L'equo compenso previsto per gli avvocati si applica anche alle prestazioni professionali già concluse prima dell'entrata in vigore della norma?
La risposta arriva dalla Cassazione civile, sez. II civile, con un’ordinanza n. 15537 depositata l’11 giugno 2025, che chiarisce in quali casi è possibile invocare la nullità delle clausole contrattuali contrarie al principio dell'equo compenso.
La vicenda
Nel caso esaminato, un avvocato aveva agito contro una banca per il pagamento di compensi superiori rispetto a quelli previsti da due convenzioni tariffarie sottoscritte nel 2013 e nel 2015. Il professionista sosteneva la nullità di tali accordi per contrasto con l'art. 13-bis della legge professionale forense (introdotto nel 2017), che vieta la pattuizione di compensi iniqui.
La normativa in materia
La norma invocata è l'art. 13-bis della l. n. 247/2012, inserito dall'art. 19-quaterdecies del d.l. n. 148/2017 (conv. con mod. dalla l. n. 172/2017), entrato in vigore il 1° gennaio 2018. Secondo la giurisprudenza, questa disposizione non ha natura interpretativa e non è retroattiva.
Come chiarito dalla stessa Cassazione (ord. n. 7354/2025), l'equo compenso non si applica a rapporti professionali già cessati o a prestazioni già eseguite prima dell'entrata in vigore della norma.
La decisione della Corte
Nel caso deciso con l'ordinanza n. 15537/2025, la Corte ha evidenziato che tutte le prestazioni professionali dell'avvocato erano state concluse prima del 1° gennaio 2018. Inoltre, le parti avevano sottoscritto accordi precisi che includevano la rinuncia preventiva a ulteriori compensi.
La Cassazione ha confermato che le clausole pattuite nel 2015, pur predisposte unilateralmente dal professionista, sono valide e vincolanti. L'accordo prevedeva infatti un importo complessivo forfettario a saldo delle attività svolte fino al 30 giugno 2014, con riduzione del 25% applicata dallo stesso avvocato.
Poiché la norma sull'equo compenso è priva di efficacia retroattiva, non può essere invocata per dichiarare la nullità delle clausole relative a prestazioni anteriori alla sua entrata in vigore.
Conclusione
L'equo compenso non si applica retroattivamente: gli avvocati non possono far valere l'art. 13-bis per contestare accordi su compensi riferiti a prestazioni rese prima del 1° gennaio 2018.
Cassazione civile, sez. II, ordinanza 11/06/2025 (ud. 29/05/2025) n. 15537
PREMESSO CHE:
1 .il Tribunale di Milano, con l'ordinanza in epigrafe, accoglieva in parte l'opposizione proposta dalla BANCA DI CREDITO COOPERATIVO DI MILANO, soc. coop., contro il decreto ingiuntivo emesso a favore dell'avv. Ga.Ro., per crediti relativi a prestazioni professionali relative a quattro pratiche -indicate analiticamente alle pagine da 18 a 22 dell'ordinanza impugnata- di recupero crediti vantati dalla Banca nei confronti di "Classic Motor-Ripa Bruschetti di Meana".
La Banca opponente aveva allegato il perfezionamento, in data 11.4.2013 e in data 29.4.2015, di due convenzioni tariffarie che sostituivano ogni precedente accordo, disponendo, al punto 3.1 della prima convenzione, che "per le attività svolte in attuazione della Convenzione (del 2013) al legale sarebbero stati riconosciuti i compensi calcolati sulla base dei parametri riportati negli allegati".
Nell'accordo del 29.4.2015 era previsto che la Banca "facendo seguito all'incontro del... è stato concordato l'ammontare residuo pari a Euro836.833,32 dei compensi spettanti all'avvocato Ga.Ro. per l'attività svolta fino al 30/6/2014 per le pratiche affidate dalla B.C.C. e che riguardano tutte le posizioni che non sono disciplinate dalla convenzione e di cui all'allegato elenco. Le parti reciprocamente stabiliscono le seguenti condizioni: la BCC si impegna a pagare all'Avv. Ga.Ro., in tre anni l'ammontare residuo dei compensi per l'attività svolta fino al 30 giugno 2014, indicati nell'elenco allegato e aggiornato al 30 marzo 2015, per un residuo di Euro 599.828,22 salvo errori e omissioni. L'Avv. Ga.Ro. si impegna ad effettuare una riduzione del 25% sull'ammontare indicato nell'elenco allegato per l'attività svota fino al 30/6/2014. L'Avv. Ga.Ro. per l'attività svolta successivamente al 30/06/2014 si impegna ad applicare le tariffe di cui alla convenzione del 11/04/2013 con avvocati fiduciari della B.C.C. di SESTO SAN GIOVANNI predisposta da B.C.C. GESTIONE CREDITI Spa e ferme restando le modifiche e le integrazioni contenute nella lettera del 12/06/13".
L'avv. Ga.Ro. aveva eccepito di non aver sottoscritto alcun accordo sui compensi successivamente a quello concluso nel 16 dicembre 1996 secondo cui i compensi sarebbero stati calcolati secondo "le tariffe professionali dell'Ordine degli Avvocati e Procuratori" e che, in ogni caso, la clausola delle convenzioni allegate da controparte violava l'art.13 bis della legge professionale forense, derogando all'equo compenso e ai parametri fissati dal D.M. n. 55/2014, e avrebbe dovuto essere pertanto ritenuta nulla.
