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Diritto all'oblio e diritto di cronaca giudiziaria: come si bilanciano?

Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.14488 del 30/05/2025

Può un cittadino chiedere la deindicizzazione di notizie che lo collegano a vicende giudiziarie passate, da cui è stato assolto con sentenza definitiva?

La risposta arriva dalla Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 14488 del 30 maggio 2025, che affronta un caso in cui un imprenditore chiedeva la rimozione dai motori di ricerca di URL riferiti a un'accusa di associazione mafiosa, da cui era stato poi assolto.

I principi in materia

Il bilanciamento tra diritto all'oblio (art. 17 GDPR e artt. 2 e 8 Carta dei diritti fondamentali UE) e diritto di cronaca giudiziaria (art. 21 Cost.) segue alcuni principi costanti:

  • Il diritto all'oblio tutela il soggetto dalla permanente reperibilità online di informazioni non più attuali, specie se superate da una sentenza di assoluzione;

  • Il diritto di cronaca, anche giudiziaria, può prevalere quando vi sia un interesse pubblico attuale alla notizia, specie se il soggetto ha avuto un ruolo rilevante nella vita pubblica o economica;

  • Il bilanciamento deve avvenire secondo criteri di verità, pertinenza, attualità e proporzionalità;

  • La giurisprudenza (Cass. 6919/2018, SS.UU. 19681/2019, Cass. 15160/2021) ha riconosciuto che, in mancanza di un interesse attuale, si può disporre almeno la deindicizzazione dell'articolo dai motori di ricerca, lasciandone l'accesso solo tramite gli archivi storici.

La decisione della Corte

Nel caso esaminato, il ricorrente era stato accusato nel 2011 di appartenere a un clan mafioso e assolto definitivamente nel 2015. Tuttavia, nel 2022 ha riscontrato la presenza online di URL che lo collegavano ancora a quei fatti, senza menzionare l'assoluzione.

Il Tribunale di Milano aveva rigettato la domanda, ritenendo prevalente l'interesse pubblico alla notizia, vista la candidatura politica e l'attività nel settore immobiliare dell'interessato. Ma la Cassazione ha censurato questa decisione.

Secondo la Suprema Corte, il Tribunale ha omesso di considerare che:

  • L'accusa di mafia è stata smentita da una sentenza irrevocabile;

  • Gli articoli non erano aggiornati con l'evoluzione processuale;

  • Il fattore tempo (oltre 12 anni) non è stato valutato correttamente: si era considerata solo la data della sentenza e non quella dei fatti;

  • Le notizie erano potenzialmente diffamatorie e non più pertinenti, incidendo sull'identità personale e la reputazione del ricorrente.

Il giudice di merito, quindi, ha errato nel bilanciamento tra i diritti coinvolti, trascurando il principio di autodeterminazione informativa.

La Corte di Cassazione ha cassato la sentenza e rinviato al Tribunale, affermando che il giudizio di bilanciamento tra diritto all'oblio e cronaca giudiziaria deve considerare:

  • L'effettiva attualità dell'interesse pubblico alla notizia;

  • L'esito definitivo del processo;

  • L'aggiornamento delle informazioni online;

  • L'impatto sulla reputazione e identità del soggetto.

In assenza di un interesse pubblico concreto e attuale, il soggetto ha diritto almeno alla deindicizzazione degli articoli che lo collegano a fatti non più attuali.

Conclusione

Se il tuo nome su Google continua a evocare storie giudiziarie chiuse da anni con un'assoluzione, forse non è solo una questione d'immagine: potrebbe essere una violazione del tuo diritto all'oblio.

E non serve sparire nel nulla, basta deindicizzare.

Domanda di “deindicizzazione” da motore di ricerca, diritto all’oblio, bilanciamento con il diritto di cronaca giudiziaria, presupposti, censurabilità in cassazione

Nel giudizio di bilanciamento tra il diritto all’oblio e il diritto di cronaca giudiziaria, la valutazione del giudice di merito è censurabile in cassazione ove i motivi di doglianza, lungi dall’investire l’accertamento del fatto nella sua materialità storica, riguardino la correttezza del metodo seguito nonché il rispetto dei criteri di ragionevolezza e proporzionalità, poiché, essendo coinvolto il diritto fondamentale al controllo dell’insieme delle informazioni che definiscono l’immagine “sociale” (la cd. autodeterminazione informativa), l’atteggiarsi del singolo fatto concreto finisce con il penetrare nel cuore stesso delle valutazioni, concorrendo a determinare il senso o il verso del bilanciamento, il quale presuppone un complesso giudizio nel quale assumono rilievo decisivo la notorietà dell’interessato, il suo coinvolgimento nella vita pubblica, l’oggetto della notizia e il tempo trascorso.

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Cassazione civile, sez. I, sentenza 30/05/2025 (ud. 21/05/2025) n. 14488

FATTI DI CAUSA

1. - Con ricorso ex art. 79 del Regolamento sulla protezione dei dati (Regolamento UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, n. 679 relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE), depositato in data 14 novembre 2022, il signor Cu.Ri. ha chiesto al Tribunale di Milano di accertare e dichiarare l'illegittimità della condotta posta in essere da GOOGLE LLC, per avere trattato e memorizzato i dati personali di esso ricorrente su un certo numero di URL.

Il ricorrente ha chiesto di ordinare a GOOGLE LLC la rimozione dai motori di ricerca delle pagine web e degli URL, adottando ogni provvedimento utile alla protezione dei dati personali o ad impedire il protrarsi della lesione dei diritti alla riservatezza, alla reputazione e all'onore del medesimo, prescrivendo il blocco e/o il divieto di utilizzare i dati personali; ha domandato, inoltre, di accertare e dichiarare il diritto del ricorrente al risarcimento dei danni, biologico, morale nonché patrimoniale da riduzione del reddito, cagionati dalla condotta illecita della resistente.

Il signor Cu.Ri. si è doluto del comportamento asseritamente illecito di Google che aveva negato la rimozione degli URL, non riconoscendo al ricorrente l'esistenza del diritto all'oblio.

Il Cu.Ri. ha chiesto la rimozione, dai risultati del motore di ricerca ottenuti digitando il proprio nome e cognome, di un certo numero di URL che facevano riferimento ad una vicenda processuale che lo aveva visto protagonista in concorso con altri e che si sarebbe conclusa con la sua assoluzione davanti alla Corte di cassazione con sentenza del 2015.

Più nello specifico, il ricorrente, a sostegno delle domande spiegate, ha dedotto di essere stato sottoposto nel novembre 2011 a custodia cautelare per una sua presunta appartenenza all'associazione criminale "Va.", di essere stato rinviato a giudizio per associazione di stampo mafioso ai sensi dell'art. 416-bis cod. pen. e di essere stato assolto in primo grado e quindi condannato in grado di appello.

Ha poi precisato che, avendo la Corte di cassazione definitivamente accertato con sentenza del 2015 la sua estraneità alle attività illecite e ai ritenuti episodi di violenza, egli aveva richiesto alla resistente la rimozione dalle ricerche correlate al suo nome dei collegamenti alle notizie di cronaca relative ai fatti sopra menzionati.

