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Stato di abbandono e interesse del minore: l'affetto della madre non basta

Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.25374 del 16/09/2025

Può l’affetto da solo impedire la dichiarazione di stato di abbandono di un minore?

La Cassazione, Sez. I civile, ordinanza n. 25374 del 16 settembre 2025, chiarisce che non basta l’amore dichiarato, se non accompagnato da comportamenti concreti e stabili capaci di garantire al figlio una crescita normale e un equilibrato sviluppo psico-fisico.

Il caso

Il procedimento nasce dalla segnalazione dei servizi sociali per la nascita di un bambino positivo ai cannabinoidi, figlio di genitori tossicodipendenti. Dopo una fase iniziale in comunità madre-figlio, il minore viene collocato in affido etero-familiare. La madre, pur mostrando affetto, non riesce a garantire stabilità: ricadute nella dipendenza, assenza di autonomia abitativa, rapporti sentimentali precari e mancanza di consapevolezza dei reali bisogni del figlio. I giudici di merito dichiarano lo stato di adottabilità, decisione confermata in appello.

Il ricorso

La madre si rivolge alla Cassazione sostenendo che non fosse stato valorizzato il suo impegno a intraprendere un nuovo percorso di vita e che la priorità del legame biologico dovesse prevalere. Anche il padre propone ricorso incidentale, contestando la compensazione delle spese.

La decisione della Corte

La Cassazione dichiara entrambi i ricorsi inammissibili. Secondo i giudici, lo stato di abbandono può configurarsi anche senza incuria totale: è sufficiente la prolungata inadeguatezza genitoriale, che impedisce al minore di crescere in un contesto stabile. Il principio di tutela della famiglia d'origine, sancito dalla legge n. 184/1983, non è assoluto: deve essere bilanciato con il superiore interesse del minore. Nel caso concreto, i tempi necessari per un eventuale recupero materno non erano compatibili con le esigenze evolutive del bambino.

Conclusioni

Con questa ordinanza la Suprema Corte ribadisce che ciò che conta non è la sola volontà di mantenere un legame, ma la capacità concreta e attuale di garantire al figlio cure, stabilità affettiva e progettualità educativa. Nei procedimenti di adottabilità il parametro esclusivo resta l'interesse del minore a crescere in un ambiente idoneo, anche a costo di sacrificare il legame biologico. In altre parole: non basta dire "ti voglio bene", occorre dimostrarlo con fatti concreti e duraturi.

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Cassazione civile, sez. I, ordinanza 16/09/2025 (ud. 04/07/2025), n. 25374

RILEVATO CHE:

1.- A pochi giorni dalla nascita di Ja.Ad., avvenuta il (Omissis), venne istaurato il procedimento n. 33/2019 Ras innanzi al Tribunale per i Minorenni di Venezia, per iniziativa del PMM a seguito di segnalazione del Servizio Sociale della positività del neonato ai tetracannabinoidi e del fatto che entrambi i genitori avevano problemi di tossicodipendenza; in particolare, la madre, ancora minorenne ed appartenente ad un nucleo familiare problematico, era inserita in comunità educativa; il padre - invece - aveva precedenti penali.

Con Decreto di data 17.05.2019, il Tribunale Minorile affidò il neonato al Servizio Sociale, incaricato di inserirlo assieme alla madre minorenne in idonea struttura; nominò il curatore speciale del minore.

Successivamente, vennero approfondite le capacità genitoriali e venne disposta l'audizione dei genitori; all' udienza del 01.07.2019 comparve solo Be.In., la quale riferì la sua storia personale caratterizzata dall'abuso di sostanze stupefacenti; espresse il desiderio di essere la madre di Ja.Ad.; riferì che la relazione con il padre del minore, Ja.Sa., si era conclusa e che questi non si era interessato del figlio; dichiarò di essere lei a prendersi cura del figlio in Comunità anche se in quel momento il minore si trovava in montagna con gli operatori per 15 giorni e lei non lo aveva accompagnato perché impegnata.

Con decreto del 12.07.2019, il Tribunale per i Minorenni prese atto del disinteresse paterno per il figlio e del fatto che la madre appariva concentrata sulle esigenze individuali piuttosto che su quelle del minore e che non vi erano risorse familiari vicarie; pertanto, sospese entrambi i genitori dalla responsabilità genitoriale e confermò - per il resto - il Decreto del 17.05.2019, nominando il tutore del minore.