Il Tribunale ha affermato che l'accordo del 2013 non era mai stato concluso posto che l'avvocato, dopo aver ricevuto lo schema di convenzione tariffaria, aveva, con lettera del 12.6.2013, richiesto modifiche e che queste ultime erano state rifiutate dalla Banca, con comunicazione del 18.6.2013; che, in particolare, l'avvocato aveva chiesto, quale condizione per poter accettare la proposta della Banca, che l'operatività della convenzione riguardasse solo le nuove pratiche, esclusi gli incarichi precedenti, anche se le azioni giudiziali fossero avviate successivamente; che l'accordo del 2015 aveva chiaramente distinto, sul piano temporale, l'attività svolta dall'avvocato Ga.Ro. fino al 30.6.3014 dall'attività svolta in data successiva così essendo stato superato il discrimine temporale di cui alla controproposta dall'avvocato Ga.Ro. tra pratiche affidate dal 12.6.2013 e posizioni in precedenza conferite anche se le azioni giudiziali fossero state avviate successivamente; che l'accordo del 2015 doveva essere interpretato nel senso che la previsione per cui la Banca avrebbe pagato Euro 599828,22 per le prestazioni svolte dall'avvocato fino al 30/6/2013 si riferiva non alle sole prestazioni indicate nell'elenco allegato all'accordo (e diverse da quelle oggetto del giudizio), come sostenuto dall'avvocato, ma a tutte le prestazioni svolte fino a quella data; che tale interpretazione era imposta alla luce del rilievo per cui il riferimento alle pratiche di cui all'elenco per "l'attività svolta fino al 30.6.2014" e tuttavia "aggiornato al 30.3.2015" per il totale di Euro 599.828,22 ma con l'aggiunta "salvo errori e omissioni"" era un riferimento "contorto" mentre era "chiara l'intenzione delle parti di liquidare il compenso ancora dovuto per l'attività svolta sino al 30 giugno 2014, indicato concordemente in Euro 599828,22 applicando la riduzione del 25%"; che tale interpretazione era altresì imposta dal rilievo per cui, a fronte dell'ambiguità testuale, la conclusione secondo la quale il compenso di Euro 599,828,22, era omnicomprensivo, in guisa da "escludere nel futuro richieste di ulteriori compensi da parte dell'avv. Ga.Ro. per l'attività svolta sino a tale data", era conforme al criterio ermeneutico della buona fede tenendosi conto del fatto che l'accordo era stato predisposto unilateralmente dall'avv. Ga.Ro., "essendo redatto su carta dello studio legale" dello stesso e del fatto che "quest'ultimo era ben al corrente delle pratiche seguite per conto della Banca sino al 30 giugno 2014, aggiornate peraltro al 30 marzo 2015, ed era certamente in grado di valutare l'attività svolta ai fini dell'accordo sulla liquidazione del compenso". Il Tribunale ha quindi concluso che per le pratiche indicate nel decreto ingiuntivo con il n.1 e il n. 4 niente poteva essere riconosciuto all'avvocato Ga.Ro. trattandosi di pratiche svolte prima del 30.6.2014; che per le altre pratiche, svolte dopo il 30.6.2014, all'avvocato dovevano essere liquidati compensi secondo le tariffe della convenzione del 2013 richiamate nell'accordo del 2015; che l'eccezione di nullità delle pattuizioni tariffarie rispetto all'art. 13 bis della legge professionale forense era infondata trattandosi di disposizione non applicabile al caso di specie, ratione temporis; che, al contrario di quanto sostenuto dall'avvocato, non vi era alcuna decisione passata in giudicato che avesse riconosciuto il diritto dell'avvocato a percepire, per le prestazioni fino al 30/6/2014, compensi aggiuntivi rispetto alla somma di Euro 599,828,22; che sul credito complessivo riconosciuto all'avvocato - Euro1920,00 - spettavano interessi ai sensi del D.Lgs. 231/02 "dalla presente ordinanza al saldo";
2. contro l'ordinanza ricorrono l'avvocato Ga.Ro., in via principale e con quindici motivi, e la Banca, in via incidentale e con quattro motivi. L'avvocato ha depositato controricorso per resistere al ricorso incidentale;
3. le parti hanno depositato memoria;
CONSIDERATO CHE:
1. in via preliminare deve essere dichiarata inammissibile l'eccezione di nullità del provvedimento impugnato, sollevata nella memoria dal ricorrente principale e motivata con il rilievo che la trattazione del procedimento, in contrasto con quanto dispone l'art. 14 del D.Lgs. n. 150 del 2011, si è svolta interamente dinanzi al giudice relatore, mentre il collegio è intervenuto solo in sede decisoria.
La violazione delle disposizioni degli articoli 50 bis e 50 ter c.p.c. sulla composizione monocratica o collegiale del Tribunale chiamato a decidere secondo l'art. 50 quater c.p.c., non si considera attinente alla costituzione del giudice, ed alla relativa nullità si applica l'art. 161 comma primo c.p.c., per cui può essere fatta valere soltanto nei limiti e secondo le regole dell'appello, o del ricorso per cassazione, ed anche ove non si ritenga applicabile l'art. 50 quater c.p.c. perché nella specie la collegialità deriva dalla previsione speciale dell'art. 14 del D.Lgs. n. 150/2011 nel testo anteriore alla riforma del D.Lgs. 10.11.2022 n. 149, come modificato dalla L. 29.12.2022 n. 197, e non dall'art. 50 bis c.p.c., il vizio di costituzione del giudice ex art. 158 c.p.c. derivante dalla violazione dell'art. 276 c.p.c., correlato alla previsione del citato art. 14, determina comunque una nullità insanabile (vedi in tal senso Cass. 6.6.2016 n.11581), che, in forza del rinvio dell'art. 158 c.p.c. all'art. 161 c.p.c., può essere però fatta valere solo nei limiti e secondo le regole proprie del ricorso in cassazione.
