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Responsabilità sanitaria: quanto incide la patologia preesistente sul risarcimento?

Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.17006 del 24/06/2025

In tema di responsabilità medica, la presenza di patologie preesistenti può legittimare una riduzione automatica del risarcimento del danno biologico?

Sulla questione è tornata la Cassazione con l'ordinanza n. 17006 del 24 giugno 2025.

Il caso concreto: un intervento chirurgico su un minore

Il caso riguarda un minore che, a seguito di un intervento chirurgico di osteotomia sovracondiloidea antivalgo effettuato nel 2002, ha subito un accorciamento dell’arto inferiore destro di circa 4 cm. L'intervento era stato eseguito all'età di 13 anni presso l'Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli.

Il Tribunale aveva escluso la responsabilità dei sanitari attribuendo l'esito negativo a due fratture pregresse, risalenti al 2001.

In appello, invece, è stata accertata la responsabilità del medico e della struttura, ma il risarcimento è stato liquidato in misura ridotta (45%) ritenendo la patologia pregressa parzialmente causale, senza tuttavia spiegare come essa avesse inciso sull'invalidità permanente.

La Corte di cassazione è stata chiamata a verificare proprio la correttezza di questo passaggio logico-giuridico.

Le regole in materia

La Cassazione richiama alcuni principi consolidati:

  • Il danno da responsabilità medica va risarcito integralmente, salvo che emerga una concausa preesistente accertata in concreto (Cass. 28986/2019, Cass. 23197/2010).

  • La riduzione del risarcimento è ammissibile solo se si accerta, con il criterio della prognosi postuma, che il pregiudizio residuo sarebbe comunque derivato dalla patologia preesistente, anche in assenza dell'errore medico.

  • Occorre distinguere tra coesistenza (patologie indipendenti) e concorrenza causale (patologie che interagiscono): solo in quest'ultimo caso è possibile la riduzione proporzionale.

La decisione della Corte

La Corte d’appello aveva riconosciuto la responsabilità sanitaria ma aveva quantificato il danno in misura arbitraria, senza spiegare in modo specifico quanto e come la patologia preesistente avesse inciso sull'invalidità.

La Suprema Corte censura l’automatismo applicato nella riduzione del risarcimento e ribadisce che ogni decurtazione deve essere motivata in modo rigoroso, sulla base di una perizia medico-legale che accerti l'incidenza della malattia pregressa secondo un criterio controfattuale.

La "prognosi postuma" deve rispondere a una domanda semplice ma cruciale: cosa sarebbe accaduto al paziente se l'errore medico non si fosse verificato? Se i postumi sarebbero stati gli stessi anche in un soggetto sano, allora la preesistenza non incide sul risarcimento. Ma se ha aggravato gli effetti dell'illecito, allora entra in gioco solo nella fase di liquidazione, non nella valutazione dell'invalidità.

Danno morale e personalizzazione

La Cassazione rileva inoltre che la Corte d'Appello non ha autonomamente considerato le voci relative al danno morale e alla personalizzazione del danno biologico, ritenendole ricomprese nella tabella standard.

Ma le Tabelle milanesi richiedono un'integrazione motivata, soprattutto nei casi in cui si dimostri una particolare gravità del danno, come nel caso di un minore con gravi postumi fisici e psicologici.

La consulenza tecnica

Nel motivare l'accoglimento del ricorso, la Cassazione sottolinea anche il ruolo centrale della CTU medico-legale: è necessario che sia completa, confrontata con le osservazioni di parte, e che conduca il giudice a un ragionamento esplicito e controfattuale, evitando il semplice recepimento delle conclusioni peritali.

La Cassazione accoglie il ricorso del danneggiato, cassando con rinvio la sentenza impugnata.

Cosa ci portiamo a casa?

Che il medico non si salva invocando generiche patologie pregresse: serve una valutazione concreta, tecnica e ben motivata.

In sintesi: le patologie pregresse non fanno sconti, se non hanno contribuito al danno.

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Cassazione civile, sez. III, ordinanza 24/06/2025 (ud. 28/11/2024) n. 17006

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d'Appello di Napoli ha accolto l'appello proposto da Bo.Vi., Bo.Gi. e Ma.Ad. - odierni ricorrenti principali nonché controricorrenti al ricorso incidentale- ed in integrale riforma della sentenza del Tribunale di Napoli, con sentenza non definitiva n. 760/2018 ha dichiarato ammissibile l'intervento volontario dei genitori dell'appellante, ed in parziale riforma dell'impugnata sentenza, riconosciuto dovuto al danneggiato il risarcimento del danno da lesione del diritto all'autodeterminazione per omesso consenso informato, da liquidarsi con sentenza definitiva; nel prosieguo del giudizio, rinnovata la CTU medico legale collegiale, ha accertato la responsabilità dell'AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA FEDERICO II e del medico Ci.Fa. per le lesioni patite dal minore Bo.Vi. a seguito dell'intervento chirurgico subito il 6 novembre 2002, condannandoli in solido al risarcimento del danno così liquidato: -in favore di Bo.Vi., in Euro 797.161,87 ed in favore di Bo.Gi. e Ma.Ad. in Euro 100.000,00 ciascuno, oltre interessi e rivalutazione; ha accolto la domanda di garanzia formulata da Ci.Fa. nei confronti di ALLIANZ Spa, con condanna di questa a tenere indenne Ci.Fa. da tutte le conseguenze patrimoniali derivanti dalla sentenza, nei limiti del massimale previsto dalla polizza rc professionale e tenuto conto degli scoperti di cui al contratto; ha accolto inoltre la domanda di garanzia formulata da Ci.Fa. nei confronti dell'AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA FEDERICO II e ha condannato quest'ultima a tenerlo indenne da qualsiasi esborso derivante dalla presente sentenza non coperto dalla polizza per responsabilità professionale personale del medico; ha rigettato la domanda di rivalsa formulata da ALLIANZ Spa nei confronti di AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA FEDERICO II; ha rigettato la domanda di garanzia formulata da AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA FEDERICO II nei confronti di Generali Italia Spa, già INA-Assitalia, coassicuratrice delegataria; ha condannato infine l'AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA FEDERICO II e Ci.Fa., in solido, alla refusione delle spese di lite del doppio grado di giudizio in favore di Bo.Vi. , Bo.Gi. e Ma.Ad., con distrazione; ha posto le spese di CTU del primo e secondo grado di giudizio definitivamente a carico di AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA FEDERICO II e Ci.Fa.; ha condannato ALLIANZ Spa alla refusione delle spese di lite del doppio grado di giudizio in favore di Ci.Fa.; ha condannato ALLIANZ Spa alla refusione delle spese di lite del doppio grado di giudizio in favore di AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA FEDERICO II; ha compensato integralmente le spese del doppio grado di giudizio tra AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA FEDERICO II e Ci.Fa. ; ha condannato l'AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA FEDERICO II alla refusione delle spese di lite del doppio grado di giudizio in favore di Generali Italia Spa.