Nel corso del procedimento il bambino e la madre rimasero collocati in una struttura di assistenza per favorire l'acquisizione di competenze genitoriali della madre, che si era sottoposta ad un percorso di disintossicazione ed era risultata negativa all'uso di sostanze stupefacenti; dalle relazioni dei Servizi sociali si evinceva che ella si prendeva cura con affetto del piccolo, ma i miglioramenti dipendevano dal contenimento e dal supporto continuo degli operatori. Le progressive iniziative volte a rendere maggiormente autonoma la madre, attraverso una collocazione presso una struttura di Verona (30.09.2020) al fine di favorire un suo inserimento nel mondo del lavoro, e poi in un appartamento in semi-autonomia all'interno della stessa Comunità, non sortivano buon esito. In particolare, il 15.09.2021, la ragazza, uscita dalla struttura per recarsi ad una festa insieme con il figlio, non vi aveva fatto ritorno e successivamente si era appreso che era stata ricoverata in Pronto Soccorso, dove era stato accertato che aveva fatto uso di sostanze psicotrope. Ja.Ad. era stato riportato in Comunità dalla nonna, mentre la ragazza era rimasta a casa della madre. La Comunità aveva escluso di poter riaccogliere la madre e il Tribunale per i minorenni, su proposta del Servizio sociale, con Decreto del 05.11.2021, aveva disposto la separazione di Ja.Ad. dalla madre ed il collocamento del minore in affido a rischio giuridico, incaricando il Servizio di regolamentare le visite protette con la madre. Il bambino venne inserito nell'attuale famiglia affidataria all'inizio di gennaio 2022.

Il percorso volto a mantenere i rapporti madre-figlio e gli incontri protetti non dettero esiti particolarmente favorevoli ed il Tribunale per i minorenni, con sentenza del 22.03.2024, dichiarò lo stato di abbandono del minore Ja.Ad., anche alla luce della pronuncia della Corte Costituzionale n. 183/2023, ed incaricò il Servizio Sociale della prosecuzione delle visite madre- figlio, ove compatibili con l'equilibrio emotivo del minore.

La sentenza venne appellata dalla madre, mentre il padre si costituì rimettendosi alla Corte di appello e chiedendo la conferma del provvedimento adottato. Il tutore chiese conferma della declaratoria dello stato di abbandono a causa della grave inadeguatezza di entrambi i genitori.

In secondo grado venne disposta CTU ad opera del prof. Francesco Villa, all'esito della quale e della ulteriore istruttoria svolta, la Corte di appello di Venezia ha confermato la decisione di primo grado, con la precisazione che "il legame di Ja.Ad. con la madre biologica è sempre da modulare a seconda delle necessità del minore e della capacità materna di interazione".

La Corte territoriale ha motivato la decisione sul rilievo che il padre è risultato inadeguato e che la madre non ha dimostrato nel corso degli anni una definitiva e sicura progettualità diretta a coinvolgere proficuamente il figlio di cinque anni, non ha una vera autonomia abitativa perché vive con il compagno, maggiore di circa quaranta anni, conosciuto da pochi mesi e che non ha avuto praticamente rapporti con il minore; che Be.In. risente ancora di pregresse problematiche di salute, collegate alla dipendenza da sostanze psicotrope, e ha mostrato evidenti resistenze, alternate ad una certa passività, a fronte di concrete prospettive di supporto esterno alla sua genitorialità. Ha quindi precisato che "Va rimarcato che, al di là dei benefici che deriverebbero alla madre dalla nuova relazione sentimentale, non sono emerse serie e concrete prospettive di una sua significativa maturazione - a breve - dal punto di vista genitoriale, poiché Be.In. tiene sì al legame biologico con il figlio, ma continua a non rendersi conto dei veri bisogni del minore, non avendo la minima consapevolezza di cosa significhi accompagnare, guidare e supportare Ja.Ad. nella sua crescita dopo una prima infanzia contraddistinta da innegabile sofferenza emotiva-affettiva; da tale punto di vista, non ha alcuna incidenza la presenza del convivente" (fol.13, sent. imp.)

La Corte lagunare ha, quindi, concluso che, pur sembrando essere venuta meno la situazione emergenziale di abbandono morale e materiale che aveva reso indispensabile il collocamento etero familiare di Ja.Ad., la permanenza presso i genitori collocatari appare la soluzione oggettivamente più rispondente ai suoi interessi primari.

