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Lesioni micropermanenti: il danno morale è assorbito nella personalizzazione?

Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.13383 del 20/05/2025

Il danno morale può essere risarcito autonomamente anche nelle lesioni micropermanenti già personalizzate al massimo?

La risposta arriva dalla Cassazione, ordinanza n. 13383 del 20 maggio 2025.

La vicenda

Il caso riguarda una richiesta di risarcimento per responsabilità medica in seguito a complicanze post-operatorie: un chiodo endomidollare era stato lasciato nella tibia dopo un intervento. Il paziente lamentava dolori persistenti e infezioni.

Il Tribunale liquida il danno biologico permanente con una personalizzazione del 25%, oltre a un danno morale autonomo.

La Corte d'Appello riduce la personalizzazione al 20%, come previsto per le micropermanenti, ed elimina il danno morale. La questione giunge in Cassazione.

I principi in materia

L'art. 139 del Codice delle assicurazioni disciplina le lesioni di lieve entità (micropermanenti), prevedendo che il danno biologico possa essere aumentato fino a un massimo del 20% per la personalizzazione.

Secondo giurisprudenza consolidata (Cass. 703/2021, 5119/2023, 15733/2022, 4878/2019), il risarcimento del danno alla persona deve essere unitario e onnicomprensivo.

In particolare, nelle lesioni micropermanenti, il danno morale è considerato assorbito nella personalizzazione massima, salvo rigorosa prova contraria (Cass. 5547/2024).

La decisione della Corte

La Cassazione rileva che, nel caso in esame, i giudici d'appello hanno correttamente applicato il principio secondo cui non si può duplicare il risarcimento, riconoscendo sia la personalizzazione massima sia un autonomo danno morale senza adeguata motivazione. Secondo la Cassazione, la personalizzazione del 20% già assorbe le componenti soggettive e morali, a meno che l'attore non dimostri, in modo puntuale e concreto, un pregiudizio aggiuntivo e non tipico.

Il danno morale, quindi, non è escluso in via assoluta, ma può essere riconosciuto solo in presenza di prova rigorosa che dimostri un impatto ulteriore e distinto rispetto al danno biologico già personalizzato.

Cosa ci portiamo a casa?

Nei casi di lesioni micropermanenti, la personalizzazione del danno biologico rappresenta già una compensazione globale.

Per ottenere anche il danno morale serve una prova specifica e rafforzata. Altrimenti, niente doppio risarcimento.

Danno biologico di lieve entità, personalizzazione nella misura massima, danno morale, presunzione di assorbimento

Al riconoscimento di danni biologici di lieve entità corrisponde un maggior rigore nell'allegazione e nella prova delle conseguenze dannose concretamente rivendicate, dovendo ritenersi presumibilmente assorbito, nel riscontrato danno biologico di lieve entità, il danno morale laddove sia stata già riconosciuta una personalizzazione del danno biologico nella misura massima.

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Cassazione civile, sez. III, ordinanza 20/05/2025 (ud. 03/03/2025) n.13383

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con ricorso notificato il 7 aprile 2022, illustrato da successiva memoria, Da.St. impugna per cassazione la sentenza n. 1491/2021, emessa dalla Corte di Appello di L'Aquila pubblicata il 12.10.2021 in un giudizio di responsabilità medica avviato dal ricorrente per ottenere il risarcimento del danno personale e patrimoniale. A.S.L. n. 1 Avezzano-Sulmona-L'Aquila, intimata, convenuta nel giudizio di merito, il 17 maggio 2022 ha notificato controricorso con ricorso incidentale, illustrato da successiva memoria.

