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PMA, la revoca del consenso blocca l’adozione della madre intenzionale?

Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.16242 del 17/06/2025

Cosa accade se, dopo una procedura di procreazione medicalmente assistita (PMA) tra due donne, la madre biologica revoca il consenso all'adozione del minore da parte della madre intenzionale a seguito della fine della loro relazione?

Della questione si occupa la Cassazione, sez. I civile, con la sentenza n. 16242 del 17 giugno 2025.

La vicenda

Il caso riguarda due ex partner, una delle quali ha partorito un bambino concepito con PMA.

Dopo la separazione, la madre biologica ritira il consenso all'adozione del minore da parte dell'altra donna.

Quest'ultima chiede comunque di essere riconosciuta come madre adottiva ex art. 44, lett. d), legge n. 184/1983.

Il punto controverso era: può l'adozione essere concessa anche senza l'assenso della madre biologica, in presenza di un legame affettivo significativo tra minore e genitore sociale?

I principi in materia

L'adozione in casi particolari è regolata dall'art. 44, lett. d), della legge 4 maggio 1983, n. 184, che consente l'adozione anche in assenza di legami di parentela, quando sussiste un rapporto affettivo stabile e significativo.

La giurisprudenza ha chiarito che il superiore interesse del minore deve prevalere su qualsiasi automatismo giuridico.

Per la Cassazione, la presenza di una relazione affettiva effettiva e continuativa tra il minore e il genitore sociale è decisiva, anche se l'interruzione dei rapporti è causata dalla madre biologica. In questo caso, la revoca dell'assenso non è di per sé ostativa, ma richiede una verifica approfondita e rigorosa dell'interesse del minore.

La decisione della Corte

Nel caso esaminato, i giudici di merito avevano inizialmente rigettato la richiesta di adozione, ritenendo l'opposizione della madre biologica un limite invalicabile.

La Cassazione, invece, ha affermato che il minore ha diritto alla tutela del legame affettivo sviluppato con la madre d'intenzione e ha rinviato la causa.

Dopo la riassunzione, la Corte d'appello ha riconosciuto l'adozione, valorizzando il rapporto educativo e affettivo stabilito con il minore, la continuità delle cure, e la capacità della madre intenzionale di comprendere e sostenere i bisogni psicologici del bambino, anche in un contesto di alta conflittualità familiare.

La Cassazione, nel rigettare il nuovo ricorso della madre biologica, ha confermato che la discontinuità dei rapporti non può penalizzare il genitore sociale quando tale interruzione è dovuta a ostacoli posti dall'altro genitore. Non rileva neppure l'assenza di coabitazione: ciò che conta è la qualità e l'effettività della relazione.

Conclusione

La pronuncia in esame chiarisce che il consenso della madre biologica è rilevante ma non decisivo quando vi è un forte legame affettivo tra il minore e la madre d'intenzione. L'interesse del minore è centrale e può legittimare l'adozione anche in presenza di una forte conflittualità tra i genitori.

In pratica: non basta dire "non voglio" per bloccare l'adozione. Se il legame è vero, se il minore riconosce quella persona come madre, allora la legge guarda a lui, non alla guerra tra ex.

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Cassazione civile, sez. I, sentenza 17/06/2025 (ud. 22/05/2025) n. 16242

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Con sentenza pubblicata il 27.12.2022, la Corte d'Appello di Roma confermava la decisione del Tribunale per i Minorenni che, a definizione del procedimento instaurato ai sensi dell'art. 44 co. 1, lett. d) della legge n. 184/1983 su ricorso della sig.ra Sa.Ch., odierna controricorrente, aveva respinto la domanda di farsi luogo all'adozione del minore Pi.Ed., nato a seguito di procreazione medicalmente assistita (PMA) compiuta all'estero dalla coppia costituita allora dalle sig.re Sa.Ch. e Pi.Ch.

A fondamento della decisione la Corte poneva la revoca dell'assenso all'adozione del minore da parte della genitrice biologica, in considerazione altresì della grande conflittualità delle parti che reciprocamente si attribuivano comportamenti in pregiudizio all'armonico sviluppo del minore. La Corte del merito affermava così che il diniego dell'assenso del genitore naturale, costituisse un limite insuperabile all'adozione del minore.