Ha aggiunto che, ricevuta risposta positiva e ottenuta la cancellazione, egli aveva riscontrato, nel febbraio 2022, che, effettuando ricerche con il proprio nome su Google, ancora erano presenti contenuti correlati alla medesima vicenda.

Nuovamente chiesta alla resistente la cancellazione, tale richiesta non veniva accolta sul presupposto che i contenuti riguardavano un'attività svolta sino a poco tempo prima.

Il Cu.Ri. ha lamentato di avere ricevuto risposta negativa alla sua istanza del 21 giugno 2022 e di non aver ricevuto alcuna risposta rispetto all'istanza del 20 settembre 2022.

Il signor Cu.Ri. ha quindi denunciato che il permanente richiamo, attraverso la digitazione del proprio nome su Google, dei contenuti che lo affiancavano al clan Va. ed alle manovre poste in essere da questo gruppo all'interno del Comune di C per sponsorizzare la sua candidatura e che affermavano che il ricorrente era stato avvicinato da Va.Fo. al fine di "allargare la sfera di influenza interessandosi ad operazioni legate alle costruzioni immobiliari e a varie attività imprenditoriali nella zona di R in previsione del prossimo Expo", costituirebbe violazione del diritto alla deindicizzazione dai motori di ricerca di coloro che, essendo stati indagati, vengano assolti o siano successivamente destinatari di un provvedimento di archiviazione o di non luogo a procedere e, più in generale, violazione del diritto all'oblio quando il tempo trascorso dalla commissione dei fatti di cui alla notizia non è più giustificato dall'interesse pubblico.

Ha osservato che i contenuti indicizzati risalgono agli anni 2010/2011 e contengono notizie obsolete, non corrispondenti a verità, essendo il signor Cu.Ri. stato assolto dal reato di associazione criminale, e non riguardano una persona che ricopre un ruolo pubblico o socialmente rilevante.

2. - Si è costituita la resistente GOOGLE LLC, contestando le deduzioni del ricorrente e chiedendo il rigetto del ricorso.

La convenuta ha rilevato che i contenuti degli URL contestati ancora presenti nell'indice di Google search non sono inesatti, in quanto riferivano della vicinanza del signor Cu.Ri. alla famiglia 'ndraghetista dei Va..

Infatti, sebbene avesse assolto il signor Cu.Ri. dal reato di associazione a delinquere di stampo mafioso in difetto di prove della sua appartenenza alla 'ndrangheta, la Corte di cassazione aveva confermato la condanna del ricorrente per il reato di usura aggravata in concorso con Va.Fo.

Secondo la convenuta, tali contenuti erano mantenuti legittimamente in collegamento con il nome del ricorrente, permanendo l'interesse pubblico alla conoscenza della notizia, anche in considerazione del ruolo, del Cu.Ri., di agente immobiliare iscritto all'albo.

3. - Con sentenza 14 dicembre 2023-20 febbraio 2024, il Tribunale di Milano, riconosciute, da un lato, la qualità di titolare del trattamento di Google e, dall'altro, la giurisdizione del giudice italiano, ha, in via preliminare, dichiarato la cessazione della materia del contendere, come concordemente rilevato da entrambe le parti, per dieci dei quattrodici URL, giacché essi non sono più indicizzati con il nome ed il cognome del Cu.Ri.; mentre ha rigettato la domanda per i restanti quattro URL: http://(Omissis).

Per ciò che ancora rileva in questa sede, il primo Giudice ha ritenuto insussistenti i presupposti del riconoscimento del diritto all'oblio, in specie di diritto alla de-indicizzazione.

Secondo il Tribunale, infatti, il diritto all'oblio non è un diritto al quale l'ordinamento offra una tutela incondizionata, giacché deve essere necessariamente bilanciato con ulteriori interessi, tra cui spicca il diritto alla informazione nel legittimo esercizio del diritto di cronaca, quale declinazione del diritto enucleato dall'art. 21 Cost.

E nella specie sarebbe prevalente l'interesse della collettività ad essere resa edotta delle informazioni contenute negli articoli di cui il ricorrente chiede la de-indicizzazione rispetto all'evocato diritto all'oblio.

Ha osservato il Tribunale che il profilo allegato nel ricorso quale produttivo di danno è riferito alla permanenza nel web, attraverso il detto meccanismo della indicizzazione, del contenuto attinente alla sussistenza di rapporti personali, di amicizia e di interesse, del ricorrente Cu.Ri. con Va.Fe., legame che avrebbe avuto riflessi nella attività del Cu.Ri. nell'ambito della vita politica del Comune di C.

Tenuto conto della tipologia del fatto di reato commesso dal Cu.Ri. nonché del ruolo nel campo della attività anche politica (essendosi egli candidato per le elezioni amministrative locali) e del settore immobiliare (la notizia lo associa a legami nell'ambito delle attività immobiliari legate ad Expo 2015), secondo il Tribunale permane un interesse della collettività a conoscere le vicende processuali che hanno coinvolto il ricorrente e ad essere informata sui fatti commessi dal ricorrente aventi penale rilevanza.

4. - Per la cassazione della sentenza del Tribunale di Milano il signor Cu.Ri. ha proposto ricorso, con atto notificato il 24 luglio 2024, sulla base di cinque motivi.

L'intimata ha resistito con controricorso.

Il ricorso è stato fissato per la discussione in udienza pubblica.

In prossimità dell'udienza la controricorrente Google ha depositato una memoria illustrativa.

5. - Anche l'Ufficio del Procuratore generale ha depositato una memoria.

Il Pubblico Ministero ha concluso per il rigetto del ricorso.

Secondo il Pubblico Ministero, la decisione impugnata ha correttamente dato rilevanza all'attualità dell'interesse pubblico alla reperibilità di tali informazioni come traccia di una vicenda riguardante la comunità locale.

In questo contesto, la circostanza che la decorrenza del fattore temporale sia stata agganciata alla data di pubblicazione della sentenza (1 settembre 2015) e non invece alla data di pubblicazione degli articoli di cui agli URL contestati (2010-2011), ovvero a quella in cui si erano svolti i fatti, non assume alcuna decisiva rilevanza al fine della individuazione del principio di diritto.

La decisione sarebbe conforme al dettato dell'art. 17 del Regolamento ed ai principi espressi dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale. Ne consegue che l'art. 17 è stato applicato correttamente anche nella considerazione del fattore tempo ed è stato bilanciato con "l'attuale diritto della collettività ad essere informata sui fatti commessi dal ricorrente aventi penale rilevanza", non essendosi realizzato il diritto all'oblio proprio per la perdurante vigenza dell'esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione.

All'udienza pubblica, tenutasi il 21 maggio 2025, il Pubblico Ministero e le parti hanno ribadito le loro posizioni già espresse negli atti scritti.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. - La parte ricorrente, nel mese di novembre 2011, veniva sottoposta alla misura della custodia cautelare a causa della sua presunta appartenenza all'associazione criminale di stampo mafioso "Va.".