2. Con sentenza n. 1015/2016, pubblicata in data 19 dicembre 2016, il Tribunale di L'Aquila accoglieva parzialmente le domande proposte dal Sig. Da.St. nei confronti dell'Azienda Sanitaria Locale 1 Avezzano-Sulmona-L'Aquila, con le quali chiedeva il risarcimento da responsabilità medica per complessivi Euro 231.603,00 a titolo di danno patrimoniale e non patrimoniale (danno biologico, danno morale ed esistenziale), causato dalla condotta imperita e negligente dei medici operanti nella struttura sanitaria. In particolare, l'attore deduceva che in data 26/06/2002, in seguito a sinistro stradale, era stato ricoverato presso il Reparto di Ortopedia dell'Ospedale Civile San Salvatore di L'Aquila, ove, in data 03/07/2002, era stato sottoposto ad intervento di riduzione delle fratture scomposte di femore, tibia e perone dell'arto inferiore sinistro, con conseguente impianto di chiodo endomidollare ad espansione, in seguito al quale la degenza si era protratta sino al 10/07/2002. A due anni circa dall' intervento chirurgico, precisamente in data 08/06/2004, il Da.St. veniva sottoposto a un intervento di rimozione dei mezzi di sintesi, all'esito del quale era risultato possibile rimuovere solo parzialmente il chiodo impiantato nel femore, mentre quello della tibia veniva deliberatamente lasciato in sede. Parte attrice evidenziava come, a distanza di quattro anni da questo intervento, avesse cominciato ad accusare forti dolori all'arto inferiore sinistro e fosse stato costretto a sottoporsi a continui cicli di terapie antidolorifiche, rilevatesi inefficaci, cosicché si sottoponeva ad esami ematochimici e radiografici. Si sottoponeva, altresì, a terapia cortisonica che, nell'immediatezza della somministrazione sembrava dare buoni risultati, ma che risultava inefficace già a distanza di qualche giorno dalla sospensione. A seguito di ulteriori esami, nel mese di ottobre 2008 riceveva una diagnosi di "infezione e reazione infiammatoria da protesi articolare interna e stafilococco capitis". Costituitasi la ASL, la causa veniva istruita con acquisizione di una CTU medico legale. Sulla scorta delle risultanze della perizia, il Tribunale ha così liquidato: 1) a titolo di danno non patrimoniale nella misura del 5-6%, nella sua veste biologica permanente, comprensivo di personalizzazione pari al 25%, complessivi Euro 12.176,87 sulla base delle tabelle milanesi; 2) a titolo di inabilità temporanea assoluta, inabilità temporanea parziale e a titolo di inabilità parziale al 25%, complessivi 6.960,00; 3) a titolo di danno non patrimoniale, nella sua veste di danno morale, Euro 2.000,00. Non riconosceva invece alcuna voce di danno per la perdita della capacità lavorativa specifica, intesa come parte del danno patrimoniale nella sua veste di lucro cessante.

3. Veniva proposto appello principale da parte dell'attore per ottenere il riconoscimento di una maggiore percentuale di danno alla persona e appello incidentale dalla ASL convenuta con riguardo alle tabelle applicate per l'accertato danno lieve, all'esito del quale la Corte d'Appello, per quanto qui ancora di interesse: - rigettava l'appello principale dell'attore appellante; - in parziale accoglimento dell'appello incidentale della ASL, riconosceva applicabile al caso di specie, trattandosi di lesioni micro-permanenti, la percentuale di personalizzazione del danno pari al 20%, anziché quella del 25% applicata dal primo Giudice in applicazione delle Tabelle di Milano, in conseguenza della diretta applicabilità al caso concreto dell'art. 139, comma 3, CdA; - assumeva che, poiché tutte le voci risultavano valutate e liquidate con la massima personalizzazione possibile, dovesse necessariamente concludersi che una liquidazione ulteriore del danno morale, come operata dal primo giudice, non fosse concettualmente corretta e a tal fine rideterminava in Euro 12.810,82 il danno biologico e patrimoniale complessivo, riducendo l'importo stimato per il danno morale;- riteneva assorbito l'ulteriore appello incidentale con il quale la Asl aveva lamentato la condanna al pagamento delle spese legali e della CTU, nonostante il riconoscimento di 1/10 di quanto richiesto dall'attore e, regolando le spese in base all'esito del giudizio di appello, dopo avere richiamato i principi di soccombenza e causalità, sulla base dei valori medi dello scaglione di riferimento, tenuto conto del decisum, ed esclusa la fase istruttoria, poneva a carico della ASL le spese di lite di entrambi i gradi nella misura di 2/3, con compensazione del restante terzo a carico del Sig. Da.St.

