Se un alunno è vittima di abusi sessuali da parte di un insegnante, il Ministero dell’Istruzione è tenuto a risarcire il danno?
La Terza Sezione civile della Cassazione, con l'ordinanza n. 11614 del 3 maggio 2025, ha risposto affermativamente.
Lo Stato risponde per i danni causati dai propri dipendenti, anche se le loro condotte sono in netto contrasto con le finalità istituzionali.
Il caso
Quattro ex alunni di una scuola media in Liguria hanno agito in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa degli abusi sessuali compiuti da un docente tra il 2003 e il 2006. L’insegnante era già stato condannato in sede penale a nove anni e sei mesi di reclusione.
La domanda risarcitoria era stata accolta in primo grado e solo parzialmente ridotta in appello, che aveva scomputato le somme già riconosciute come provvisionali. La Cassazione, invece, ha integralmente confermato la responsabilità del Ministero e ha ripristinato le somme liquidate dal Tribunale, ritenendo errata la decurtazione operata dalla Corte d’Appello.
La responsabilità ex art. 2049 c.c.
La Suprema Corte ha richiamato il principio già espresso dalle Sezioni Unite (Cass., n. 13246/2019), secondo cui la responsabilità del datore di lavoro pubblico sussiste quando la condotta illecita del dipendente, pur deviata o abusiva, non costituisca uno sviluppo oggettivamente anomalo delle funzioni esercitate.
Nel caso di specie, secondo la Corte, sussistono entrambi i presupposti:
un nesso di occasionalità necessaria tra la condotta del docente e il suo ruolo;
l’assenza di imprevedibilità oggettiva, data la natura stessa dell’incarico svolto in un contesto educativo e di affidamento fiduciario.
La prevedibilità del rischio
La Corte ha sottolineato che la scuola ha un obbligo giuridico di vigilanza e tutela dell’incolumità dell’allievo, anche rispetto a condotte lesive poste in essere da soggetti interni, come docenti e collaboratori.
In più punti dell’ordinanza si ricorda che le situazioni di affidamento di minori per finalità educative costituiscono, per loro natura, un contesto insidioso e non eccezionale per il rischio di abusi, come riconosciuto sia dalla legislazione nazionale (art. 609-quater c.p.) che da quella sovranazionale, in particolare la Convenzione di Lanzarote (L. n. 172/2012).
Le conseguenze per la P.A.
Per la Cassazione, anche se l’interesse personale dell’insegnante era deviante e morboso, la dinamica con cui si sono svolti i fatti non è apparsa imprevedibile: è proprio l’approfittamento del ruolo educativo che ha reso possibile gli abusi. La frequenza e reiterazione delle condotte (anche in orario scolastico e durante una gita) rendevano doveroso l’intervento preventivo degli organi ministeriali.
Il Ministero, pertanto, non solo non è esonerato da responsabilità, ma anzi deve rispondere in solido dei danni, anche laddove non fosse parte nel processo penale.
Il principio sulla provvisionale
La Cassazione ha anche affermato un principio innovativo: le somme riconosciute a titolo di provvisionale nel processo penale a carico del solo autore materiale del reato non vanno scomputate dal risarcimento dovuto dal Ministero. Detrarle comporterebbe una violazione del principio di solidarietà tra coobbligati, danneggiando le vittime.
L'importo del risarcimento
Con decisione nel merito, la Corte ha condannato il Ministero a versare integralmente gli importi già liquidati in primo grado a favore delle vittime, riconoscendo sia il danno biologico sia quello morale, inclusa la lesione dei diritti costituzionali, come il diritto allo studio e all’integrità psicofisica.
Conclusioni
La scuola ha un compito educativo, ma anche una funzione di protezione. Quando è lo stesso ambiente scolastico a diventare terreno di abuso, lo Stato non può voltarsi dall'altra parte. La responsabilità è oggettiva e impone al Ministero di risarcire, prevenire e vigilare.
Ai fini della responsabilità civile per fatto illecito commesso dal dipendente, è sufficiente un rapporto di occasionalità necessaria tra il fatto dannoso e le mansioni esercitate dal dipendente, che ricorre quando l'illecito è stato compiuto sfruttando comunque i compiti da questo svolti, anche se il dipendente ha agito oltre i limiti delle sue incombenze e persino se ha violato gli obblighi a lui imposti.
Cassazione civile, sez. III, ordinanza 03/05/2025 (ud. 23/04/2025) n. 11614
FATTI DI CAUSA
1. Pa.Lu., Gi.Gu., La.Sa. e Ca.Mi. convenivano in giudizio innanzi al Tribunale di Genova il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca (MIUR), oggi Ministero dell'Istruzione e del Merito (MIM), affermando la responsabilità civile dell'Amministrazione per le condotte delittuose di Ge.Fa., docente di educazione musicale presso la scuola media statale "(Omissis)" di C, il quale era stato condannato in via definitiva a nove anni e sei mesi di reclusione per abusi e violenze sessuali compiuti negli anni 2003-2006 ai danni degli attori, all'epoca minori e allievi del predetto istituto scolastico; deducevano di essersi costituiti parte civile dell'ambito del processo penale contro il Ge.Fa., nel corso del quale il Ministero non era stato evocato come responsabile civile.
2. Costituitosi in giudizio, il Ministero eccepiva la prescrizione dell'azione, deduceva l'inopponibilità del giudicato penale e l'erroneo richiamo dell'art. 2049 c.c. e rilevava la carenza o genericità delle allegazioni avversarie.
