Prezzi indicati in vetrina per gli abiti esposti e, all’interno del negozio, devono essere esposti in modo chiaro e visibile, e non possono essere nascosti all'interno dei capi o in qualsiasi altro modo.
Lo ha ribadito la Cassazione, con l’ordinanza n. 14826 del 3 giugno 2025, respingendo il ricorso di una nota casa di moda sanzionata per non aver esposto correttamente i prezzi dei prodotti in vendita.
La sanzione amministrativa di 1.032 euro era stata irrogata a seguito di un controllo della Guardia di finanza, che aveva accertato come i prezzi dei capi esposti, tra cui borse e abiti, fossero indicati su cartellini nascosti all’interno del prodotto: infilati tra le pieghe del tessuto o dentro comparti chiusi con cerniera.
Il Giudice di pace di Ferrara aveva inizialmente accolto l’opposizione della griffe, ritenendo che la mera presenza del cartellino all’interno del capo fosse sufficiente a informare il consumatore. Ma il Tribunale, in appello, aveva riformato la decisione, evidenziando che la legge richiede una visibilità immediata del prezzo, non essendo sufficiente che il cartellino sia semplicemente presente.
L’ordinanza conferma la lettura del Tribunale: non basta che il prezzo sia leggibile, deve anche essere facilmente visibile. I giudici sottolineano che "leggibilità" e "visibilità" sono concetti distinti, ma strettamente connessi: l’obbligo di indicare in modo chiaro e leggibile il prezzo presuppone anche che esso sia subito percepibile alla vista, senza che il cliente debba manipolare il prodotto.
In particolare, la Corte ricorda che l’art. 14 del d.lgs. 114/1998 distingue tre casi:
comma 1: i prodotti esposti in vetrina o nelle adiacenze del negozio devono riportare il prezzo in modo chiaro e leggibile;
comma 2: nei punti vendita a libero servizio, tutti i prodotti esposti devono indicare il prezzo;
comma 3: il prezzo deve essere facilmente visibile, salvo che sia impresso direttamente sul prodotto in modo chiaro.
La maison aveva sostenuto che, nel settore dell’alta moda, è prassi consolidata non mettere i prezzi in evidenza, trattandosi di un elemento secondario rispetto al marchio, alla cura del negozio o alla presentazione dei capi. La Cassazione ha respinto tale tesi, precisando che le norme valgono per ogni settore commerciale, senza eccezioni legate a consuetudini o strategie di marketing.
La Corte ha richiamato un precedente del 2005 (ordinanza n. 3115), in cui già si affermava che un prezzo collocato sotto un oggetto è da considerarsi nascosto. Anche se il cartellino è riferibile al prodotto, il posizionamento non conforme integra una violazione.
In conclusione, la Cassazione ha confermato che sono le modalità di esposizione del prezzo a rilevare, e non la mera presenza del cartellino. La sanzione, pertanto, è legittima.
Chi espone prodotti in vendita è tenuto a indicare il prezzo in modo che sia subito visibile e facilmente leggibile.
Cassazione civile sez. II, ordinanza 03/06/2025 (ud. 04/07/2024) n.14826
FATTI DI CAUSA
1. Con accertamento ispettivo del 12 giugno 2017, la Guardia di Finanzia di Ferrara constatò che, all'interno del negozio Sp.Lu. sito in Corso (Omissis), i prodotti esposti non indicavano il prezzo di vendita in modo chiaro e leggibile.
Il 22 giugno 2017 venne elevato il verbale di constatazione n. 25/2017 nei confronti di Ba.Em. in qualità di responsabile di vendita al momento dell'eccesso effettuato dagli agenti di polizia giudiziaria e di Sp.Lu. Spa quale obbligata in solido, per violazione dell'art. 14, D.Lgs. 14/1998.
Il Comune di Ferrara emise quindi, nei confronti del trasgressore e dell'obbligato in solido, l'ordinanza ingiunzione n. 224/2017 per il pagamento della somma di Euro 1.032,00.
2. Sp.Lu. Spa propose opposizione dinnanzi al Giudice di Pace di Ferrara, eccependo il difetto di motivazione dell'atto opposto e l'insussistenza della violazione contestata.
Con sentenza n. 887/2018, il Giudice di pace di Ferrara accolse l'opposizione, annullando l'ordinanza ingiunzione n. 224/2017; il Giudice accertò che, secondo quanto esposto dalla società e secondo quanto confermato dal verbale di constatazione n. 25/2017, la merce esposta era dotata di un cartellino, riportante il prezzo di vendita, seppure posto all'interno del singolo capo; escluse, perciò, la lesione del diritto del consumatore ad avere informazioni chiare e trasparenti.