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. Il ricorso del Sig. Da.St. è articolato in tre motivi, secondo i quali la sentenza d'appello sarebbe nulla: -1. ai sensi dell'art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. per violazione dell'art. 112 c.p.c. e dell'art. 132, co. 2, n. 4 c.p.c.: sostiene parte ricorrente che la Corte d'Appello avrebbe errato nell'identificare il thema decidendum, incorrendo in un caso di infrapetita o, tutt'al più, in un caso di omessa motivazione; - 2. ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. per omessa pronuncia su di un punto ritenuto decisivo per il giudizio: lamenta il Sig. Da.St. che la Corte d'Appello sarebbe incorsa in omessa valutazione di una prova oggetto di contraddittorio; - 3. ai sensi dell'art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., per violazione e falsa applicazione degli artt. 138,139 e 140 del Codice delle Assicurazioni, degli artt. 2059, 1223, 1226, 2727 e 2729 c.c., nonché degli artt. 2 e 32 della Costituzione: ritiene parte ricorrente che i giudici di merito avrebbero dovuto liquidare un danno maggiore qualora avessero applicato correttamente le norme di legge richiamate. Con controricorso la parte intimata propone ricorso incidentale, deducendo la nullità della sentenza per violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in materia di regolazione delle spese di lite.

6. Ricorso principale:

7. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia il vizio di nullità processuale per inesatta rilevazione del contenuto della domanda e del devolutum, con conseguente violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato per omesso vaglio del motivo di appello, sull'assunto che la Corte territoriale, a fronte di un motivo di appello con il quale era stata espressamente contestata la valutazione del danno biologico permanente operata dal CTU nella misura del 5-6% in luogo del 10-12%, abbia limitato il suo oggetto di analisi agli aspetti di quantificazione del danno operati dal giudice, assumendo come non contestata la quantificazione in sé del danno alla salute nella misura del 5- 6%. A tal fine richiama le conclusioni dell'atto di appello in cui aveva chiesto di accertare e dichiarare che il danno biologico permanente è valutabile nell'ordine del 12% e per l'effetto rideterminare in Euro 25.189,05 la somma dovuta per il dedotto titolo. Parte controricorrente deduce che, al contrario, la Corte territoriale abbia ben compreso il motivo di gravame avverso, ritenendolo infondato e che la censura non colga appieno la ratio decidendi, avendone censurato solo alcune parti.

7.1. Il motivo è inammissibile perché non si confronta adeguatamente con la ratio decidendi, avendo la censura fatto riferimento solo a una parte della motivazione.

7.2. Al proposito va premesso che la rilevazione ed interpretazione del contenuto della domanda è attività riservata al giudice di merito ed è sindacabile ove ridondi in un vizio di nullità processuale, nel qual caso è la difformità dell'attività del giudice dal paradigma della norma processuale violata che deve essere dedotto come vizio di legittimità ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., come è stato denunciato nel caso in questione (Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 11103 del 10/06/2020).

7.3. Posto quanto sopra, va sottolineato che la Corte d'Appello, dopo avere rilevato che la responsabilità della ASL non fosse più in contestazione sotto il profilo dell'an debeatur, ha ritenuto infondate tutte le censure dell'appellante principale sul quantum debeatur, anche con riguardo all' assunta mancata considerazione delle critiche del Ct di parte; ha ritenuto fondata, invece, la censura della parte appellata svolta con appello incidentale in merito alla legge regolatrice della fattispecie in esame (artt. 138 e 139 cod. ass.), ritenendola applicabile anche ai fatti pregressi, assumendo altresì che la quantificazione del danno nella misura del 5/6% non fosse " qui in discussione (sulla scorta della CTU svolta in primo grado basata su un'accurata disamina e argomentazioni approfondite, esaurienti e corrette dal punto di vista sia logico che giuridico)".

7.4. Tale ultimo asserto, per quanto conciso, va nel senso di una motivazione non omessa sulla domanda di revisione della quantificazione del danno biologico accertato, bensì di espressione di una piena condivisione dell'operato del CTU e della corrispondente valutazione del giudice di primo grado in merito alla valutazione dell'entità del danno da invalidità permanente, osservato con riguardo alle varie componenti di danno biologico permanente e temporaneo.

