Il coniuge che riceve l’assegno divorzile può rifiutare un lavoro offerto dall’ex?
E, in caso di rifiuto, l’assegno continua a spettargli?
La questione è affrontata dalla Cassazione, Sez. I civile, con l'ordinanza n. 25523 del 17 settembre 2025.
La SUprema Corte precisa che l’assegno divorzile non è un vitalizio, ma uno strumento che mira a garantire un sostegno temporaneo e a favorire l’autonomia economica del coniuge più debole. Per questo motivo, se il beneficiario rifiuta senza valide ragioni un’offerta di lavoro congrua, perde il diritto a riceverlo.
La vicenda nasce da un divorzio pronunciato nel 2005. All’epoca era stato stabilito un assegno di 48.000 euro annui a favore della ex moglie. Anni dopo, l’ex marito chiede la revisione delle condizioni, sostenendo due circostanze: la presunta convivenza stabile della ex con un nuovo compagno e il suo rifiuto di un’offerta di lavoro arrivata tramite la società AirForce S.p.A., collegata allo stesso ex marito.
La proposta prevedeva un contratto a tempo indeterminato come impiegata amministrativo-commerciale, con retribuzione sostanzialmente equivalente all’assegno e con l’aggiunta di una polizza previdenziale. La donna ha rifiutato l’offerta, giudicandola inadeguata. Dopo vari gradi di giudizio, la Corte d’appello di Ancona ha ritenuto congrua la proposta e ha disposto la revoca dell’assegno. La ex moglie si è rivolta di nuovo alla Cassazione, mentre l’ex marito ha presentato ricorso incidentale chiedendo la restituzione delle somme già versate.
La Suprema Corte ha confermato la decisione d’appello: il rifiuto di un lavoro serio e stabile, con condizioni economiche paragonabili all’assegno percepito, fa venir meno il presupposto dell’inadeguatezza dei mezzi previsto dall’art. 5, comma 6, della legge sul divorzio (L. 898/1970).
Il principio è chiaro: chi riceve l’assegno non può assumere un atteggiamento passivo, confidando in un sostegno economico senza limiti di tempo. L’assegno ha infatti una funzione assistenziale e compensativa, ma deve sempre collegarsi a una reale impossibilità di procurarsi mezzi adeguati. Se esiste un’opportunità lavorativa concreta e dignitosa, rifiutarla significa perdere il diritto al contributo.
La Cassazione ha respinto anche gli altri motivi di ricorso, chiarendo che la valutazione sulla congruità dell’offerta spetta al giudice di merito, il quale può considerare anche elementi impliciti, come la stabilità e la serietà della proposta. Non rileva nemmeno che l’offerta sia giunta da una società collegata all’ex marito: anzi, il giudice sottolinea che l’uomo aveva interesse a garantire alla ex moglie un’occupazione reale per liberarsi dall’obbligo dell’assegno.
Quanto alla richiesta dell’ex marito di ottenere la restituzione delle somme già corrisposte, la Corte ha ricordato che la revoca dell’assegno produce effetti ex nunc: ciò che è stato pagato fino alla decisione rimane dovuto, e quindi non deve essere restituito.
L’ordinanza ribadisce un principio già consolidato: l’assegno divorzile non è destinato a durare per sempre e non può diventare un “parcheggio economico”. Chi lo riceve deve impegnarsi per raggiungere l’indipendenza e accettare le opportunità compatibili con le proprie condizioni.
In definitiva, il messaggio della Cassazione è chiaro: se arriva il treno giusto, cioè un lavoro serio e retribuito, non si può restare fermi in stazione. L’assegno serve a camminare verso l’autonomia, non a restare immobili.
Cassazione civile, sez. I, ordinanza 17/09/2025, (ud. 10/09/2025) n.25523
FATTI DI CAUSA
Nell'ambito del procedimento di revisione delle condizioni del divorzio pronunziato (nel 2005) tra i coniugi Ca.Fr. e Vi.Al., il Tribunale di Ancona ha revocato l'assegno divorzile a carico dell'ex marito di Euro 48.000,00 annui originariamente concordato e recepito in sede di pronunzia di cessazione degli effetti civili del matrimonio. Il decreto reso dal giudice di primo grado, impugnato dalla Vi.Al., è stato parzialmente riformato dalla Corte d'Appello di Ancona, la quale, con decreto del 30 ottobre 2018, ha ritenuto non dimostrata una relazione di convivenza stabile con caratteristiche equiparabili ad una famiglia di fatto fra la ex moglie e altro compagno; inoltre, ha ritenuto che l'offerta di occupazione lavorativa e di una polizza assicurativa giunte alla Vi.Al., tramite una società collegata da altra società facente capo all'ex marito nel corso del giudizio, fosse irrilevante.