Nel caso di specie il vizio, non rilevabile d'ufficio, è stato fatto valere con memoria.
Le memorie consentite dall'art. 378 c.p.c. possono essere utilizzate tuttavia esclusivamente per illustrare e chiarire i motivi già compiutamente svolti con il ricorso o per confutare le tesi avversarie, ma non per formulare nuove censure o per prospettare nuovi motivi di ricorso (Cass. n. 12477/2002; n. 9387/2003; n. 4020/2006);
2.con il primo motivo del ricorso principale si denuncia la violazione dell'art. 2909 c.c. e degli artt. 132,134 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 111 Cost. Si sostiene che, con decreto ingiuntivo n.1395/2018, non opposto, e perciò passato in giudicato, il Tribunale di Monza aveva ritenuto ancora operante la convenzione tariffaria sottoscritta dalle parti nel 1996, di cui doveva farsi applicazione anche nella presente controversia, essendo stata detta convenzione prorogata di anno in anno fino alla relativa revoca nel 2015. Sono poi menzionate (v. pagine 24 e ss. del ricorso) altre ordinanze con cui il Tribunale di Monza avrebbe riconosciuto il diritto del legale al compenso stabilito secondo i parametri di cui al DM 55 del 2014, senza distinguere tra prestazioni svolte prima e dopo il 30/6/2014 e aveva liquidato compensi anche per attività antecedenti al 30/6/2014. Si sostiene che tali ordinanze erano divenute definitive in quanto, pur essendo state oggetto di ricorso per cassazione da parte della Banca, non erano state fatte oggetto di ricorso con specifico riferimento "alla non estensibilità dell'accordo del 29.4.2015 a tutte le pratiche svolte ante 30/6/2014". Si conclude che sul punto della "non estensibilità dell'accordo" si era formato il giudicato e che l'ordinanza impugnata sarebbe in contrasto con tale giudicato.
Il preteso giudicato esterno relativo al decreto ingiuntivo n.1395/2018 è insussistente.
Come evidenziato sia dalla ordinanza impugnata sia dal ricorrente (v. ricorso pagina 23) il decreto non era stato opposto tempestivamente con la conseguenza che l'opposizione era stata dichiarata inammissibile.
È allora sufficiente richiamare la sentenza di questa Corte n. 12111 del 22/06/2020 che, con riferimento ad un credito periodico, ha enunciato il principio, valevole a maggiore ragione in caso di crediti relativi a rapporti distinti seppur legati a precedente convenzione, per cui "Il provvedimento giurisdizionale di merito, anche quando sia passato in giudicato, non è vincolante in altri giudizi aventi ad oggetto le medesime questioni di fatto o di diritto, se da esso non sia dato ricavare le ragioni della decisione ed i principi di diritto che ne costituiscono il fondamento. Pertanto, quando il giudicato si sia formato per effetto di mancata opposizione a decreto ingiuntivo recante condanna al pagamento di un credito con carattere di periodicità, il debitore non può più contestare il proprio obbligo relativamente al periodo indicato nel ricorso monitorio, ma - in mancanza di esplicita motivazione sulle questioni di diritto nel provvedimento monitorio - non gli è inibito contestarlo per le periodicità successive".
Con riferimento alle altre ordinanze relative a decreti ingiuntivi ulteriori rispetto a quello n.1395/2018, deve osservarsi che il ricorrente non deduce di aver fatto valere il giudicato davanti al Tribunale di Milano sebbene si trattasse di ordinanze emesse -per quanto risulta dalla pagina 26 del ricorso- nel 2018 e, a dire del ricorrente, non specificamente impugnate. Il giudicato avrebbe dovuto essere fatto valere in quella sede essendo la relativa eccezione inammissibile davanti a questa Corte. È costante nella giurisprudenza di legittimità, l'affermazione per cui "L'eccezione di giudicato esterno non può essere dedotta per la prima volta in cassazione se il giudicato si è formato nel corso del giudizio di merito, attesa la non deducibilità, in tale sede, di questioni nuove;
se, invece, il giudicato esterno si è formato dopo la conclusione del giudizio di merito (e, cioè, dopo il termine ultimo per ogni allegazione difensiva in grado di appello), la relativa eccezione è opponibile nel giudizio di legittimità" (così, per tutte, ordinanza n. 5370 del 29/02/2024).
Oltre a questo va precisato che il ricorrente stesso dà conto del fatto che la questione della interpretazione della clausola dell'accordo del 2015 -secondo cui la Banca avrebbe pagato Euro 599.828,22 per le prestazioni svolte dall'avvocato fino al 30/6/2013- come clausola riferita alle sole prestazioni indicate nell'elenco allegato all'accordo o come clausola riferita a tutte le prestazioni svolte dall'avvocato fino a quella data (anche non incluse nell'elenco), non si era posta davanti al Tribunale di Monza. Come ricorda la Banca nel controricorso, il Tribunale di Monza aveva affermato che l'accordo tariffario era nullo per contrasto con la normativa sull'equo compenso e contro tale affermazione la Banca aveva proposto ricorso. In questo modo la Banca ha impedito il formarsi del giudicato. Il giudicato si determina, infatti, su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell'ambito della controversia, sicché l'impugnazione motivata, anche soltanto con riguardo ad uno degli elementi di quella statuizione, riapre la cognizione sull'intera questione che essa identifica, così espandendo nuovamente il potere del giudice di riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli aspetti che, sebbene ad essa coessenziali, non siano stati singolarmente coinvolti, neppure in via implicita, dal motivo di gravame (Cass. 10760/2019);
3. con il secondo motivo di ricorso principale si lamenta la nullità dell'ordinanza per violazione dell'art.112 c.p.c. e dell'art. 1362 c.c. per avere il Tribunale di Milano, "al di fuori ed oltre quanto richiesto ed eccepito dalle parti" (ricorso, pag. 28), affermato che l'accordo del 29 aprile 2015 era omnicomprensivo e che, in forza di esso, per tutta l'attività svolta fino al 30 giugno 2014 doveva essere ritenuto satisfattivo il pagamento di Euro 599.828,22, malgrado che la Banca non avesse mai, né nel ricorso in opposizione né nelle conclusioni definitivamente rassegnate, dedotto quanto affermato dal Tribunale ma avesse dedotto che le parti, con l'accordo del 29 aprile 2015, avevano concordato "il pagamento dell'ammontare residuo dei compensi del legale per l'attività svolta fino al 30 giugno 2014, compensi indicati in un elenco allegato all'accordo".
