Pubblicato il

Minore guida il motorino senza patente? Paga il genitore!

Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.14000 del 26/05/2025

Con l'ordinanza n. 14000 del 26 maggio 2025, la Seconda sezione civile della Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un padre sanzionato per omessa vigilanza sul figlio minorenne, sorpreso alla guida di un motociclo senza aver mai conseguito la patente.

La multa, pari a 5.110 euro, era stata elevata ai sensi dell'art. 116, commi 15 e 17 del Codice della Strada, e l'uomo era stato ritenuto responsabile per "culpa in vigilando", in base all'art. 2 della legge n. 689/1981.

La vicenda

Il minore era stato fermato dalla Polizia stradale di Lecce mentre guidava un Honda Pantheon 150 cc. Il verbale contestava al padre di aver consentito la condotta o, comunque, di non aver esercitato un'adeguata sorveglianza.

L'opposizione proposta dinanzi al Giudice di Pace di Lecce è stata respinta (sentenza n. 2772/2020), e il Tribunale ha confermato la decisione, sottolineando che il genitore non aveva nemmeno articolato una prova volta a dimostrare di aver fatto tutto il possibile per impedire la condotta illecita.

I motivi del ricorso e la decisione della Corte

Nel ricorso in Cassazione, il padre ha sollevato tre motivi:

  1. Motivazione apparente: si lamentava che la sentenza fosse priva di una motivazione adeguata circa la mancata accoglienza della prova liberatoria. La Corte ha ritenuto infondata la censura, ritenendo la motivazione pienamente comprensibile e coerente, conforme al principio secondo cui il genitore può esimersi dalla responsabilità solo dimostrando di aver esercitato una vigilanza rigorosa e attiva (Cass. nn. 9435/2008, 22550/2009).

  2. Errata valutazione delle prove: secondo il ricorrente, il Tribunale avrebbe travisato le dichiarazioni della fidanzata del figlio e ignorato il fatto che il minore si era fatto prestare il motociclo da un amico, nonostante il diniego del padre. La Corte ha dichiarato il motivo inammissibile, trattandosi di una contestazione sull'apprezzamento del materiale probatorio, non sindacabile in sede di legittimità.

  3. Vizio formale del verbale: il padre contestava l'omessa indicazione della località della violazione. Anche questo motivo è stato ritenuto inammissibile, in quanto nuovo e mai dedotto nei precedenti gradi di giudizio, in violazione del principio di specificità.

Condanne ulteriori

La Corte ha dunque rigettato il ricorso, condannando il ricorrente:

  • al pagamento delle spese del giudizio di legittimità (1.500 euro oltre accessori);

  • al versamento di 750 euro in favore della parte controricorrente;

  • e di ulteriori 750 euro alla Cassa delle ammende, ai sensi dell'art. 96 c.p.c., commi 3 e 4, per lite temeraria;

  • oltre al contributo unificato raddoppiato, ex art. 13, comma 1-quater del D.P.R. 115/2002.

Il principio di diritto

La sentenza ribadisce un principio chiaro: la responsabilità del genitore per gli illeciti amministrativi commessi dal minore è presunta, diretta e personale e può essere superata solo fornendo prova rigorosa di una vigilanza efficace e continua. Il semplice rapporto di fiducia tra genitore e figlio non basta: serve dimostrare di aver fatto tutto quanto concretamente possibile per impedire l'infrazione.

La pronuncia consolida l'orientamento giurisprudenziale che impone ai genitori un dovere attivo di controllo, soprattutto in relazione a comportamenti pericolosi come la guida di veicoli a motore senza patente.

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

Cassazione civile sez. II, ordinanza 26/05/2025 (ud. 21/05/2025) n. 14000

RILEVATO CHE:

1. De.An. propose opposizione davanti al Giudice di pace di Lecce avverso il verbale della polizia stradale di Lecce del 09/05/2020 che gli contestava, in qualità di genitore del figlio minorenne De.Fr., la violazione dell'art. 116 commi 15 e 17 del codice della strada, per avere consentito al proprio figlio De.Fr. di condurre il motociclo Honda Pantheon 150 cc pur essendo privo della patente di guida perché mai conseguita, e gli applicava la sanzione pecuniaria di Euro 5.110,00.

Il Giudice di pace respinse l'opposizione, con sentenza n. 2772 del 2020, confermata dal Tribunale di Lecce, il quale, nel contraddittorio della PA, ha rigettato l'appello di De.An. sul rilievo che quest'ultimo – nella veste di soggetto tenuto alla sorveglianza del figlio minorenne, gravato, in applicazione dell'art. 2 della legge n. 689 del 1981, dell'onere di provare di non avere potuto impedire il fatto – né aveva provato né, ancor prima, aveva articolato la prova di aver esercitato la massima vigilanza sul figlio e di aver fatto il possibile al fine di evitare che questi commettesse l'infrazione;

2. per la cassazione della sentenza d'appello, De.An. ha proposto ricorso con tre motivi.

La prefettura di Lecce ha resistito con controricorso.

In data 22/05/2024 il consigliere delegato ha depositato proposta di definizione del giudizio, ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., nella versione vigente ratione temporis, che è stata ritualmente comunicata alle parti. In seguito a tale comunicazione, il ricorrente, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, ha chiesto la decisione del ricorso. Pertanto, è stata fissata l'adunanza in camera di consiglio, ai sensi dell'art. 380-bis 1 c.p.c.