Il giudizio di primo grado si concludeva con l'assoluzione dell'imputato. Il giudice di secondo grado ribaltava l'esito del giudizio e accoglieva l'appello proposto dal pubblico ministero. La Corte di cassazione, con sentenza del 2015, al contrario, dichiarava l'estraneità del Cu.Ri. all'associazione mafiosa.

L'interessato ha chiesto, allora, la deindicizzazione e ha lamentato che la mancata rimozione sarebbe stata fonte di danno. Il Tribunale di Milano ha respinto la domanda per quanto concerne gli URL specificamente indicati in sentenza, affermando la permanenza dell'interesse pubblico alla conoscibilità della notizia.

2. - Il ricorso del Cu.Ri. è articolato in cinque motivi di censura.

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell'art. 2 del D.Lgs. n. 196 del 2003, degli artt. 5, 6, 7, 10, 12, 16, 17, 23 e 32 del Regolamento n. 679 del 2016 e dell'art. 2 Cost., in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per non avere, il Tribunale, valutato il fattore tempo e bilanciato gli interessi in gioco.

Il secondo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione delle Linee guida n. 5 del 2019 sui criteri per l'esercizio del diritto all'oblio nel caso dei motori di ricerca, dell'art. 2 del D.Lgs. n. 196 del 2003 e dell'art. 7 del Regolamento n. 679 del 2016, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per non avere, la sentenza impugnata, valutato l'esattezza della notizia pubblicata e conservata.

Con il terzo motivo, prospettato in relazione al n. 5) dell'art. 360 cod. proc. civ., ci si duole di omessa ed apparente motivazione ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti nel primo grado, ovvero che il ricorrente è stato assolto dall'accusa di associazione mafiosa con sentenza emessa dalla Corte di cassazione il 1 settembre 2015.

Sotto la rubrica "omessa ed apparente motivazione e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti nel primo grado", il quarto motivo, invocando il paradigma del n. 5) dell'art. 360 cod. proc. civ., lamenta che sia stata ravvisata la sussistenza di un interesse della collettività a conoscere le vicende processuali che hanno visto coinvolto il signor Cu.Ri., laddove, ad avviso del ricorrente, non sarebbe configurabile alcun interesse collettivo a conoscere di dette vicende processuali.

Con il quinto e ultimo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1176,1218 e 2697 cod. civ., 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, n. 3), cod. proc. civ., in ordine alle regole di governo dell'onere della prova.

3. - I motivi possono essere esaminati congiuntamente, data la loro stretta connessione.

4. - Le censure articolate dal ricorrente contestano la conclusione alla quale è pervenuto il Tribunale sotto più profili.

Poiché le notizie in rete risalgono agli anni 2010/2011, esse, secondo il ricorrente, sarebbero divenute obsolete, e comunque offrirebbero una rappresentazione non più attuale della realtà, non rispondendo più - per il lungo tempo trascorso (oltre 12 anni) - ad alcun attuale interesse pubblico alla relativa conoscenza.

Inoltre, tali notizie - prosegue il ricorso - non corrisponderebbero al vero, in quanto il ricorrente viene additato ancora come "esponente del clan della 'ndrangheta Va.", quando invece la Corte di cassazione, giudicando in sede penale, ha accertato la totale estraneità del Cu.Ri. all'associazione criminale.

Le notizie riportate, d'altra parte, non riguarderebbero una persona che ricopre un ruolo pubblico o socialmente rilevante, bensì un soggetto che è fuori dalle dinamiche sociali, politiche o culturali del Paese e che - si assume - ha diritto, pertanto, a conservare l'anonimato sulle vicende della sua vita privata, che non rivestono, per il pubblico, alcun interesse meritevole di tutela.

Si tratterebbe, inoltre, di dati trattati in violazione di legge in quanto non esatti, non aggiornati, non pertinenti, non veritieri e non più rispondenti alle finalità per le quali erano stati raccolti.

Ad avviso del ricorrente, l'interesse economico del motore di ricerca a conservare contenuti infondati (e, comunque, giudizialmente accertati essere non veritieri) non può prevalere su quello del soggetto a non vedersi attribuire accuse estremamente calunniose, diffamatorie e denigratorie, tali da lederne irreparabilmente l'immagine e la reputazione, con grave pregiudizio al decoro ed alla dignità personale dello stesso.

La divulgazione in rete di notizie non corrispondenti al vero lederebbe non solo il soggetto direttamente coinvolto, ma anche l'interesse pubblico ad essere correttamente informati e a conoscere la verità dei fatti rappresentati.

Il ricorrente ricorda che il diritto all'oblio è il diritto a non rimanere esposti, senza limiti di tempo, ad una rappresentazione non più attuale della propria persona, con pregiudizio alla reputazione ed alla riservatezza, per la ripubblicazione (a distanza di un importante intervallo temporale destinato ad integrare il diritto ed al cui decorso si accompagni una diversa identità della persona) o il mantenimento senza limiti temporali di una notizia relativa a fatti commessi in passato, che nella sua versione dinamica consiste nel potere, attribuito al titolare del diritto, al controllo del trattamento dei dati personali ad opera di terzi responsabili.

Ad avviso del ricorrente, avrebbe errato il Tribunale ambrosiano, per la decorrenza del fattore temporale, ad assumere come dies a quo la data di pubblicazione della sentenza di assoluzione del ricorrente emessa dalla Cassazione penale il 1 settembre 2015, anziché la data di pubblicazione (2010) degli articoli di cui si chiedeva la cancellazione, i quali pure si riferivano a vicende antecedenti al 2008.

Di conseguenza, il Tribunale - omettendo di considerare l'intervallo di tempo tra la pubblicazione delle notizie giornalistiche (2010) e/o la commissione dei fatti (2008) e l'iniziativa giudiziaria assunta dalla parte con il deposito del ricorso in primo grado (novembre 2022) - non avrebbe ritenuto sussistere il fattore tempo richiesto per l'esercizio del diritto all'oblio.

Il ricorrente lamenta, poi, che il Tribunale avrebbe errato anche nell'effettuare il giudizio di bilanciamento dei diritti coinvolti, ritenendo prevalente, sul diritto all'oblio, il diritto di cronaca giudiziaria.

Più in particolare, il Tribunale avrebbe dovuto ritenere prevalente, alla luce della sentenza definitiva di assoluzione, l'interesse del ricorrente alla cancellazione di detti articoli, neppure aggiornati.

La sentenza impugnata avrebbe illegittimamente consentito di mantenere in rete notizie infondate sul conto del signor Cu.Ri., perché non più rispondenti alla successiva evoluzione processuale del procedimento, consistita nella sua assoluzione dall'accusa di associazione mafiosa.

Secondo il ricorrente, il giudizio di bilanciamento degli interessi contrapposti svolto dal Tribunale non sarebbe equo, né sorretto dai criteri di proporzione e di effettività della tutela.

Il Tribunale di Milano, infine, non avrebbe tenuto conto delle prove fornite dal ricorrente, che documentavano la non pertinenza delle notizie di lite (superate dalla sentenza di assoluzione); la non attualità delle stesse (oramai obsolete dopo oltre 12 anni dalla relativa pubblicazione) e gli effetti "devastanti" sulla salute, sulla carriera e sulla sua sfera familiare causati dalla loro reperibilità.