Be.In. ha proposto ricorso chiedendo la cassazione della sentenza n. 11/2024 pubblicata il 3/12/2024, con due mezzi. Ja.Sa. ha replicato con controricorso e ricorso incidentale con un mezzo, seguito da memoria. Il tutore, avv. Be.Si., ha resistito con controricorso e memoria.

CONSIDERATO CHE:

2.1.- Con il primo motivo si denuncia la nullità della sentenza per violazione dell'art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., in relazione all'art. 360, n. 4, c.p.c., per aver motivato in maniera apparente circa lo stato di abbandono del minore senza rispettare il c.d. "minimo costituzionale".

2.2.- Il motivo è inammissibile.

2.3.- Questa Corte ha già affermato che il vizio di motivazione previsto dall'art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e dall'art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. n. 3819/2020).

Ricorre, dunque, il vizio di motivazione apparente della sentenza, qualora essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Cass. n. 6758/2022; Cass. n. 13248/2020).

Tale evenienza si verifica non solo nel caso in cui la motivazione sia meramente assertiva, ma anche quando sussiste un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, perché non è comunque percepibile l'iter logico seguito per la formazione del convincimento e, di conseguenza, non è possibile effettuare alcun effettivo controllo sull'esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice (Cass. n. 12096/2018).

Alle stesse conseguenze è assoggettata una motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, poiché anche in questo caso non è possibile comprendere il ragionamento seguito dal giudice e, conseguentemente, effettuare un controllo sulla correttezza dello stesso (Cass. n. 7090/2022).

Ovviamente, non è ammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l'apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. U. n. 34476/2019; Cass. n. 5987/2021).

2.4.- Nel caso di specie, come emerge dalla diffusa motivazione (fol.8/13, sent. imp.), la Corte di merito ha esposto i fatti ed ha illustrato le ragioni in virtù delle quali ha ritenuto di confermare la prima decisione alla luce della consulenza tecnica espletata in secondo grado e degli esiti aggiornati delle attività delegate ai Servizi Sociali, anche in merito all'affido etero familiare del minore e agli incontri in forma protetta realizzati con la madre, dando conto delle resistenze frapposte da quest'ultima ai percorsi che le sono stati proposti, più propriamente volti a superare le gravi carenze emerse sul piano della competenza genitoriale; ha, quindi, esaminato quanto dedotto in merito alla nuova relazione affettiva intrapresa dalla ricorrente, ritenendola tuttavia non idonea a mutare il quadro complessivo di quanto accertato sulla base di valutazioni in fatto chiaramente esplicitate con plurimi argomenti che risultano semplicemente non condivisi dalla ricorrente e che, in questa sede, non sono sindacabili.

2.5.- La censura risulta inammissibile anche perché appare focalizzata solo su alcune delle affermazioni rese dalla Corte di merito, mentre trascura di considerare il complessivo svolgimento argomentativo e motivazionale che si fonda sulla lunga, elaborata ed aggiornata istruttoria e che dà conto con puntualità delle numerose iniziative messe in atto, attraverso il sistema dell'assistenza sociale pubblica, per promuovere un proficuo percorso di maturazione delle competenze genitoriali a favore della ricorrente e degli esiti non soddisfacenti.

La ricorrente critica la articolata statuizione sostenendo che l'esito degli accertamenti non poteva condurre a ritenere lo stato di irreversibile abbandono da parte della madre, da un lato, traendo argomento dal mantenimento dei rapporti madre - figlio disposto dal Tribunale per i minorenni prima e confermato dalla Corte territoriale e, dall'altro, lamentando che non sia stato tenuto conto dei significativi mutamenti dalla stessa effettuati.

Anche sotto questi profili la censura si rivela inammissibile.

Quanto al primo aspetto, la Corte di merito ha compiutamente illustrato le peculiarità della vicenda in esame, rimarcando la discrasia tra i sinceri sentimenti di affetto della ricorrente nei confronti del figlio, in ragione dei quali ha ritenuto di preservare il diritto di incontro con le modalità indicate, rispetto alle insuperate carenze genitoriali. Quanto al secondo profilo, la censura risulta generica ed inosservante dell'onere di specificità, posto che non viene indicato quali siano i mutamenti a cui la ricorrente intende riferirsi, né quando sarebbero stati dedotti dinanzi ai giudici di merito e come sarebbero stati provati, considerato che il rapporto affettivo instaurato dalla stessa con un nuovo compagno, e quanto da ciò astrattamente conseguente, è stato espressamente preso in considerazione dalla Corte di merito e ritenuto inidoneo a mutare l'esito del giudizio con motivazione logica ed immune da vizi.