CONSIDERATO CHE:

1. il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. "132 c. 2 n. 3 – 118 disp. att. c.p.c.": la sentenza sarebbe viziata da motivazione apparente, in mancanza della puntuale indicazione delle ragioni per le quali non si è ritenuto raggiunta la prova liberatoria offerta dall'appellante rispetto alla presunzione di responsabilità dei genitori di cui all'art. 2048 c.c.;

il motivo è infondato;

come si desume con chiarezza dalla sintesi del contenuto della decisione (v. punto 1 del "Rilevato che"), la sentenza impugnata contiene le argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della pronuncia, e non è perciò affatto "apparente", consentendo un "effettivo controllo sull'esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice" (cfr. Cass. Sezioni Unite n. 8053 del 2014; n. 22232 del 2016; n. 2767 del 2023).

A ciò si aggiunga che la statuizione del giudice di merito è in linea con la giurisprudenza della Corte (Cass. nn. 9435/2008, citata dal Tribunale di Lecce, 22550/2009) e con il seguente principio di diritto: "in tema di sanzioni amministrative di carattere pecuniario per violazioni al codice della strada, per gli illeciti commessi da minori di età, la responsabilità del genitore per "culpa in vigilando" - presunta, diretta e personale - è superata ove il genitore dimostri di non aver potuto impedire il fatto fornendo la prova rigorosa di avere esercitato la massima vigilanza sul minore e, ove ricorra la fattispecie in esame, di aver compiuto il possibile per evitare che il medesimo circolasse su strada con un veicolo senza avere conseguito la corrispondente patente di guida";

2. il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 115,116 c.p.c., dell'art. 2 della legge n. 689 del 1981 e dell'art. 116 del c.d.s.: il Tribunale non avrebbe bene interpretato la dichiarazione di Ro.Vi., fidanzata dell'autore materiale dell'illecito (ed infatti la disponibilità, da parte del figlio, delle chiavi dell'officina del padre era la conferma della fiducia che il genitore riponeva nel figlio in virtù dell'educazione che gli aveva dato), e non avrebbe considerato che il minore si era fatto prestare la motocicletta da un amico a causa del diniego oppostogli dal genitore, il quale "non riteneva consono" che il figlio guidasse un motociclo senza avere la patente;

il motivo è inammissibile;

per la giurisprudenza della S.C.: "(i)n materia di ricorso per cassazione, la violazione dell'art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre" (Cass. 10/06/2016, n. 11892; conf., ex multis, Cass. 11/10/2016, n. 20382; Cass. 28/02/2018, n. 4699; Cass. 03/11/2020, n. 24395; Cass. 26/10/2021, n. 30173), e, ancora, (cfr. Cass. n. 11892/2016, cit.) "la violazione dell'art. 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) è idonea ad integrare il vizio di cui all'art. 360, n. 4, c.p.c., solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all'opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime".

Nel caso in esame, a prescindere dal riferimento, nella rubrica del mezzo di impugnazione, agli errores in procedendo delineati dagli artt. 115,116 c.p.c., è chiaro che al giudice di appello non viene addebitato di aver posto a fondamento della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d'ufficio al di fuori dei limiti legali, ma gli si imputa piuttosto un ipotetico error in iudicando, consistente nel cattivo esercizio del potere di apprezzamento degli elementi istruttori, aspetto, quest'ultimo, insindacabile in sede di legittimità;

3. il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 200 del c.d.s., 383 comma 1 D.P.R. n. 495 del 1992: il verbale di accertamento impugnato sarebbe nullo per omessa indicazione della località nella quale la violazione è avvenuta, vale a dire del luogo in cui De.Fr. era stato fermato alla guida del motociclo in assenza della corrispondente patente;

il motivo è inammissibile: si fa valere una questione – un vizio di forma-contenuto del verbale di contravvenzione – che la sentenza di appello non affronta e che non può essere proposta per la prima volta in questa sede.

Trova infatti conferma il principio di diritto secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l'avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di specificità, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel "thema decidendum" del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio (Sez. 2, Sent. n. 20694 del 2018, Sez. 6-1, Ord n. 15430 del 2018, Sez. 2, Ord. n. 38228 del 2021, Sez. L, Ord. n. 18018 del 01/07/2024, Rv. 671850);

4. il ricorso, pertanto, è rigettato;

5. le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

6. poiché il ricorso è deciso in conformità della proposta formulata ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., vanno applicati – come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380-bis c.p.c. – il terzo e il quarto comma dell'art. 96 c.p.c., con conseguente condanna del ricorrente al pagamento, in favore di parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro nei limiti di legge (non inferiore ad Euro 500 e non superiore a Euro 5.000. Cfr. Sez. U, Ordinanza n. 27433 del 27/09/2023, Rv. 668909 – 01; Sez. U, Ordinanza n. 27195 del 22/09/2023, Rv. 668850 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 27947 del 04/10/2023, Rv. 669107 – 01);

7. ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del D.P.R. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.500,00, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Condanna il ricorrente al pagamento della somma di Euro 750,00, in favore della parte controricorrente e di una ulteriore somma di Euro 750,00, in favore della cassa delle ammende.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del D.P.R. 115 del 2002, dichiara che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, in data 21 maggio 2025.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2025.

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472