I criteri elaborati in materia di assegno divorzile trovano piena applicazione anche nei casi di cessazione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso.
Lo ha stabilito la Cassazione, con l’ordinanza n. 25495 depositata il 18 settembre 2025.
Il caso nasce dalla richiesta di un assegno mensile avanzata da una delle due ex partner, che in primo grado era stato riconosciuto e poi revocato in appello.
Il quadro normativo di riferimento è l’art. 1, comma 25, della legge n. 76/2016, che richiama l’art. 5, comma 6, della legge n. 898/1970. La giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito che l’assegno divorzile ha duplice funzione:
assistenziale, quando il richiedente non dispone di mezzi adeguati e non può procurarseli con ragionevole sforzo;
compensativo-perequativa, quando lo squilibrio economico è frutto di scelte comuni e di sacrifici personali a favore della vita familiare o della carriera dell’altro partner.
Il criterio del “tenore di vita” è stato definitivamente superato: ciò che rileva è l’equilibrio tra solidarietà e autoresponsabilità, da valutare caso per caso.
Nel caso concreto, la Cassazione ha ritenuto che la Corte d’appello non avesse applicato correttamente questi principi. Limitarsi a constatare la disparità economica tra le parti non basta. Occorre verificare:
se la parte richiedente possa garantirsi da sola una vita autonoma e dignitosa;
se le rinunce professionali o le chance perdute abbiano effettivamente contribuito al benessere e al patrimonio comune o dell’altra partner;
se lo squilibrio patrimoniale al momento dello scioglimento dipenda dalle scelte condivise durante la convivenza e l’unione civile.
La Corte ha sottolineato che anche l’unione civile, quale formazione sociale riconosciuta dall’art. 2 Cost., è improntata ai valori di solidarietà e responsabilità reciproca, e che le convivenze di fatto antecedenti alla formalizzazione non possono essere ignorate.
La Cassazione ha accolto il ricorso e rinviato la causa alla Corte d’appello di Trieste per un nuovo esame, fissando un principio chiaro: i criteri dell’assegno divorzile valgono anche per lo scioglimento delle unioni civili. Non conta riprodurre il tenore di vita precedente, ma garantire un equilibrio che tenga conto dei contributi e dei sacrifici di ciascun partner.
In definitiva, matrimonio e unione civile condividono lo stesso modello di tutela economica post-separazione: parità, solidarietà, ma anche autoresponsabilità.
Nell’ambito della unione civile, non diversamente da quanto avviene nel matrimonio, l’assegno divorzile può riconoscersi ove, previo accertamento della inadeguatezza dei mezzi del richiedente, se ne individui la funzione assistenziale e la funzione perequativo-compensativa. Mentre la prima va individuata nella inadeguatezza di mezzi sufficienti ad una vita autonoma e dignitosa e nella impossibilità di procurarseli malgrado ogni diligente sforzo, la seconda ricorre se lo squilibrio economico tra le parti dipenda dalle scelte di conduzione della vita comune e dal sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti, in funzione dell'assunzione di un ruolo trainante endofamiliare, in quanto detto sacrificio sia stato funzionale a fornire un apprezzabile contributo al ménage domestico e alla formazione del patrimonio comune e dell’altra parte. Con la precisazione che la sola funzione assistenziale può giustificare il riconoscimento di un assegno, che in questo caso non viene parametrato al tenore di vita bensì a quanto necessario per soddisfare le esigenze esistenziali dell’avente diritto; se invece ricorre anche la funzione compensativa, che assorbe quella assistenziale, l’assegno va parametrato al contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale dell’altra parte.
Cassazione civile, sez. I, ordinanza 17/09/2025 (ud. 10/09/2025) n. 25495
FATTI DI CAUSA
Gi.Ma. ha convenuto in giudizio Ca.La., chiedendo lo scioglimento dell'unione civile contratta il 17 dicembre 2016, in virtù della volontà già manifestata all'ufficiale di stato civile in data 9 agosto 2018. La controparte, pur non opponendosi allo scioglimento dell'unione, ha chiesto in via riconvenzionale il riconoscimento di assegno, che il Tribunale di Pordenone ha riconosciuto, con sentenza del 29 gennaio 2020, nella misura di Euro 550,00 mensili.