3.1.- Con il secondo motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1 della legge n. 184/1983, come mod. dalla legge n.149/2001, per non avere la Corte attribuito carattere prioritario all'esigenza del minore di crescere nella famiglia d'origine.

La ricorrente sostiene l'erroneità della decisione assumendo che (fol.13-16, ric.) "Nel caso di specie, invece, sia i Servizi, che nel corso del loro operato si sono limitati ad organizzare le visite protette madre figlio, senza proporre alcuna progettualità per il recupero della funzioni genitoriali, sia il CTU non hanno fornito alcuna indicazione utile a questo recupero limitandosi a dichiarare che le inadeguatezze della madre nell'affrontare le problematiche del figlio appaiono irreversibili, salvo poi precisare "da non poter subire modificazioni significative in tempi medio brevi"." ed aggiunge "Per concludere, quindi, si rileva come la Corte di merito, nell'accertare lo stato di adottabilità, non abbia svolto alcuna effettiva ed attuale verifica sulle possibilità di recupero della madre, sia con riferimento alle condizioni economico – abitative, che con riferimento alle condizioni psichiche, e non ha esteso tale verifica anche al nucleo familiare che, nel caso di specie, è quantomeno composto dal compagno della medesima, sul quale la Corte non ha ritenuto di svolgere alcun accertamento".

3.2.- Anche il secondo motivo è inammissibile.

3.3.- è opportuno rammentare che "La dichiarazione di adottabilità di un minore, costituisce una "extrema ratio" che si fonda sull'accertamento dell'irreversibile non recuperabilità della capacità genitoriale, in presenza di fatti gravi, indicativi in modo certo dello stato di abbandono, morale e materiale, a norma dell'art. 8 della L. n. 183 del 1984, che devono essere dimostrati in concreto, senza dare ingresso a giudizi sommari di incapacità genitoriale non basati su precisi elementi di fatto." (Cass. Sez. U. n. 35110/2021).

Invero, l'accertamento dell'irreversibile non recuperabilità della capacità genitoriale, deve compiersi "tenendo conto che il legislatore, all'art. 1 L. n. 184 del 1983, ha stabilito il prioritario diritto del minore di rimanere nel nucleo familiare anche allargato di origine, quale tessuto connettivo della sua identità. La natura non assoluta, ma bilanciabile, di tale diritto impone un esame approfondito, completo e attuale delle condizioni di criticità dei genitori e dei familiari entro il quarto grado disponibili a prendersi cura del minore e delle loro capacità di recupero e cambiamento, ove sostenute da interventi di supporto adeguati anche al contesto socioculturale di riferimento." (Cass. n. 24717/2021).

Come è stato già in passato esplicitato, il giudice di merito, nell'accertare lo stato di adottabilità di un minore, deve: a) verificare l'effettiva ed attuale possibilità di recupero dei genitori, sia con riferimento alle condizioni economico-abitative, senza però che l'attività lavorativa svolta e il reddito percepito assumano valenza discriminatoria, sia con riferimento alle condizioni psichiche, queste ultime da valutare, se del caso, con una indagine peritale; b) estendere tale verifica anche al nucleo familiare, di cui occorre accertare la concreta possibilità di supportare i genitori e di sviluppare rapporti con il minore, anche se, allo stato, mancanti (come nel caso in cui il minore sia collocato in casa famiglia o presso una famiglia affidataria); c) ove necessario, avvalersi di un mediatore culturale, non al fine di colmare deficit linguistici, ma di elidere la distanza tra modelli culturali familiari molto differenti, che, se non superata, osta ad un'adeguata valutazione della capacità genitoriale (cfr. Cass. n. 7559/2018; Cass. n. 6552/2017,).

