È legittimo negare a un dipendente il permesso di andare in bagno durante l'orario di lavoro, anche in caso di urgenza fisiologica?
A questa domanda ha risposto la Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 12504 dell'11 maggio 2025, confermando la condanna al risarcimento dei danni non patrimoniali per la violazione della dignità personale di un lavoratore costretto a continuare a lavorare dopo un episodio di incontinenza.
Nel caso di specie, un dipendente di un'importante azienda automobilistica aveva inutilmente richiesto, secondo le regole aziendali, l'autorizzazione per allontanarsi dalla postazione a causa di una urgente necessità fisiologica. Non ottenendo risposta, era stato costretto a recarsi ai servizi igienici autonomamente, senza però riuscire a evitare l'incontinenza. Alla richiesta di potersi cambiare, era seguita la risposta negativa dell'azienda: il lavoratore era stato costretto a proseguire l'attività con indumenti sporchi fino alla pausa, quando si è potuto cambiare in un'area visibile anche a colleghe.
Secondo l'art. 2087 del Codice civile, il datore di lavoro è tenuto ad adottare le misure necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del lavoratore. Questo obbligo si traduce in un dovere di protezione che riguarda anche aspetti apparentemente "minori", come l'accesso tempestivo ai servizi igienici in caso di necessità urgente.
La giurisprudenza ha più volte affermato che rientra nella tutela della dignità personale l'obbligo del datore di lavoro di organizzare l'attività aziendale in modo da permettere al lavoratore di soddisfare bisogni fisiologici senza subire umiliazioni o pregiudizi.
Nel caso deciso dalla Corte, è stato accertato che il lavoratore aveva più volte azionato il dispositivo di chiamata per chiedere l'autorizzazione ad allontanarsi, come previsto dal regolamento interno. Non ricevendo risposta, aveva dovuto prendere l'iniziativa. La Corte ha ritenuto irrilevante il tentativo dell'azienda di giustificare l'accaduto con la presenza di presunte "circostanze eccezionali" che avrebbero giustificato la mancata risposta da parte del team leader.
Anche i rilievi sull'asserita scelta volontaria del dipendente di rimanere al lavoro e cambiarsi solo più tardi sono stati respinti, evidenziando che la vulnerabilità psicologica derivante dall'incidente non può essere sottovalutata. La scelta di cambiare gli abiti solo durante la pausa, in un luogo non riservato, ha aggravato l'esposizione a umiliazioni.
La Corte ha confermato la responsabilità datoriale e la corretta applicazione della liquidazione equitativa del danno non patrimoniale nella misura di 5.000 euro, sottolineando che la lesione della dignità può rilevare anche in assenza di un danno fisico, laddove incida sull'immagine, sul rispetto di sé e sulla serenità lavorativa del dipendente.
La pronuncia in esame ribadisce un principio chiave: la dignità del lavoratore è inviolabile e deve essere rispettata anche nei contesti organizzativi più strutturati. Impedire l'accesso ai servizi igienici in caso di necessità urgente rappresenta una grave violazione dell'art. 2087 c.c., con conseguenze anche risarcitorie per il datore di lavoro.
Cosa ci portiamo a casa? In un contesto in cui la produttività viene spesso posta sopra ogni cosa, è utile ricordare che anche un bisogno fisiologico può trasformarsi in un diritto calpestato. E quando questo accade, a pagare è chi ha ignorato la persona per guardare solo alla linea di montaggio.
Anche perché, si sa: l'urgenza non aspetta l'autorizzazione del team leader.