3. Con la sentenza n. 2122 del 28/9/2021, il Tribunale di Genova, istruita la causa con C.T.U. medico-legale sulla persona degli attori, così statuiva: condannava la Pubblica Amministrazione "a pagare: in favore di La.Sa. la somma di Euro 42.428,00 a titolo risarcimento danno biologico, danno morale transeunte, oltre ulteriori Euro 15.000,00 a titolo di danno morale da reato e da lesione di diritti costituzionali; in favore di Pa.Lu. Euro 55.650,00 a titolo di danno biologico, e danno morale transeunte, oltre Euro 650,00 per esborsi documentati, e oltre Euro 30.000,00 per danno morale da reato e da lesione di diritti costituzionali; in favore di Ca.Mi. Euro 42.428,00 a titolo di danno biologico, danno morale transeunte, oltre Euro 15.000,00 per danno morale da reato e da lesione di diritti costituzionali; in favore di Gi.Gu. Euro 29.454,00 a titolo di danno biologico, e danno morale transeunte, oltre Euro 30.000,00 per danno morale da reato e da lesione di diritti costituzionali. Sugli importi liquidati a titolo di danno non patrimoniale (già rivalutati al 2021 secondo la tabella in uso) devono essere riconosciuti gli interessi di natura compensativa previa devalutazione fino alla data del fatto illecito e rivalutazione di anno in anno (Cassazione civile n. 1712/1995)."; infine, regolava le spese del giudizio in favore degli attori.
4. Adita dal Ministero, la Corte d'Appello di Genova, con la sentenza n. 894 del 21/7/2023, riformava parzialmente la decisione e così provvedeva: "... ridetermina il danno in favore di La.Sa., deducendo dall'importo liquidato la somma di Euro 20.000,00 di cui alla provvisionale, ridetermina in danno in favore di Pa.Lu. deducendo dall'importo liquidato la somma di Euro 30.000,00 di cui alla provvisionale, ridetermina il danno in favore di Ca.Mi., deducendo dall'importo liquidato la somma di Euro 20.000,00 di cui alla provvisionale, ridetermina in danno in favore di Gi.Gu. deducendo dall'importo liquidato la somma di Euro 30.000,00 di cui alla provvisionale. Conferma per il resto l'impugnata sentenza.".
5. Per quanto qui rileva, la Corte territoriale così motivava la decisione: riguardo al secondo motivo dell'impugnazione - "L'appellante in sostanza lamenta che non sia stato considerato che il rapporto di pubblico impiego, o, più latamente, quello di preposizione siano la base su cui si innesta l'illecito del preposto e quindi un presupposto necessario, ma non sufficiente per l'applicazione del criterio di propagazione automatica della responsabilità ex art. 2049 c.c., occorrendo anche la verifica che quell'illecito costituisca uno sviluppo non anomalo della funzione rivestita." - si richiama Cass. Sez. U., 16/05/2019, n. 13246 ("Lo Stato o l'ente pubblico risponde civilmente del danno cagionato a terzi dal fatto penalmente illecito del suo dipendente anche quando questi abbia approfittato delle proprie attribuzioni ed agito per finalità esclusivamente personali od egoistiche ed estranee a quelle della amministrazione di appartenenza, purché la sua condotta sia legata da un nesso di occasionalità necessaria con le funzioni o poteri che esercita o di cui è titolare, nel senso che la condotta illecita dannosa - e, quale sua conseguenza, il danno ingiusto a terzi - non sarebbe stato possibile, in applicazione del principio di causalità adeguata ed in base ad un giudizio controfattuale riferito al tempo della condotta, senza l'esercizio di quelle funzioni o poteri che, per quanto deviati o abusivi od illeciti, non ne integri uno sviluppo oggettivamente anomalo.") e si afferma che "nella fattispecie emerge con chiarezza la occasionalità necessaria tra le condotte criminose del Ge.Fa. ed il ruolo di insegnante, che nel contesto scolastico ha consentito allo stesso di manifestare le morbose attenzioni sessuali nei confronti degli alunni minorenni.... La anomalia invece risiede, come accertato dal Tribunale, nell'interesse sessuale morboso rivolto dal docente nei confronti degli alunni, interesse personale che, come anzidetto, ben può essere del tutto estraneo all'amministrazione di appartenenza, non risiede invece nello sviluppo dei fatti, laddove un insegnante, approfittando del proprio ruolo, ha tenuto le descritte condotte di reato dapprima reiteratamente in classe, fino ad arrivare al culmine di gravità degli episodi maggiormente lesivi in occasione della gita scolastica."; in relazione al terzo motivo dell'impugnazione - "... il Ministero deduce l'erroneità della prima decisione, che non ha sottratto dal montante risarcitorio l'ammontare della provvisionale, sottolineando che la sentenza di primo grado sul punto si è così espressa: "La provvisionale a suo tempo riconosciuta dal Giudice penale era genericamente imputata al "danno civilistico" quindi comprensivo del danno biologico/morale che in questa sede viene definitivamente liquidato in tutte le componenti".
Assume l'appellante che la provvisionale pronunciata nei confronti del solo Ge.Fa. e costituente titolo nei suoi confronti, debba comunque essere scomputata dal montante del risarcimento a carico dell'altro soggetto ritenuto responsabile, vale a dire il Ministero, altrimenti si attuerebbe la violazione del principio della compensatio lucri cum damno." - si richiamava il principio espresso da Cass. Sez. 3, 24/03/2011, n. 6739, secondo cui "In sede di definitiva liquidazione dei danni derivanti da un illecito extracontrattuale... il giudice, anche d'ufficio, deve tenere conto dell'eventuale avvenuto riconoscimento, in sede penale, di una somma a titolo di provvisionale, dovendosi applicare un regime giuridico sostanzialmente coincidente con quello relativo all'imputazione degli acconti versati nel corso del procedimento civile in favore dei danneggiati. Non rileva, tuttavia, ai fini della detraibilità della provvisionale, l'effettiva riscossione o meno della medesima, avendo la sentenza penale che la dispone efficacia di titolo esecutivo del quale il danneggiato può avvalersi per conseguire coattivamente il pagamento spettatogli.".