2. Per quanto ancora qui rileva, Bo.Vi. aveva convenuto in giudizio, dinanzi al Tribunale di Napoli, l'AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA FEDERICO II e Ci.Fa., chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell'intervento chirurgico di osteotomia sovracondiloidea antivalgo cui si era sottoposto in data 6 novembre 2002, all'età di 13 anni, dal quale gli era residuato, per asserita negligenza dei sanitari, un accorciamento del piede destro di 4 cm.; i convenuti costituitisi, resistevano alla domanda e l'Azienda chiedeva e otteneva l'autorizzazione a chiamare in causa le compagnie di assicurazione, per esserne manlevata; intervenivano volontariamente in giudizio Bo.Gi. e Adriana Ma.Ad., genitori del danneggiato, spiegando autonoma domanda di risarcimento dei danni patiti iure proprio. Agiva con autonomo giudizio il medico Ci.Fa. nei confronti dell'Azienda Ospedaliera predetta nonché di ALLIANZ Spa chiedendo di essere manlevato, giudizio che veniva riunito dal Tribunale a questo. Dopo la riunione, esperita istruttoria e CTU medico legale, il Tribunale rigettava la domanda dell'attore e degli interventori volontari, ritenendo che l'accorciamento dell'arto destro fosse da riconnettere alla ossificazione post traumatica cagionata da due fratture dell'arto avvenute in epoca precedente (frattura della tibia dx nel giugno 2001 a seguito di una caduta accidentale, e successiva frattura del femore dx occorsagli nel settembre 2001 a causa di un'altra caduta accidentale), con loro condanna alla refusione delle spese di lite.

3. Avverso la sentenza d'appello, hanno proposto ricorso per cassazione Bo.Vi., Bo.Gi. e Ma.Ad. sorretto da otto motivi di impugnazione. Ha proposto, anche in relazione alla sentenza non definitiva, ricorso successivo l'AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA FEDERICO II illustrato da tre motivi d'impugnazione. Hanno resistito con rispettivi e distinti atti di controricorso Bo.Vi., Bo.Gi. e Ma.Ad.

Ha resistito ALLIANZ Spa, quest'ultima con due distinti atti di controricorso, uno nei confronti della ASL, chiedendo l'accoglimento del ricorso successivo incidentale di questa, e l'altro contro Bo.Vi., Bo.Gi. e Ma.Ad. chiedendo il rigetto del ricorso principale. Sebbene intimati, non hanno ritenuto di svolgere difese nel presente giudizio di legittimità Ci.Fa., Generali Italia Spa (già INA-Assitalia Spa, e per essa, la procuratrice Generali Business Solutions s.c.p.a.), UnipolSai Assicurazioni Spa (già Fondiaria-Sai Spa), Ras Assicurazioni s.p.a e Lloyd Adriatico Spa

La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell'art. 380-bis 1 c.p.c.

Hanno depositato distinte e rispettive memorie i ricorrenti, le controricorrenti Azienda Ospedaliera e ALLIANZ Spa

RAGIONI DELLA DECISIONE

Rileva anzitutto il Collegio che i ricorsi sopra indicati, relativi entrambi alla medesima sentenza definitiva (e quello successivo anche alla sentenza non definitiva già indicata), aventi il medesimo numero di ruolo generale, vanno trattati unitariamente; quello notificato e depositato successivamente a quello proposto da Bo.Vi., Bo.Gi. e Ma.Ad. si converte in ricorso incidentale; ed invero va osservato che il principio dell'unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l'atto contenente il controricorso; tuttavia quest'ultima modalità non può considerarsi essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte, come nella specie, indipendentemente dalla forma assunta e ancorché proposto con atto a sé stante, in ricorso incidentale (Cass. 4/05/1988, n. 3318; Cass. 20/03/2015, n. 5695; Cass. 14/01/2020, n. 448).