L'impugnazione proposta dalla parte onerata è stata accolta dalla Corte d'Appello di Trieste, che con sentenza del 22 luglio 2020 ha respinto la domanda di riconoscimento dell'assegno e la domanda di restituzione delle somme corrisposte nel corso del giudizio.
Ca.La. ha proposto ricorso per cassazione che la Corte di legittimità, a sezioni unite, con sentenza del 27 dicembre 2023 n. 35969 ha accolto, rinviando alla Corte d'Appello di Trieste, in diversa composizione, per un nuovo accertamento dei presupposti necessari per il riconoscimento dell'assegno, da valutarsi in relazione alla diversa prospettiva temporale segnata dall'estensione della durata del rapporto al periodo di convivenza che ha preceduto la costituzione dell'unione civile, enunciando il seguente principio di diritto: "In caso di scioglimento dell'unione civile conclusa ai sensi dell'art. 1, comma 25, della L. n. 76 del 2016, la durata del rapporto - individuata dall'art. 5, comma 6, della L. n. 898 del 1970 (richiamato dal citato comma 25) quale criterio di valutazione dei presupposti necessari per il riconoscimento del diritto all'assegno in favore della parte che non disponga di mezzi adeguati e non sia in grado di procurarseli - si estende anche al periodo di convivenza di fatto che abbia preceduto la formalizzazione dell'unione, ancorché lo stesso si sia svolto, in tutto o in parte, in epoca anteriore all'entrata in vigore della predetta L. n. 76 del 2016".
La Corte d'Appello di Trieste, con la sentenza oggi impugnata, nel tenere conto che la convivenza tra le due donne è iniziata nel novembre 2013, ha attribuito rilevanza ad alcuni elementi fattuali. In particolare, ha rilevato la disparità economica tra le parti, atteso che la controricorrente è dipendente del MIUR (ATA) con stipendio di 1.300,00 Euro mensili e un risparmio di 90.000,00 Euro in comune con il padre e vive in un casa in locazione per il canone di Euro 650,00 mensili, mentre la ricorrente gode di uno stipendio Euro 5.000,00 mensili, oltre ad avere casa di proprietà, e disponibilità in denaro di Euro 200.000,00; il giudice d'appello ha valorizzato il carattere assistenziale – compensativo del contributo, per i sacrifici sostenuti e per la perdita di chance lavorativa nell'ambito della convivenza, in relazione al trasferimento a P della Ca.La., atteso che la società per la quale ella lavorava in precedenza aveva ceduto il ramo d'azienda ad altra società che ne aveva assorbito i dipendenti stabilizzandoli, e ha riconosciuto un assegno nella misura di Euro 550,00 mensili.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione Gi.Ma. affidandosi a tre motivi. Ca.La. ha svolto difese con controricorso e sono state depositate memorie da entrambe le parti. Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell'art.360, n. 5 c.p.c. l'omesso esame di un fatto decisivo e segnatamente della circostanza che la controricorrente si fosse trasferita a Pordenone già da disoccupata e non avrebbe perso alcuna chance lavorativa a seguito del trasferimento.
1.2- Con il secondo motivo del ricorso si lamenta ex art. 360 n. 3 c.p.c. la violazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c.; degli artt. 2697e 2729 comma 1, 2112 c.c.; dell'art. 5 della legge 223/1991 e s.m.i.; dell' art. 47 L 428/1990 e s.m.i. La ricorrente rileva che non è stato allegato e nemmeno provato alcun elemento che induca a teorizzare che la controparte, già somministrata a termine presso GEC Spa dall'Agenzia interinale Orienta Spa da cui era stata assunta, sarebbe sicuramente transitata presso la cessionaria GE.FI.L. Spa
1.-3.- Con il terzo motivo del ricorso si lamenta ex art. 360 n. 3 c.p.c. la violazione degli artt.112,115 e 116 c.p.c.; degli artt. 2697 e 2729 comma 1 c.c. e dell'art 5L.898/1970. La ricorrente deduce che Corte d'Appello ha errato nell'applicare il criterio perequativo assistenziale, avendo la richiedente l'assegno un'occupazione a tempo indeterminato ed essendo giovane e priva di figli da accudire. Altresì non è corretta la valutazione della funzione compensativa, posto che non vi è stata alcuna perdita di chance, e non avendo la richiedente contribuito alla formazione del patrimonio della sua partner ovvero al suo successo professionale.