5. - Le doglianze articolate dal ricorrente sono ammissibili.

I motivi, infatti, non investono l'accertamento del fatto nella sua materialità storica o nel suo accadere, ma riguardano la correttezza del metodo seguito dal giudice del merito nonché il rispetto, da parte di questo, dei criteri di ragionevolezza e proporzionalità che, in chiave paradigmatica, accompagnano l'operazione di bilanciamento.

Viene in rilievo l'interesse a controllare le modalità di conservazione e archiviazione dei propri dati personali sul web, allo scopo di evitare che l'indiscriminata accessibilità agli stessi finisca per portare a conoscenza di un'indeterminata cerchia di destinatari (al di là di una specifica finalità divulgativa) informazioni screditanti o (anche semplicemente) sgradite per l'interessato, in quanto non più attuali, e ciò in un contesto nel quale la deindicizzazione dai motivi di ricerca è domandata in relazione ad un provvedimento penale favorevole e divenuto irretrattabile.

Per altro verso, con i motivi proposti ai sensi del n. 5) dell'art. 360 cod. proc. civ., questa Corte è sollecitata a compiere una verifica sulla decisività, o sulla irrilevanza, delle circostanze che il ricorrente sostiene non essere state prese adeguatamente in considerazione nella motivazione della sentenza impugnata cui si addebita il vizio di omesso esame.

Trattandosi di una questione che coinvolge il diritto fondamentale al controllo dell'insieme delle informazioni che definiscono la propria immagine "sociale" (la c.d. autodeterminazione informativa), l'atteggiarsi del singolo fatto concreto finisce con il penetrare nel cuore stesso delle valutazioni in termini di ragionevolezza, adeguatezza e pertinenza, concorrendo a determinare il senso o il verso del bilanciamento.

Basti pensare al rilievo che possono assumere il fattore temporale e il successivo provvedimento penale favorevole, giacché la diversa valenza assegnata all'uno o all'altro aspetto può, a seconda dei casi, determinare l'esistenza di una reale esigenza a preservare l'immagine attuale della persona o, al contrario, giustificare la circolazione della notizia nello scorrere delle informazioni dinanzi alla permanente accessibilità di queste nella Rete.

Cogliere la valenza paradigmatica di tali aspetti nel segnare una o l'altra direzione rientra nel sindacato del giudice di legittimità, in un quadro che si contraddistingue per la presenza di diritti che richiedono di essere bilanciati, affidandosi a principi generali.

Deve, pertanto, essere disattesa l'eccezione preliminare, sollevata dalla controricorrente Google, secondo cui i motivi non potrebbero trovare ingresso, perché sarebbero soltanto un tentativo di rimettere in discussione la valutazione compiuta dal Tribunale di Milano riguardo il bilanciamento di interessi contrapposti, ossia il diritto all'oblio rivendicato dal signor Cu.Ri. e l'interesse della collettività alla reperibilità della notizia tramite il motore di ricerca.

6. - Le censure sono fondate, nei termini e nei limiti di seguito precisati.

7. - Occorre premettere che i quattro link presenti nel motore di ricerca alla data di pubblicazione della sentenza, relativamente ai quali il Tribunale ha dichiarato non sussistere il diritto all'oblio, sono i seguenti.

Il primo.

https://(Omissis) "Cosca (Omissis), mani sull'Expo: spunta una cena con Po. - Pe.Iv., uno degli arrestati, secondo l'accusa, alla famiglia della 'ndrangheta St., "sostiene di essere appoggiato bene politicamente e di aver fatto una cena" con "Po.", l'attuale presidente della Provincia di Milano La cosca (Omissis), smantellata nella maxi operazione con oltre 300 arresti di questa mattina, voleva mettere le mani sugli appalti per l'Expo.

È quanto emerge dagli atti dell'inchiesta coordinata dalla Dda di Milano e Reggio Calabria.

Dalle carte è saltato fuori un nome noto a Milano.

Si tratta di Po., attuale presidente della Provincia di Milano, accusato dalle intercettazioni di Pe.Iv., responsabile della società Pe.Iv. General Contractor e riconducibile, secondo l'accusa, alla famiglia della 'ndrangheta St.. Infatti, nelle indagini è stato ricostruito il tentativo di assorbire nel gruppo Pe.Iv. altre importanti aziende lombarde del settore edile che versavano in condizioni di difficoltà economica. Ciò allo scopo di costituire apposite associazioni temporanee di imprese in grado di partecipare direttamente all'affidamento degli appalti per l'Expo 2015.

Questo progetto, tuttavia, non si è concretizzato a causa del mancato risanamento economico della stessa Pe.Iv., attualmente sottoposta a procedura fallimentare.

LA VICENDA - Gli appalti dei lavori dell'Expo erano uno degli obiettivi di St.Sa., il boss della 'ndrangheta arrestato oggi nell'inchiesta della Dda di Milano.

St.Sa. intercettato al telefono il 25 aprile 2009 dice: "Il primo lavoro dell'Expo al novantanove per cento lo prende la Pe.Iv.".

Il riferimento è all'impresa Pe.Iv. General Contractor, riconducibile alla cosca St.. La società, come spiega il gip Ge.Gi. nell'ordinanza, secondo lo stesso St.Sa. ha la "funzione" di "mantenere 150 famiglie calabresi". St.Sa., come scrive il gip, afferma al telefono che la Pe.Iv. "sarà aggiudicataria di appalti Expo, eppure, questo è il cruccio di St.Sa., c'è chi (...) non capisce e crea problemi e confusione".

E questo, secondo St.Sa., "determina il rischio di azioni repressive da parte della magistratura".

L'intercettato giustamente nota che l'attenzione da parte delle istituzioni è alta e sottolinea l'ultima 'botta' subita dalle famiglie, facendo riferimento alla recente operazione (Omissis), che nei mesi scorsi portò in carcere gli esponenti del clan (Omissis), attivi nel Monzese.

Il controllo di una società come la Pe.Iv., secondo il gip, "presenta, almeno, tre formidabili vantaggi: gestire in modo diretto l'indotto del movimento terra, da sempre terreno imprenditoriale elettivo della 'ndrangheta lombarda; conferire appalti e subappalti a società collaterali".

E infine, "sopra ogni cosa", la società permette di "disporre, per interposta persona, di un soggetto imprenditoriale capace di accaparrarsi rilevanti appalti pubblici, a partire da Expo 2015, grazie ad un'apparenza assolutamente insospettabile e regolare".

IN NOME DI Po. - Pe.Iv., uno degli arrestati, secondo l'accusa, alla famiglia della 'ndrangheta St., "sostiene di essere appoggiato bene politicamente e di aver fatto una cena" con "Po.", l'attuale presidente della Provincia di Milano.

Nel provvedimento il giudice spiega che in una conversazione telefonica intercettata il 24 giugno 2009, Pe.Iv. parla di questa cena con Po., a cui era presente anche Bo.Vi., europarlamentare del (Omissis), nonché molti industriali di Milano per organizzare l'Expo.