Ricorso principale

1. Con il primo motivo di ricorso principale i ricorrenti denunciano "Errore di valutazione ed erronei apprezzamenti contenuti nell'elaborato dei CC.TT.UU., le cui conclusioni sono state acriticamente recepite dalla Corte d'Appello di Napoli che ha trascurato completamente le critiche; omessa valutazione di prove documentali; violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 1226 c.c., 132/c4 n. 2 c.p.c. in relazione all'art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c.; vizio di motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c."; in particolare, lamentano la mancata considerazione delle contestazioni formulate avverso l'elaborato dei CC.TT.UU. nella parte in cui ha riconosciuto al giovane danneggiato un complesso invalidante valutabile nel 45% di danno biologico e non nella misura del 100%, come risultante dal verbale in data 9/01/2019 della "Commissione Medica per l'accertamento dell'invalidità civile, delle condizioni visive e della sordità" di Latina, e nella parte in cui ha descritto il complesso invalidante come caratterizzato da "impossibilità di deambulare senza appoggio, accorciamento dell'arto inferiore destro attualmente di 4 cm, nonostante tutti gli interventi chirurgici correttivi praticati, e aggravamento del disturbo psichico preesistente all'intervento chirurgico". Ribadiscono i ricorrenti quanto già contestato nelle osservazioni critiche allegate nel merito in data 5/06/2019, circa la preesistenza del disturbo psichico fatto risalire dal certificato in data 26/07/2013 del Dipartimento di Salute mentale di Torre del Greco all'anno 2001 e cioè che tale data è, con tutta evidenza, il risultato di un refuso in cui è incorso il medico nel riportare l'anamnesi del paziente, dal momento che dallo stesso certificato risulta che Bo.Vi. è stato seguito da quel Dipartimento di Salute Mentale dal "2007 all'Aprile 2013", per cui nulla può certificare il sanitario con riferimento a date precedenti il 2007 (cfr. pag. 13 del ricorso), come del resto attestato da tutti gli altri documenti sanitari allegati in proposito (richiamati analiticamente nelle pagg. 14 e 15 del ricorso e dalla "Relazione certificata" in data 10/06/22 sub doc. 20). Pertanto, lamentano l'erronea valutazione compiuta dai Consulenti d'Ufficio, l'omessa valutazione di documenti e l'acritica adesione del Giudice di merito.

2. Col secondo motivo di ricorso, in via subordinata rispetto al primo motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano la "mancata liquidazione del danno biologico come danno differenziale: violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 1226 c.c. in relazione all'art. 360/comma 1 n. 3 c.p.c."; assumono che nella ipotesi di riconoscimento a Bo.Vi. di un danno biologico pari al 45% e non al 100%, tale maggior danno o aggravamento, rispetto ad una eventuale preesistenza pari al 55%, avrebbe dovuto essere liquidato come danno differenziale e così non è avvenuto in quanto la Corte d'Appello di Napoli, a pag. 11 della sentenza impugnata, in base alla tabella elaborata dal Tribunale di Milano aggiornata al 2021 e tenuto conto dell'età del danneggiato all'epoca dei fatti, si è limitata a liquidare un danno biologico pari ad Euro 371.418,00, ovvero il minimo tabellare, omettendo di considerare il danno come danno differenziale e sul punto, i ricorrenti sostengono che la sentenza è carente di qualsiasi motivazione. Ne deducono una rilevante differenza quantitativa rispetto al danno differenziale che deve essere calcolato, secondo la tabella del Tribunale di Milano dell'anno 2021, sottraendo dal calcolo di danno del 100%, pari ad Euro 1.162.051,00, il calcolo di danno del 55%, pari ad Euro 529.837,00, con una differenza a credito del giovane Bo.Vi. di Euro 632.214,00 (anziché dei Euro 371.418,00 liquidati).

3. Con il terzo motivo di ricorso, i ricorrenti contestano la "Omessa liquidazione del danno morale subito da Bo.Vi.: nullità della sentenza appellata per omessa pronuncia sul motivo di appello in relazione all'art. 360 n. 4 c.p.c.; violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 1226 c.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.; vizio di motivazione in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c.", lamentando che la Corte partenopea, dopo avere positivamente accertato l'esistenza anche del danno morale, laddove, a pag. 13 della sentenza impugnata, secondo capoverso, dichiara di tener conto, "nel caso concreto, dell'entità e irreversibilità delle sofferenze fisiche, dei postumi e della gravissima sofferenza interiore conseguenti al trattamento non preceduto da consenso, della estrema vulnerabilità del paziente per la giovane età nonché della gravissima violazione dell'obbligo informativo...." avrebbe omesso tuttavia di pronunciarsi sulla liquidazione di tale voce di danno, dedicando a tale aspetto solo il brevissimo inciso di cui a p.11 della sentenza impugnata, secondo cui il danno non patrimoniale va liquidato in applicazione della Tabella del Tribunale di Milano, che tiene conto di tutte le sue molteplici componenti, "per cui la stessa deve ritenersi comprensiva di tutte le sue voci (e dunque anche del danno sofferenziale)".

4. Con il quarto motivo di ricorso, i ricorrenti contestano la "Omessa liquidazione della personalizzazione del danno biologico subito da Bo.Vi.: nullità della sentenza appellata per omessa pronuncia sul motivo di appello in relazione all'art. 360 n. 4 c.p.c.; violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 1226 c.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.; vizio di motivazione in relazione all'art.360 n. 5 c.p.c.", denunciando il laconico riferimento, contenuto a pag. 11 della sentenza impugnata, ove la Corte ha fatto riferimento al principio della onnicomprensività del danno non patrimoniale, come già dedotto nel motivo che precede, che conferma la negata liquidazione della personalizzazione del danno biologico, che i ricorrenti avevano richiesto nella misura massima prevista dalla tabella di Milano aggiornata al 2018, pari al 25%, nella somma di Euro 286.549,00, (così come monetizzata nel foglio di p.c. allegato al verbale d'udienza del 5/12/19, sopra citato e prodotto sub doc. 2 in ricorso) nel caso di riconoscimento di un danno biologico permanente pari al 100%, e nel minore importo di Euro 91.588,00, nell'ipotesi subordinata di riconoscimento di un danno biologico permanente pari al 45%, (come da calcoli di danno allegati alla comparsa conclusionale integrativa in grado di appello in data 21/09/2020).