8. Quanto al secondo motivo, la denuncia di omissione di fatti decisivi oggetto di discussione ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c. risulta inammissibile perché nell'ipotesi di "doppia conforme" ex art. 348 ter, comma 5, c.p.c., il ricorrente non ha assolto l'onere di indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e del rigetto dell'appello, dimostrando che sono tra loro diverse (Cass. 18/12/2014, n. 26860; Cass. 22/12/2016, n. 26774; Cass. 06/08/2019, n. 20994; da ultimo, Cass. 28/02/2023, n. 5947). La censura, infatti, attiene alla omessa considerazione dei certificati medici prodotti e all'omessa considerazione delle contestazioni alla CTU in termini di percentuale dell'invalidità permanente, valutate dalla Corte d'Appello conformemente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado.

6. La terza censura, invece, denunciando la violazione delle norme e dei principi che ruotano intorno alla liquidazione delle varie componenti del danno alla persona nelle lesioni lievi, merita una più articolata considerazione.

6.1. Nel caso di specie il ricorrente si duole del fatto che il danno morale (erroneamente indicato come "non autonomamente riconosciuto"), non possa essere contenuto nella operata "personalizzazione", sia pure massima, del danno attuale e futuro, in quanto detto danno sarebbe ineludibilmente collegato, nel caso di specie, alla permanenza di corpi estranei all'interno della gamba sinistra vita natural durante, rammentando che tale voce di risarcimento è la massima espressione della dignità umana desumibile dall'art. 2 della Costituzione in relazione all'art. 1 della Carta di Nizza, che impone tenersi conto ai fini del relativo ristoro delle condizioni soggettive della persona umana e della gravità del fatto. In breve, nella specie i giudici di merito avrebbero dovuto tener in maggior conto: (i) della sofferenza interiore di un giovane che si è visto privato della possibilità di condurre una normale vita sociale e di relazione, anche in termini di spensieratezza tipica dell'età; (ii) della prolungata lesione del diritto alla salute, a rischio recidiva; (iii) della astratta sussumibilità della condotta dei sanitari nella fattispecie del reato di lesioni colpose.

6.2. Al proposito, va rilevato che la Corte di merito, contrariamente a quanto lamentato nella censura, dopo avere correttamente escluso che la liquidazione del danno si possa ulteriormente scomporre con il riconoscimento autonomo del danno esistenziale (richiamando Cass. N. 703/2021), in applicazione delle tabelle di cui al codice dell'assicurazione sopra richiamate per le lesioni micro-permanenti (sull'applicabilità delle quali al caso in esame non viene mossa alcuna censura), ha riconosciuto il danno biologico valutato dal CTU nella sua massima personalizzazione (20%) prevista ex lege, nonché - in via del tutto autonoma - una minima parte di danno morale, pur avendo in premessa dichiarato di aderire al principio per cui la massima personalizzazione del danno è in grado di coprire l'intero danno alla persona, "in base al principio per cui la liquidazione del danno alla persona deve essere complessiva, in maniera tale da coprire l'intero pregiudizio a prescindere dal nomen iuris".

6.3. Il principio applicato dalla Corte di merito è corretto se riferito alle lesioni che fuoriescono dal campo di operatività delle cd micro-permanenti, poiché, ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale da lesione della salute (anche secondo le cd Tabelle di Milano), ove si accerti la sussistenza, nel caso concreto, tanto del danno dinamico-relazionale (cd. biologico) quanto del danno morale, il "quantum" risarcitorio deve essere determinato applicando integralmente i valori tabellari (che contemplano entrambe le voci di danno), mentre, ove si accerti l'insussistenza del danno morale, il valore del punto deve essere depurato dall'aumento percentuale previsto per tale voce, salvo procedere all'aumento fino al 30% del valore del solo danno biologico (con esclusione, dunque, della componente morale), qualora sussistano i presupposti per la personalizzazione di tale tipologia di pregiudizio (cfr. , da ultimo, Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 5119 del 17/02/2023; Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 15733 del 17/05/2022; Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 4878 del 19/02/2019 Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 7513 del 27/03/2018).

6.4. Pertanto si può ragionevolmente sostenere che è oramai chiaro (acte clair), a livello giurisprudenziale e non solo, che il danno morale costituisce una componente autonoma del danno alla persona che è sempre da valutare.