Anche nell'inchiesta, sempre della Dda di Milano, che il primo luglio scorso aveva portato in carcere gli esponenti del clan della 'ndrangheta Va., uno degli arrestati, Cu.Ri., aveva detto in una intercettazione telefonica ''di essere molto vicino all'attuale presidente della Provincia di Milano Po. ".

Tutte dichiarazioni queste smentite da Po. che aveva affermato di non aver "mai avuto rapporti con Cu.Ri., tantomeno di amicizia".

L'INTERVENTO DI Va.Ar. - Sulla questione interviene anche il senatore della Lega Nord, Va.Ar., della commissione Antimafia. "Ricordo che due anni orsono dopo una Commissione Antimafia come Lega Nord sentimmo il dovere di manifestare la nostra preoccupazione per quanto riguarda le infiltrazioni nell'Expo 2015 da parte della 'ndrangheta. - afferma Va.Ar. - Ci dissero, tra il serio e il faceto, che portavamo sfiga. Ora, con l'operazione odierna sappiamo che una società, la Gruppo Pe.Iv., era il 'cavallo di troia' della malavita calabrese per infiltrarsi nei lavori dell'Expo".

A questo aggiunge che "anche in Emilia, Veneto, Piemonte, la potente organizzazione della 'ndrangheta ha messo radici per poter riciclare il denaro proveniente dal business della droga colombiana e messicana". "Questo denaro - spiega il senatore Va.Ar. - viene in parte riciclato per la compravendita di immobili in loco, cioè a B e nelle cittadine turistiche messicane, e in parte 'rilavato' e 'riciclato' per poterlo investire nel Nord, in Lombardia e in particolare in zone come quelle della provincia di C".

Il secondo.

https: (Omissis) "Segnalo questa notizia per aprire gli occhi a quanti pensano che gli allarmi sulla presenza delle mafie in Lombardia siano esagerati:

IL GIORNO: 'ndrangheta al Nord: banca commissariata (si tratta della filiale (Omissis) della BNL in (Omissis) a M: tra i clienti c'era anche la società Melfin riconducibile in qualche modo al candidato (OMISSIS) a C Cu.Ri., di cui avevo parlato nel post del 12 luglio scorso).

ADNKRONOS: DDA "sospende" rapporti tra filiale banca e clan 'ndrangheta Va.. Se vuoi sapere qualcosa di più di Cu.Ri. e delle indagini relative alla presenza della 'ndrangheta in Lombardia consulta l'Ordinanza del Giudice per le Indagini Preliminari, dr. Ge.Gi., emessa dal Tribunale di Milano il 25 giugno 2010 (file doc dal sito (Omissis))".

Il terzo.

(Omissis) "Arresti ndrangheta a Milano, (Omissis) chiede chiarimenti 02 lug 10 "È un inquietante segnale, il (Omissis) chiarisca".

Lo afferma Br.Gi., segretario cittadino del (Omissis) di C, dove un anno fa si era candidato nelle liste del (Omissis), Cu.Ri., l'imprenditore arrestato nell'operazione di ieri contro un clan della 'ndrangheta. "Siamo preoccupati per l'arresto di Cu.Ri., candidato non eletto nella lista del (Omissis) nelle elezioni comunali del 2009 a C - afferma Br.Gi. -. La magistratura, cui va il nostro pieno sostegno così come alle forze dell'ordine, deve fare il suo lavoro ed ogni indagato è innocente fino a prova contraria.

Vorrei chiedere al (Omissis) cittadino come sia potuta accadere una simile svista nella compilazione della lista dei candidati. I responsabili di quel partito non conoscono le persone con cui fanno squadra? Forse no, visto che l'indagato in questione non risiederebbe nemmeno a C".

Il quarto.

(Omissis) "Di.An., parla la studentessa violentata: "Cerco di tenere in mano la mia vita". Altre foto di possibili vittime nel telefonino del manager La 21enne: confido nella giustizia. Altre tre giovani chiamano i carabinieri: siamo vittime dell'imprenditore. La testimonianza della sorella è ritenuta "lacunosa" e "non attendibile" dagli inquirenti Ci sarebbero altre immagini di presunte vittime di violenza oltre alle 54 fotografie trovate dagli investigatori nel cellulare dell'imprenditore Di.An., arrestato per aver narcotizzato e violentato una 21enne studentessa bocconiana.

È la convinzione degli investigatori che stanno proseguendo gli accertamenti sui due telefoni e sul pc sequestrati all'ex patron della azienda Global Farma.

Ieri tre ragazze hanno contattato i carabinieri della compagnia Porta Monforte e oggi verranno sentite dagli inquirenti.

L'imprenditore sarà interrogato dal gip oggi pomeriggio a San Vittore per l'interrogatorio di garanzia. E sul suo passato spuntano ombre e amicizie pericolose. La vittima intanto chiede silenzio e rispetto: "Sto cercando di tenere in mano la mia vita. Non voglio compromettere le indagini, perseguiremo la giustizia nelle vie tradizionali".

Nelle indagini, coordinate dall'aggiunto Ma.Le. e dal p.m. Me.Al., sono emerse finora immagini che ritraggono quattro diverse ragazze in stato di incoscienza e vittime di violenza. Sono tre, finora, le ragazze che hanno contattato i carabinieri chiedendo di essere sentite dicendo di essere state vittime di abusi.

I militari stanno cercando di ricostruire i movimenti di Di.An. attraverso le celle dei telefoni e i tabulati in corrispondenza dei momenti in cui le immagini sono state scattate. Le foto, dove le vittime sono riprese senza vestiti e prive di sensi, sono scattate negli ultimi sei mesi nel lussuoso appartamento vicino al Parco (Omissis) dove l'imprenditore viveva con la madre 83enne. E identico tenore avrebbero diverse fotografie trovate sui supporti informatici sequestrati al 50enne. Per questo gli inquirenti del pool che si occupa di violenze sessuali stanno verificando anche denunce di sospette violenze del passato presentate da donne che hanno detto di essere state "narcotizzate" e abusate. Si lavora anche per chiarire come Di.An. si sia procurato le due confezioni di gocce di "Bromazepam della Ratiopharm da 2.5 mg" trovate in un armadietto della cucina e usate per drogare la 21enne che ha perso i sensi dopo aver bevuto un caffè e un bicchiere di succo d'arancia. Interrogata il 10 aprile, la sorella dell'imprenditore, medico, ha raccontato di aver prescritto lei i farmaci all'anziana madre. Il medico curante, infatti, ha detto che l'ultima ricetta risaliva a cinque anni fa. "Mia madre assume Bromazepam per le sue condizioni di salute.

Lo prescrivo personalmente". In un cassetto della camera da letto dell'anziana sono state trovate altre tre boccette. Gli investigatori vogliono capire se Di.An. utilizzasse le ricette per procurarsi gli psicofarmaci. La testimonianza della sorella è ritenuta "lacunosa" e "non attendibile". Ha infatti avallato con gli investigatori la tesi secondo cui il fratello fosse vittima di una estorsione da 500 mila Euro da parte della 21enne. Circostanza smentita dalle indagini. L'abitazione milanese della donna (non indagata) è stata perquisita dagli investigatori.