5. I ricorrenti con il quinto motivo di ricorso deducono la "Omessa valutazione da parte del collegio peritale e della Corte d'Appello di Napoli di una serie di documenti da cui si evince una insufficiente determinazione dei periodi di inabilità totale e parziale; vizio di motivazione in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c."; in particolare, si dolgono del mancato delle osservazioni critiche alla bozza dell'elaborato dei CC.TT.UU. in data 5/06/19, prodotte sub doc. 2 alleg. al ricorso, con cui avevano contestato come insufficienti i periodi di malattia configurabili come inabilità temporanea assoluta, indicata in 180 giorni e inabilità parziale al 75% prima della stabilizzazione del quadro in postumi permanenti, indicata in ulteriori 240 giorni. Viceversa, non sarebbe stata considerata una ITT complessiva di giorni 763 (41 + 328 + 394) e una ITP al 75% (aumentata così da ricomprendere i periodi di rieducazione motoria e riabilitazione sostenuti, come risulta dalla stessa bozza dei CC.TT.UU., presso il Centro Procida Srl) con conseguente periodo complessivo di ITP al 75% di giorni 1233 (64 + 901 + 116 + 152) (cfr. pagg. 33 e 34 del ricorso); contestano che il collegio dei CC.TT.UU., a pag. 30 del suo elaborato , sulle citate note difensive in data 05/06/19, abbia definito "...esuberante..." la richiesta di aumento dei periodi, riconfermando acriticamente la valutazione proposta nella bozza, in quanto ritenuta "..ampiamente ragionevole..", senza alcuna ulteriore giustificazione; lamentano che la sentenza appellata si sia limitata a riportare pedissequamente, a pag. 11, le determinazioni dei CC.TT.UU. (gg. 180 di ITT e gg. 240 di ITP al 75%), senza alcuna motivazione circa la pretermissione degli ulteriori periodi.

6. Con il sesto motivo, i ricorrenti lamentano la "Omessa valutazione da parte della Corte d'Appello di Napoli di una serie di documenti ritualmente prodotti che giustificano la domanda di rimborso delle spese; mancata ammissione di prove testimoniali sul punto: vizio di motivazione in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c."; in particolare, censurano la sentenza impugnata per non aver accolto la domanda, proposta da Bo.Vi. e da Bo.Gi., di rimborso delle spese, mediche e diverse, comprovate dai documenti versati in atti (analiticamente elencati da pag. 35 a 41 del ricorso), evidenziando che la domanda in parola proposta dal secondo è stata rigettata per difetto di prova senza che sia stata ammessa la prova articolata sul punto e che la Corte di merito non si è pronunciata sulla domanda proposta dal primo né ha fornito al riguardo alcuna motivazione.

7. Con il settimo motivo, i ricorrenti deducono la "Mancata ammissione di prove testimoniali in ordine al danno patrimoniale subito da Bo.Gi. per il sopraggiunto mancato introito di reddito da lavoratore dipendente: vizio di motivazione in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c."; in particolare, contestano che la sentenza impugnata della Corte d'Appello di Napoli, a pag. 14, non ha ammesso le succitate prove orali, pur riconoscendole articolate nel precedente grado e reiterate in appello, in quanto ritenute "....non ......rilevanti e, inoltre, per lo più inammissibili, sia per i ripetuti riferimenti a stati d'animo delle parti, che non possono formare oggetto di testimonianza, sia quanto al "danno psichiatrico" dedotto, in particolare, dalla Ma.Ad., sfornito di qualsiasi prova o principio di prova documentale, talché la richiesta di ctu medico legale sulle persone di entrambi i genitori assume natura esplorativa". Assumono trattarsi di motivazione apparente, o comunque insufficiente, illogica, perplessa ed obiettivamente incomprensibile, sia in quanto non sono indicate le ragioni per cui i capitoli di prova non sono ritenuti rilevanti, sia perché l'inammissibilità è postulata non per tutti i capitoli, ritenuti "....per lo più inammissibili ....", e per ragioni (i capitoli concernerebbero non fatti, ma stati d'animo delle parti) che certamente non ricorrono con riferimento ai capitoli 7), 8), 9) e 10) sopra citati, relativi invece a circostanze di fatto specifiche, peraltro provate anche dai documenti prodotti sopra citati, provenienti dal datore di lavoro Società Litekna Costruzioni Srl

Contestano, inoltre, che la Corte d'Appello, riconoscendo in favore dell'interventore Bo.Vi. la somma di Euro 100.000,00, "comprensiva dei danni patrimoniali e non patrimoniali tutti subiti", ha operato una indebita confusione tra danno sofferenziale non patrimoniale e danno patrimoniale, in quanto richiama genericamente "....i patimenti d'animo, l'incidenza sulla vita quotidiana della necessità di accudire il figlio, con negativi risvolti sulla qualità della vita dei genitori sia a livello personale che sociale e lavorativo nonché gli esborsi materiali che pur non puntualmente provati si può presumere i genitori siano stati costretti a effettuare per sopperire alle esigenze del figlio minore".