Il motivo è inammissibile.
Il vizio di extra petizione ricorre soltanto quando il giudice abbia pronunciato oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni fatte valere dalle parti, ovvero su questioni estranee all'oggetto del giudizio e non rilevabili d'ufficio, attribuendo ad una di esse un bene della vita non richiesto (o diverso da quello domandato), mentre spetta al giudice di merito il compito di definire e qualificare, entro detti limiti, la domanda proposta dalla parte. (Cass. n. 12471/2011). Per causa petendi idonea a identificare la domanda della parte devono intendersi non le ragioni giuridiche addotte a fondamento della pretesa avanzata in giudizio bensì l'insieme delle circostanze di fatto poste a base di questa (Cass. n. 9176/1997). Consegue che l'interpretazione delle scritture negoziali data dalla Banca a sostegno della propria pretesa non vale di per sé a identificare i limiti di questa, e non può costituire parametro alla cui stregua valutare la novità della domanda o il rispetto da parte del giudice del principio della necessaria corrispondenza della pronunzia alla richiesta;
4. con il terzo motivo di ricorso si lamenta la violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt. 1362 e ss., c.c. e degli artt. 132 c.p.c. e 118 dip. att. c.p.c. e 111 Cost. Si deduce che il Tribunale ha interpretato illogicamente l'accordo del 2015 affermando che esso riguardava tutte le pratiche svolte fino al 2014 e non solo quelle indicate nell'elenco allegato.
5. con il quarto motivo di ricorso si lamenta la violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt. 1362 e ss. c.c. e 115 c.p.c. Si deduce che la motivazione resa dal Tribunale, basata sulla pretesa sussistenza di indici in forza dei quali ritenere l'applicabilità dell'accordo 29.04.15 a tutte le pratiche, si rivela del tutto fallace sul piano giuridico ed errata per tutti gli elementi probatori già enucleati (ricorso pagina 43). Si deduce, in particolare, che, visto che l'accordo prevedeva l'impegno da parte del ricorrente ad applicare per l'attività successiva al 30/6/2014, le tariffe di cui alla convenzione dell'11 aprile 2013 predisposta dalla B.C.C. Gestione Crediti Spa "e ferme restando le modifiche e le integrazioni contenute nella lettera del 12 giugno 2013", il Tribunale avrebbe dovuto ritenere operative tutte le modifiche e integrazioni senza escludere quella di cui al punto 5.2 della lettera secondo la quale la convenzione tariffaria del 2013 sarebbe stata applicabile unicamente alle "nuove pratiche affidate a fare tempo dalla data odierna e non alle posizioni già in precedenza conferite anche se le azioni tutte necessitino di essere avviate successivamente".
6. con il quinto motivo di ricorso principale si lamenta "omessa o insufficiente motivazione ex art. 360 n.5. c.p.c. e violazione di legge ex art. 360, n. 3, c.p.c. in relazione agli artt. 1362 ss., c.c. e 112 e 115 c.p.c. Sotto questa rubrica vengono riproposte le deduzioni proposte con i due precedenti motivi;
7. con il sesto motivo di ricorso principale si lamenta la nullità della ordinanza in relazione agli artt. 132 e 134 c.p.c. e 118 dip. att. c.p.c. e 111 Cost. Si deduce che il Tribunale avrebbe illogicamente affermato che l'accordo del 2015 riguardava tutte le pratiche svolte fino al 2014 e non solo quelle indicate nell'elenco allegato laddove, se cosi fosse stato "non avrebbe avuto senso risolvere, mesi dopo, il contratto del 1996".
I motivi terzo, quarto, quinto e sesto possono essere esaminati assieme.
I motivi sono in parte inammissibili.
Come questa Corte ha in molte occasioni precisato, in tema di interpretazione di clausole contrattuali recanti espressioni non univoche, la contestazione proposta in sede di legittimità non può limitarsi a prospettare una pur plausibile interpretazione alternativa delle clausole stesse, fondata sulla valorizzazione di talune espressioni ivi contenute piuttosto che di altre, ma deve rappresentare elementi idonei a far ritenere erronea la valutazione ermeneutica operata dal giudice del merito, cui l'attività di interpretazione del contratto è riservata (Cass. 22 giugno 2017, n. 15471), poiché, in caso contrario, la critica alla ricostruzione del contenuto della comune volontà si sostanzia nella proposta di un'interpretazione diversa. La censura, in altre parole, non può risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione. Né l'interpretazione data dal giudice al contratto deve necessariamente essere l'unica interpretazione possibile e neppure la migliore in astratto essendo sufficiente che sia una delle possibili e plausibili interpretazioni sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito - alla parte che aveva proposto l'interpretazione poi disattesa dal giudice di merito - dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l'altra (cfr., tra molte, Cass. 2 maggio 2006, n. 10131; ancora, fra le altre, Cass. 20 maggio 2020, n. 9291; Cass. 8 gennaio 2020, n. 121; Cass. 17 marzo 2014, n. 6125; Cass. 25 settembre 2012, n. 16254; Cass. 3 settembre 2010, n. 19044; Cass. 20 novembre 2009, n. 24539; Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass. 22 febbraio 2007, Cass. 16 febbraio 2007, n. 3644).