Avverso questo provvedimento l'ex marito ha proposto ricorso per cassazione che è stato accolto per quanto di ragione: segnatamente, questa Corte ha ritenuto che avesse errato la Corte d'Appello a non ammettere prova testimoniale sulla convivenza e che avesse errato a ritenere irrilevante l'offerta di lavoro formulata dalla società AIR FORCE Spa all'ex moglie, che avrebbe invece dovuto essere vagliata.
Riassunto il giudizio, la Corte d'Appello di Ancona, sul rilievo - ritenuto assorbente - della congruità dell'offerta di lavoro corredata da una polizza assicurativa a fini pensionistici, ha revocato l'assegno divorzile, e respinto altresì la domanda di restituzione delle somme pagate dall'ex marito nelle more del giudizio.
Avverso il provvedimento ha proposto ricorso per cassazione la Vi.Al. affidandosi a cinque motivi; Ca.Fr. si è difeso con controricorso e ricorso incidentale, entrambe le parti hanno depositato memorie di entrambi. Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta esprimendosi per il rigetto sia del ricorso principale che di quello incidentale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Sul ricorso principale.
I)- Con il primo motivo del ricorso principale si lamenta la violazione o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 383, co. 1, 384, co. 2, e 394 c.p.c. in relazione all'art. 360, n. 3 c.p.c. e la contrarietà ai precedenti giurisprudenziali della Suprema Corte, con ulteriore susseguente omesso esame di fatto decisivo per aver la Corte d'Appello valutato "congrua" l'offerta di lavoro avanzata da Ca.Fr. e rifiutata dalla Vi.Al. La ricorrente deduce che l'impugnata decisione della Corte d'Appello elude i dettami della Suprema Corte di Cassazione giudicando "congrua" l'offerta di lavoro avanzata nel corso del giudizio di primo grado omettendo, però, di valutare i profili indicati dal Giudice di legittimità. Deduce altresì che l'offerta de qua non è mai stata "seria", né tantomeno "stabile", anche perché il datore di lavoro sarebbe stato (di fatto) l'ex marito, non è mai stata "confacente" rispetto alla sua (inesistente) formazione professionale e non le avrebbe mai consentito una stabile autosufficienza economica rispetto all'originario ammontare dell'assegno.
II)- Con il secondo motivo del ricorso si lamenta la violazione o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 245,383, co. 1, 384, co. 2, e 394 c.p.c. e ss. c.p.c. in relazione all'art. 360, n. 3 c.p.c. e la contrarietà ai precedenti giurisprudenziali della Suprema Corte con ulteriore susseguente omesso esame di fatto decisivo, per non aver la Corte approfondito gli elementi probatori in ordine all'(in)esistenza della convivenza di fatto.
III)- Con il terzo motivo del ricorso si lamenta la violazione o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 5, comma 6, e 9, comma 1, L. n. 898/1970. La ricorrente deduce che la Corte d'Appello avrebbe dovuto tenere in debita considerazione anche le argomentazioni spese dalla ricorrente sulla totale irricevibilità/inidoneità della proposta onde escludere un rifiuto/condotta negligente di quest'ultima, che invece ha solo richiesto maggiori garanzie per rendere la stessa proposta valida; valutare la reale utilità/portata dell'offerta della polizza assicurativa integrativa ai fini pensionistici, invece di darla per scontata; paragonare valori reddituali tra loro equivalenti anziché il valore del reddito da assegno netto e non attuale con il valore del reddito da proposta di lavoro lordo, attuale e, peraltro, citato nel testo più volte e con importi tra loro differenti; verificare la sopravvenuta, effettiva e significativa modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi sulla base di una valutazione comparativa delle rispettive situazioni reddituali e patrimoniali; considerare anche la portata compensativa dell'assegno.
IV) Con il quarto motivo del ricorso si lamenta la nullità del provvedimento per violazione del combinato disposto degli artt. 132, n. 4, e 118, disp. att., c.p.c. e art. 111 Cost., in relazione all'art. 360, n. 4, c.p.c., e la contrarietà ai precedenti giurisprudenziali della Suprema Corte. La ricorrente lamenta che la Corte di appello si limita ad un giudizio di "parità" tra il reddito di cui alla proposta di lavoro e quello oggetto di assegno divorzile senza però spiegare in alcun modo le ragioni giuridiche ad esso sottese. La decisione gravata dà altresì prova di confusione ed illogicità paragonando il valore del reddito da assegno netto e non attuale con il valore del reddito da proposta di lavoro lordo, attuale e, peraltro, citato nel testo più volte e con importi tra loro differenti. In questo modo, secondo la ricorrente, la Corte di appello non consente alcun controllo sull'esattezza e la logicità del ragionamento decisorio e non attingendo la soglia del cd. "minimo costituzionale" richiesto dall'art. 111, comma 6 Cost. Si tratta quindi di un'anomalia motivazionale costituzionalmente rilevante.