6. Avverso tale decisione Pa.Lu., Gi.Gu., La.Sa. e Ca.Mi. proponevano ricorso per cassazione, fondato su un unico motivo.
7. Il Ministero dell'Istruzione e del Merito (MIM), già Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca (MIUR), resisteva con controricorso, contenente ricorso incidentale basato su un unico motivo.
8. I ricorrenti depositavano memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.
9. All'esito della camera di consiglio del 23/4/2025, il Collegio si riservava il deposito dell'ordinanza nei successivi sessanta giorni, a norma dell'art. 380-bis.1, comma 2, c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Dev'essere preliminarmente esaminato il ricorso incidentale, in quanto logicamente prioritario.
2. Infatti, con la propria censura, il Ministero deduce la "violazione degli artt. 28 Cost. e 2049 c.c.", perché - pur dichiarando di aderire alla pronuncia di Cass. Sez. U., 16/05/2019, n. 13246 - la Corte d'Appello ha ritenuto che la condotta illecita dell'insegnante, pubblico dipendente, costituisse uno sviluppo oggettivamente non anomalo della funzione o dei poteri esercitati ("La sentenza riconosce, non potendo fare diversamente, l'anomalia dell'interesse sessuale provato dall'insegnante nei confronti degli allievi; tuttavia, afferma che gli atti posti in essere in conseguenza di tale interesse, appunto gli atti sessuali, non sarebbero anomali. In altri termini, a parere dalla Corte, sarebbe anomalo l'interesse sessuale, ma non sarebbe anomalo l'avere effettivamente messo in pratica tale interesse sessuale.").
3. Il motivo è infondato, pur dovendosi correggere (integrando) la motivazione della sentenza impugnata, in parte lacunosa.
4. La difesa erariale si incentra sulle statuizioni di Cass. Sez. U., 16/05/2019, n. 13246, che - secondo il MIM - sarebbero state travisate e che sono di seguito riportate: "Sono pertanto fonte di responsabilità dello Stato o dell'ente pubblico anche i danni determinati da condotte del funzionario o dipendente, pur se devianti o contrarie rispetto al fine istituzionale del conferimento del potere di agire, purché: - si tratti di condotte a questo legate da un nesso di occasionalità necessaria, tale intesa la relazione per la quale, in difetto dell'estrinsecazione di detto potere, la condotta illecita dannosa - e quindi, quale sua conseguenza, il danno ingiusto - non sarebbe stata possibile, in applicazione del principio di causalità adeguata ed in base al giudizio controfattuale riferito al tempo della condotta; nonché - si tratti di condotte raffigurabili o prevenibili oggettivamente, sulla base di analogo giudizio, come sviluppo non anomalo dell'esercizio del conferito potere di agire, rientrando nella normalità statistica pure che il potere possa essere impiegato per finalità diverse da quelle istituzionali o ad esse contrarie e dovendo farsi carico il preponente delle forme, non oggettivamente improbabili, di inesatta o infedele estrinsecazione dei poteri conferiti o di violazione dei divieti imposti agli agenti.".
5. Come già esposto, la Corte d'Appello ha chiaramente e correttamente individuato il "nesso di occasionalità necessaria" tra le condotte criminose del pubblico dipendente e il suo ruolo di insegnante, posto che proprio in ambito scolastico (e persino durante le lezioni) sono stati perpetrati gli abusi sessuali nei confronti degli alunni minorenni.
6. Secondo l'Avvocatura dello Stato, tuttavia, ai fini della configurata responsabilità ex artt. 2049 c.c. e 28 Cost. del MIUR, non è stato vagliato l'altro elemento preteso dalla citata decisione di legittimità e, cioè, la non anomalia della condotta tenuta dal pubblico dipendente rispetto ai poteri e alle funzioni conferitigli.
7. In effetti, la Corte d'Appello si limita a negare la sussistenza di una deviazione anomala riproponendo, in altra forma, le medesime argomentazioni impiegate per ravvisare il nesso di occasionalità necessaria ("La anomalia invece risiede, come accertato dal Tribunale, nell'interesse sessuale morboso rivolto dal docente nei confronti degli alunni, interesse personale che, come anzidetto, ben può essere del tutto estraneo all'amministrazione di appartenenza, non risiede invece nello sviluppo dei fatti, laddove un insegnante, approfittando del proprio ruolo, ha tenuto le descritte condotte di reato dapprima reiteratamente in classe, fino ad arrivare al culmine di gravità degli episodi maggiormente lesivi in occasione della gita scolastica."); manca, perciò, un'analisi relativa allo sviluppo della funzione conferita al docente resosi colpevole di gravi reati.
8. Ciononostante, la carenza della motivazione può essere integrata da questa Corte a norma dell'art. 384 c.p.c., in quanto la conclusione a cui perviene la Corte d'Appello è corretta.