8. Con l'ottavo motivo, i ricorrenti deducono la "Mancata ammissione di prove testimoniali e di CTU medica sulla persona della sig.ra Ma.Ad. sul danno biologico dalla stessa subito: vizio di motivazione in relazione all'art. 360 n. 5 cpc"; i ricorrenti censurano come errata la non ammissione della prova testimoniale, né della consulenza medica sulla persona della madre del danneggiato, né in primo grado, né in appello perché definite "non rilevanti" e "per lo più inammissibili" le prove orali dedotte, ed "esplorativa" la richiesta di CTU medico-legale richiesta, in quanto il danno psichiatrico dedotto dalla Ma.Ad. sarebbe "sfornito di qualsiasi prova o principio di prova documentale, e i capitoli di prova fornirebbero riferimenti non a fatti ma a stati d'animo delle parti che non possono formare oggetto di testimonianza". Contestano che anche in tal caso, trattasi di motivazione apparente per i motivi già indicati nel motivo precedente, e aggiungono che il danno psichiatrico subito dalla sig.ra Ma.Ad., ben lungi dall'essere sfornito da qualsiasi prova o principio di prova documentale, era al contrario confermato dal referto medico del 6/10/09 prot. 494/09, sopra citato e prodotto sub doc. 113, e alla luce di tale certificato la CTU richiesta non poteva essere ritenuta in alcun modo esplorativa. Deducono che anche alla madre è stata riconosciuta la somma di Euro 100.000,00 comprensiva dei danni patrimoniali e non patrimoniali tutti subiti, con le stesse causali di cui al padre (che si contestano come nel precedente motivo) e senza alcun riferimento al danno biologico dalla stessa subito.

9. I motivi di ricorso che possono essere congiuntamente esaminati stante l'evidente vincolo di connessione che li avvince, sono fondati per quanto di ragione in base alle seguenti considerazioni.

9.1. In primo luogo, effettivamente la sentenza impugnata, per un verso, ha recepito acriticamente le conclusioni del Collegio peritale medico-legale, senza rispondere alle critiche mosse dalla difesa dei danneggiati (analiticamente riportate a pag. 10 e ss. del ricorso e ribadite in memoria pag. 19 e ss.) in merito alla valutazione effettuata dal Collegio peritale che aveva decurtato il danno subìto dal danneggiato di oltre la metà (fissandolo nella percentuale del 45%), escludendo dal novero delle voci computabili il danno derivante dalle alterazioni neurologiche subite dallo stesso danneggiato ma ritenute non "scientificamente correlabili" all'intervento chirurgico rivelatosi errato in oggetto; per l'altro verso, la sentenza impugnata nulla osserva in tema di calcolo del danno differenziale, idoneo a stabilire la differenza tra postumi coesistenti e concorrenti e la sua rilevanza ai fini dell'esatta determinazione del danno risarcibile (differenza evidenziata da Cass. n. 28986 del 2019, poi ripresa da Cass. n. 514 del 2020 e, tra le altre, da Cass. n. 26851 del 2023 e da ultimo, da Cass. Sez. 3, 30/07/2024 n. 21261).

Nello specifico, il Giudice d'appello non ha spiegato il procedimento logico giuridico con cui ha ritenuto che la valutazione del danno direttamente ricollegabile all'errato intervento andasse fissata nella misura percentuale del 45% e tale questione va ritenuta questione di diritto, e non di mero fatto, quella di individuare cioè il criterio giuridico mediante cui debbano sceverarsi, dal novero delle conseguenze dannose provocate da una lesione della salute, quelle che, sole, possano dirsi risarcibili ai sensi dell'art. 1223 c.c.

Ai fini di una corretta liquidazione del danno risarcibile, il Giudice d'appello avrebbe dovuto altresì accertare se la condizione preesistente (o anche contemporaneamente determinatasi, ma per causa indipendente) del soggetto leso avesse o meno una incidenza causale sulla sua condizione finale, se cioè essa potesse ritenersi concorrente, e non meramente coesistente.

Sarebbe stato, pertanto, necessario verificare, ai fini di una corretta liquidazione del danno, con accertamento in concreto ed ex post, se la lesione derivante dall'intervento errato concorresse o meno ad aggravare la situazione del minore nelle sue conseguenze permanenti derivanti dalla dismetria dell'arto; questa Corte ha chiarito sul punto che al di là delle formule definitorie astratte ("concorrenza" o "coesistenza" delle menomazioni e del mero riscontro della identità o diversità degli organi o delle funzioni menomati), si tratta di accertare un nesso di causalità giuridica e quel che rileva è il giudizio controfattuale, e dunque lo stabilire col metodo c.d. della "prognosi postuma" quali sarebbero state le conseguenze dell'illecito, in assenza della patologia preesistente. Se tali conseguenze possono teoricamente ritenersi pari sia per la vittima reale, sia per una ipotetica vittima perfettamente sana prima dell'infortunio, dovrà concludersi che non vi è alcun nesso di causa tra preesistenze e postumi, i quali andranno perciò valutati e quantificati come se a patirli fosse stata una persona sana. In tal caso, pertanto, sul piano medico-legale il grado di invalidità permanente sofferto dalla vittima andrà determinato senza aprioristiche riduzioni, ma apprezzando l'effettiva incidenza dei postumi sulle capacità, idoneità ed abilità possedute dalla vittima prima dell'infortunio.

Nel caso di specie, il necessario procedimento logico e il conseguente giudizio controfattuale sono mancati del tutto.

9.2. In secondo luogo, in merito alla personalizzazione del danno, la Corte d'Appello con la sentenza impugnata, da un lato, riconosce formalmente il risarcimento al danneggiato delle voci di danno morale e di personalizzazione del danno biologico, dall'altro e in concreto, le ritiene ricomprese nella liquidazione già operata dalle Tabelle Milanesi, che "nella loro più recente elaborazione del 2021 tengono pienamente conto di tutte le sue molteplici componenti" (pag. 11 della sentenza impugnata). In tal guisa omettendo di considerarle autonomamente ed in concreto, come avrebbe dovuto, ai fini del calcolo (Cass. Sez. 3, 28/09/2018 n. 23469).