V) Con il quinto motivo del ricorso si lamenta la nullità del provvedimento per violazione del combinato disposto degli artt. 132, n. 4, e 118, disp. att., c.p.c. e art. 111 Cost., in relazione all'art. 360, n. 4, c.p.c., e contrarietà ai precedenti giurisprudenziali della Suprema Corte con ulteriore susseguente omesso esame di fatto decisivo in discussione. La ricorrente lamenta che la Corte di appello si è limitata a rigettare "le altre domande effettuate a sua volta dalla Vi.Al." senza però spiegarne in alcun modo le ragioni giuridiche, non consentendo così alcun controllo sull'esattezza e la logicità del ragionamento decisorio e non raggiungendo la soglia del cd. "minimo costituzionale" richiesto dall'art. 111, comma 6 Cost. Si tratta quindi di un'anomalia motivazionale costituzionalmente rilevante.
2.- Il primo il terzo e il quarto motivo possono esaminarsi congiuntamente in quanto collegati e sono infondati.
2.1.- La ricorrente si duole che non siano state tenute nella debita considerazione le sue argomentazioni sulla congruità e adeguatezza della offerta di lavoro. Introduce così censure connotate da rilevanti profili di inammissibilità, e comunque infondate, perché il giudice non è tenuto a esaminare tutte le argomentazioni difensive, né a dare analiticamente conto di ciascuna di esse purché dalla motivazione si comprenda il ragionamento che ha seguito per giungere alla decisione.
2.2.- Deve qui ricordarsi che la valutazione delle prove è rimessa al prudente apprezzamento del giudice ed è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall'art. 116 c.p.c. (Cass. s.u. n. 20867 del 30/09/2020; Cass. n. 27847 del 12/10/2021) Il giudice del merito non è peraltro tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali ed a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo aver vagliato le une e le altre nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. n. 12751 del 18/10/2001; Cass. n. 16056 del 02/08/2016; Cass. n. 29404 del 07/12/2017).
2.3.- La Corte d'Appello ha operato valutazioni in punto di fatto sulla serietà e congruità dell'offerta, in particolare rilevando che essa garantiva un reddito annuo pressoché pari a quello assicurato dall'assegno ed era anche assistita da una polizza assicurativa a fini pensionistici, che consentiva una certa stabilità economica anche al raggiungimento dell'età pensionistica. Si tratta di valutazioni di merito che non possono essere discusse in questa sede.
3.- Deve ribadirsi che per giurisprudenza ormai costante di questa Corte, il presupposto dell'assegno divorzile è l'inadeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge istante, e l'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, e si deve tener conto, utilizzando i criteri di cui all'art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970, sia della impossibilità di vivere autonomamente e dignitosamente da parte del congiunge richiedente, sia della necessità di compensarlo per il particolare contributo, che dimostri di avere dato alla formazione del patrimonio comune o dell'altro coniuge durante la Vi.Al. matrimoniale (Cass. s.u. n. 18287 del 11/07/2018; Cass. n. 21234 del 09/08/2019; Cass. n. 13420 del 16/05/2023).
3.1.- L'assegno di divorzio non costituisce una rendita a tempo indeterminato indifferente al sopravvenire di nuove circostanze, né autorizza l'avente diritto a tenere un atteggiamento passivo confidando sulla possibilità di gravare vita natural durante sul soggetto obbligato. Il principio di autoresponsabilità, pur se va coniugato con quello della solidarietà post -coniugale, comporta che il beneficiario di un assegno di divorzio deve attivarsi per potersi rendere economicamente indipendente. Ciò comporta che l'ex moglie avrebbe dovuto accettare una proposta di lavoro seria, con uno stipendio adeguato, anche se inferiore all'assegno divorzile, o inferiore al contributo che le attuali condizioni dell'ex coniuge avrebbero potuto garantirle, dal momento che non vi è diritto al mantenimento del tenore di Vi.Al. avuto in costanza matrimoniale.