9. Si deve premettere - in conformità alle statuizioni di Cass. Sez. U., 16/05/2019, n. 13246 - che l'art. 2049 c.c. configura "una responsabilità oggettiva per fatto altrui... un'applicazione moderna del principio cuius commoda eius et incommoda, in forza del quale l'avvalimento, da parte di un soggetto, dell'attività di un altro per il perseguimento di propri fini comporta l'attribuzione al primo di quella posta in essere dal secondo nell'ambito dei poteri conferitigli. Ma una tale appropriazione di attività deve comportarne l'imputazione nel suo complesso e, così, sia degli effetti favorevoli che di quelli pregiudizievoli: un simile principio risponde ad esigenze generali dell'ordinamento di riallocazione dei costi delle condotte dannose in capo a colui cui è riconosciuto di avvalersi dell'operato di altri... il nesso di occasionalità necessaria (e la responsabilità del preponente) sussiste nella misura in cui le funzioni esercitate abbiano determinato, agevolato o reso possibile la realizzazione del fatto lesivo, nel qual caso è irrilevante che il dipendente abbia superato i limiti delle mansioni affidategli, od abbia agito con dolo e per finalità strettamente personali... alla condizione però che la condotta del preposto costituisca pur sempre il non imprevedibile sviluppo dello scorretto esercizio delle mansioni, non potendo il preponente essere chiamato a rispondere di un'attività del preposto che non corrisponda, neppure quale degenerazione od eccesso, al normale sviluppo di sequenze di eventi connesse all'espletamento delle sue incombenze... Chi si avvale dell'altrui operato in tanto può essere chiamato a rispondere, per di più senza eccezioni e la rilevanza del proprio elemento soggettivo, delle sue conseguenze dannose in quanto egli possa ragionevolmente raffigurarsi, per prevenirle, le violazioni o deviazioni dei poteri conferiti o almeno tenerne conto nell'organizzazione dei propri rischi".
10. Occorre allora domandarsi se rientrasse nell'ambito dell'attività della scuola (e, per essa, del MIUR, ora MIM) l'affidamento al personale scolastico della cura e della vigilanza sui minori e se, ragionevolmente, non fosse imprevedibile una deviazione dai compiti conferiti tale da imporre adeguate misure di prevenzione o, quantomeno, la valutazione dello specifico rischio.
11. Ad entrambi i quesiti si deve dare risposta positiva.
12. Alla scuola - e, quindi, al personale scolastico del Ministero - spetta l'obbligo giuridico di vigilare sulla sicurezza e sull'incolumità dell'allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni: in proposito, ex multis, si richiamano Cass. Sez. 3, 28/05/2024, n. 14980, secondo cui il "contratto scolastico" "comprende, accanto all'obbligo principale di istruire ed educare, quello accessorio di proteggere e vigilare sull'incolumità fisica e sulla sicurezza degli allievi, sia per fatto proprio, adottando tutte le precauzioni del caso, che di terzi, fornendo le relative indicazioni ed impartendo le conseguenti prescrizioni, e da adempiere, per il tempo in cui gli allievi fruiscono della prestazione scolastica, con la diligenza esigibile dallo status professionale rivestito", e Cass. Sez. 3, 29/05/2013, n. 13457, che si riferisce proprio ad una violenza sessuale perpetrata ai danni di un'alunna all'interno dell'edificio scolastico.
A carico della scuola (id est, del Ministero) si configura, perciò, un vero e proprio affidamento che impone la predisposizione, da parte del personale scolastico (in primis, della dirigenza, ma tale dovere incombe su tutti gli addetti, docenti e non), di ogni accorgimento necessario (da valutare in base alle concrete circostanze, tra le quali, in primo luogo, l'età anagrafica degli allievi) a prevenire potenziali pericoli derivanti da cose o da persone nel corso delle attività.
13. In relazione al secondo requisito preteso dalla menzionata sentenza delle Sezioni Unite (lo sviluppo non anomalo della funzione del dipendente), si rileva che, purtroppo, in base a specifici indici ritraibili (a contrario) dalla disciplina normativa, le situazioni di affidamento di minori per fini di istruzione (et similia) costituiscono un humus particolarmente insidioso per gli abusi sessuali.
14. Sono prova dell'assunto le disposizioni del codice penale che - o con aggravanti o con specifiche limitazioni - distinguono le condotte nei confronti di minori di chi assume compiti di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia: è emblematico l'art. 609-quater c.p., che individua uno specifico trattamento in caso di rapporto di fiducia (o di autorità) instaurato col minore per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia.
15. È ancor più significativo il rapporto esplicativo ("Explanatory Report") del testo della "Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei bambini contro lo sfruttamento e gli abusi sessuali" - o "Convenzione di Lanzarote", firmata il 25 ottobre 2007 e ratificata dall'Italia con la Legge n. 172 del 1 ottobre 2012 - che, con specifico riferimento all'art. 18 (il quale impone agli Stati aderente la previsione di una sanzione penale per la partecipazione "ad attività sessuali con un minore... abusando di una posizione riconosciuta di fiducia, autorità o influenza sul minore"), individua chiaramente il contesto scolastico come ambiente nel quale il rapporto di fiducia merita una particolare attenzione e una correlata maggiore protezione dei minori ("123. The second indent relates to abuse of a recognised position of trust, authority or influence over the child. This can refer, for example, to situations where a relationship of trust has been established with the child, where the relationship occurs within the context of a professional activity (care providers in institutions, teachers, doctors, etc) or to other relationships, such as where there is unequal physical, economic, religious or social power. 124. The second indent provides that children in certain relationships must be protected, even when they have already reached the legal age for sexual activities and the person involved does not use coercion, force or threat. These are situations where the persons involved abuse a relationship of trust with the child resulting from a natural, social or religious authority which enables them to control, punish or reward the child emotionally, economically, or even physically. Such relationships of trust normally exist between the child and his or her parents, family members, foster or adoptive parents, but they could also exist in relation to persons who: - have parental or caretaking functions; or - educate the child; or - provide emotional, pastoral, therapeutic or medical care; or - employ or have financial control over the child; or - otherwise exercise control over the child.".