3. Con sentenza n. 359/2020, il Tribunale di Ferrara accolse l'appello del Comune e rigettò l'opposizione proposta da Sp.Lu. Spa, confermando l'ordinanza ingiunzione n.224/2017.
Il Tribunale rilevò che i cartellini indicanti il prezzo, seppure attaccati ai capi di abbigliamento, non erano visibili, con conseguente violazione dell'art. 14 D.Lgs. 114/1998 secondo cui i prodotti esposti per la vendita devono indicare in modo chiaro e leggibile il prezzo al pubblico.
4. Avverso la sentenza n. 359/2020, Sp.Lu. Spa ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da successiva memoria; il Comune di Ferrara ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, Sp.Lu. Spa ha lamentato, in riferimento al n. 3 del primo comma dell'art. 360 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell'art. 14 D.Lgs. 114/1998 per avere il Tribunale associato impropriamente i termini "leggibilità" e "visibilità" considerandoli quali sinonimi; in particolare, la ricorrente ha sostenuto che il commerciante sarebbe libero di scegliere il mezzo di comunicazione del prezzo e il posizionamento del cartellino sul capo; dal verbale della Guardia di Finanza emerge che ogni capo o prodotto era dotato di apposito cartellino indicante il prezzo, sicché sarebbe esclusa la violazione contestata.
2. Con il secondo motivo, la società ha denunciato, in riferimento al n. 3 del primo comma dell'art. 360 cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 5 del D.Lgs. 206/2005: ha sottolineato che il legislatore ha inteso contemperare la tutela del consumatore con le esigenze del commerciante e che, al comma terzo dell'art. 5, ha proprio precisato, in riferimento alle informazioni commerciali, che è necessario tener conto delle caratteristiche del settore; nel settore della moda, invero, per consuetudine consolidata, non sarebbero mai stati posti in estrema evidenza i prezzi, perché elementi non rilevanti quali attrattiva del cliente, come invece lo sono la notorietà del marchio, la presentazione del prodotto, la cura del negozio e la professionalità del personale; in ogni caso, l'apposizione del cartellino all'interno di ogni singolo capo consentirebbe comunque al consumatore di conoscere in maniera diretta, inequivocabile e trasparente il prezzo di vendita attraverso una operazione (la sua estrazione dalle pieghe del capo) che richiede una diligenza minima.
2.1. I due motivi, che possono essere trattati congiuntamente per continuità di argomentazione, sono infondati.
Il Tribunale ha ritenuto sussistente la violazione dell'art. 14 del D.Lgs. 114/1998 perché i verbalizzanti hanno riscontrato che il cartellino del prezzo, all'interno del negozio, era riposto all'interno del prodotto e, per le borse in vendita, era celato al loro interno, chiuso con cerniera; ha escluso perciò, nella fattispecie, la sussistenza delle caratteristiche di leggibilità e visibilità del prezzo.
Il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, recante la riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell'articolo 4, comma 4, della L. 15 marzo 1997, n. 59, dopo aver enunciato, all'art. 1, tra le finalità perseguite, da un canto la trasparenza del mercato, la concorrenza, la libertà di impresa e la libera circolazione delle merci e, dall'altro, la tutela del consumatore, con particolare riguardo all'informazione, alla possibilità di approvvigionamento, al servizio di prossimità, all'assortimento e alla sicurezza dei prodotti, ha stabilito i princìpi e le norme generali sull'esercizio dell'attività commerciale sancendo, in particolare, all'art. 14 - della cui violazione qui si discute - la pubblicità dei prezzi.
Al comma primo, l'art. 14 prescrive che i prodotti esposti per la vendita al dettaglio nelle vetrine esterne o all'ingresso del locale e nelle immediate adiacenze dell'esercizio o su aree pubbliche o sui banchi di vendita, ovunque collocati, debbano indicare, in modo chiaro e ben leggibile, il prezzo di vendita al pubblico, mediante l'uso di un cartello o con altre modalità idonee allo scopo; il comma secondo, prevede poi - per quel che qui rileva - che negli esercizi commerciali e nei loro reparti organizzati con il sistema di vendita a libero servizio, l'obbligo dell'indicazione del prezzo debba essere osservato in ogni caso per tutte le merci comunque esposte al pubblico; il comma terzo specifica, infine, che possano essere esclusi dall'applicazione del comma secondo soltanto i prodotti sui quali il prezzo di vendita al dettaglio si trovi già impresso in maniera chiara e con caratteri ben leggibili, "in modo che risulti facilmente visibile al pubblico".