6.5. Tuttavia, questa Corte ha avuto anche modo di chiarire che al riconoscimento di danni biologici di lieve entità deve corrispondere un maggior rigore nell'allegazione e nella prova delle conseguenze dannose concretamente rivendicate, dovendo in caso contrario ritenersi normalmente assorbite, nel riscontrato danno biologico di lieve entità (salva la rigorosa prova contraria), anche le conseguenze astrattamente considerabili sul piano del c.d. danno morale (Cass. Sez. 3, ord. n. 5547 del 1 marzo 2024).

6.1. Sul punto, occorre peraltro sottolineare l'incongruenza tra quanto correttamente enunciato dalla Corte di merito in linea di principio e quanto nei fatti operato, là dove il giudice, dopo avere personalizzato il danno nella misura massima consentita per le micro-permanenti ex artt. 138 e 139 CdA (20%), proprio sulla base delle circostanze dedotte dal ricorrente, ha comunque riconosciuto una minor parte di danno morale (pari a Euro 623,83) senza offrire alcuna ragione a supporto di tale riconoscimento, seppur riducendolo rispetto a quanto liquidato dal primo giudice a tale titolo (Euro 2.000,00).

6.2. Tale esito, tuttavia, risulta intangibile in quanto non oggetto di censura da parte dell'ente debitore e, in parte, corrispondente a quanto preteso dal ricorrente, il quale però assume di avere diritto al riconoscimento di un danno maggiore anche sotto questo profilo.

6.3. Posta questa necessaria premessa, il principio enunciato dalla Corte di merito, in linea generale, si pone nel solco dell'orientamento, ispirato dai diritti fondamentali e universalmente riconosciuti alla persona, secondo cui non costituisce duplicazione risarcitoria la differente autonoma valutazione del danno alla persona compiuta con riferimento alla sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute, come stabilito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 235 del 2014, punto 10.1 e s. (ove si legge che la norma di cui all'art. 139 cod. ass. "non è chiusa anche al risarcimento del danno morale"), e come oggi normativamente confermato dalla nuova formulazione dell'art. 138 lett. e), cod. ass., introdotta - con valenza evidentemente interpretativa - dalla legge di stabilità del 2016.

6.4. Tuttavia, come anzidetto, la fattispecie in esame dimostra che la Corte di merito è incorsa in un errore metodologico nell'applicare in concreto i suddetti principi operando una sorta di automatico riconoscimento del danno morale dopo avere operato la personalizzazione del danno biologico nella misura massima, non supportando tale applicazione con un'idonea motivazione.

6.5. Sicché la motivazione resa rappresenta l'occasione per chiarire altresì che il principio dell'autonoma riconoscibilità del danno morale, ravvisabile "anche" nelle lesioni micro-permanenti regolate dal Codice delle assicurazioni (cfr. Corte Cost 235/2014 cit.), diversamente da quanto avviene per le lesioni più rilevanti, normalmente non abbia alcuna ragion d'essere quandanche sia stata già operata, in aumento, la massima personalizzazione del danno biologico permanente, e ciò per evitare che si attui una doppia valutazione di una componente del micro-danno (la personalizzazione) che già idealmente racchiude in sé tutti i risvolti aggiuntivi di compromissione morale ed esistenziale che, in alcuni casi, si possono verificare anche con riguardo alle micro-lesioni, come nel caso di specie riconosciuto nella misura massima dai giudici di merito.

6.6. In altri termini, ciò che si vuole affermare in questa sede è che, nel campo delle lesioni micro-permanenti, il bilanciamento dei valori da considerare nel risarcire il danno complessivo è già stato operato dal legislatore nell'ammettere una personalizzazione del danno nella misura massima del 20% e, pertanto, una ulteriore automatica considerazione di un differente fattore di incremento del danno non patrimoniale da risarcire non sarebbe coerente con un sistema tutto incentrato sul concetto: - a. di unitarietà del danno rispetto a qualsiasi lesione di un interesse o valore costituzionalmente protetto e non suscettibile di valutazione economica; - b. di onnicomprensività intesa come obbligo, per il giudice di merito, di tener conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze (modificative in pejus della precedente situazione del danneggiato) derivanti dall'evento di danno, nessuna esclusa, con il concorrente limite di evitare duplicazioni attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici, e procedendo, a seguito di articolata, compiuta ed esaustiva istruttoria, ad un accertamento concreto e non astratto del danno, all'uopo dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, ivi compresi li fatto notorio, le massime di esperienza, le presunzioni (cfr. per tutte, Cass. Sezioni Unite n. 29672-5 del 2008).