Traduzione: "123. Il secondo comma riguarda l'abuso di una posizione riconosciuta di fiducia, autorità o influenza sul minore. Questo può riferirsi, ad esempio, a situazioni in cui si è instaurato un rapporto di fiducia con il minore, dove la relazione avviene nel contesto di un'attività professionale (operatori in istituzioni, insegnanti, medici, ecc.), oppure ad altri tipi di relazione, come quelle in cui esiste un potere fisico, economico, religioso o sociale squilibrato. 124. Il secondo comma stabilisce che i minori in determinate relazioni devono essere protetti, anche quando hanno già raggiunto l'età legale per i rapporti sessuali e la persona coinvolta non fa uso di coercizione, forza o minaccia. Si tratta di situazioni in cui le persone coinvolte abusano di un rapporto di fiducia con il minore derivante da un'autorità naturale, sociale o religiosa, che consente loro di controllare, punire o ricompensare il minore a livello emotivo, economico o persino fisico. Tali relazioni di fiducia esistono normalmente tra il minore e i suoi genitori, membri della famiglia, genitori affidatari o adottivi, ma possono anche esistere in relazione a persone che: - svolgono funzioni genitoriali o di cura; oppure - educano il minore; oppure - forniscono assistenza emotiva, pastorale, terapeutica o medica; oppure - impiegano o hanno un controllo finanziario sul minore; oppure - esercitano in altro modo un controllo sul minore.").
16. In altre parole, proprio dalla normativa (nazionale e sovranazionale) si evince che la possibilità che una relazione di cura, vigilanza e istruzione possa anormalmente evolversi in un abuso sessuale non costituisce affatto un'anomalia imprevedibile ed è, anzi, prevista dalla disciplina; questa, difatti, esplicitamente si incentra sulle situazioni normalmente esistenti tra i minorenni e le persone che svolgono le predette funzioni come occasioni di un potenziale e pregiudizievole abuso del rapporto di fiducia che consente loro di controllare, punire o ricompensare i minori a livello emotivo, economico o persino fisico.
17. Sotto il profilo statistico, poi, non è infrequente che a rivolgere a minorenni morbose attenzioni (e pure atti) di natura sessuale siano le persone alle quali è affidata la loro cura, proprio perché l'assunzione di compiti di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia dei minori crea una situazione maggiormente favorevole ai predatori sessuali.
18. In conclusione, contrariamente a quanto sostenuto dall'Avvocatura dello Stato, le condotte delittuose perpetrate in danno degli odierni ricorrenti, pur se opposte rispetto ai fini istituzionali perseguiti dall'ente pubblico, non sono oggettivamente improbabili e, dunque, non costituiscono un'anomalia imprevedibile - e, cioè, un comportamento completamente scisso dalle funzioni svolte e privo di ogni connessione con queste - tale da esentare la Pubblica Amministrazione dal dovere di adottare ogni misura volta a prevenire ed evitare la commissione di siffatti reati durante la somministrazione delle prestazioni scolastiche e, in ogni caso, dall'assunzione del rischio derivante dalla commissione di crimini nel corso di questa.
19. Nel caso de quo - anche a voler prescindere da una prevenzione che, evidentemente, è mancata (e, invero, nemmeno allegata) - la reiterazione delle condotte delittuose in ambiente scolastico e durante le lezioni rende evidente che gli organi ministeriali deputati al controllo si sarebbero dovuti attivare ben prima dei più gravi episodi accaduti durante la gita scolastica (la quale, comunque, rientra nell'ambito delle attività istituzionali).
20. Anche la giurisprudenza delle Sezioni penali di questa Corte ha più volte ravvisato la responsabilità civile della P.A. in casi in cui minori (o, comunque, soggetti in condizioni di minorata difesa) erano stati affidati alla vigilanza e custodia dell'insegnante (o di personale con compiti di cura e custodia) poi resosi autore di crimini sessuali:
"Ai fini della responsabilità civile per fatto illecito commesso dal dipendente, è sufficiente un rapporto di occasionalità necessaria tra il fatto dannoso e le mansioni esercitate dal dipendente, che ricorre quando l'illecito è stato compiuto sfruttando comunque i compiti da questo svolti, anche se il dipendente ha agito oltre i limiti delle sue incombenze e persino se ha violato gli obblighi a lui imposti. (In applicazione di tale principio, la Corte ha annullato la decisione che aveva escluso la responsabilità civile del Ministero della Pubblica Istruzione per gli atti di violenza sessuale compiuti dal maestro di una scuola elementare in danno di sue alunne)" (Cass. pen., Sez. 3, n. 36503 del 02/07/2002, Cerullo, Rv. 222614-01);
"La P.A. dev'essere ritenuta civilmente responsabile, in base al criterio della cosiddetta "occasionalità necessaria", degli illeciti penali commessi da propri dipendenti ogni qual volta la condotta di costoro non abbia assunto i caratteri dell'assoluta imprevedibilità ed eterogeneità rispetto ai loro compiti istituzionali, sì da non consentire il minimo collegamento con essi. (Nella specie, trattandosi di atti di violenza sessuale posti in essere da un'insegnante di scuola materna nei confronti dei minori a lei affidati, sotto pretesto di finalità attinenti alla sfera dell'igiene sessuale, la Corte ha ritenuto correttamente affermata la concorrente responsabilità civile della P.A., considerando che tra i compiti delle maestre di scuola materna rientra anche quello di insegnare agli alunni gli elementi essenziali dell'igiene personale)." (Cass. pen., Sez. 3, n. 33562 del 11/06/2003, Cordaro, Rv. 226132-01);
"La responsabilità civile della P.A. per il reato commesso dal dipendente presuppone un rapporto di occasionalità necessaria tra il fatto dannoso e le mansioni esercitate, che ricorre quando l'illecito è stato compiuto sfruttando comunque i compiti svolti, anche se il soggetto ha agito oltre i limiti delle sue incombenze e persino se ha violato gli obblighi a lui imposti. (Fattispecie nella quale un agente della Polizia di Stato, già condannato in primo grado per fatti di violenza commessi contro soggetti in stato di fermo, si era reso responsabile del delitto di violenza sessuale aggravata in danno di una donna della quale gli era stata affidata la custodia nelle camere di sicurezza)." (Cass. pen., Sez. 3, n. 40613 del 05/06/2013, P., Rv. 256978-01).