I carabinieri, guidati dal capitano Po.Si., ipotizzano che Di.An. si servisse di un amico per "reclutare" le giovani vittime. Alcune ragazze sarebbero state agganciate attraverso uno dei due profili Instagram del 50enne, dove dava l'immagine di un imprenditore rampante amante di viaggi, yacht e auto di lusso. Ma si sospetta che si servisse anche di qualcuno ben introdotto nello scintillante mondo della movida milanese. Dal passato spuntano invece ombre e amicizie in ambienti criminali. Il 50enne era stato indagato e intercettato nel 2009 dalla Dda in un'inchiesta sulla famiglia 'ndranghetista Va..

Il suo testimone di nozze era infatti Cu.Ri., braccio destro di Va.Fo., e con il capoclan avrebbe cercato di imbastire affari immobiliari.

Di.An. ha partecipato a un incontro nella Masseria di C (Milano), quartiere generale del clan. Alla fine era risultato vittima di un prestito ad usura di 40 mila euro, restituito un mese dopo con una maggiorazione di 8 mila euro.

All'epoca Di.An. risultava dipendente delle due società immobiliari di famiglia e viveva con i genitori in un piccolo alloggio nel periferico quartiere di B.

Nel 2011 sentito in aula aveva raccontato del forte indebitamento delle società e delle difficilissime condizioni economiche. Dieci anni dopo, però, sembra travolto dalla fortuna: guida Bentley, fattura 8 milioni e vive in una lussuosa casa di 210 metri quadrati".

8. - Giova premettere che l'attuale disciplina della protezione dei dati personali si compone di una complessa trama di fonti, il cui fulcro è rappresentato dalla normativa eurounitaria di carattere generale affidata al regolamento n. 679/2016/UE, che trova completamento e integrazione nelle fonti nazionali, a partire dal D.Lgs. n. 196 del 2003 (come modificato e integrato) e dal D.Lgs. n. 101 del 2018, che ha coordinato le disposizioni nazionali vigenti in materia di protezione dei dati personali con il regolamento generale sulla protezione dei dati.

L'art. 17 del Regolamento n. 679 del 2016 enumera i casi in cui l'interessato "ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano", prevedendo che, in tali ipotesi, il titolare "adotta le misure ragionevoli, anche tecniche, per informare i titolari del trattamento che stanno trattando i dati personali della richiesta dell'interessato di cancellare qualsiasi link, copia o riproduzione dei suoi dati personali".

9. - Nella sua originaria accezione, che presuppone una doppia pubblicazione, a distanza di tempo, della stessa notizia, il diritto all'oblio rappresenta un'ulteriore frontiera di tutela dei "tradizionali" diritti della personalità (riservatezza, identità personale, onore, reputazione), attivabile quando il disvalore connesso alla divulgazione di un'informazione risieda nello iato temporale che la separa dal momento dell'originaria diffusione. Un presidio, dunque, a tutela della "identità dinamica" del soggetto, per come venutasi a conformare nel corso del tempo.

L'idea di fondo è che, in considerazione del passare del tempo, possa venir meno l'attualità di una notizia che, in origine, era stata legittimamente pubblicata, in quanto provvista dei requisiti della verità, pertinenza e continenza.

Quando intercorra un intervallo di tempo di una certa consistenza tra la narrazione e il fatto che ne costituisce l'oggetto, la libertà di manifestazione del pensiero è controbilanciata dalla pretesa del soggetto di essere dimenticato, o meglio di non essere ricordato in relazione a quel fatto, che pure legittimamente era stato oggetto di cronaca in passato.

Questa Corte, con la sentenza della Prima Sezione n. 6919 del 2018, affrontando la questione se la pretesa all'oblio costituisca un diritto "assoluto" (nel senso che il semplice trascorrere del tempo pone l'interesse del titolare del dato o dell'informazione in una posizione di preminenza rispetto a quello di chi lo abbia divulgato), ovvero se contempli, tra i propri presupposti, il necessario riscontro di un (ulteriore) profilo lesivo della personalità dell'individuo (con riferimento, per esempio, al diritto alla reputazione, alla riservatezza o all'identità personale), ha affermato, in linea di principio, la prevalenza del "fondamentale diritto all'oblio" (in sé e per sé considerato).

Tale diritto è suscettibile di recedere rispetto al diritto di cronaca solo in presenza di determinati requisiti, quali il contributo arrecato dalla diffusione dell'immagine o della notizia ad un dibattito di interesse pubblico; l'interesse effettivo ed attuale alla diffusione dell'immagine o della notizia (che deve rispondere a scopi di giustizia, di polizia o di tutela dei diritti e delle libertà altrui, ovvero per scopi scientifici, didattici o culturali, e non già a finalità meramente divulgative o economico-commerciali); l'elevato grado di notorietà del soggetto rappresentato, per la peculiare posizione rivestita nella vita pubblica e, segnatamente, nella realtà economica o politica del Paese; l'impiego di modalità improntate alla verità, non eccedenti lo scopo informativo nell'interesse del pubblico, e scevre da insinuazioni o considerazioni personali, sì da evidenziare un esclusivo interesse oggettivo alla nuova diffusione; la preventiva informazione circa la pubblicazione o trasmissione della notizia o dell'immagine a distanza di tempo, in modo da consentire all'interessato il diritto di replica prima della sua divulgazione al grande pubblico.

La sentenza delle Sezioni Unite n. 19681 del 2019, a sua volta, ha affermato che, "in tema di rapporti tra diritto alla riservatezza (nella sua particolare connotazione del c.d. diritto all'oblio) e diritto alla rievocazione storica di fatti e vicende concernenti eventi del passato, il giudice di merito - ferma restando la libertà della scelta editoriale in ordine a tale rievocazione, che è espressione della libertà di stampa e di informazione protetta e garantita dall'art. 21 Cost. - ha il compito di valutare l'interesse pubblico, concreto ed attuale alla menzione degli elementi identificativi delle persone che di quei fatti e di quelle vicende furono protagonisti. Tale menzione deve ritenersi lecita solo nell'ipotesi in cui si riferisca a personaggi che destino nel momento presente l'interesse della collettività, sia per ragioni di notorietà che per il ruolo pubblico rivestito. In caso contrario, prevale il diritto degli interessati alla riservatezza rispetto ad avvenimenti del passato che li feriscano nella dignità e nell'onore e dei quali si sia ormai spenta la memoria collettiva".

10. - In una seconda accezione, di privacy informatica, il diritto all'oblio non suppone una cesura temporale tra due successive divulgazioni della notizia, perché quest'ultima permane continuativamente a disposizione dell'utente della rete, a prescindere da una specifica "riproposizione".

Vengono allora in rilievo le modalità con cui i dati personali vengono archiviati e diffusi, tipiche delle nuove tecnologie (segnatamente, internet e le banche-dati), di modo che, più che con la riproposizione di una notizia a distanza di tempo, si ha a che fare con la persistente accessibilità della stessa da parte di un numero potenzialmente illimitato di persone.

Nella Rete, il diritto all'oblio assume una dimensione particolare: a rilevare è, non la ripubblicazione di una notizia, in passato legittimamente divulgata, ma la sua permanenza, senza soluzione di continuità, nel momento in cui la notizia fotografa una realtà non più corrispondente.