Nel caso di specie, la sentenza impugnata non ha violato le già menzionate regole ermeneutiche e principi di diritto.
La Corte territoriale, dopo avere richiamato la finalità dell'accordo e le condizioni essenziali del medesimo, ha posto in luce che le parti avevano operato una netta separazione fra l'attività svolta fino al 30 giugno 2014, per la quale era stato convenuto l'ammontare residuo dei compensi spettanti, pari a Euro 836.833,32, sul quale il professionista si impegnava ad effettuare "all'atto della fatturazione" una riduzione del 25%", e l'attività successiva al 30 giugno 2014. Con riferimento a tale attività successiva l'avv. Ga.Ro. si impegnava ad applicare le tariffe di cui alla convenzione dell'11 aprile 2013 predisposta dalla B.C.C. Gestione Crediti Spa, "e ferme restando le modifiche e le integrazioni contenute nella lettera del 12 giugno 2013".
Il Tribunale ha osservato (pagina 15 dell'ordinanza impugnata) che le suddette "modifiche e integrazioni" dovevano essere individuate in quelle relative ad elementi da includere o da escludere dalla tariffazione e non anche quella, contenuta al punto 5.2. della lettera ma non accettata dalla Banca, "superata" dal riferimento contenuto nell'accordo del 2015 alla attività "resa" prima e alla attività "resa" dopo il 30/6/2014.
Rispetto a tale esegesi, il ricorrente, nella sostanza, si limita a rivendicare un'alternativa interpretazione plausibile più favorevole. L'ordinanza non è affetta da alcun vizio motivazionale.
È noto che, in applicazione l'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nel testo novellato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla 1. n. 134 del 2012, è esclusa la sindacabilità, in sede di legittimità, della correttezza logica della motivazione in riferimento alla idoneità probatoria di determinate risultanze processuali, non avendo più autonoma rilevanza il vizio di contraddittorietà o insufficienza della motivazione. La novella, invero, ha introdotto nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia; onde la riformulazione della norma suddetta deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. È, pertanto, denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione (cfr. Cass., sez. un, n. 8053 del 2014; Cass. n. 7472 del 2017).
Nel caso in esame, nessuna anomalia motivazionale, nel senso sopra indicato, inficia l'ordinanza, e il ricorrente, sotto la formale rubrica di vizio motivazionale, propone riflessioni critiche involgenti il complessivo accertamento fattuale operato dal giudice del merito e di cui è chiesta una rivalutazione. Ciò che non è ammesso nel giudizio di legittimità non potendosi questo giudizio trasformare in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (fra le tante, Cass. n. 21381 del 2006, Cass. n. 8758 del 2017, Cass., sez. un., n. 34476 del 2019);
8. con il settimo e l'ottavo motivo -che il ricorrente propone assieme- si lamenta la violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt.2233 c.c. e del D.M. 55/2014 e del d.m.127 del 2004, dell'art. 13 bis della legge professionale forense e degli artt. 24, 35 e 36 della Costituzione nonché la violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt. 112 c.p.c. e 2233 c.c. Si deduce che il Tribunale avrebbe errato a ritenere l'art. 13 bis della legge professionale forense non applicabile al caso di specie.
Il motivo è infondato.
Il Tribunale, per le prestazioni di cui ai nn. 2 e 3 del ricorso monitorio, ha calcolato i compensi sulle base delle tariffe dell'accordo del 2013 (accordo, come osservato dal Tribunale, non concluso ma per la parte inerente alle tariffe, reso effettivo in forza del richiamo fattovi da parte dell'accordo del 2015 per le prestazioni rese successivamente al 30/6/2014). Ha evidenziato che tutte le prestazioni si erano concluse a seguito della rinuncia dell'avvocato Ga.Ro. a tutti gli incarichi in data 16 novembre 2017, ossia prima dell'entrata in vigore dell'art. 13 bis cit. avvenuta il 6 dicembre 2017, ha ritenuto la disposizione non retroattiva e quindi inapplicabile alla fattispecie.
L'ordinanza è ineccepibile.
È sufficiente richiamare quanto questa Corte ha già precisato, con ordinanza n.7354 del 19/03/2025, in altra controversia tra le parti: "In tema di onorari professionali, l'art. 13 bis della L. n. 247 del 2012, vigente ratione temporis (introdotto dall'art. 19 quaterdecies del D.L. n. 148 del 2017, conv. con modif. dalla L. n. 172 del 2017, con effetti dall'1.1.2018), relativo al cd. equo compenso dell'avvocato, non ha natura interpretativa e valore retroattivo, per cui non è applicabile ai rapporti professionali ormai cessati e alle prestazioni già espletate anteriormente alla sua entrata in vigore".
Infine, e palesemente insussistente la violazione dell'art. 112 c.p.c., in presenza di pronunzia esplicita di rigetto della domanda formulata ai sensi dell'art. 2233, comma 2, c.c.