2.- Le censure possono esaminarsi congiuntamente, e malgrado taluni profili di inammissibilità, hanno parziale fondamento.
2.1.- La ricorrente deduce che la Corte d'Appello avrebbe errato nel ricostruire i fatti materiali perché non ha considerato che la convivenza era cominciata nel novembre 2013, e allorché la Ca.La. si trasferiva a P, ella era già disoccupata, titolare di indennità di disoccupazione (NASPI), in quanto era cessato il lavoro a termine che svolgeva a V. Non furono dunque dimissioni volontarie collegate alla convivenza, ma una cessazione del rapporto di lavoro; le dimissioni avvennero invece soltanto il 27.10.2015, ovvero due anni dopo l'inizio della convivenza a P rassegnate nei confronti dell'Agenzia interinale per il Lavoro Orienta Spa dalla quale era stata somministrata presso l'utilizzatore GEC Spa (che aveva in seguito ceduto il ramo di azienda alla GEFIL Spa che ne aveva assorbito i dipendenti dedicati al ramo ceduto). Queste le uniche dimissioni che furono rassegnate, non per andare a convivere con essa ricorrente -posto che la convivenza era iniziata due anni prima- bensì per aderire all'offerta di lavorare dal 2.11.2015 presso l'Istituto IPSIA "Lino Zanussi" a Pordenone, per incrementare l'anzianità necessaria a maturare i requisiti di anzianità per conseguire il posto di ruolo e il rapporto a tempo indeterminato con il MIUR, poi da lei effettivamente conseguito. La ricorrente deduce inoltre che manca la prova che la Ca.La. sarebbe stata stabilizzata nel precedente rapporto di lavoro, già a tempo determinato. Rileva ancora che la resistente ha in atto un'occupazione a tempo indeterminato e non ha contribuito alla formazione del patrimonio di essa ricorrente né a quello familiare; il legame ha avuto durata inferiore ai cinque anni senza alcun apporto alla conduzione familiare o al patrimonio della coppia (inesistente), e la richiedente è giovane, in salute, senza figli o familiari con disabilità da accudire.
3.- In queste difese si rilevano diversi profili di inammissibilità, alcuni dei quali messi in evidenza anche dal Procuratore generale.
La ricorrente, per certi versi, non si confronta con la ragione decisoria e non evidenzia un fatto storico decisivo di cui sia stato omesso l'esame, quanto piuttosto censura le valutazioni che la Corte d'Appello ha operato sui fatti.
La Corte d'Appello di Trieste sintetizza la vicenda affermando che la Ca.La. "ebbe a trasferirsi per convivere con la Gi.Ma. a P e, quindi, si dimise dal posto di lavoro di natura privata in zona di V per impiegarsi a Pordenone nel settore pubblico." La Corte di merito non ha quindi affermato che la cessazione volontaria dal rapporto di lavoro avvenne nel 2013 (alla data di inizio della convivenza) e che le dimissioni fossero state rassegnate per trasferirsi a P; si è limitata a rilevare che è pacifico il fatto che la parte richiedente assegno si è trasferita a Pordenone in ragione della convivenza, che si dimise dal posto di lavoro privato (riscossione tasse automobilistiche) in zona Venezia e che optò per il lavoro pubblico (ATA in una scuola). Da qui ha tratto la conclusione che le dimissioni erano collegate alla convivenza, non necessariamente al suo inizio, ma alla convivenza in sé, che si svolgeva in luogo diverso da quello del rapporto di lavoro. In tal modo ha correttamente tenuto conto, in conformità al principio di diritto enunciato da questa Corte a sezioni unite, anche degli eventi antecedenti alla formalizzazione della unione (17 dicembre 2016), poiché negare rilevanza alla convivenza di fatto tra persone del medesimo sesso, successivamente sfociata nella costituzione di un'unione civile, per il solo fatto che la relazione ha avuto inizio in epoca anteriore all'entrata in vigore della L. n. 76 del 2016, si tradurrebbe inevitabilmente in una violazione dell'art. 8 della CEDU, oltre che in un'ingiustificata discriminazione a danno delle coppie omosessuali, il cui proposito di contrarre un vincolo formale non ha potuto concretizzarsi se non a seguito dell'introduzione della disciplina delle unioni civili, a causa della precedente mancanza di un quadro giuridico idoneo ad assicurare il riconoscimento del relativo status e dei diritti ad esso collegati.