11. - La sentenza della Corte di Giustizia UE, 13 maggio 2014, C-131/12, Google Spain e Google, ha riconosciuto il diritto al c.d. delisting con riferimento a un link il quale, attraverso gli archivi on line di un quotidiano, consentiva di risalire a un articolo che rievocava l'episodio di un'asta immobiliare conseguente a un pignoramento subito dal soggetto per il mancato pagamento di debiti previdenziali. In questo caso, la Corte di Giustizia, dopo aver qualificato come "trattamento di dati personali" l'attività propria dei motori di ricerca (con conseguente riconoscimento, in capo al relativo gestore, della qualità di "responsabile del trattamento", destinatario della richiesta di "deindicizzazione" da parte dell'interessato), ritenne che le prerogative personali di cui agli artt. 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea dovessero prevalere vuoi sugli interessi economici del motore di ricerca, vuoi sull'interesse del pubblico ad avere accesso a tale specifica informazione, nell'ambito di una ricerca condotta sul nome del suo protagonista.

Cass., Sez. I, 27 marzo 2020, n. 7559, ha affermato che è lecita la permanenza di un articolo di stampa nell'archivio informatico di un quotidiano, relativo a fatti risalenti nel tempo oggetto di cronaca giudiziaria, che abbiano ancora un interesse pubblico di tipo storico o socio-economico, purché l'articolo sia "deindicizzato" dai siti generalisti e reperibile solo attraverso l'archivio storico del quotidiano. In tal modo viene, invero, a contemperarsi - in modo bilanciato - il diritto ex art. 21 Cost. della collettività ad essere informata e a conservare memoria del fatto storico, con quello del titolare dei dati personali archiviati a non subire una indebita compressione della propria immagine sociale.

Nella specie, la Corte ha confermato la sentenza di merito che aveva respinto la domanda degli eredi di un imprenditore deceduto, tesa ad ottenere la cancellazione dall'archivio "on line" di un quotidiano, dell'articolo che si riferiva ad inchieste giudiziarie in ordine a fatti penalmente rilevanti commessi dal defunto.

In un'altra pronuncia, si è statuito che il diritto all'oblio consiste nel non rimanere esposti senza limiti di tempo ad una rappresentazione non più attuale della propria persona con pregiudizio alla reputazione ed alla riservatezza, a causa della ripubblicazione, a distanza di un importante intervallo temporale, di una notizia relativa a fatti del passato. E tuttavia, la tutela del menzionato diritto va posta in bilanciamento con l'interesse pubblico alla conoscenza del fatto, espressione del diritto di manifestazione del pensiero e quindi di cronaca e di conservazione della notizia per finalità storico-sociale e documentaristica. Sicché nel caso di notizia pubblicata sul web, il medesimo interesse pubblico può trovare soddisfazione anche nella sola "deindicizzazione" dell'articolo dai motori di ricerca. Nella fattispecie concreta, questa Corte ha, pertanto, cassato con rinvio la sentenza impugnata che, nel disporre senz'altro la cancellazione della notizia relativa ad una vicenda giudiziaria mantenuta "on line", non aveva operato il necessario bilanciamento tra il diritto all'oblio e quelli di cronaca giudiziaria e di documentazione ed archiviazione (Cass., Sez. I, 19 maggio 2020, n. 9147).

Di rilievo è anche Cass., Sez. I, 31 maggio 2021, n. 15160.

Secondo questa pronuncia, il diritto di ogni persona all'oblio, strettamente collegato ai diritti alla riservatezza e all'identità personale, deve essere bilanciato con il diritto della collettività all'informazione, sicché, anche prima dell'entrata in vigore dell'art. 17 regolamento 2016/679, qualora sia pubblicato sul web un articolo di interesse generale ma lesivo dei diritti di un soggetto che non rivesta la qualità di personaggio pubblico, noto a livello nazionale, può essere disposta la "deindicizzazione" dell'articolo dal motore ricerca, al fine di evitare che un accesso agevolato, e protratto nel tempo, ai dati personali di tale soggetto, tramite il semplice utilizzo di parole chiave, possa ledere il diritto di quest'ultimo a non vedersi reiteratamente attribuita una biografia telematica, diversa da quella reale e costituente oggetto di notizie ormai superate (nel caso di specie, la Corte ha cassato la sentenza di merito, che, solo in ragione del carattere non troppo risalente dell'informazione, aveva negato ad un imprenditore, noto esclusivamente a livello locale, il diritto alla menzionata "deindicizzazione", in relazione ad un articolo pubblicato sul web, ove era stato riportato il contenuto di intercettazioni telefoniche di terzi, che riferivano di una presunta vicinanza di tale imprenditore a clan mafiosi, non confermata dall'apertura di alcuna indagine nei confronti di quest'ultimo).

Più di recente, Cass., sez. I, 27 dicembre 2023, n. 36021, ha ribadito la necessità di operare un effettivo bilanciamento tra tutela dei dati personali e interesse collettivo all'informazione nelle controversie in cui si invoca il diritto all'oblio, anche quando l'interessato punti al rimedio della deindicizzazione.

Cass., Sez. I, 31 gennaio 2023, n. 2893, a sua volta, ha ritenuto lecita la permanenza di un articolo di stampa, a suo tempo legittimamente pubblicato, nell'archivio informatico di un quotidiano, relativo a fatti risalenti nel tempo oggetto di un'inchiesta giudiziaria, poi sfociata nell'assoluzione dell'imputato, sempre che, a richiesta dell'interessato, l'articolo sia deindicizzato e non sia reperibile attraverso i comuni motori di ricerca, ma solo attraverso l'archivio storico del quotidiano e, sempre a richiesta del medesimo, al medesimo venga apposta una sintetica nota informativa, a margine o in calce, che dia conto dell'esito finale del procedimento giudiziario in forza di provvedimenti passati in giudicato, così contemperandosi in modo bilanciato il diritto ex art. 21 Cost. della collettività a essere informata e a conservare memoria del fatto storico con quello del titolare dei dati personali archiviati a non subire un'indebita lesione della propria immagine sociale. Cass., Sez. III, 1 marzo 2023, n. 6116, ha stabilito che la persistenza nel sito web di una testata giornalistica della risalente notizia del coinvolgimento di un soggetto in un procedimento penale (pubblicata nell'esercizio legittimo del diritto di cronaca, ma non aggiornata con i dati relativi all'esito di tale procedimento) non integra, di per sé, un illecito idoneo a generare una pretesa risarcitoria;

tuttavia, il soggetto cui la notizia si riferisce ha diritto ad attivarsi per chiederne l'aggiornamento o la rimozione, con la conseguenza che l'ingiustificato rifiuto o ritardo da parte del titolare del sito è idoneo a comportare il risarcimento del danno patito successivamente alla richiesta (fermo l'onere di allegazione e prova del pregiudizio da parte dell'interessato).

