L’Amministrazione finanziaria può accedere liberamente ai documenti di uno studio legale anche se l’avvocato eccepisce il segreto professionale?
Della questione si è occupata la Sezione tributaria della Cassazione con l’ordinanza n. 16795 del 23 giugno 2025.
Il caso nasce da un accertamento fiscale condotto presso lo studio di un avvocato calabrese, durante il quale la Guardia di Finanza aveva acquisito un block notes con nomi di clienti e compensi, ritenuto una sorta di contabilità parallela.
L’avvocato aveva eccepito il segreto professionale, ma i giudici di merito avevano considerato valida l’autorizzazione preventiva rilasciata dal Procuratore della Repubblica.
Il quadro normativo di riferimento è l’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972, che disciplina gli accessi fiscali. La norma stabilisce che:
per accedere nei locali di un professionista è necessaria un’autorizzazione dell’ufficio;
se i locali sono anche abitazione, occorre l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica;
soprattutto, quando è eccepito il segreto professionale, l’esame dei documenti può avvenire solo con autorizzazione specifica e motivata del Procuratore o dell’autorità giudiziaria più vicina.
Su questo punto la giurisprudenza (Cass. SS.UU. n. 11082/2010) ha chiarito che l’autorizzazione deve contenere una motivazione puntuale, frutto di una valutazione comparativa tra l’interesse fiscale e la tutela del segreto.
Nel caso concreto, la CTR Calabria aveva ritenuto sufficiente l’autorizzazione preventiva, generica e in bianco rilasciata dal Procuratore di Paola, senza considerare l’opposizione del professionista. La Cassazione ha invece ribaltato questa lettura: l’autorizzazione non può essere preventiva e generica, perché al momento del rilascio non è ancora possibile sapere se e su quali documenti verrà opposto il segreto. Deve intervenire successivamente e deve essere specifica, riferita cioè ai documenti oggetto di contestazione.
In assenza di questa garanzia, i documenti acquisiti non possono essere utilizzati a fini fiscali. La sentenza di merito è stata quindi cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Calabria.
La pronuncia in esame riafferma che il segreto professionale dell’avvocato non è un ostacolo all’attività ispettiva, ma un presidio costituzionale a tutela del diritto di difesa. Per superarlo servono cautele rafforzate: un’autorizzazione successiva e motivata, non un via libera generico.
Cassazione civile, sez. trib., ordinanza 23/06/2025 (ud. 07/05/2025) n. 16795
FATTI DI CAUSA
La Direzione Provinciale di Cosenza dell'Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti dell'avv. Li.Fr. un avviso di accertamento con il quale rettificava la dichiarazione dei redditi dallo stesso presentata dal predetto contribuente per l'anno 2007, contestando l'omessa fatturazione o in alcuni casi la sottofatturazione delle prestazioni professionali da lui rese in quell'anno e operando le conseguenti riprese fiscali ai fini dell'IRPEF, dell'IRAP e dell'IVA.
I rilievi mossi dall'Ufficio si fondavano sulle risultanze dell'accesso eseguito da militari della Tenenza di Scalea della Guardia di Finanza presso lo studio del mentovato professionista, nel corso del quale erano stati rinvenuti documenti - fra cui, in particolare, un block notes contenente l'indicazione dei nominativi dei clienti e dei compensi da questi corrisposti - asseritamente integranti una vera e propria contabilità parallela.
Il contribuente impugnava l'atto impositivo dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Cosenza, che respingeva il suo ricorso.
La decisione veniva successivamente confermata dalla Commissione Tributaria Regionale della Calabria, la quale, con sentenza n. 113/17 del 7 febbraio 2017, respingeva l'appello della parte privata.
A sostegno della pronuncia adottata, per quanto in questa sede ancora interessa, i giudici regionali rilevavano che, sebbene durante l'accesso fosse stato eccepito dal contribuente il segreto professionale, l'acquisizione dei documenti reperiti dai verificatori doveva ritenersi legittima, avendo essi agito in virtù del provvedimento autorizzativo all'uopo preventivamente rilasciato dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Paola.
Avverso tale sentenza il Li.Fr. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
L'Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell'art. 380-bis.1 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. In via pregiudiziale, va dichiarata l'inammissibilità del controricorso proposto dall'Agenzia delle Entrate.
1.1 Esso, infatti, è stato notificato il 23 ottobre 2017, oltre il termine di complessivi quaranta giorni dalla notifica del ricorso per cassazione, validamente eseguita l'8 settembre di quello stesso anno presso la sede della Direzione Provinciale di Cosenza dell'Agenzia delle Entrate, articolazione territoriale dotata della capacità di stare in giudizio ai sensi degli artt. 10 e 11 del D.Lgs. n. 546 del 1992, secondo un modello assimilabile alla preposizione institoria di cui agli artt. 2203 e 2204 c.c. (cfr. Cass. n. 441/2015).