4.- Non vi è quindi un fatto decisivo che la Corte di merito abbia omesso di rilevare, dal momento che nella ricostruzione operata dal giudice d'appello è indifferente la circostanza che i contratti di lavoro a tempo determinato in ambito privato fossero due, il primo cessato per scadenza nel 2013 e il secondo per dimissioni volontarie nel 2015. Nella valutazione della Corte il fatto ritenuto decisivo è che l'impiego a tempo determinato presso la società che curava la riscossione delle tasse automobilistiche fosse in zona Venezia mentre la convivenza si svolgeva a Pordenone e che nell'attuale impiego pubblico in ambito scolastico ella abbia "limitate prospettive di carriera", avendo perso la chance di stabilizzazione nel precedente impiego (dopo la cessione del ramo di azienda), "occasione di lavoro di certo più redditizia sotto il profilo dello stipendio e carriera, nonché della possibilità di coabitare con i genitori in località prossima al posto di lavoro". Ed è significativo che entrambe le parti, nel ricorso e nel controricorso, riferiscano gli stessi fatti, offrendo però una ricostruzione diversa delle ragioni della dimissione. Secondo la ricorrente, nel 2015 la Ca.La. si sarebbe dimessa per inseguire l'obiettivo di essere assunta presso il MIUR con un contratto a tempo indeterminato; secondo la controricorrente, ella si sarebbe dimessa perché l'impiego era a Venezia ed era incompatibile con la convivenza.
4.1.- Pertanto, il fatto in sé non è stato né travisato, né è stato omesso il suo esame; piuttosto si è valutato che le dimissioni volontarie dal lavoro a V -in qualunque data siano avvenute- fossero collegate alla convivenza a P. Trattandosi di una valutazione resa dalla Corte e non di un fatto, inteso come fatto storico, non può essere rimessa in discussione in sede di legittimità, così come non può essere rimessa in discussione la valutazione delle prove in generale ed in particolare sul punto che esse dimostrerebbero la perdita di chance di stabilizzazione che hanno avuto altri dipendenti della società che curava la riscossione della tasse automobilistiche presso la società GE.FI.L Spa, cui era stato ceduto il ramo d'azienda.
4.2.- Deve qui ricordarsi che la perdita di chance consiste nella perdita della possibilità di un risultato vantaggioso e non nella certezza dello stesso; pertanto, pur costituendo una entità patrimoniale a sé stante (v. Cass. 11058/2025, Cass. 21045/2024; Cass. 1884/2022), è cosa diversa dalla certezza che la Ca.La. sarebbe stata assunta; è pertanto inconferente il rilievo in ordine alla mancata prova sulla certezza della stabilizzazione.
Tuttavia, è corretto affermare che la perdita di una chance lavorativa, di per sé sola, non basta ad integrare i presupposti per l'assegno per lo scioglimento dell'unione civile.