21. Passando al ricorso principale, con la propria censura, formulata ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., i ricorrenti deducono la "violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2055 c.c., 539, comma 2, e 540, comma 2, c.p.p.", perché, sulla scorta delle statuizioni di Cass. n. 6739/2011, la Corte d'Appello ha detratto dalle somme liquidate in primo grado quale integrale risarcimento del danno l'importo della provvisionale già riconosciuta agli appellati dalla sentenza n. 10027/2010 del Tribunale di La Spezia, nel procedimento penale a carico del Ge.Fa.; così facendo, ha privato i ricorrenti di un titolo esecutivo nei confronti del Ministero per le somme corrispondenti a tali importi e ha violato il principio di solidarietà dei danneggianti, secondo cui unica è l'obbligazione ed unica la prestazione risarcitoria al cui adempimento i responsabili sono tenuti per l'intero.
22. Si osserva che la decurtazione dell'ammontare della provvisionale a carico dell'imputato (indipendentemente dal suo pagamento) dal complessivo importo riconosciuto ai danneggiati a titolo di risarcimento danni (per il quale è corresponsabile in solido il Ministero) si fonda sul principio espresso da Cass. Sez. 3, 24/03/2011, n. 6739, Rv. 617579-01 (a cui si conforma l'unico altro precedente di Cass. Sez. 3, 04/04/2017, n. 8662, in motivazione), secondo cui "In sede di definitiva liquidazione dei danni derivanti da un illecito extracontrattuale... il giudice, anche d'ufficio, deve tenere conto dell'eventuale avvenuto riconoscimento, in sede penale, di una somma a titolo di provvisionale, dovendosi applicare un regime giuridico sostanzialmente coincidente con quello relativo all'imputazione degli acconti versati nel corso del procedimento civile in favore dei danneggiati. Non rileva, tuttavia, ai fini della detraibilità della provvisionale, l'effettiva riscossione o meno della medesima, avendo la sentenza penale che la dispone efficacia di titolo esecutivo del quale il danneggiato può avvalersi per conseguire coattivamente il pagamento spettatogli.".
23. La citata decisione si fonda sulle seguenti rationes:
- il risarcimento del danno, privo di finalità sanzionatorie, non può attribuire al danneggiato un equivalente pecuniario maggiore del pregiudizio sofferto;
- il giudice, d'ufficio, deve considerare l'aliunde perceptum e, cioè, se il danneggiato ha ricevuto, prima o in corso di causa, delle somme di denaro da imputarsi al risarcimento a titolo di acconto;
- nella liquidazione definitiva, va operata una compensazione contabile tra il danno complessivamente determinato e le somme già ricevute a titolo di acconto;
- la provvisionale liquidata in sede penale ha funzione risarcitoria (nei limiti del danno per cui si ritiene già raggiunta la prova e fatta salva la definitiva liquidazione in sede civile) e se ne deve tener conto nella liquidazione definitiva dei danni complessivamente prodotti in capo al medesimo danneggiato da quello stesso fatto illecito che ha formato oggetto del giudizio penale;
- la provvisionale penale va considerata alla stregua di acconto riscosso a titolo di anticipata parziale liquidazione del danno;
- è comunque irrilevante l'effettiva riscossione della provvisionale, perché, a differenza dell'acconto (spontanea liquidazione parziale anticipata del danno), la provvisionale si imputa ex lege e la sentenza penale costituisce titolo esecutivo del quale il danneggiato si può avvalere (si sottintende, cioè, che il danneggiato - avendo un titolo esecutivo giudiziale nei confronti di uno dei danneggianti per una parte del pregiudizio patito - non potrebbe conseguire un altro titolo esecutivo giudiziale - azionabile nei confronti di un altro danneggiante - per l'intero pregiudizio, in quanto otterrebbe, azionando i due titoli, un risarcimento maggiore del danno subito, che è uno soltanto).
24. A convinto avviso del Collegio plurime argomentazioni (giuridiche e anche logiche) impongono di superare il precedente giurisprudenziale richiamato nella sentenza impugnata e ora sommariamente illustrato.
25. È certamente condivisibile la prima premessa, secondo la quale il danno subito è unitario e il suo risarcimento - che non ha funzioni risarcitorie - non può condurre ad un'indebita locupletazione del danneggiato.