Sempre in relazione alla tutela dell'oblio nelle reti telematiche, Cass., Sez. I, 7 marzo 2023, n. 6806, ha affermato che, pure nel regime precedente al regolamento (Ue) 2016/679, il gestore di un sito web non è tenuto a provvedere, a seconda dei casi, alla cancellazione, alla deindicizzazione o all'aggiornamento di un articolo di stampa, a suo tempo legittimamente pubblicato, ancorché relativo a fatti risalenti nel tempo, in difetto di richiesta dell'interessato che è la sola a far scaturire in capo al gestore l'obbligo di provvedere senza indugio.

12. - La sentenza impugnata del Tribunale di Milano muove, correttamente, dalla necessità di operare il bilanciamento tra tutela dei dati personali e interesse collettivo all'informazione nelle controversie in cui si invoca il diritto all'oblio, anche quando l'interessato punti al rimedio della deindicizzazione.

Ricostruito il quadro normativo che viene in rilievo con il richiamo dell'art. 17 del Regolamento UE n. 679 del 2016, che ha cristallizzato nel diritto positivo la configurazione attuale del diritto all'oblio derivante dalla sentenza della Corte di Giustizia, 13 maggio 2014, nella causa C- 131/12, Costeja, il Tribunale di Milano ha rilevato che quello all'oblio non è un diritto cui l'ordinamento offra una tutela incondizionata, giacché deve essere necessariamente bilanciato con ulteriori interessi, tra cui spicca il diritto alla informazione nel legittimo esercizio del diritto di cronaca, quale declinazione del diritto enucleato dall'art. 21 Cost.

Sebbene il diritto alla tutela dei dati personali cui il diritto all'oblio sia espressione di un diritto fondamentale, la sua tutela non può essere apprestata comprimendo in modo indiscriminato ulteriori diritti fondamentali.

Il primo Giudice ha richiamato la sentenza n. 85 del 2013, con cui la Corte costituzionale ha ammesso la possibilità di sottoporre a bilanciamento due interessi fondamentali contrapposti deducendo che la nostra Costituzione non prevede una gerarchia di valori e, per questo, nel nostro ordinamento non possono enuclearsi "diritti fondamentali tiranni" con "pretesa di assolutezza".

Invero, il bilanciamento tra l'interesse del singolo ad essere dimenticato e quello opposto della collettività a conoscere fatti legittimamente divulgati nell'esercizio del diritto di cronaca presuppone un complesso giudizio nel quale assumono rilievo decisivo la notorietà dell'interessato, il suo coinvolgimento nella vita pubblica, l'oggetto della notizia e il tempo trascorso.

Inoltre, il Tribunale di Milano ha altresì esattamente richiamato le Linee guida del Garante europeo per la protezione dei dati personali, n. 5 del 2 dicembre 2019, in materia di diritto all'oblio nell'ambito dell'attività dei motori di ricerca.

Ha proceduto, poi, alla ricostruzione del quadro giurisprudenziale, richiamando il principio espresso dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 19681 del 2019, se pure con riguardo ad un caso di diritto all'oblio nel contesto della rievocazione storica.

13. - Quando, però, terminata l'operazione tassonomica, è passato ad effettuare in concreto il bilanciamento, il Tribunale di Milano è incorso in alcuni errori, suscettibili di infirmare la tenuta complessiva della sentenza impugnata.

Premesso che la necessità che i dati personali siano aggiornati e contestualizzati, ovvero corrispondano alla realtà, appartiene alla sfera dell'identità personale del soggetto, occorre considerare che il Tribunale di Milano ha omesso di considerare, in primo luogo, che le notizie in questione riguardano l'appartenenza del Cu.Ri. all'associazione criminale della 'ndrangheta, accusa dalla quale il ricorrente è stato assolto in via definitiva nel 2015 con la sentenza della Seconda Sezione penale della Corte di cassazione.

Il Tribunale, per vero, ha motivato sul punto rilevando che la sentenza della Corte di cassazione, lungi dall'affermare la totale estraneità del ricorrente alla famiglia Va., ne esclude solo la qualifica di associato, mentre conferma la vicinanza del Cu.Ri. a tal Va.Fo., in concorso con il quale sono stati posti in essere tre episodi di usura che hanno comportato l'irrogazione di una pena severa.

In realtà, di tali episodi, ossia della condanna del ricorrente per il delitto di usura, nulla è detto almeno nei primi tre articoli in questione, sicché la condanna per usura in concorso non può valere a giustificare la conservazione in rete di articoli che si riferiscono alla accusa di affiliazione ad un'organizzazione criminale, un'accusa, per di più, non aggiornata, perché non più rispondente alla successiva evoluzione del processo, giacché, sul punto, è intervenuta la sentenza della Corte di cassazione, di annullamento senza rinvio della sentenza di appello che, riformando quella di primo grado, aveva condannato il Cu.Ri.

La perdurante reperibilità in Rete degli articoli associati al nominativo del ricorrente che si riferiscono ad un'accusa penale di appartenenza ad associazione di tipo mafioso senza la possibilità di collegare quella notizia ad un'altra, più aggiornata, che restituisca agli utenti della Rete e alla collettività un quadro rispettoso dell'identità personale ovvero, ove l'aggiornamento non risulti possibile, senza neppure rimuovere, attraverso la deindicizzazione, il collegamento ipertestuale che consente agli utenti di accedervi, potrebbe creare un impatto sproporzionato sull'identità della persona, giacché il Cu.Ri. è risultato, a seguito della sentenza della Cassazione penale, estraneo all'associazione di tipo mafioso.

Un altro vizio che inficia la sentenza impugnata è il non avere adeguatamente apprezzato la possibile obsolescenza della notizia originaria, superata da una diversa verità processuale.

Per la decorrenza del fattore temporale, infatti, il Tribunale ha erroneamente assunto come dies a quo la data di pubblicazione della sentenza di assoluzione del ricorrente emessa dalla Cassazione penale il 1 settembre 2015, senza considerare che gli articoli di causa risalivano a vicende anteriori.

La sentenza ambrosiana si sottrae, invece, alla censura prospettata dal ricorrente in ordine alla ritenuta sussistenza, da parte del Tribunale, della qualità di personaggio pubblico del Cu.Ri., motivata sul rilievo che questi è un imprenditore, attivo nel settore immobiliare, che si era candidato nelle liste del (Omissis) per il consiglio comunale di C, tanto che la sua candidatura aveva suscitato un'interrogazione sulle modalità di reclutamento dei candidati da parte di quella forza politica.

Affinché un personaggio abbia un ruolo pubblico - ritiene il Collegio - non occorre che questi rivesta tale ruolo a livello nazionale. Diversamente, si introdurrebbe una limitazione eccessiva alle effettive opportunità di conoscenza, finendo con l'offrire aprioristicamente uno scudo a soggetti le cui vicende sono comunque suscettibili di avere un certo impatto sulla comunità locale in cui operano.

14. - La sentenza impugnata è cassata, nei limiti di cui in motivazione.

La causa deve, pertanto, essere rinviata al Tribunale di Milano, in persona di diverso magistrato.

Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

15. - Va disposta, sussistendo i presupposti di legge, l'anonimizzazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, nei sensi di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, al Tribunale di Milano, in persona di diverso magistrato.

Dispone l'oscuramento d'ufficio delle generalità e degli altri dati identificativi.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della I Sezione Civile del 21 maggio 2025.

Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2025.

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