Giova allora puntualizzare che la leggibilità è caratteristica propria di ciò che è facilmente decifrabile e chiaro alla lettura, laddove la visibilità è caratteristica di ciò che può essere percepito dall'occhio immediatamente e senza ostacoli: effettivamente, dunque, le due caratteristiche non sono ontologicamente coincidenti.
Quel che tuttavia risulta dalla inequivoca lettera della norma è che la chiara leggibilità, laddove è prescritta, nel primo comma, per i prodotti esposti per la vendita al dettaglio nelle vetrine esterne o all'ingresso del locale e nelle immediate adiacenze dell'esercizio o su aree pubbliche o sui banchi di vendita, ovunque collocati, presuppone sempre e comunque la facile visibilità.
Ciò si ricava dalla formulazione del terzo comma, in cui è specificata la modalità di esposizione del prezzo nella vendita a libero servizio, cioè nel sistema di vendita in cui il cliente sceglie e preleva i prodotti in autonomia, senza l'assistenza del personale: in questi sistemi è esplicitamente prescritto che l'esercente debba esporre il prezzo del prodotto in modo che risulti, oltre che leggibile, "facilmente visibile al pubblico"; in altri termini, è, dunque, proprio escluso che il consumatore sia tenuto, per conoscere il prezzo del capo, ad "estrarre" il cartellino nascosto, sebbene sia evidentemente presumibile che in questo tipo di esercizio della vendita egli sia autonomo nell'esame e nella valutazione del prodotto esposto.
La facile visibilità è, dunque, prescritta con la leggibilità anche quando al consumatore sia concesso l'esame diretto del prodotto, sicché a maggior ragione le due caratteristiche devono coesistere quando il prodotto sia esposto al pubblico, ma senza che il consumatore abbia possibilità di accostarvisi direttamente.
Il principio è stato già sancito da questa Corte nel precedente posto dal Tribunale a fondamento della decisione qui impugnata (Cass. Sez. 1, n. 3115 del 16/02/2005), in cui è stato rimarcato che il prezzo posto sotto l'oggetto è, secondo la normale accezione, nascosto; seppure è vero che, una volta scoperto il cartellino, il prezzo risulta comunque immediatamente riferibile all'oggetto, è vero altresì che un cartellino posto sotto l'oggetto (o, come nella fattispecie in esame, riposto tra le pieghe del capo o chiuso all'interno di una borsa) non è palese, visibile, manifesto: sono, pertanto, le modalità di posizionamento del cartellino a rilevare e non certamente la tipologia di prodotto esposto.
Decidendo per la sussistenza della violazione sanzionata, il Tribunale ha correttamente applicato i principi suesposti.
Diversamente non può ritenersi neppure in riferimento agli art. 2 e 5 del Codice del consumo, come invocati dalla società ricorrente, secondo cui le informazioni al consumatore, da chiunque provengano, devono essere adeguate alla tecnica di comunicazione impiegata ed espresse in modo chiaro e comprensibile, tenuto anche conto delle modalità di conclusione del contratto o delle caratteristiche del settore: queste norme, infatti, sanciscono i principi generali sul diritto di informazione del consumatore, ma certamente non derogano alla specifica disciplina della pubblicità del prezzo di cui al D.Lgs. 114/98 che, al contrario, è proprio richiamata nella susseguente sezione I del capo III del Titolo II della Parte II del Codice, concernente il diritto di informazione del consumatore.
3. Con il terzo motivo, infine, la ricorrente ha prospettato, in riferimento al n. 3 del primo comma dell'art. 360 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione del principio di diritto contenuto nella sentenza della cassazione n. 3115/2005 in quanto inconferente con il caso di specie.
3.1. Il motivo è inammissibile per sua formulazione. Il precedente giurisprudenziale, pur se proveniente dalla Corte di legittimità e finanche dalle Sezioni Unite, e quindi anche se diretta espressione di nomofilachia, non rientra tra le fonti del diritto, sicché è inammissibile il ricorso per cassazione che si limiti a denunciare un contrasto tra la sentenza impugnata e il precedente, dovendo la censura in ogni caso identificare una norma di diritto e dedurre come essa, eventualmente nell'interpretazione propostane dai precedenti, risulti essere stata violata o falsamente applicata (Cass. Sez. 3, n. 30774 del 06/11/2023).
3. Il ricorso è perciò respinto, con conseguente condanna della ricorrente Sp.Lu. Spa al rimborso delle spese processuali in favore del Comune di Ferrara, liquidate in dispositivo in relazione al valore.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna Sp.Lu. Spa al pagamento, in favore del Comune di Ferrara, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell'art. 13, comma 1-bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte suprema di Cassazione del 4 luglio 2024.
Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2025.