9.3. In terzo luogo, in ordine alla determinazione dei periodi di inabilità totale o parziale, la Corte d'Appello si è limitata a confermare quanto ritenuto dai Consulenti d'Ufficio sul punto (pag. 11 della sentenza impugnata), osservando genericamente che i predetti avevano risposto alle osservazioni critiche delle parti "con puntuale, approfondita e soddisfacente risposta a pag. 28 e ss. della relazione di consulenza" (pag. 9 della sentenza impugnata), senza dar conto del contenuto specifico di tale risposta; sul punto, correttamente parte ricorrente principale osserva che nella relazione di consulenza, i Consulenti d'Ufficio, pur dando atto delle pervenute note critiche della difesa dei danneggiati in data 5/06/2019, avevano definito "esuberante" la richiesta di aumento dei periodi di inabilità, riconfermando acriticamente la valutazione già illustrata nella bozza di consulenza, con l'unica notazione di ritenerla "ampiamente ragionevole" (pagg. 34-35 in ricorso e pag. 26 in memoria). In tal guisa la motivazione della Corte d'Appello si risolve in una motivazione meramente apparente tenuto conto che il Giudice di merito pur indicando, nel contenuto della sentenza, gli elementi da cui ha desunto il proprio convincimento non ne ha compiuto una approfondita disamina logico-giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza 21/07/2006 n. 16762).

9.4. Infine, la Corte d'Appello con la sentenza impugnata ha respinto la domanda di rimborso spese effettuate dal padre del danneggiato, affermando che non vi fosse "prova di chi abbia effettuato l'esborso materiale, prova che incombeva sull'interventore" e quella relativa al preteso danno patrimoniale dallo stesso subìto, con relativa mancata ammissione delle prove testimoniali sul punto, sebbene le circostanze dedotte ai capitoli nn. 7, 8, 9 e 10, contrariamente a quanto asserito dalla stessa Corte d'Appello, non facessero riferimento a "meri stati d'animo" ma a fatti, supportati anche da fatture depositate in atti, tutte di data anteriore al raggiungimento della maggiore età del danneggiato (v. doc. nn. da 35 a 41) e su documenti rilasciati dal datore di lavoro del genitore (v. doc. da n. 41 a n. 106). La medesima Corte territoriale neppure ha motivato alcunché in relazione alla domanda di rimborso delle spese sostenute da Bo.Vi., da ritenersi comunque implicitamente rigettata.

La stessa Corte ha poi mancato di ammettere la consulenza psichiatrica sulla persona della madre del danneggiato per il danno biologico riportato, con relativa mancata ammissione delle prove testimoniali sul punto (circostanze dedotte ai cap. nn. 16 e 17), motivando sul punto che il danno dedotto "fosse sfornito di qualsiasi prova o principio di prova documentale" (pag. 14 della sentenza impugnata), sebbene, viceversa, parte ricorrente avesse prodotto anche documentazione idonea ed in particolare un referto medico in data 6/10/2019 (v. doc. 13).

Giova in proposito richiamare il principio secondo cui la motivazione deve ritenersi affetta da vizio insanabile, violando, quindi, il "minimo costituzionale" ai sensi dell'art. 360 comma 1, n. 5 c.p.c., qualora il giudice di merito rigetti la domanda ritenendola non provata dopo aver respinto una richiesta non inammissibile di prova (Cass. Sez. 3, 01/02/2023 n. 2980).

E condivisibilmente i ricorrenti principali richiamano in proposito il principio affermato da questa Corte, secondo cui la mancata ammissione di un mezzo istruttorio si traduce (nella specie, si trattava di una prova testimoniale) in un vizio della sentenza se il giudice pone a fondamento della propria decisione l'inosservanza dell'onere probatorio ex art. 2697 c.c., benché la parte abbia offerto di adempierlo (cfr., al riguardo, Cass. 25/06/2021, n. 18285; cfr., altresì, in tema, Cass. 8/01/2015 n. 66, ove è statuito che "La mancata ammissione della prova testimoniale può essere denunciata in sede di legittimità per vizio di motivazione in ordine all'attitudine dimostrativa di circostanze rilevanti ai fini del decidere" (Cass. Sez. 3, 27 settembre 2022, n. 28102).

È appena il caso di rimarcare infine che la sentenza impugnata, liquidando la somma di Euro 100.000,00 a ciascuno dei genitori, comprensiva dei danni patrimoniali e non patrimoniali tutti subiti, con le stesse causali: "i patimenti d'animo, l'incidenza sulla vita quotidiana della necessità di accudire il figlio, con negativi risvolti sulla qualità della vita dei genitori sia a livello personale che sociale e lavorativo nonché gli esborsi materiali che pur non puntualmente provati si può presumere i genitori siano stati costretti a effettuare per sopperire alle esigenze del figlio minore" contrariamente a quanto sostenuto dalle parti controricorrenti, non ha riconosciuto né il rimborso delle spese vive né il danno patrimoniale da perdita del lavoro subito dal padre Bo.Gi. e di certo, non il danno biologico subito dalla madre Ma.Ad.

La sentenza impugnata è viziata sul punto da motivazione apparente in quanto non è percepibile il percorso logico giuridico compiuto per determinare la somma liquidata di Euro 100.000,00, non avendo il Giudice d'appello specificato a quale voce patrimoniale o non patrimoniale andasse imputata.

Ricorso incidentale

10. Venendo all'esame del primo motivo del ricorso successivo da qualificarsi come incidentale, l'Azienda sanitaria lamenta l'"Omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma 1, n. 5) per non avere la Corte di appello considerato e valutato le opposte opinioni degli altri ausiliari e le osservazioni critiche dei consulenti di parte dell'odierna ricorrente A.O.U".