5.- Su questi punti si coglie effettivamente un errore di diritto -e non per omesso esame di fatto decisivo- censurato dalla ricorrente laddove (pag. 38-39 del ricorso) deduce che la Corte di merito avrebbe erroneamente applicato l'art. 5 comma 6 della legge sul divorzio, e ritenuto sussistente tanto il requisito assistenziale che quello compensativo "per i sacrifici fatti nell'ambito della convivenza e di conseguenza il diritto della Ca.La. a ricevere assegno di concorso al mantenimento" sul presupposto di una sussistente disparità economica tra le parti, posto che la odierna controricorrente "gode di stipendio mensile di circa 1.300 Euro, ha disponibilità in denaro unitamente con il padre di circa Euro 90 mila ed abita in alloggio in locazione con canone di circa Euro 650 mensili. La Gi.Ma. gode di entrate mensili da attività lavorativa per circa Euro 5.000, vive in alloggio di sua proprietà ed ha disponibilità in denaro per circa 200 mila Euro".
6.- Dando per accertato, poiché questo è giudizio di merito che non può discutersi in sede di legittimità, che la Ca.La. abbia fatto un sacrificio, e cioè perduto una chance di un lavoro con migliori prospettive reddituali, occorreva anche accertare, ai fini del riconoscimento di assegno conseguente allo scioglimento dell'unione civile, e non di mantenimento - così erroneamente denominato dalla Corte di merito (assegno di concorso al mantenimento)- se ciò in concreto integrasse, in primo luogo, il requisito assistenziale, senza darlo per scontato sulla base della rilevata disparità economica tra le parti, ed inoltre la sussistenza del requisito compensativo-perequativo.
6.1.- Secondo il diritto vivente elaborato nella disciplina del matrimonio, assegno divorzile e assegno di mantenimento sono due istituti diversi.
Il secondo, che presuppone il perdurare del vincolo matrimoniale pur nella condizione separativa, è fondato sulla persistenza del dovere di assistenza materiale e morale, ed è correlato al tenore di vita tenuto in costanza di matrimonio di cui tendenzialmente deve garantire la conservazione, anche se non può estendersi fino a comprendere ciò che, secondo il canone dell'ordinaria diligenza, il richiedente sia effettivamente in grado di procurarsi da solo (Cass. n. 234/2025). L'assegno di divorzio, invece, presuppone lo scioglimento del vincolo e che gli ex coniugi intraprendano una vita autonoma, per cui residua solo un vincolo di solidarietà post-coniugale, con più forte rilevanza della autoresponsabilità, che a seguito del divorzio diventa individuale, sicché entrambi sono tenuti a procurarsi i mezzi che permettano a ciascuno di vivere in autonomia e con dignità.
6.2.- La funzione assistenziale dell'assegno di divorzio è quindi diversa da quella dell'assegno di separazione e non risponde alla esigenza di perequare, sempre ed in ogni caso, la disparità economica tra le parti; diversamente si farebbe riemerge il criterio del diritto a mantenere il medesimo tenore di vita proprio della convivenza matrimoniale -in questo caso dell'unione civile- ormai abbandonato dalla giurisprudenza di questa Corte, mentre, come peraltro chiaramente esplicitato anche dalla citata sentenza a sezioni unite n. 35969/2023, "va ribadito il carattere intrinsecamente relativo del parametro della inadeguatezza".
7.- In tema di assegno divorzile, di esigenza assistenziale può parlarsi, secondo la giurisprudenza di questa Corte, quando l'ex coniuge sia privo di risorse economiche bastanti a soddisfare le normali esigenze di vita, sì da vivere autonomamente e dignitosamente, e non possa in concreto procurarsele, con la conseguenza che non può affrontare autonomamente, malgrado il ragionevole sforzo che gli si può richiedere in virtù del principio di autoresponsabilità, il percorso di vita successivo al divorzio. La sola funzione assistenziale può giustificare l'assegno divorzile, ma in tal caso l'assegno resta parametrato tendenzialmente ai criteri di cui all'art. 438 c.c. (Cass. 19306/2023); diversamente, ove ricorra anche la funzione perequativa compensativa, se lo squilibrio economico sia conseguenza delle scelte fatte nella vita matrimoniale, esso va parametrato al contributo che il richiedente dimostri di avere dato alla formazione del patrimonio comune o dell'altro coniuge durante la vita matrimoniale.