9. con il nono motivo di ricorso si lamenta la violazione e/o falsa applicazione "di norme di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c.", omessa motivazione ex art. 360, comma primo, n. 5, in relazione all'art. 2697 cc. e 112 c.p.c. e all'art. 2233 c.c. Si deduce che il Tribunale ha negato i compensi per le attività di cui ai n. 4 del ricorso monitorio, sulla base della interpretazione dell'accordo già criticata con i precedenti motivi di ricorso, "pur nulla avendo prodotto la banca a sostegno di tale ritenuto pagamento" di Euro599,282,22.
Il motivo è inammissibile perché non tiene conto della ratio della decisione impugnata.
La ratio non e quella dell'avvenuto o non avvenuto rispetto dell'accordo ma quella per cui nessuna pretesa ulteriore poteva essere avanzata dal ricorrente per l'intera attività svolta fino al 30 giugno 2014 in quanto questa trovava il proprio corrispettivo nella somma -Euro 599828,22 - pattuita nell'accordo. La dedotta carenza di prova dell'avvenuto rispetto dell'accordo era irrilevante nell'economia della decisione posto che il ricorrente non ha agito per l'adempimento dell'accordo ma ha preteso un compenso per attività, da lui ritenute non coperte dall'accordo e ritenute invece dal Tribunale coperte dall'accordo in forza della ricordata esegesi dell'accordo stesso;
10. con il decimo motivo si lamenta "violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3, c.p.c. in relazione agli artt. 2233 e 2234 c.c., 1372, del D.M. 55/2014 nonché degli artt. 112 e 115 c.p.c.".
Si deduce che il Tribunale non avrebbe integralmente rispettato la convenzione tariffaria del 2013 richiamata dall'accordo del 2015 con le "modifiche ed integrazioni contenute nella lettera del 12.6.2013". Si deduce in particolare che, con la lettera suddetta, le parti avrebbero concordato che al ricorrente sarebbero stati riconosciuti compensi secondo le tariffe forensi in caso di effettivo recupero dei crediti della Banca e che per le pratiche in questione i crediti della Banca erano stati recuperati.
Il motivo è inammissibile per difetto di specificità (art. 366 c.p.c.). Il ricorrente deduce che la Banca avrebbe recuperato il credito vantato verso "Classic Motor-Ripa Bruschetti", "dalla controparte", "dalla procedura esecutiva" ed "anche tramite la cessione al Fondo Temporaneo del Credito Cooperativo". Si tratta di allegazioni in fatto inammissibili in questa sede di legittimità. Il motivo, per quanto riferito ai crediti per le pratiche di cui ai nn. 1 e 4, è inammissibile anche perché non tiene conto della motivazione della ordinanza: il Tribunale ha stabilito che l'attività del ricorrente si era conclusa prima del 30/6/2014 e che quindi il ricorrente non poteva vantare alcun credito per tali attività in ragione della clausola dell'accordo per cui la "BCC si impegna a pagare all'Avv. Ga.Ro., in tre anni l'ammontare residuo dei compensi per l'attività svolta fino al 30 giugno 2014, indicati nell'elenco allegato e aggiornato al 30 marzo 2015, per un residuo di Euro 599.828,22";
11. con l'undicesimo motivo di ricorso si lamenta la violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., degli artt.2233, 2234, c.c., degli artt. 24,35 e 36 della Costituzione e degli artt. 112 e 115 c.p.c. Si deduce che il Tribunale avrebbe liquidato i compensi in misura simbolica e non consona rispetto al valore e al pregio dell'attività prestata e in misura inferiore ai minimi di cui al d.m. 55/2014.
Il motivo è inammissibile in quanto generico;
12. con il dodicesimo motivo di ricorso si lamenta "violazione e/o falsa applicazione e omessa e/o insufficiente motivazione in relazione agli artt. 2233 e 2234 c.c., 1362, 1372 e 1374 c.c.; 24, 35 e 36 Cost., 2697 c.c. e art. 112 e 115 c.p.c., del D.L.n.1/2012 e dell'art. 24 della L.794 del 1942".
Sotto questa rubrica si deduce che il Tribunale avrebbe errato nel ritenere, quanto alle pratiche di cui ai nn. 1 e 4 del ricorso per decreto ingiuntivo, valido l'accordo del 29 aprile 2015 malgrado che alcune attività relative a tali pratiche fossero state svolte nel 2008, vigente il principio di inderogabilità dei minimi tariffari stabilito dall'art.24 della L.794 del 1942. Il motivo è inammissibile.
Va preliminarmente rilevato che solo per le prestazioni professionali rese in epoca anteriore all' entrata in vigore del decreto-legge n. 223 del 2006 (c.d. "decreto Bersani"), convertito con la legge n. 248 del 2006, il cui articolo 2, primo comma, ha abrogato le disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano la fissazione di tariffe obbligatorie fisse o minime per le attività professionali e intellettuali, vale il disposto dell'articolo 24 della legge 13 giungo 1942 n. 794, avendo questa Corte già avuto modo di chiarire, con la sentenza n. 9878/2008, che l'articolo 2, comma 1, del decreto legge n. 223 del 2006, convertito con la legge n. 248 del 2006, ha abrogato le disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano la fissazione di tariffe obbligatorie fisse o minime per le attività professionali e intellettuali "dalla data di entrata in vigore" della legge stessa, con la conseguenza che quelle disposizioni conservano piena efficacia solo in relazione a fatti verificatisi prima di tale data.