Questa Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi dalla sig.ra Sa.Ch., in continuità con l'orientamento inaugurato dalla pronuncia delle Sezioni Unite 30 dicembre 2022, n. 38162, affermava con ordinanza del 29.8.2023 che il minore avesse il diritto fondamentale al riconoscimento del legame sorto in forza del rapporto affettivo instaurato e vissuto con il genitore d'intenzione e che tale istanza di tutela trovasse accoglimento nell'istituto dell'adozione in casi particolari, ai sensi dell'art. 44, comma 1, lett. d) della L. n. 184 del 1983, strumento mediante il quale è possibile qualificare giuridicamente il legame di fatto fra il minore e il partner che ha condiviso il disegno procreativo e la progettualità genitoriale con il genitore biologico concorrendo alla cura del bambino sin dalla sua nascita.

Questa Corte stabiliva, inoltre, che in tema di adozione in casi particolari, l'effetto ostativo derivante dalla manifestazione del dissenso da parte del genitore biologico deve essere valutato esclusivamente sotto il profilo della conformità all'interesse del minore.

La Corte accoglieva il ricorso e per l'effetto cassava la decisione impugnata e rinviava alla Corte d'Appello di Roma perché si pronunciasse nuovamente nel merito.

A seguito di riassunzione della controversia, il giudice del merito, valorizzando l'intenso rapporto fra il minore e l'appellante e la continuità nella cura e nell'accudimento da parte di quest'ultima, con sentenza n. 4587/2024 accoglieva l'appello della Sig.ra Sa.Ch. e, riformando la decisione del Tribunale per i Minorenni di Roma, dichiarava l'adozione del minore ai sensi dell'art. 44, comma 1, lett. d) della L. 184/1993 da parte dell'appellante e disponeva la posposizione del cognome dell'appellante al cognome del minore.

Avverso la sentenza n. 4587/2024 propone ricorso la sig.ra Pi.Ch.

All'impugnazione ha resistito la Sig.ra Sa.Ch. con controricorso ex art. 370 c.p.c., instando per il rigetto del ricorso, e domandando la condanna della ricorrente al pagamento di una somma in suo favore equitativamente determinata ai sensi dell'art. 96, co. 3, c.p.c. oltre al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende ex art. 96, ult. co., c.p.c.

Entrambi le parti depositavano memoria illustrativa ai sensi dell'art. 378 c.p.c.

Il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, ha depositato memoria scritta, e all'esito della discussione orale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Con il primo motivo di ricorso, la parte denuncia la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., con riferimento agli artt. 44 e 46 della legge n. 184 del 1983, agli artt. 2,3 e 30, comma 3 Cost., nonché agli artt. 383 e 384 c.p.c., in materia di giudizio di rinvio.

In particolare, si contesta la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui il giudice di merito afferma: "L'intensità dell'attaccamento di Edoardo alla signora Sa.Ch. si è rivelata appieno quando il bambino ha potuto di nuovo incontrarla a seguito del pronunciamento adottato dallo stesso Tribunale dei minorenni nel distinto e parallelo procedimento attivato dal pubblico ministero al fine di verificare la corretta gestione della responsabilità genitoriale da parte della signora Pi.Ch., in data 23/05/2023" (p. 7 della sentenza impugnata).

Ad avviso della ricorrente, la decisione sull'adozione del minore sarebbe stata assunta in assenza di una verifica rigorosa dei requisiti di effettività e stabilità del legame tra il minore e la madre sociale, considerato che i contatti fra il minore e la sig.ra Sa.Ch. si sono interrotti per circa due anni.

Il motivo è infondato.

L'orientamento della giurisprudenza di legittimità, richiamato dalla stessa ricorrente, afferma che: "L'interesse superiore del minore può risultare anche fondativo di un vero e proprio rapporto di filiazione, ma deve basarsi su un corrispondente legame affettivo di tipo familiare, dotato dei caratteri dell'effettività e della stabilità" (Cass. civ., sez. un., n. 38162 del 30 dicembre 2022, par. 22).