6.7. Vero è dunque che la giurisprudenza, rispetto ai danni alla persona che non rientrano nelle cd micro-permanenti, ha da sempre considerato autonomamente liquidabile la componente attinente alla sofferenza interiore, ove provata, non ammettendo che esso possa presumersi assorbito anche da una un'operazione di personalizzazione in aumento del medesimo (cfr. da ultimo anche Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 7892 del 22/03/2024; Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 6444 del 03/03/2023; Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 4878 del 19/02/2019).

6.8. Tuttavia, è anche vero che la possibilità di invocare il valore rappresentativo della lesione psico-fisica (in sé considerata come danno biologico) alla stregua di un elemento presuntivo suscettibile di (concorrere a) legittimare l'eventuale riconoscimento di un coesistente danno morale (v. Cass. 10/11/2020, n. 25164), deve ritenersi tanto più limitata quanto più ridotta, in termini quantitativi, si sia manifestata l'entità dell'invalidità riscontrata, attesa la ragionevole e intuibile idoneità di fatti lesivi di significativa ed elevata gravità a provocare forme di sconvolgimento o di debordante devastazione della vita psicologica individuale (ragionevolmente tali da legittimare il riconoscimento dalla compresenza di un danno morale accanto a un danno biologico), rispetto alla corrispettiva idoneità delle conseguenze limitate a un danno biologico di moderata entità ad assorbire, secondo un criterio di normalità (e sempre salva la prova contraria), tutte le conseguenze riscontrabili sul piano psicologico, ivi comprese quelle misurabili sul terreno del c.d. danno morale (cfr., su questo specifico aspetto, Cass., Sez. 3, ord. n. 6444 del 03/03/2023).

6.9. Da quanto sopra segue la necessità di affermare il seguente principio, declinabile sul piano concettuale e non solo probatorio, secondo cui, "al riconoscimento di danni biologici di lieve entità corrisponde un maggior rigore nell'allegazione e nella prova delle conseguenze dannose concretamente rivendicate, dovendo ritenersi presumibilmente assorbito, nel riscontrato danno biologico di lieve entità, il danno morale laddove sia stata già riconosciuta una personalizzazione del danno biologico nella misura massima".

6.10. Alla luce di quanto sopra, non vi è luogo per ravvisare la dedotta violazione di legge (mancato riconoscimento del danno morale nella massima misura) in una ipotesi, come quella in esame, di accertata lieve entità della lesione personale di natura permanente con contestuale riconoscimento del valore massimo di personalizzazione del danno alla persona previsto ex lege per le lesioni micro-permanenti e, in ogni caso, di un autonomo riconoscimento, seppur minimo, del danno morale.

6.11. Difatti il vizio di violazione e falsa applicazione della legge, di cui all'art. 360,1 comma, n. 3, cod. proc. civ., secondo il disposto di cui all'art. 366,1 comma, n. 4, cod. proc. civ., deve essere, a pena d'inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l'interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito a questa Corte di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass., Sez. un., 05/05/2006, n. 10313), giacché non è il punto d'arrivo della decisione di fatto che determina l'esistenza del vizio di cui all'art. 360,1 comma, n. 3, cod. proc. civ., ma l'impostazione giuridica che, espressamente o implicitamente, abbia seguito il giudice di merito nel selezionare le norme applicabili alla fattispecie e nell'interpretarle.

7. Ricorso incidentale: Con il motivo di ricorso incidentale la ASL controricorrente denuncia la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in materia di regolamentazione delle spese di lite non essendo stato considerato che, in grado d'appello, l'Azienda è stata integralmente vittoriosa, avendo la Corte rigettato l'appello principale del Sig. Da.St. e accolto quello incidentale dell'Azienda sanitaria: sicché una applicazione lineare dell'art. 91 c.p.c. in tema di principio di soccombenza avrebbe portato, a suo dire, al seguente risultato: 1 - una condanna del Sig. Da.St. (integralmente soccombente in appello) a rimborsare le spese di impugnazione a favore dell'ASL (integralmente vittoriosa in tale grado); 2 - una condanna del Sig. Da.St. (soccombente in primo grado per 9/10) a rimborsare 9/10 delle spese di impugnazione a favore dell'ASL (soccombente solo per meno di 1/10) o, a tutto voler concedere, una compensazione delle spese di primo grado.