4.- È vero che la Corte d'Appello non ha fatto esplicito riferimento alla componente compensativa dell'assegno di divorzio (se non indirettamente nel rigettare la domanda di ripetizione) ma tuttavia ha ritenuto che l'offerta di lavoro, intervenuta quando già la ricorrente aveva per diverso tempo percepito un congruo assegno divorzile (48.000 Euro annui), fosse sufficiente a far venire meno in radice la debenza dell'assegno. Ed invero anche la componente compensativa dell'assegno di divorzio sussiste in quanto la mancanza di mezzi adeguati "sia da ricondurre o meno alle determinazioni comuni, e ai ruoli endofamiliari assunti di comune accordo, e cioè che si accerti se i coniugi abbiano di comune accordo, pianificato che uno di essi sacrificasse le proprie realistiche prospettive professionali-reddituali agli impegni familiari e casalinghi, così da ritrovarsi, a matrimonio finito, fuori dal circuito lavorativo o comunque in una condizione diversa e deteriore rispetto a quella in cui si sarebbe trovato se non avesse dovuto rinunciare ad opportunità favorevoli per scelte familiari concordemente adottate" (Cass. S. U. 05/11/2021, n. 32198). La insussistenza di mezzi adeguati e la impossibilità di procurarseli resta quindi il presupposto indefettibile dell'assegno divorzile in tutte le sue componenti. Nel valutare l'offerta di lavoro seria e congrua, la Corte di merito ha quindi ritenuto che la ex moglie non fosse più soggetto privo di mezzi adeguati, il che comporta, in radice, il venir meno del diritto a percepire l'assegno.
5.- Non coglie nel segno la censura sulla omessa valutazione del parametro della congruità dell'offerta rispetto alla formazione professionale della donna; qui la ricorrente non si confronta con le ragioni decisorie. Essa lamenta in sostanza che le mansioni prospettate sarebbero state più alte rispetto alla sua formazione professionale (inesistente) e che non poteva svolgerle anche per motivi di salute. Ma la Corte d'Appello è ben consapevole che si trattava di un'offerta di lavoro "rara" e cioè di un'offerta di lavoro particolarmente benevola e ciò si spiega facilmente - il che è implicito nella motivazione della Corte- ove si consideri che l'offerta proviene da una società riconducibile all'ex marito (o meglio collegata con una società a lui riconducibile).
La Corte di merito ha rilevato che la donna sarebbe stata inquadrata quale impiegata di concetto di quinto livello, con mansioni amministrativo-commerciali, e con una polizza assicurativa integrativa del trattamento pensionistico, il che come lei stessa afferma è più di quanto la sua formazione professionale le consentisse di aspirare. In sostanza, si presuppone, nella decisione di merito, che l'ex marito abbia usato della sua influenza per garantire alla ex moglie condizioni di lavoro che presumibilmente non avrebbe trovato sul mercato libero, e la ragione di ciò è facilmente intuibile posto che per l'ex coniuge era comunque più vantaggioso spendere la sua influenza per fare accettare alla società collegata le difficoltà connesse all'inserimento nell'azienda di una persona da addestrare e già in età, piuttosto che corrispondere un assegno divorzile. La ricorrente sembra non ponderare che una valutazione di tal genere comportava vantaggi anche per lesi stessa perché ove, alla prova dei fatti, l'offerta si fosse rivelata fittizia o poco seria, ella avrebbe potuto nuovamente reclamare l'assegno divorzile.
5.1.- La Corte peraltro non rileva controindicazioni in simile offerta, che, come il controricorrente precisa, era a tempo indeterminato, consisteva in mansioni impiegatizie con uso di terminale, includeva anche un percorso di formazione ed era corredata da un parere del medico del lavoro della società AirForce Spa, sulla sostenibilità delle mansioni (pag. 17 controricorso). Né la ricorrente specifica adeguatamente quali sarebbero i profili di incompatibilità con le sue condizioni se non contestando a priori la attendibilità del parere medico e facendo riferimento generico allo stress fisco ed emotivo. Anche il rilievo che ella sarebbe stata "di fatto" alle dipendenze dell'ex marito, è una censura volta non già a lamentare condizioni poco dignitose di lavoro (come ad esempio dover restare a stretto contatto con l'ex coniuge per tutta la giornata) ma la dedotta scarsa serietà dell'offerta, senza considerare, come sopra si è detto, che l'ex marito aveva piuttosto interesse a che ella conseguisse stabile indipendenza economica, presupposto necessario per essere sollevato dall'assegno divorzile.