Deve in secondo luogo osservarsi che il diritto dell'avvocato al compenso in misura non inferiore ai minimi tariffari è un diritto disponibile e, pertanto, può costituire oggetto di valida rinuncia sia successiva che preventiva all'insorgere del diritto al compenso (Cass. n. 1680/83; Cass. 8539/18) e che, nel caso di specie, il Tribunale ha accertato che per le attività anteriori al 30/6/2014 le parti avevano raggiunto un accordo in ordine alla misura del compenso dovuto, sul testo predisposto unilateralmente dall'avv. Ga.Ro.;
13. con il tredicesimo motivo di ricorso si lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 10 e ss c.p.c. e del D.M. 55/2014 per avere il Tribunale liquidato importi per le pratiche di divisione, di cui ai nn. 2 e 3 del ricorso per decreto ingiuntivo, applicando lo scaglione di valore fino a 25.000 Euro anziché quello, indicato dal ricorrente, di valore tra 520.001,00 e 1.000.000,00 euro.
Il motivo è inammissibile.
Il Tribunale ha liquidato gli importi per le due pratiche di divisione in Euro1200 e in Euro 720, tenuto conto del fatto che l'attività della pratica n. 2 era solo quella antecedente ad una imprecisata sentenza parziale di primo grado mentre per la pratica n. 3 era la sola attività di costituzione nel grado di appello e di successiva richiesta di rinvio per deposito di verbale di conciliazione. Ha poi aggiunto che la liquidazione doveva avvenire in relazione al primo scaglione di valore in mancanza di prova di un maggior valore della causa.
Il ricorrente si limita ad elencare i beni compresi nella massa da dividere e a sostenere che per la consistenza "notevole" del compendio la causa non poteva essere fatta rientrare nel primo scaglione di valore.
Sebbene, ai sensi dell'art. 12 c.p.c., il valore delle cause per divisione debba essere determinato dal giudice in riferimento a quello della massa attiva da dividersi salva la deroga, per la determinazione del valore della causa ai fini della liquidazione dei compensi a carico del soccombente, di cui all'art. 5 del D.M. 55 del 2014, tuttavia, al fine di rendere apprezzabile l'eventuale errore commesso dal Tribunale, il ricorrente avrebbe dovuto denunciare, con riferimento all'art.360, comma 1, n. 5 c.p.c., l'omesso esame di elementi da cui fosse dato desumere che la individuazione del valore effettuata dal Tribunale fosse errata. Il motivo avrebbe richiesto, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., l'indicazione degli elementi il cui esame fosse stato omesso, del "dato", testuale o extratestuale, da cui essi risultassero, il "come" il "quando" essi fossero stato oggetto di discussione processuale tra le parti. Il motivo, formulato come violazione di legge, si riduce invece alla prospettazione generica sopra ricordata e si risolve in una inammissibile pretesa di ottenere da questa Corte di legittimità una rivalutazione del valore delle due cause di divisione;
14. con il quattordicesimo motivo di ricorso si lamenta la violazione o falsa applicazione dell'art. 4 del D.M. 55/2014 e dell'art. 115 c.p.c. Si deduce che il Tribunale avrebbe errato nell'affermare quanto alla pratica di cui al n. 1 del ricorso monitorio che il ricorrente non aveva provato di aver svolto alcuna attività dopo il 30.6.2014 laddove trattandosi di giudizio di divisione "ancora in corso" la prova sarebbe in re ipsa. Si deduce altresì che, riguardo alle pratiche di cui ai nn. 2 e 3, le attività svolte dopo il 30.6. 2014 non sarebbero solo quelle indicate dal Tribunale ma anche altre.
Il motivo è inammissibile, perché alla dedotta violazione o falsa applicazione di legge è sottesa questa struttura argomentativa: poiché il giudice di merito ha accertato i fatti X e tale accertamento è erroneo (cioè non corrisponde alla realtà delle cose), allora sono state violate le norme giuridiche Y. Tale struttura scambia il ruolo della Corte di cassazione per quello di una terza istanza di merito;
15. con il quindecimo motivo si lamenta la violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., degli artt.2233 e 2234 c.c., dell'art. 2 del D.M. 55/2014 e dell'art. 112 c.p.c. per avere il Tribunale omesso di liquidare le spese generali malgrado le stesse siano dovute per legge.
Il motivo è inammissibile per difetto di interesse (art. 100 c.p.c.), posto che "In tema di liquidazione delle spese processuali, nel caso in cui il provvedimento giudiziale non contenga alcuna statuizione in merito alla spettanza, o anche solo alla percentuale, delle spese forfettarie rimborsabili ex art. 2 del D.M. n. 55 del 2014, queste ultime devono ritenersi riconosciute nella misura del quindici per cento del compenso totale, quale massimo di regola spettante, secondo un'interpretazione che non può ritenersi mutata a seguito dell'entrata in vigore del D.M. n. 37 del 2018, il quale ha modificato il D.M. n. 55 sopra citato, introducendo l'inderogabilità delle riduzioni massime, ma non anche degli aumenti massimi, che continuano ad essere previsti come applicabili "di regola" (Cass. Sez. 6 - 2, Ordinanza n.1421 del 22/01/2021 (Rv. 660321 - 01);
16. con il primo motivo di ricorso incidentale si lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 111 Cost. e 1175 e 1375 c.c. per avere il Tribunale erroneamente rigettato l'eccezione sollevata dalla Banca di improponibilità o improcedibilità della domanda avanzata dall'avvocato per illegittimo frazionamento del credito.