Si opera quindi una complessiva ponderazione dell'intera storia della coppia, rendendo anche una prognosi futura, ove parità e solidarietà si coniugano con il principio di autoresponsabilità, svincolando l'assegno dal criterio del tenore di vita, parametrandolo invece a un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare (Cass. 22/03/2023, n.8254; Cass. 13/04/2023, n. 9824; Cass. 18/1/2024 n. 1897; Cass. n. 26520 del 11/10/2024; Cass. n.32354 del 13/12/2024).
7.1.- Questi principi sono senz'altro valevoli anche in tema di assegno "divorzile" chiesto a seguito di scioglimento della unione civile.
L'unione civile disegnata dal nostro legislatore consente di formalizzare e dare rilevanza giuridica piena al rapporto tra due persone legate da una relazione omoaffettiva, è istituto diverso dal matrimonio, si può sciogliere con minori formalità e non conosce la fase della separazione e gli istituti ad essa connessi, come l'assegno di mantenimento; ad essa si applica però -per espressa disposizione di legge- il comma 6 dell'art. 5 della legge sul divorzio, secondo i principi già elaborati dalla giurisprudenza in tema di scioglimento o cessazione effetti civili del matrimonio.
7.2.- La Corte di merito avrebbe dovuto quindi verificare, ai fini del requisito assistenziale, se le risorse, attuali e potenziali, di cui gode la Ca.La. fossero sufficienti (o meno) ad assicurarle una vita dignitosa e autonoma, anche se attestata su un tenore di vita più basso di quello che le risorse della sua partner le avrebbero consentito.
Ciò non si coglie nella sentenza impugnata, nella quale si accertano soltanto, da un lato, la disparità economica tra le parti, secondo un astratto calcolo aritmetico, pur se la richiedente l'assegno è dotata di mezzi e ha un lavoro nel pubblico impiego assistito dalla garanzia della stabilità, e, dall'altro, il sacrificio di una prospettiva di carriera, ma non si accerta se si fosse determinato o aggravato uno squilibrio economico-patrimoniale prima inesistente, ovvero di minori proporzioni (Cass. n. 22738 del 11/08/2021) e se l'attuale condizione della richiedente, appena quarantaquattrenne, esiga effettivamente, per raggiungere la soglia di una dignitosa esistenza, l'apporto della sua ex compagna.
8.- Quanto alla funzione compensativa, essa presuppone non soltanto un sacrificio sopportato per avere rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali, ma anche un contributo, esclusivo o prevalente, fornito dal richiedente alla famiglia, e segnatamente alla formazione del patrimonio familiare e personale dell'altro componente della coppia, anche sotto forma di risparmio; il richiedente è così tenuto a dimostrare di aver contribuito in maniera significativa alla vita familiare, facendosi carico in via esclusiva o preminente della cura e dell'assistenza della famiglia e dei figli, ovvero altre forme di contributo alla carriera del coniuge e alla formazione del suo patrimonio o del patrimonio comune (Cass. n. 24795 del 16/09/2024; Cass. n. 35434 del 19/12/2023; Cass. n. 35385 del 18/12/2023).
8.1.- Anche questo accertamento è mancato nella sentenza della Corte d'Appello e cioè che il sacrificio sia stato fatto per ragioni altruistiche e solidali, per potere meglio contribuire al benessere materiale morale della formazione sociale così costituita e consentire all'altro partner di potersi maggiormente dedicare alla carriera e alla produzione di reddito. In altre parole, quando si parla di funzione compensativa dell'assegno di divorzio, si valuta non soltanto il sacrificio che uno dei due abbia fatto, ma lo scopo e il frutto di questo sacrificio, perché la condotta di ciascuno dei due deve essere coerente con quello che è l'impianto solidaristico proprio non soltanto del matrimonio ma anche dell'unione civile, formazione sociale connotata da doveri di assistenza morale e materiale al pari del matrimonio.
8.2.- Anche l'unione civile, quale "specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione", benché rappresenti un istituto diverso dall'archetipo del matrimonio e dal paradigma della famiglia come società naturale che su di esso si fonda, è espressione di una comunità degli affetti nel disegno pluralistico dei modelli familiari che si registra a seguito dell'evoluzione sociale e dei costumi.