7.1. Il motivo è infondato.

7.2. Viene qui in considerazione il principio dell'infrazionabilità della domanda e il suo rapporto con il principio della soccombenza. Il criterio della soccombenza, al fine di attribuire l'onere delle spese processuali, non si fraziona a seconda dell'esito delle varie fasi del giudizio, ma va riferito unitariamente all'esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi definitivamente soccombente abbia conseguito un esito ad essa favorevole (ex plurimis, v. Cass. Sez. 6 - 3, n. 13356 del 18/5/2021). Infatti, è unitario e globale il criterio di individuazione della soccombenza, e violerebbe il principio di cui all'art. 91 cod. proc. civ. il giudice di merito che ritesse la parte come soccombente, in un grado di giudizio ed invece come vincitrice, in altro grado (cfr. Cass. n. 974 del 17/1/2007; Cass. n. 15557 del 7/7/2006; Cass. n. 18255 del 10/9/2004).

7.3. È egualmente unitario e globale il criterio allorché il giudice ritenga di giungere alla compensazione parziale delle spese di lite per reciproca parziale soccombenza, condannando poi per il residuo una delle due parti. In tal caso, l'unitarietà e la globalità del criterio della soccombenza comporta che, in relazione all'esito finale della lite, il giudice deve individuare la parte parzialmente soccombente e quella, per converso, parzialmente vincitrice (tra le altre, v. Cass. n. 17523 del 23/8/2011; Cass. n. 4052 del 19.2.2009) in favore della quale il giudice del gravame è tenuto a provvedere sulle spese secondo il principio della soccombenza applicato all'esito globale del giudizio, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio ed al loro risultato (cfr. da ultimo, Cass. Sez. U -, Sentenza n. 32061 del 31/10/2022).

7.4. Da quanto sopra, deve darsi continuità al principio per cui, in tema di liquidazione delle spese giudiziali, "il criterio della soccombenza non si fraziona secondo l'esito delle varie fasi, bensì dev'essere considerato unitariamente ex post, ossia all'esito della lite nel momento in cui viene decisa dal giudice d'appello che regola le spese del giudizio (ragionando da Cass. n. 19880 del 29.9.2011), senza che rilevi il fatto che in qualche segmento (grado o fase) del processo la parte poi soccombente abbia conseguito un esito per sé favorevole".

7.5. Sicché in tema di regolamento delle spese processuali da parte del giudice d'appello, "il principio della soccombenza di cui all'art. 91 cod. proc. civ. o di reciproca soccombenza di cui all'art. 92 cod. proc. civ. che conduce alla compensazione delle spese processuali, se letto alla luce del principio dell' infrazionabilità della domanda, comporta che nella domanda formulata dall'appellante alla condanna della controparte alla refusione delle spese di lite, deve ritenersi implicita la richiesta di regolamento anche di quelle di primo grado, e la soccombenza o reciproca soccombenza dev'essere individuata non avuto riguardo ai singoli segmenti (grado e fase) del giudizio, bensì al processo considerato unitariamente ex post all'esito della lite decisa dal giudice d'appello" (cfr. Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 23639 del 03/09/2024; Cass. Sez. U -, Sentenza n. 32061 del 31/10/2022; Cass. Sez. 6 - 3, Sentenza n. 5820 del 23/03/2016 Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 19122 del 28/09/2015).

7.6. La sentenza impugnata, pertanto, si dimostra rispettosa del principio di diritto che precede, derivandone la reiezione della censura.

8. Conclusivamente, il ricorso principale va dichiarato inammissibile, mentre deve essere rigettato l'appello incidentale, con compensazione delle spese tra le parti, stante la reciproca soccombenza.

P.Q.M.

La Corte

– dichiara inammissibile il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale;

– compensa le spese tra le parti;

– ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente e del ricorrente incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.

Così deciso in Roma, il 3 marzo 2025.

Depositata in Cancelleria il 20 maggio 2025.

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