A parere dell'Azienda sanitaria, la Corte partenopea avrebbe acriticamente recepito le risultanze della seconda C.T.U. di secondo grado, senza fornire adeguata motivazione sulle ragioni che l'hanno portata ad escludere la fondatezza delle conclusioni raggiunte dalla consulenza espletata in primo grado cui viceversa aveva motivatamente aderito il Tribunale e di quella rinnovata nel giudizio di gravame né avrebbe risposto a quanto osservato dai Consulenti tecnici di parte dell'Azienda - osservazioni riportate alle pagg. 12-14 del ricorso della stessa Azienda - del tutto disattese nella rinnovata relazione su cui la Corte ha ritenuto di fondare la decisione impugnata. In particolare, la Corte territoriale avrebbe - senza motivazione alcuna - condiviso l'opinione del Collegio peritale designato ai fini dell'espletamento della seconda consulenza di secondo grado, che aveva fondato il giudizio di responsabilità sull'unica circostanza - peraltro, neanche formulata in termini di certezza scientifica - che la responsabilità fosse rinvenibile dagli accertamenti radiografici eseguiti sul Bo.Vi. la cui lastra, giammai consegnata ai primi ausiliari, non era con certezza riferibile al paziente, senza, oltretutto, considerare che l'opinione espressa dal Collegio peritale - sul cui giudizio è stata esclusivamente fondata la decisione - non si esprimeva in termini certezza, ma solo di supposizione.

10.1. Il motivo non è fondato.

La Corte di merito ha ritenuto che le principali osservazioni dei CCTTPP alle conclusioni dei CCTTUU "hanno trovato approfondita e soddisfacente risposta a p. 28 e ss della relazione di consulenza".

E al riguardo va in particolare rimarcato che la motivazione della sentenza impugnata dà conto espressamente e analiticamente delle risposte date dai Consulenti di parte alle osservazioni dell'Azienda appellata.

Il Giudice d'appello in proposito ha sottolineato come i Consulenti d'Ufficio avessero rimarcato la scarna descrizione dell'intervento chirurgico in cartella clinica e l'omesso deposito da parte della struttura e del sanitario della documentazione clinica che sarebbe stata idonea a confutare con assoluta certezza la tesi della non corretta esecuzione dell'intervento, rispetto al quale, sia in punto di valutazione preoperatoria che di esecuzione, il Collegio peritale aveva espresso una valutazione di non congruità anche sulla base del quadro clinico che prescindeva dagli esami radiografici esibiti e osservati.

La Corte d'Appello ha aggiunto nello specifico che risultava dalla cartella clinica come sulla persona del paziente in sede preoperatoria fossero state effettuate sia una TAC che una RMN, osservando che l'esame dei predetti accertamenti sarebbe stato dirimente per accertare se vi fosse una patologia preoperatoria tale da incidere negativamente sul decorso post-operatorio, ma che di quegli esami non erano state prodotte immagini né referti, uno dei quali solo parzialmente trascritto in cartella ma non significativo al fine di determinare lo stato pre-operatorio della cartilagine (cfr. pag. 10 della sentenza impugnata).

Inoltre, va precisato che, secondo l'orientamento della giurisprudenza di legittimità condiviso da questa Collegio, qualora nel corso del giudizio di merito vengano espletate più consulenze tecniche in tempi diversi con risultati difformi, la sentenza che abbia motivato uniformandosi ad una sola di esse può essere censurata per cassazione solo nei ristretti limiti dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., ossia qualora l'omessa considerazione dell'altra relazione peritale si sia tradotta nell'omesso esame circa un preciso fatto storico che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, nel senso che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass., ord. N. 31511 del 25/10/2022), il che non ricorre nella specie.

11. Con il secondo motivo di ricorso successivo incidentale, l'Azienda sanitaria denuncia la "Violazione degli artt. 2056,1223,1225 e 2717 c.c., in relazione all'art. 116 c.p.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5 c.p.c., per avere la Corte di appello di Napoli recepito acriticamente le conclusioni rese dal collegio peritale che ha redatto la terza c.t.u. anche per quanto riguarda la quantificazione del grado di invalidità"; nello specifico, l'Azienda ricorrente incidentale contesta che la Corte d'Appello avrebbe disatteso il principio di diritto - più volte statuito dalla giurisprudenza di legittimità - secondo cui, in tema di responsabilità civile, qualora la produzione di un evento dannoso possa apparire riconducibile, sotto il profilo eziologico, alla concomitanza della condotta del sanitario e del fattore naturale rappresentato dalla pregressa situazione patologica del danneggiato (la quale non sia legata all'anzidetta condotta da un nesso di dipendenza causale), il Giudice deve accertare, sul piano della causalità materiale (rettamente intesa come relazione tra la condotta e l'evento di danno, alla stregua di quanto disposto dall'art. 1227 c.c., comma 1), l'efficienza eziologica della condotta rispetto all'evento in applicazione della regola di cui all'art. 41 c.p. (a mente della quale il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall'azione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l'azione e l'omissione e l'evento), così da ascrivere l'evento di danno interamente all'autore della condotta illecita, per poi procedere, eventualmente anche con criteri equitativi, alla valutazione della diversa efficienza delle varie concause sul piano della causalità giuridica (rettamente intesa come relazione tra l'evento di danno e le singole conseguenze dannose risarcibili all'esito prodottesi) onde ascrivere all'autore della condotta, responsabile tout court sul piano della causalità materiale, un obbligo risarcitorio che non comprenda anche le conseguenze dannose non riconducibili eziologicamente all'evento di danno, bensì determinate dal fortuito, come tale da reputarsi la pregressa situazione patologica del danneggiato che, a sua volta, non sia eziologicamente riconducibile a negligenza, imprudenza ed imperizia del sanitario (Cass. Sez. 3, n. 15991 del 21/07/2011; Cass. Sez. 3, n. 30521 del 22/11/2019; Cass., Sez. 3, n. 42088 del 30/12/2021). La Corte d'Appello avrebbe limitato la valutazione differenziale solo alla condizione neurologica per quanto riguarda l'asserito danno da stress post traumatico, escludendo analoga valutazione per la condizione patologica derivante dalle lesioni ortopediche subite dal Bo.Vi. in precedenza.