È però incongrua, sotto il profilo logico-giuridico, la conseguenza che se ne trae, dato che dall'individuazione di plurimi soggetti tenuti solidalmente all'obbligazione risarcitoria - il docente condannato in sede penale al pagamento di una provvisionale e il Ministero civilmente responsabile ex artt. 28 Cost. e 2049 c.c. - deriva invece un iniquo trattamento dei danneggiati.
26. È pacifico che la solidarietà nelle obbligazioni (nel caso, ex art. 2055 c.c.) costituisce un vantaggio per il creditore: infatti, in virtù del favor riconosciutogli, il danneggiato può scegliere di agire, anche in momenti diversi, contro uno o più dei condebitori solidali, ciascuno dei quali è tenuto a risarcire l'intero danno subito (art. 1292 c.c.).
Al contrario, la soluzione individuata nel citato precedente si risolve in un pregiudizio per lo stesso danneggiato: infatti, l'esercizio dell'azione civile nel procedimento penale contro uno dei danneggianti - disgiuntamente dall'azione risarcitoria in sede civile contro l'altro (e, si badi, le vittime dei reati non erano affatto tenute a invocare la partecipazione del responsabile civile al processo penale, trattandosi di una mera facoltà della parte civile) - finisce con l'impedire una condanna del secondo responsabile a risarcire l'intero danno.
Un simile effetto si potrebbe produrre solo in conseguenza dello scioglimento del vincolo di solidarietà o di una remissione del debito (art. 1301 c.c.), ma non risulta alcuna volontà in tal senso da parte dei danneggiati, non ricorre una delle ipotesi normative che trasformano l'obbligazione risarcitoria solidale in obbligazione parziaria e non può essere utilmente invocato nemmeno l'art. 1311 c.c. (invero, non menzionato da alcuna delle parti, né dai giudici di merito), poiché, "in tema di solidarietà passiva, qualora il creditore agisca, ai sensi dell'art. 1292 cod. civ., contro uno qualsiasi dei condebitori solidali, esercita un suo preciso diritto che, però, non può comportare automatica rinuncia del credito nei confronti dell'altro o degli altri condebitori solidali, poiché, diversamente, si contraddirebbe la stessa facoltà di scelta che la citata norma riconosce al creditore ed il diritto del debitore solidale escusso di rivalersi nei riguardi dei suoi condebitori solidali per le quote di rispettiva responsabilità" (così Cass. Sez. 3, 14/07/2006, n. 16125, Rv. 591766-01, che in motivazione spiega: "Anzitutto l'art. 1311 cod. civ. prevede la presunzione di rinunzia alla solidarietà a favore di uno dei debitori solidali... soltanto se il creditore rilasci quietanza "per la parte di lui", senza riserve per il credito residuo, ovvero se ha agito giudizialmente pro quota, con l'adesione del debitore convenuto, condizioni che indubbiamente esulano dalla fattispecie in esame").
27. Ad ulteriore riprova dell'incongruità della conclusione tratta dal citato precedente giurisprudenziale, si può formulare un esempio paradossale: basti pensare ad un caso in cui il danneggiato ottenga, anziché soltanto una provvisionale, l'intera liquidazione del danno (in sede civile o penale) a carico di uno dei danneggianti tenuti in solido; in caso di incapienza del condannato e, quindi, di mancata percezione del ristoro, al danneggiato resterebbe interamente precluso l'esercizio dell'azione nei confronti di altri responsabili solidali, ancorché solvibili.
Nel caso de quo, seguendo l'indicato precedente di legittimità (come ha fatto la Corte d'Appello), i danneggiati (cioè, gli odierni ricorrenti), nonostante l'individuazione di due condebitori tenuti in solido (uno dei quali certamente solvibile), resterebbero privati dell'integrale ristoro del danno in caso di mancato pagamento della provvisionale.
28. Non si condivide, poi, la qualificazione della provvisionale in termini di acconto (per giunta, iuris et de iure già pagato, stando a Cass. Sez. 3, 24/03/2011, n. 6739); si tratta, infatti, di una condanna parziale e non definitiva al risarcimento del danno, peraltro diversamente quantificabile (in aumento o in diminuzione) nel successivo giudizio civile, come statuito da Cass. Sez. 3, 14/03/2024, n. 6895, Rv. 670403-01, che fa riferimento alla "instabilità della provvisionale - provvedimento inidoneo al giudicato, in quanto caratterizzato da una diuturna ed indefinita provvisorietà, e quindi suscettibile di essere rimesso in discussione "sine tempore" (e anche travolto) in un ordinario giudizio civile".
La provvisionale, dunque, non può essere considerata (a maggior ragione, se non pagata) come un acconto di cui tenere conto al momento della complessiva liquidazione del danno, poiché la sua quantificazione è provvisoria e potrebbe subire aumenti o riduzioni (o persino il suo totale annullamento) nel conseguente giudizio civile.
29. In definitiva, non sussistono valide ragioni per escludere la coesistenza di distinte condanne di ciascuno dei diversi coobbligati solidali a risarcire l'intero pregiudizio subito dal danneggiato.