1.2 Né in contrario rileva che il ricorso sia stato successivamente notificato presso gli uffici dell'Avvocatura Generale dello Stato in data 11 settembre 2017, essendo stato precisato che, in ipotesi di notifica reiterata nei confronti della medesima parte, il termine di cui al combinato disposto degli artt. 369, comma 1, e 370, comma 1, c.p.c. - nel testo, applicabile "ratione temporis", vigente anteriormente alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 149 del 2022- decorre dalla data della prima notifica, a meno che questa sia viziata da nullità, nel qual caso il suo inizio coinciderà con la seconda; sicché la reiterazione della notifica del ricorso, una volta che il procedimento notificatorio si sia già validamente perfezionato, non vale a segnare una nuova decorrenza del termine per la proposizione del controricorso (cfr. Cass. Sez. Un. n. 7454/2020, Cass. n. 24304/2019, Cass. n. 20543/2017).
1.3 Tanto premesso, con il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell'art. 360, comma 1, nn. 3) e 4) c.p.c., è denunciata la nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 36 e 61 del D.Lgs. n. 546 del 1992, nonché degli artt. 112 e 132 c.p.c., dell'art. 118disp. att. c.p.c. e dell'art. 111 Cost.
1.4 Si sostiene che la motivazione dell'impugnata pronuncia risulterebbe "apparente" e "inesistente", e comunque affetta da "irriducibile contraddittorietà", avendo la CTR completamente omesso di verificare la legittimità del provvedimento con il quale il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Paola aveva preventivamente autorizzato l'esame di documenti presso lo studio dell'avv. Li.Fr., anche in deroga al segreto professionale.
1.5 I giudici d'appello si sarebbero, infatti, limitati a constatare la materiale esistenza di tale provvedimento, senza minimamente argomentare in ordine alle eccezioni sollevate dal contribuente, il quale aveva posto in evidenza che esso conteneva una "deroga al segreto professionale del tutto "anonima" ed in "bianco"", non indicava i motivi che ne giustificavano l'emissione ed era stato rilasciato in un momento anteriore all'opposizione del segreto professionale, in palese inosservanza dell'art. 52, comma 3, del D.P.R. n. 633 del 1972.
2. Con il secondo motivo, introdotto ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., sono lamentate la violazione e la falsa applicazione dell'art. 52, commi 2 e 3, del D.P.R. n. 633 del 1972, dell'art. 103 c.p.p., degli artt. 14,15 e 111 Cost. e dell'art. 2697 c.c.
2.1 Si censura la gravata decisione per aver ritenuto utilizzabile la documentazione esaminata dalla Guardia di Finanza in virtù del menzionato provvedimento autorizzativo, sebbene questo risultasse illegittimo per le ragioni già evidenziate con il primo mezzo di gravame.
3. Il primo motivo è infondato.
3.1 La CTR ha affermato che "l'autorizzazione rilasciata dal P.M. all'accesso presso lo studio dell'avv. Li.Fr. era già munita di deroga preventiva al segreto professionale (pag. 7), sicché, una volta apposto quest'ultimo da parte del professionista sottoposto ad ispezione, nessun altro adempimento andava effettuato da parte dei militi agenti, al fine di poter procedere oltre".
3.2 Da quanto precede appare evidente come, a prescindere dalla sua correttezza giuridica, la motivazione spesa dal collegio di secondo grado a supporto della decisione assunta in ordine alla questione prospettata dal contribuente non solo esista dal punto di vista materiale e grafico, ma risulti perfettamente intelligibile e non presenti profili di manifesta illogicità o irriducibile contraddittorietà, sì da raggiungere pienamente la soglia del cd. "minimo costituzionale" imposto dall'art. 111, comma 6, Cost., la cui inosservanza segna il limite entro il quale è ancora denunciabile in sede di legittimità il vizio motivazionale a seguito delle modifiche apportate all'art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c. dall'art. 54, comma 1, lettera b), del D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012 (cfr. Cass. Sez. Un. nn. 8053-8054/2014).
3.3 I giudici regionali hanno, infatti, ritenuto che l'autorizzazione preventiva rilasciata dal Procuratore della Repubblica fosse idonea a consentire la deroga al segreto professionale eccepito dall'avv. Li.Fr. durante l'accesso dei militari della Guardia di Finanza presso il suo studio e che, ai fini della legittima acquisizione dei documenti ivi reperiti dai verificatori, non si rendessero necessari ulteriori adempimenti.
4. Il secondo motivo è, invece, fondato.
4.1 L'art. 52 del D.P.R. n. 633 del 1972, nel testo vigente "ratione temporis", così recita ai primi tre commi:
"(1) Gli Uffici dell'imposta sul valore aggiunto possono disporre l'accesso d'impiegati dell'Amministrazione finanziaria nei locali destinati all'esercizio d'attività commerciali, agricole, artistiche o professionali per procedere ad ispezioni documentali, verificazioni e ricerche e ad ogni altra rilevazione ritenuta utile per l'accertamento dell'imposta e per la repressione dell'evasione e delle altre violazioni. Gli impiegati che eseguono l'accesso devono essere muniti d'apposita autorizzazione che ne indica lo scopo, rilasciata dal capo dell'ufficio da cui dipendono. Tuttavia per accedere in locali che siano adibiti anche ad abitazione, è necessaria anche l'autorizzazione del procuratore della Repubblica. In ogni caso, l'accesso nei locali destinati all'esercizio di arti o professioni dovrà essere eseguito in presenza del titolare dello studio o di un suo delegato.