Tale principio, tuttavia, va interpretato alla luce dell'ulteriore affermazione contenuta nella medesima pronuncia, secondo cui: "Il genitore biologico può legittimamente negare l'assenso all'adozione del partner solo nel caso in cui quest'ultimo non abbia intrattenuto alcun rapporto di affetto e di cura con il minore, oppure abbia partecipato al progetto procreativo ma successivamente abbia abbandonato il partner e il bambino".

Ne risulta che il criterio ermeneutico fondamentale, cui deve necessariamente farsi riferimento nella ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale, è rappresentato dal principio del superiore interesse del minore, il quale assume, nella materia dell'adozione in casi particolari, valenza assiologica e sistematica: in tale prospettiva, i requisiti di effettività e stabilità del legame affettivo non possono essere intesi in senso meramente cronologico o quantitativo, ma devono essere interpretati alla luce della concreta qualità della relazione instaurata tra il minore e il genitore sociale, nonché della percezione soggettiva che il minore ha sviluppato nei confronti di tale figura. La valutazione circa la sussistenza di un rapporto genitoriale deve dunque fondarsi su elementi sostanziali di cura, dedizione e continuità affettiva, idonei a integrare quella specifica relazione di tipo familiare che la richiamata normativa e la giurisprudenza intendono tutelare.

Non può, in alcun caso, ritenersi ostativa all'accertamento del rapporto genitoriale la mera interruzione del contatto tra il minore e il genitore sociale, qualora tale interruzione non sia riconducibile alla volontà di quest'ultimo, ma sia stata determinata o da condotte preclusive del genitore biologico o dalla elevata conflittualità fra i partner, e, comunque, sia stata condizionata dalla concreta ed insuperabile impossibilità del genitore sociale di proseguire la frequentazione e consolidare ulteriormente il rapporto. In tal caso, l'eventuale discontinuità della relazione non può essere valutata in senso sfavorevole rispetto alla posizione del genitore sociale, né può compromettere l'accertamento della sussistenza dei presupposti per l'adozione, atteso che, nelle more di questo giudizio, la disponibilità materiale del minore è rimessa al genitore legale, il quale è in grado, anche unilateralmente, di incidere sull'effettività della relazione tra il minore e il genitore sociale, limitandone o impedendone la frequentazione.

Con il secondo motivo di ricorso, si censura la violazione o falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. con riferimento agli artt. 44 e 46 della L. 184/1983 e all'art. 2909 c.c.

In particolare, ad avviso del ricorrente, la Corte territoriale avrebbe dovuto effettuare, insieme alla valutazione del miglior interesse del minore anche un giudizio relativo alla idoneità genitoriale della genitrice intenzionale richiedente l'adozione.

Con il quarto motivo di ricorso, si censura l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 comma 1, n. 5 c.p.c., con riferimento all'art. 44 e 46 della L. 184/1983 in relazione al compromesso stato psicologico del minore.

I motivi possono essere trattati congiuntamente e ciò in quanto la parte ricorrente, omettendo di confrontarsi con le ragioni giuridiche poste a fondamento della decisione impugnata, sollecita questa Corte ad una complessiva rivalutazione nel merito della vicenda sotto i profili dei rapporti intercorrenti fra le parti e sull'idoneità della genitrice richiedente.

La ricorrente, infatti, dolendosi della violazione o falsa applicazione delle norme richiamate, censura da un lato l'omesso scrutinio del giudizio di idoneità genitoriale della richiedente l'adozione in qualità di genitore intenzionale; dall'altro, la carenza di una attuale e concreta valutazione del superiore interesse del minore, anche alla luce delle ricadute psicologiche che il medesimo avrebbe subito a causa della perdurante conflittualità tra le due madri nell'ambito del protratto procedimento giudiziale.

Dall'analisi del provvedimento oggetto di impugnazione emerge, tuttavia, con chiarezza che il giudice di merito ha compiutamente esaminato entrambi i profili dedotti, richiamando integralmente le consulenze tecniche d'ufficio esperite nell'anno 2024 ed aderendo alle conclusioni rassegnate dal consulente tecnico secondo le quali, pur necessitando il bambino di percorso psicoterapeutico al fine di essere supportato nell'affrancarsi dal conflitto di lealtà e dalla tendenza all'inversione di ruolo a cui la situazione familiare lo sta esponendo, è assolutamente rispondente all'interesse del minore la decisione di disporre l'adozione, anche in considerazione della capacità della genitrice d'intenzione di rispondere con empatia alle esigenze del minore, di comprenderne i disagi derivanti dalla complessità della situazione, di sapere offrire immutato affetto anche a seguito del periodo di lontananza trascorso (p. 8-10 del provvedimento impugnato).

