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Ricorso per Cassazione inammissibile se oscuro e incoerente

Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.12111 del 07/05/2025

Il ricorso per Cassazione è inammissibile se risulta oscuro, incoerente e privo dei requisiti minimi di chiarezza espositiva.

Lo ha ribadito la Terza Sezione penale della Cassazione con l'ordinanza n. 12111 depositata il 7 maggio 2025.

Un ricorso incomprensibile

La Suprema Corte ha rilevato l'insuperabile confusione del ricorso, che non consentiva nemmeno di ricostruire i fatti della causa. L'atto era privo dell'esposizione dei fatti salienti, mancava di una chiara descrizione del contenuto della sentenza impugnata e non articolava alcuna censura argomentata nei confronti di essa.

In particolare:

  • non venivano indicate le ragioni della citazione in primo grado, né quelle poste a fondamento dell'appello;

  • erano presenti riferimenti a fatti non spiegati;

  • l'atto conteneva richiami ridondanti a circostanze del tutto irrilevanti.

Il valore processuale della chiarezza

Secondo la Corte, la coerenza dei contenuti e la chiarezza formale rappresentano requisiti imprescindibili per l'esame del ricorso. L'inammissibilità è stata dunque pronunciata ai sensi dell'art. 366 c.p.c., che impone, a pena di inammissibilità, una chiara esposizione dei fatti, delle ragioni di doglianza e del contenuto della sentenza impugnata.

La pronuncia si inserisce in un solco giurisprudenziale consolidato (tra cui Cass. 16089/2023, 25892/2021, 6546/2021, 24697/2020, 9996/2020, 8425/2020), che sottolinea la necessità di atti tecnicamente leggibili per consentire lo svolgimento della funzione nomofilattica della Corte.

Rilievi comparatistici

La Cassazione ha ampliato il proprio ragionamento evidenziando come la chiarezza degli atti sia un valore condiviso anche negli ordinamenti esteri. Tra i richiami:

  • l'art. 3, comma 2, del Codice del processo amministrativo italiano, che impone una redazione "chiara e sintetica";

  • il § 14 della Guida per gli avvocati della Corte di giustizia dell'Unione Europea, che richiede una comprensione immediata dei punti essenziali;

  • la Rule 8(a)(2) delle Federal Rules of Civil Procedure statunitensi, che impone una "breve e semplice esposizione della domanda". Emblematico il caso "Stanard v. Nygren" (Corte d'Appello VIII Circuito, USA, 2011), in cui un ricorso fu ritenuto inammissibile per mancanza di punteggiatura e frasi eccessivamente prolisse.

Condanna per colpa grave

Oltre alla declaratoria di inammissibilità, la Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in €8.800, oltre accessori. In più, ha disposto la condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c. per colpa grave nella proposizione dell'impugnazione, commisurando la sanzione in misura pari alle spese legali: altri €8.800.

Conclusione

La pronuncia in esame ribadisce un concetto fondamentale: la forma è sostanza nel processo di legittimità. Un ricorso privo di chiarezza è non solo inammissibile, ma può esporre il ricorrente a gravi conseguenze economiche. La redazione tecnica dell'atto non è un formalismo, ma un presidio a tutela della funzione giurisdizionale della Corte.

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Cassazione civile, sez. III, ordinanza 07/05/2025 (ud. 18/03/2025) n. 12111

FATTI DI CAUSA

1. Di.Fr. ha impugnato per cassazione la sentenza della Corte d'Appello di Roma 23.3.2022 n. 1931.

Null'altro è possibile riferire sui fatti di causa, a causa della insuperabile oscurità e confusività del ricorso.

2. Ar.Ra. ha resistito con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è manifestamente inammissibile.

Esso infatti è privo dell'esposizione dei fatti salienti del giudizio (imposta a pena di inammissibilità dall'art. 366 n. 3 c.p.c.); di una chiara esposizione del contenuto della sentenza impugnata; di qualsiasi ragionata censura avverso quest'ultima.

2. Il ricorso, in secondo luogo:

a) tace circostanze rilevanti, quali le ragioni poste a fondamento della citazione in primo grado e quelle poste a fondamento dell'appello;

b) contiene riferimenti a fatti o circostanze introdotti nella narrazione, ma inesplicati;

c) contiene riferimenti ridondanti a fatti e circostanze del tutto irrilevanti ai fini del decidere.

3. Un ricorso così concepito è incoerente nei contenuti ed oscuro nella forma: e coerenza di contenuti e chiarezza di forma costituiscono l'imprescindibile presupposto perché un ricorso possa essere esaminato e deciso, come ripetutamente affermato da questa Corte (Sez. 3, Ordinanza n. 16089 del 7.6.2023; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 25892 del 23.9.2021; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 6546 del 10.3.2021; Sez. 3, Ordinanza n. 24697 del 5.11.2020; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 9996 del 28.5.2020; Sez. 5 - , Sentenza n. 8425 del 30/04/2020).

E ciò non solo per il nostro ordinamento, ma in tutte le legislazioni degli ordinamenti economicamente avanzati: basterà ricordare a tal riguardo, excerpta multorum, l'art. 3, comma 2, del codice del processo amministrativo (D.Lgs. 2.7.2010 n. 104), il quale impone alle parti di redigere gli atti "in maniera chiara e sintetica"; il par. 14, lettera "A", della Guida per gli avvocati" approvata dalla Corte di giustizia dell'Unione Europea, ove si prescrive che il ricorso dinanzi ad essa debba essere redatto in modo tale che "una semplice lettura deve consentire alla Corte di cogliere i punti essenziali di fatto e di diritto"; o la Rule 8, lettera (a), n. 2, delle Federal Rules of civil Procedures statunitensi, la quale impone al ricorrente "una breve e semplice esposizione della domanda" (regola applicata così rigorosamente, in quell'ordinamento, che nel caso Stanard v. Nygren, 19.9.2011, n. 09-1487, la Corte d'Appello del VIII Circuito U.S.A. ritenne inammissibile per lack of punctuation un ricorso nel quale almeno 23 frasi contenevano 100 o più parole, ritenuto "troppo confuso per stabilire i fatti allegati" dal ricorrente).

4. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell'art. 385, comma 1, c.p.c., e sono liquidate nel dispositivo.

4.1. L'incolmabile iato tra i contenuti del ricorso e i requisiti di contenuto-forma prescritti dall'art. 366 c.p.c., rendendo palese - quanto meno - una colpa grave nella proposizione dell'impugnazione, impone la condanna del ricorrente ai sensi dell'art. 96, comma terzo, c.p.c.

L'importo di tale condanna può stimarsi in misura pari a quello delle spese di lite.

P.Q.M.

la Corte di cassazione:

- dichiara inammissibile il ricorso;

- condanna Di.Fr. alla rifusione in favore di Ar.Ra. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 8.800, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, D.M. 10.3.2014 n. 55;

- condanna Di.Fr. al pagamento in favore di Ar.Ra. della somma di Euro 8.800 ex art. 96, terzo comma, c.p.c.;

- ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 18 marzo 2025.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2025.

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