(2) L'accesso in locali diversi da quelli indicati nel precedente comma può essere eseguito, previa autorizzazione del procuratore della Repubblica, soltanto in caso di gravi indizi di violazioni delle norme del presente decreto, allo scopo di reperire libri, registri, documenti, scritture ed altre prove delle violazioni.
(3) È in ogni caso necessaria l'autorizzazione del procuratore della Repubblica o dell'autorità giudiziaria più vicina per procedere durante l'accesso a perquisizioni personali e all'apertura coattiva di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili e per l'esame di documenti e la richiesta di notizie relativamente ai quali è eccepito il segreto professionale ferma restando la norma di cui all'articolo 103 del codice di procedura penale".
4.2 Dalla lettura coordinata delle surriportate disposizioni normative si evince che, qualora durante l'accesso in locali destinati all'esercizio di attività professionale i verificatori intendano procedere all'esame di documenti in relazione ai quali sia stato eccepito il segreto professionale, essi devono "in ogni caso" munirsi di apposita autorizzazione del Procuratore del Repubblica o, in alternativa, dell'autorità giudiziaria più vicina (comma 3).
4.3 Ciò posto, va osservato che l'esame dei documenti di cui qui si discute è avvenuto nel corso di un accesso eseguito da militari della Guardia di Finanza presso lo studio dell'avv. Li.Fr.
4.4 Durante tale accesso era stato eccepito il segreto professionale relativamente ai detti documenti, onde gli operanti avrebbero potuto esaminarli soltanto in forza di un'autorizzazione "ad hoc".
4.5 Una siffatta autorizzazione, proprio perché divenuta necessaria soltanto a seguito dell'opposizione del segreto professionale, non poteva che intervenire successivamente al verificarsi della situazione che ne aveva imposto il rilascio e con specifico riferimento ai documenti per i quali l'esigenza si era manifestata.
Non era, quindi, sufficiente un'autorizzazione preventiva e generica, quale quella che la CTR ha accertato essere stata rilasciata nel caso di specie dal Procuratore della Repubblica di Paola.
4.6 Sull'argomento viene in rilievo la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 11082/2010, con la quale è stato affermato che l'autorizzazione in oggetto è un atto interno al procedimento fiscale, producente effetti soltanto in tale àmbito, e che la valutazione circa la sua legittimità o meno è devoluta al sindacato del giudice tributario, la cui giurisdizione non riguarda esclusivamente gli atti finali del procedimento amministrativo di imposizione tributaria, ma si estende a tutti quelli che siano stati emanati nelle varie fasi dello stesso.
4.7 Nel richiamato arresto nomofilattico, per quanto qui specificamente interessa, è stato sottolineato (paragrafo E) che il "contenuto motivazionale" della detta autorizzazione "deve essere necessariamente correlato all'esigenza di esplicitare l'avvenuta comparativa valutazione delle contrapposte ragioni offerte dalle parti, ovverosia dei motivi per i quali il contribuente-professionista ha opposto il segreto professionale e delle ragioni che, secondo l'organo verificatore, rendono necessari e/o indispensabili, ai fini della verifica fiscale in atto, l'esame dei documenti e/o l'acquisizione delle notizie "secretati"".
4.8 Orbene, proprio la predicata necessità di una "comparativa valutazione delle contrapposte ragioni offerte dalle parti" lascia chiaramente intendere come il provvedimento di cui all'art. 52, comma 3, del D.P.R. n. 633 del 1972 possa essere legittimamente adottato solo dopo che il segreto professionale è stato eccepito, e non anche in via preventiva, quando ancora non è dato sapere se, ed eventualmente in relazione a quali documenti, esso sarà opposto.
4.9 Dalle surriferite "regulae iuris" si è discostata la CTR calabrese, la quale, nella constatata assenza di un'autorizzazione del Procuratore della Repubblica o dell'autorità giudiziaria più vicina rilasciata successivamente all'opposizione del segreto professionale e con specifico riferimento ai documenti per i quali questo era stato fatto valere, ha ritenuto utilizzabili ai fini dell'accertamento tributario i dati e le informazioni desunti dai finanzieri attraverso l'esame di un block notes "secretato" rinvenuto presso lo studio dell'avv. Li.Fr.
5. Per quanto precede, si impone, dunque, la cassazione dell'impugnata sentenza con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Calabria, in diversa composizione, la quale procederà a un nuovo esame della controversia uniformandosi ai princìpi di diritto sopra espressi (artt. 383, comma 1, e 384, comma 2, prima parte, c.p.c. e 62, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992).
5.1 Al giudice del rinvio viene rimessa anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità (artt. 385, comma 3, seconda parte, c.p.c. e 62, comma 2, del D.Lgs. cit.).
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, respinto il primo, cassa la sentenza impugnata, in relazione alla censura accolta, e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Calabria, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria della Corte Suprema di Cassazione, in data 7 maggio 2025.
Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2025.