Costituisce un falso problema quello della duplicazione del titolo esecutivo (anch'esso sotteso alla decisione richiamata nella sentenza impugnata) che trova la sua coerente soluzione nelle statuizioni di Cass. Sez. 3, 14/10/2021, n. 28044, Rv. 662577-01 (conforme Cass. Sez. 2, 20/05/2024, n. 13949, Rv. 671693-02), secondo cui "La mancata opposizione a decreto ingiuntivo preclude la deducibilità, con l'opposizione all'esecuzione, di fatti estintivi anteriori alla formazione del giudicato sulla sussistenza del credito, ma non impedisce al condebitore, coobbligato in virtù di titolo esecutivo di formazione giudiziale passato in giudicato nei suoi confronti, di far valere con l'opposizione ex art. 615 c.p.c. l'avvenuta integrale estinzione della pretesa creditoria conseguente al pagamento eseguito da altro soggetto, ancorché prima che il provvedimento monitorio acquisisse carattere di definitività, perché il principio del giudicato ha la funzione di accertare definitivamente l'esistenza e l'ammontare del credito nei confronti di uno o più debitori, ma non quella di consentire al creditore di pretendere molteplici pagamenti da tutti i coobbligati una volta che il credito sia già stato soddisfatto".
In altre parole, anche a voler ipotizzare che il danneggiato azioni (abusivamente) diversi titoli giudiziali ottenuti nei confronti di diversi danneggianti, a ciascuno di questi è dato il rimedio dell'opposizione ex art. 615 c.p.c. (ancorché contro un titolo giudiziale) nonostante il giudicato formatosi sull'entità della sua obbligazione risarcitoria.
30. Per quanto sinora esposto, in accoglimento del ricorso principale, la sentenza impugnata dev'essere cassata e, non occorrendo ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito a norma dell'art. 384 c.p.c.
31. Quale prima conseguenza della cassazione della sentenza d'appello, nella parte in cui ha detratto l'importo della provvisionale dal risarcimento liquidato in primo grado ai danneggiati, va ripristinata la decisione del Tribunale: perciò, si condanna il MIM a pagare: in favore di La.Sa. la somma di Euro 42.428,00 a titolo di risarcimento di danno biologico, danno morale transeunte, oltre a ulteriori Euro 15.000,00 a titolo di danno morale da reato e da lesione di diritti costituzionali; in favore di Pa.Lu. Euro 55.650,00 a titolo di danno biologico e danno morale transeunte, oltre a Euro 650,00 per esborsi documentati e a Euro 30.000,00 per danno morale da reato e da lesione di diritti costituzionali; in favore di Ca.Mi. Euro 42.428,00 a titolo di danno biologico, danno morale transeunte, oltre a Euro 15.000,00 per danno morale da reato e da lesione di diritti costituzionali; in favore di Gi.Gu. Euro 29.454,00 a titolo di danno biologico e danno morale transeunte, oltre a Euro 30.000,00 per danno morale da reato e da lesione di diritti costituzionali; gli interessi di natura compensativa sugli importi liquidati a titolo di danno non patrimoniale (già rivalutati al 2021), previa devalutazione fino alla data del fatto illecito e rivalutazione di anno in anno.
32. In secondo luogo, si liquidano in favore dei predetti ricorrenti le spese dei gradi di impugnazione: per il grado di appello, Euro 11.000,00 per compensi, oltre a rimborso (15%) delle spese forfettarie e ad accessori di legge; per il giudizio di legittimità, secondo i parametri normativi, Euro 7.500,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre ad accessori di legge.
33. Va dato atto, infine, dell'insussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale (Amministrazione dello Stato), ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115 del 2002, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso incidentale.
34. In considerazione della causa petendi (e, cioè, dell'attinenza della controversia a fattispecie delittuose) e della minore età dei ricorrenti (vittime di reato) all'epoca dei fatti illeciti, ai sensi dell'art. 52 del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, va disposta ex officio l'omissione, in caso di diffusione del presente provvedimento, delle generalità degli odierni ricorrenti e di ogni altro dato idoneo a identificarli.
P.Q.M.
la Corte
rigetta il ricorso incidentale;
accoglie il ricorso principale;
cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell'Istruzione e del Merito (MIM), già Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca (MIUR), a pagare: in favore di La.Sa. la somma di Euro 42.428,00 a titolo di risarcimento di danno biologico, danno morale transeunte, oltre a ulteriori Euro 15.000,00 a titolo di danno morale da reato e da lesione di diritti costituzionali; in favore di Pa.Lu. Euro 55.650,00 a titolo di danno biologico e danno morale transeunte, oltre a Euro 650,00 per esborsi documentati e a Euro 30.000,00 per danno morale da reato e da lesione di diritti costituzionali; in favore di Ca.Mi. Euro 42.428,00 a titolo di danno biologico, danno morale transeunte, oltre a Euro 15.000,00 per danno morale da reato e da lesione di diritti costituzionali; in favore di Gi.Gu. Euro 29.454,00 a titolo di danno biologico e danno morale transeunte, oltre a Euro 30.000,00 per danno morale da reato e da lesione di diritti costituzionali; gli interessi di natura compensativa sugli importi liquidati a titolo di danno non patrimoniale (già rivalutati al 2021), previa devalutazione fino alla data del fatto illecito e rivalutazione di anno in anno;
condanna il Ministero dell'Istruzione e del Merito (MIM), già Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca (MIUR), a rifondere ai ricorrenti le spese di lite, liquidate, per il grado di appello, in Euro 11.000,00 per compensi, oltre a rimborso (15%) delle spese forfettarie e ad accessori di legge e, per il giudizio di legittimità, in Euro 7.500,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre ad accessori di legge;
ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto dell'insussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale (Amministrazione dello Stato), ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115 del 2002, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso incidentale;
dispone che, ai sensi dell'art. 52 del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omessi le generalità degli odierni ricorrenti e ogni altro dato idoneo a identificarli.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in data 23 aprile 2025.
Depositata in Cancelleria il 3 maggio 2025.