La trama aperta del testo Costituzionale eleva la solidarietà a valore comune a tutte le formazioni sociali, ed è suscettibile di manifestarsi precipuamente in quelle che nascono da una relazione affettiva stabile e proiettata verso il futuro, creando una piccola comunità di affetti e vita comune ove, oltre alla reciproca dedizione tra i partner, possono acquistare rilevanza anche altre scelte altruistiche, atteso che è possibile l'inserimento di soggetti deboli dei quali prendersi cura, come i minori e gli anziani.
Nulla esclude infatti che anche nella unione civile vi siano figli, biologici o in stepchild adoption, a maggior ragione se essa è costituita da due donne (cfr. Corte Cost. n. 68/2025), o soggetti anziani di cui prendersi cura. Ciò rende ancora più facilmente applicabili i criteri già elaborati dalla giurisprudenza di legittimità per valutare la funzione compensativa dell'assegno divorzile in relazione a quelli che sono stati i compiti da ciascuno svolti all'interno di questa formazione sociale e alle ragioni per le quali sono state operate scelte comportanti rinunce professionali.
9.- Anche questo era un punto esplicitato nella sentenza di rinvio laddove si è demandato alla Corte di merito non di tenere conto del fatto in sé che le parti avevano convissuto alcuni anni prima di contrarre unione civile, ma di accertare "i presupposti necessari per il riconoscimento dell'assegno, da valutarsi in relazione alla diversa prospettiva temporale segnata dall'estensione della durata del rapporto al periodo di convivenza che ha preceduto la costituzione dell'unione civile", verificando se l'eventuale squilibrio esistente all'atto dello scioglimento del vincolo dipendesse dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di rapporto, con il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti, in funzione dell'assunzione di un ruolo trainante endofamiliare; e nell'ambito di tale verifica, tenere conto del ruolo di cruciale importanza della durata del rapporto, quale fattore di valutazione del contributo fornito da ciascun unito civilmente alla formazione del patrimonio comune e di quello dell'altro coniuge, oltre che delle effettive potenzialità professionali e reddituali sussistenti al momento della cessazione del vincolo.
10.- In sintesi, può dirsi che, per le ragioni sopra esposte, è mancato nella sentenza oggi impugnata il pieno adempimento del mandato conferito dalle sezioni unite di questa Corte, nonché una piena e corretta applicazione dell'art.5 comma 6 della legge 898/1970. Da ciò consegue, in accoglimento per quanto di ragione del ricorso, la cassazione sul punto della sentenza impugnata e il rinvio alla Corte d'Appello di Trieste in diversa composizione per un nuovo esame, attenendosi al seguente principio di diritto:
Nell'ambito della unione civile, non diversamente da quanto avviene nel matrimonio, l'assegno divorzile può riconoscersi ove, previo accertamento della inadeguatezza dei mezzi del richiedente, se ne individui la funzione assistenziale e la funzione perequativo- compensativa. Mentre la prima va individuata nella inadeguatezza di mezzi sufficienti ad una vita autonoma e dignitosa e nella impossibilità di procurarseli malgrado ogni diligente sforzo, la seconda ricorre se lo squilibrio economico tra le parti dipenda dalle scelte di conduzione della vita comune e dal sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti, in funzione dell'assunzione di un ruolo trainante endofamiliare, in quanto detto sacrificio sia stato funzionale a fornire un apprezzabile contributo al ménage domestico e alla formazione del patrimonio comune e dell'altra parte. Con la precisazione che la sola funzione assistenziale può giustificare il riconoscimento di un assegno, che in questo caso non viene parametrato al tenore di vita bensì a quanto necessario per soddisfare le esigenze esistenziali dell'avente diritto; se invece ricorre anche la funzione compensativa, che assorbe quella assistenziale, l'assegno va parametrato al contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale dell'altra parte.
P.Q.M.
accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa sul punto la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'Appello di Trieste in diversa composizione per un nuovo esame e per la liquidazione delle spese anche del giudizio di legittimità.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri titoli identificativi a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/2003.
Così deciso in Roma, il 10 settembre 2025.
Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2025.