La Banca deduce di essere stata obbligata a difendersi in 25 procedimenti monitori iniziati dall'avvocato; che i procedimenti erano stati avviati dall'avvocato a seguito della comunicazione inviata dallo stesso avvocato alla Banca il 16 novembre 2017 di rinuncia a tutti i mandati; che l'avvocato aveva gli elementi per far valere le proprie pretese unitariamente; che i crediti, sebbene rinvenienti da mandati professionali distinti, tuttavia avrebbero potuto e dovuto essere fatti valere unitariamente perché tutti verso la Banca e tutti relativi a pratiche omogenee di recupero di crediti vantati dalla Banca verso i clienti; che l'avvocato non aveva in alcun modo prospettato esigenze tali da giustificare il frazionamento delle iniziative giudiziali; e che la motivazione data dal Tribunale - essere i crediti relativi a prestazioni eseguite in base ad incarichi distinti - non era in linea con la giurisprudenza di legittimità secondo cui occorre avere riguardo, ai fini del frazionamento, all'unicità del rapporto nel quale i distinti crediti erano inseriti.
Il motivo è infondato.
Questa Corte ha affermato che non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un "unico rapporto obbligatorio", proporre plurime richieste giudiziali di adempimento (Cass. s.u. 23726/2007; Cass. 19898/2018; Cass. 15398/2019; Cass. 26089/2019; Cass. 9398/2017; Cass. 17019/2018) e che anche le domande aventi ad oggetto distinti diritti di credito, anche se relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, devono esser proposte nel medesimo giudizio se le pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, salvo che risulti, in capo al creditore, un interesse, oggettivamente valutabile, alla tutela processuale frazionata (Cass. s.u. 4090/2017; Cass. 31012/2017; Cass. 17893/2018; Cass. 6591/ 2019). È dunque ammissibile il frazionamento ove sia riscontrabile un interesse processuale del creditore a proporre separati giudizi, interesse la cui verifica compete al giudice di merito (Cass. 24371/2021; Cass. 24721/2023; Cass. 24657/2023).
Il quadro non risulta modificato dalla sentenza delle sezioni unite di questa Corte n.7299 del 19.3.2025, nelle more sopravvenuta, chiamata a deliberare sulle diverse conseguenze riconducibili all'illegittimo frazionamento del credito (inammissibilità, o improponibilità della domanda; conseguenze sul piano delle spese processuali e della responsabilità ex art. 96 c.p.c.), che ha ribadito che "le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, anche se relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, e che tuttavia, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell'identica vicenda sostanziale, le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile, alla tutela processuale frazionata (Cass. n. 6591/ 2019; Cass. n.17893/2018; Cass. n. 31012/2017; Cass. sez. un. 4090/2017). Questa Corte, su fattispecie identica tra le stesse parti, ha affermato che da quanto precede "deriva che, poiché nel caso in esame il Tribunale di Milano ha accertato l'esistenza di distinti crediti professionali rispetto a quelli separatamente azionati dall'avvocato Ga.Ro., ancorché basati su una medesima convenzione tariffaria dei compensi con la BCC, non riconducibili ad un rapporto obbligatorio unico e non inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato, né fondati sul medesimo fatto costitutivo, il provvedimento impugnato non era tenuto a motivare in ordine alla sussistenza in capo al creditore di un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata, ben potendo il professionista legittimamente agire per il recupero di crediti relativi a distinti clienti della banca" (Cass. 12905/2025);
17.con il secondo motivo di ricorso incidentale si lamenta, in riferimento all'art. 360, primo comma, n.4. c.p.c., nullità della ordinanza per violazione degli artt. 134 c.p.c. e 111 Cost. Si sostiene che l'ordinanza impugnata sarebbe viziata da una irriducibile contraddittorietà motivazionale per avere il Tribunale, da un lato, affermato che l'accordo del 2013 non era stato concluso e, dall'altro lato, riconosciuto all'avvocato crediti portati in fatture emesse sulla base di quell'accordo.
Il motivo è inammissibile, in quanto l'emissione delle dedotte fatture non incide sull'accertamento del Tribunale - basato sulla documentazione richiamata nell'ordinanza e segnatamente sulle lettere dell'avvocato del 13 e del 12 giugno 2013 e sulla comunicazione della Banca dell' 8 luglio 2013 - per cui la controproposta dell'avvocato Ga.Ro. alla proposta di convenzione del 2013 inviata dalla Banca non era stata da questa accettata, con la conseguenza che l'accordo non si era concluso;
18. con il terzo motivo di ricorso incidentale si lamenta, violazione o falsa applicazione degli artt. 1326 c.c. per aver il Tribunale affermato che tra le integrazioni all'accordo del 2013 di cui alla lettera datata 12.6.2014, divenute applicabili in forza dell'accordo del 29.4.2015, vi era quella per cui all'avvocato sarebbero spettati compensi oltre la tariffa convenzionale in caso in cui alla banca fossero stati liquidati dalla autorità giudiziaria procedente maggiori spese a carico della controparte.
19.con il quarto motivo di ricorso si lamenta violazione dell'art. 134 c.p.c. per non avere il Tribunale motivato l'affermazione per cui la integrazione tariffaria già menzionata nel terzo motivo di ricorso sarebbe stata resa applicabile in forza dell'accordo del 2015.
Il terzo e il quarto motivo sono inammissibili per difetto di interesse (art. 100 c.p.c.) posto che il Tribunale non ha fatto concreta applicazione della previsione della lettera del 12.6.2013 menzionata dalla Banca. Non ha riconosciuto all'avvocato Ga.Ro. alcun compenso maggiore di quelli di cui alla convenzione tariffaria del 2013;
20. in conclusione entrambi i ricorsi devono essere rigettati;
21. le spese sono compensate per soccombenza reciproca;
P.Q.M.
la Corte rigetta entrambi i ricorsi e compensa le spese.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1- bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 29 maggio 2025.
Depositata in Cancelleria l'11 giugno 2025.