva adottata in sede penale e di una sospensione cautelare emessa dall'organo di disciplina forense, è desumibile dalla circostanza che il c.d. scomputo del presofferto di sospensione cautelare disposta sia dall'organo di disciplina forense sia dall'autorità giudiziaria penale è previsto solo con riguardo alla durata della sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio della professione, come detto ontologicamente diversa dalla sospensione cautelare (si vedano l'art. 29, comma 1, lettera c), Reg. disc. n. 2/2014 secondo il quale "la durata della pena accessoria dell'interdizione dall'esercizio della professione e/o di quella cautelare interdittiva inflitte all'avvocato dall'autorità giudiziaria è computata nella durata della sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio della professione" e l'art. 35, comma 6, del medesimo Regolamento secondo il quale "Qualora sia stata irrogata la sanzione della sospensione a carico di un iscritto al quale, per il medesimo fatto, sia stata applicata la sospensione cautelare, il Consiglio dell'Ordine determina d'ufficio senza ritardo la durata residua della sanzione, detraendo il periodo di sospensione cautelare già scontato").
5. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, ex art. 36, comma 6, della L. n. 247/2012, violazione di legge e in particolare dell'art. 60 LpF e 32 Reg. disc. e/o eccesso di potere nella mancanza di motivazione della durata della sanzione disciplinare della sospensione.
Censura la sentenza impugnata per aver ritenuto motivato il provvedimento con il quale è stata adottata la sospensione cautelare.
6. Il motivo è inammissibile perché con esso il ricorrente contrappone alla valutazione del C.N.F. una propria diversa lettura dell'atto di sospensione.
Il Consiglio ha, sul punto, affermato che "nel caso di specie, non v'è dubbio che la pluralità e l'assoluta gravità delle condotte contestate al professionista e la circostanza che egli abbia agito spendendo il titolo di avvocato o mettendo a disposizione le proprie specifiche competenze professionali, ben avrebbe potuto comportare anche un provvedimento di sospensione di durata massima consentito dal legislatore" ed ancora che "il livello enorme di gravità dei fatti contestati si riverbera, del resto, anche sulla intensità del "clamor" (o meglio, "strepitus") che i fatti hanno suscitato nella collettività come comprovato dagli articoli di stampa del giorno seguente la sentenza penale di condanna di primo grado" (v. pag. 11 della sentenza impugnata), con ciò significando che una motivazione adeguata rispetto all'offesa al decoro professionale e rapportata al quantum del periodo di sospensione era già insita nel fatto contestato.
7. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia, ex art. 36, comma 6, della L. n. 247/2012, violazione di legge e in particolare dell'art. 60 LpF, 11 e ss. e 32 Reg. disc. e/o eccesso di potere nella valutazione del merito della condotta.
Sostiene che tanto il Consiglio distrettuale quanto il C.N.F. hanno fatto genericamente riferimento a fatti e condotte, senza precisare di quali si stesse effettivamente parlando ed assume che ciò ha rilievo specie se si considera che i fatti sui quali è iniziato il procedimento penale sono ben 18, mentre i fatti presi in esame dalla sentenza penale sono solamente 4 di cui solo 3 hanno portato alla condanna (impugnata in appello).
8. Il motivo è inammissibile.
Anche in questo caso, ad onta delle denunciate violazioni di legge, le censure scivolano nel merito dell'apprezzamento del C.N.F. che ha valutato in modo congruo la gravità e la pluralità delle condotte contestate al professionista e la circostanza che egli abbia agito spendendo il titolo di avvocato e mettendo a disposizione le proprie specifiche competenze professionali, che hanno comportato la condanna per reati di bancarotta.
9. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia, ex art. 36, comma 6, della L. n. 247/2012, violazione di legge e in particolare dell'art. 60 LpF e 32 Reg. disc. e/o eccesso di potere.
Censura la sentenza impugnata per aver interpretato l'espressione "condanna" di cui all'art. 60 lettera e) con condanna anche non definitiva.
10. Il motivo è infondato.
Come già affermato da questa Corte (Cass., Sez. Un. n. 26148/2017 cit.), l'interpretazione sistematica e la ratio dell'art. 60, comma 1, della legge n. 247 del 2012 inducono a ritenere che la "condanna a pena detentiva non inferiore a tre anni" che giustifica l'applicazione della sospensione cautelare è la condanna in primo grado, non essendo richiesta l'irrevocabilità della sentenza. Per un verso, infatti, il citato art. 60, comma 1, indica, tra i casi nei quali la misura può essere deliberata dal consiglio distrettuale di disciplina competente per il procedimento, la "condanna in primo grado per i reati previsti negli articoli 372,374,377,378,381,640 e 646 del codice penale, se commessi nell'ambito dell'esercizio della professione, 244, 648-bis e 648-ter del medesimo codice" e l'irrogazione, "con la sentenza penale di primo grado", della "pena accessoria di cui all'articolo 35 del codice penale, anche se è stata disposta la sospensione condizionale della pena".
Da tale disposizione si ricava quindi che il legislatore mostra di considerare la pronuncia di una sentenza di condanna in primo grado in tutti i casi condizione necessaria e sufficiente per l'applicazione della misura: per taluni reati a prescindere dall'entità della pena, e per tutti gli altri solo quando è stata irrogata la pena accessoria della sospensione dall'esercizio della professione (art. 35 cod. pen.), anche se vi sia la sospensione condizionale della pena, ovvero in presenza di una condanna non inferiore a tre anni.
La mancanza, nella ipotesi che qui viene in considerazione della condanna a pena detentiva non inferiore a tre anni, della espressa specificazione "in primo grado" o "di primo grado", non esprime, dunque, un significato nel senso della necessità del passaggio in giudicato della pronuncia.
Questa interpretazione è l'unica coerente con la ratio della norma, che è quella di prevedere l'applicazione di una misura cautelare con un provvedimento amministrativo non giurisdizionale a carattere provvisorio ed urgente in ipotesi tipiche di accertata rilevante gravità.
Ove dovesse essere applicata solo in esito ad un accertamento definitivo e irretrattabile della responsabilità penale, la sospensione cautelare sarebbe priva di qualsiasi effetto concreto, divenendo un'inutile duplicazione della sanzione disciplinare, e non assolverebbe alla funzione di tutela dell'immagine della categoria professionale degli avvocati proprio nel momento dello "strepitus fori", e quindi all'atto del verificarsi della lesione.
Non è dunque necessario che la condanna penale di cui agli artt. 60 L. n. 247/2012 e 32 Reg. disc. sia definitiva, in quanto ciò contrasterebbe con la ratio della misura cautelare stessa, la quale è estranea al giudizio prognostico sulle responsabilità dell'incolpato.
8. Il ricorso è pertanto rigettato.
9. Nulla a disporre quanto alle spese, atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte degli intimati.
8. Occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass., Sez. Un., 20 febbraio 2020, n. 4315, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dall'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115/2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio dell'11 marzo 2025.
Depositato in Cancelleria l'1 maggio 2025.