Va, altresì, rammentato che la situazione di abbandono è configurabile "...non solo nei casi di materiale abbandono del minore, ma ogniqualvolta si accerti l'inadeguatezza dei genitori naturali a garantirgli il normale sviluppo psico-fisico, così da far considerare la rescissione del legame familiare come strumento adatto ad evitare al minore un più grave pregiudizio ed assicurargli assistenza e stabilità affettiva, dovendosi considerare "situazione di abbandono", oltre al rifiuto intenzionale e irrevocabile dell'adempimento dei doveri genitoriali, anche una situazione di fatto obiettiva del minore, che, a prescindere dagli intendimenti dei genitori, impedisca o ponga in pericolo il suo sano sviluppo psico-fisico, per il non transitorio difetto di quell'assistenza materiale e morale necessaria a tal fine" (Cass. n. 1838/2011; v. anche Cass. n. 5580/2000).

Per tali complessive ragioni, il giudice di merito deve, prioritariamente, verificare in concreto se possa essere utilmente fornito un intervento di sostegno diretto a rimuovere situazioni di difficoltà o disagio familiare e se ciò incontri la collaborativa sinergia dei genitori, e, solo ove risulti impossibile, quand'anche in base ad un criterio di grande probabilità, prevedere il recupero delle capacità genitoriali entro tempi compatibili con la necessità del minore di vivere in uno stabile contesto familiare, è legittimo e corretto l'accertamento dello stato di abbandono (Cass. n. 6137/2015).

3.4.- La articolata motivazione ha accuratamente preso in esame tutti gli esiti istruttori e risulta svolta in conformità con i principi ricordati in tema di declaratoria dello stato di abbandono, in piena coerenza con i fatti di causa.

Invero, la Corte di merito ha accertato all'attualità l'inidoneità paterna, l'assenza di figure familiari vicarianti e l'avvenuta predisposizione di percorsi di sostegno alla genitorialità materna, nei primi tempi anche presso strutture di accoglienza madre-figlio, con esiti non soddisfacenti: ha valutato le esigenze evolutive, di assistenza e cura del minore in tenera età, collocato in casa-famiglia sin da neonato, tali da essere soddisfatte dalla collocazione etero familiare ed ha svolto un giudizio prognostico circa il pregiudizio per il suo sviluppo evolutivo, incompatibile con i tempi di maturazione delle competenze materne: ha, comunque, ritenuto di preservare il rapporto madre-figlio nei limiti congrui a quanto accertato, nella forma degli incontri protetti.

La censura risulta, quindi, inammissibile perché sollecita un diverso apprezzamento del coacervo istruttorio, nei sensi auspicati dalla ricorrente, incompatibile con il giudizio di legittimità.

4.1.- Il ricorso incidentale propone un solo motivo per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3 Cost., 91 e 92 c.p.c. con il quale si impugna il capo della sentenza di appello con cui è stata disposta la compensazione delle spese del gravame tra Be.In. e Ja.Sa.. Il ricorrente sostiene che le spese dei due gradi di giudizio dovevano essere poste a carico della soccombente, la madre, in favore del padre, parte non solo virtualmente ma anche sostanzialmente vittoriosa in entrambe le fasi processuali al pari del tutore, non vertendosi nelle ipotesi in cui è possibile la compensazione.

4.2.- Il motivo è inammissibile.

4.3.- Invero, in tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata - nemmeno in minima parte - al pagamento delle stesse; ne consegue che il sindacato della Corte di cassazione è limitato all'accertamento della mancata violazione di detto principio, esulandovi la valutazione dell'opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell'ipotesi di soccombenza reciproca, quanto in quella di concorso con altri giusti motivi (Cass. n. 9860/2025; Cass. n. 26912/2020). Nel caso in esame nessuna condanna ha attinto la parte interamente vittoriosa ed il principio della soccombenza non risulta violato.

5.- In conclusione, il ricorso principale ed il ricorso incidentale proposto da Ja.Sa. vanno dichiarati inammissibili.

Si compensano le spese di giudizio tra tutte le parti costituite per la peculiarità della vicenda in esame.

Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Non è dovuto il pagamento di un'ulteriore somma, a titolo di contributo unificato, posto che, ai sensi dell'art. 10, comma 2, D.P.R. n. 115 del 2002, non è soggetto al contributo unificato il processo comunque riguardante la prole.

P.Q.M.

- Dichiara inammissibili il ricorso principale ed il ricorso incidentale;

- Spese di giudizio compensate tra tutte le parti costituite;

- Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima Sezione Civile, il 4 luglio 2025.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2025.

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