11.1 Il motivo non è fondato.

L'Azienda sanitaria, odierna ricorrente incidentale, assume che ricorrendo nella fattispecie in esame l'ipotesi di un concorso tra causalità umana e concausa naturale, rappresentata dalla pregressa situazione patologica del danneggiato, il danno biologico riconosciuto nella misura del 45% dal Collegio dei CC.TT.UU., avrebbe dovuto essere ridotto alla misura del 15%.

Al riguardo va richiamato il principio espresso da questa Corte che in tema di risarcimento del danno alla salute ha chiarito come la preesistenza della malattia in capo al danneggiato costituisce una concausa naturale dell'evento di danno ed il concorso del fatto umano la rende irrilevante in virtù del precetto dell'equivalenza causale dettato dall'art. 41 c.p. sicché di essa non dovrà tenersi conto nella determinazione del grado di invalidità permanente e nella liquidazione del danno. Può costituire concausa dell'evento di danno anche la preesistente menomazione, vuoi "coesistente" vuoi "concorrente" rispetto al maggior danno causato dall'illecito, assumendo rilievo sul piano della causalità giuridica ai sensi dell'art. 1223 c.c.

In particolare, quella "coesistente" è, di norma, irrilevante rispetto ai postumi dell'illecito apprezzati secondo un criterio controfattuale (vale a dire stabilendo cosa sarebbe accaduto se l'illecito non si fosse verificato) sicché anche di essa non dovrà tenersi conto nella determinazione del grado di invalidità permanente e nella liquidazione del danno; viceversa, secondo lo stesso criterio, quella "concorrente" assume rilievo in quanto gli effetti invalidanti sono meno gravi, se isolata, e più gravi, se associata ad altra menomazione (anche se afferente ad organo diverso) sicché di essa dovrà tenersi conto ai fini della sola liquidazione del risarcimento del danno e non anche della determinazione del grado percentuale di invalidità che va determinato comunque in base alla complessiva invalidità riscontrata in concreto, senza innalzamenti o riduzioni (Cass. Sez. 3, 11/11/2019 n. 28986; in senso conforme Cass. Sez. 3, 21/08/2020 n. 17555; vedi altresì Cass. Sez. 6 - 3, 29/09/2022 n. 28327 e da ultimo, Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 21261 del 30/07/2024.

Alla luce di tale principio, la doglianza si rivela infondata.

12. Con il terzo motivo di ricorso successivo incidentale l'Azienda sanitaria lamenta la "Violazione degli artt. 2056,1223,1225 e 2717 c.c., in relazione all'art. 116 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4) per avere la Corte territoriale ritenuto autonomamente risarcibile il danno derivante dalla lesione del diritto alla autodeterminazione sanitaria nonostante la mancata allegazione di ulteriori pregiudizi rispetto al danno alla salute".

12.1. Il motivo va disatteso sia con riferimento alla censura di violazione di legge che a quella di nullità della sentenza.

Va precisato che, con il motivo all'esame, la parte ricorrente incidentale censura la sentenza non definitiva della Corte di appello di Napoli n. 760/2018 (per la quale ha precisato di aver formulato espressa riserva di gravame a verbale), nella parte in cui quella medesima Corte ha "riconosciuto dovuto a Bo.Vi. il risarcimento del danno alla lesione del diritto al consenso informato, nella misura che verrà determinata con la sentenza definitiva".

Per quanto attiene alla lamentata violazione dell'art. 116 c.p.c., va osservato che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 20867 del 30/09/ 2020 hanno affermato il principio, condiviso da questo Collegio, secondo cui "la doglianza circa la violazione dell'art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato - in assenza di diversa indicazione normativa - secondo il suo "prudente apprezzamento", pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione". Nella specie la doglianza non risulta essere stata neppure articolata nel rispetto dei riportati dettami indicati dalle S.U.

Nel resto, la censura è infondata in quanto con la sentenza non definitiva impugnata la Corte di merito, lungi dal ritenere che il danno in parola sia in re ipsa, ha ritenuto che sia stato implicitamente allegato il "pregiudizio consistito nella sofferenza e nella costrizione della libertà di disporre di sé stesso (psichicamente e fisicamente) provate dal paziente sia durante l'esecuzione dell'intervento che nella successiva fase della convalescenza", pregiudizio la cui esistenza può ragionevolmente "presumersi" "secondo nozioni di comune esperienza" "anche in considerazione del comportamento processuale assunto in primo grado dai convenuti, i quali non hanno mosso, sul punto, specifiche contestazioni"., come specificato a p. 15-16 della sentenza non definitiva impugnata.

13. Pertanto, vanno accolti i motivi del ricorso principale per quanto di ragione, va rigettato il ricorso incidentale.

Va cassata la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti del ricorso principale e rinviata la causa alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione personale, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della Azienda sanitaria, ricorrente incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto (Cass. Sez. U, 20/02/2020 n. 4315).

Dispone che, ai sensi dell'art. 52 del D.Lgs. n. 196 del 2003, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi dei ricorrenti principali.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso principale per quanto di ragione. Rigetta il ricorso incidentale.

Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d'Appello di Napoli, in diversa composizione personale, la quale provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dell'Azienda ricorrente incidentale dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto (Cass. Sez. U, 20/02/2020 n. 4315).

Dispone che, ai sensi dell'art. 52 del D.Lgs. n. 196 del 2003, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi dei ricorrenti principali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 28 novembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2025.

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