I motivi non possono quindi superare il vaglio di ammissibilità.

Con il terzo motivo di ricorso, si censura l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360, co. 1 n. 5 c.p.c., con riferimento agli artt. 44 e 46 L. 184/1993 nonché con riferimento all'art. 8 CEDU per avere il giudice omesso di considerare l'elevata conflittualità fra le parti.

La ricorrente, richiamando una precedente decisione di questa Corte, afferma che, considerato che l'istituto di cui all'art. 44 L. 184/1983 è finalisticamente orientato alla salvaguardia del sano ed equilibrato sviluppo psicofisico del minore, deve ritenersi condizione ostativa alla adozione da parte del genitore d'intenzione l'assenza di una convivenza comune, di armonia, affetto tra i coniugi e deve tendenzialmente escludersi quando la comunione di vita tra essi sia venuta meno (Cass. Sent. n. 21651/2011).

Il motivo non è fondato. Il principio di diritto che la Corte ha pronunciato nella decisione richiamata contrasta radicalmente con l'interpretazione offerta dal ricorrente nella censura mossa al provvedimento impugnato. Questa corte ha infatti affermato: "Non può escludersi sempre e comunque l'adozione del figlio del coniuge, in casi particolari, ai sensi dell'art. 44, primo comma, lett. b), della legge 4 maggio 1983, n. 184, motivando sull'intervenuta separazione di fatto dei coniugi nelle more della procedura, qualora si sia instaurata una positiva relazione tra il minore ed il coniuge richiedente e sempre che non risultino aspetti critici della personalità di quest'ultimo; infatti, sebbene la dichiarazione di adozione presupponga, tendenzialmente, convivenza, armonia e comunione di vita tra i coniugi, è necessario che il giudice accerti, caso per caso, quale sia in concreto l'interesse del minore".

Quanto già sostenuto da questa Corte nel precedente arresto risulta pienamente applicabile anche alla fattispecie in esame: l'accertamento in concreto del superiore interesse del minore, cui è chiamato il giudice nel valutare la sussistenza dei presupposti per disporre l'adozione in casi particolari ex art. 44 della legge n. 184/1983, richiede una verifica particolarmente rigorosa allorché, per le specifiche circostanze del caso, il nucleo familiare risulti disgregato ovvero caratterizzato da una significativa conflittualità tra i suoi componenti; tuttavia, tale accertamento non può tradursi in una automatica presunzione di inidoneità genitoriale della parte richiedente che si trovi in contrasto con l'altro genitore, dovendo invece il giudice valorizzare, secondo un criterio orientato alla ricerca del bene maggiore per il minore, la qualità del legame affettivo instaurato dal minore con ciascun genitore e la capacità di quest'ultimo di corrispondere in modo effettivo ai suoi bisogni evolutivi e relazionali.

In tale prospettiva, l'interesse del minore non si identifica necessariamente con la permanenza all'interno di un nucleo familiare unito, ma nella possibilità di mantenere rapporti significativi e continuativi con entrambe le figure genitoriali, da lui riconosciute come tali, anche in presenza di una situazione di conflitto tra le stesse.

La controricorrente, con il quinto motivo di controricorso chiede la condanna della controparte al pagamento di una somma in suo favore equitativamente determinata ai sensi dell'art. 96, co. 3, c.p.c. oltre al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende ex art. 96, ult. co., c.p.c.

Ritiene la Corte che il ricorso principale non sia connotato da evidente pretestuosità, né che la parte soccombente abbia agito con dolo o colpa grave e non siano integrati, pertanto, i presupposti per l'applicazione dell'art. 96, commi 3 e 4, c.p.c. Le spese legali seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte,

rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente a rifondere le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in Euro 4000 per compensi; e 200 per esborsi oltre accessori di legge in favore della controricorrente.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Prima Sezione Civile, il 22 maggio 2025.

Depositata in Cancelleria il 17 giugno 2025.
 

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