Si deve pertanto concludere che la Corte di merito abbia non solo valutato la serietà e congruità dell'offerta, ma anche adeguatamente esposto le ragioni della decisione, in relazione, come rileva anche il Procuratore generale, agli aspetti fondamentali del rapporto che è stato prospettato; e seppure taluni argomenti avrebbe potuto essere più diffusamente sviluppati, è ormai da tempo esclusa la rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (Cass. s.u. n. 8053 del 07/04/2014) tanto più che -come sopra si diceva- vi sono considerazioni implicite agevolmente ricavabili dal complessivo impianto del provvedimento, con il quale restano incompatibili le prospettazioni della parte.
5.2.- A fronte di questa offerta, ritenuta dal giudice di merito stabile e vantaggiosa, il principio di autoresponsabilità e di lealtà nei rapporti tra ex coniugi imponeva alla donna non solo di accettare l'offerta ma anche di adoperarsi nei limiti di un ragionevole sacrificio per mantenere il posto di lavoro. La lealtà, buona fede e correttezza nei rapporti tra consociati sono infatti principi di carattere generale che a maggior ragione devono applicarsi tra persone legate - o che sono state legate- da vincoli di solidarietà forti, quali quelli che costituisce l'unione matrimoniale. La solidarietà, nell'ottica fatta propria dell'articolo 2 della Costituzione, è un valore la cui attuazione richiede che ciascuno si faccia carico delle proprie responsabilità e adempia ai doveri connessi alla propria condizione e posizione.
6.- Il secondo motivo del ricorso è inammissibile.
La censura non si confronta con la ragione decisoria, posto che la Corte ha ritenuto sufficiente ai fini della revoca dell'assegno di divorzio la circostanza della donna avesse rifiutato un'offerta di lavoro ritenuta congrua e pertanto resta assorbita la questione della convivenza con un altro uomo.
7.- Il quinto motivo è inammissibile, trattandosi di censura generica e stereotipata che non tiene conto che questa Corte con la sentenza del 2023 ha dichiarato inammissibile l'unico motivo di ricorso incidentale condizionato allora proposto dalla odierna ricorrente principale, connesso a censure relative all'aumento per l'assegno in favore di essa e della prole. La questione, come correttamente eccepisce il controcorrente, è coperta da giudicato; in ogni caso, deve osservarsi che sulla questione del quantum dell'assegno di divorzio una volta esclusa in radice la debenza dell'assegno non era necessaria alcuna altra motivazione.
8.- Sul ricorso incidentale.
Il controricorrente propone controricorso incidentale affidandolo a cinque motivi, per aver la Corte d'Appello negato la ripetibilità degli assegni non dovuti a seguito di estinzione del relativo diritto pronunciata ex art. 9 L. div.
8.1.- Con il primo motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 2033 c.c., 389 c.p.c., 5 L. div., art. 9L. div., e contrarietà ai principi giurisprudenziali della Suprema Corte, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. Il ricorrente incidentale deduce che il decreto ha violato il principio della ripetibilità delle somme versate a titolo di assegno di divorzio in pendenza di giudizio ex art. 9 L. div., non dovute a seguito di dichiarazione di estinzione del diritto all'assegno, essendo del tutto inconferente il richiamo al criterio della "natura della correttezza" degli assetti economici dopo il divorzio.
8.2.- Con il secondo motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 2033 c.c., 389 c.p.c., 5 L. div., art. 9L. div., e la contrarietà ai principi giurisprudenziali della Suprema Corte, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. Il ricorrente deduce che il decreto è contra ius in quanto ha negato la ripetibilità degli assegni non dovuti a seguito di estinzione del relativo diritto pronunciata ex art. 9 L. div., sulla base di asseriti, ma in realtà insussistenti, presupposti di legge che condizionerebbero il diritto di ripetizione del soggetto pagante, come la condotta colpevole dell'accipiens, il diritto della ex moglie a ricevere somme, la irripetibilità delle somme asseritamente aventi carattere assistenziale.
8.3.- Con il terzo motivo si lamenta l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., per aver il decreto omesso di considerare che il patrimonio personale di esso ricorrente incidentale nulla avrebbe risentito in relazione all'assunzione della ex moglie posto che quella "corresponsione economica dell'equivalente stipendio + polizza" non sarebbe provenuta da lui e, quindi, dal suo patrimonio, bensì dal datore di lavoro, AirForce Spa
8.4.- Con il quarto motivo si lamenta l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., per aver omesso il decreto di valutare che il ricorrente incidentale ha nel corso del matrimonio effettuato elargizioni di rilevantissima consistenza all'ex moglie, che si è trovata dunque, alla fine del matrimonio, titolare di un patrimonio considerevole formato unicamente grazie all'apporto del marito.
8.5.- Con il quinto motivo del ricorso si lamenta la violazione del combinato disposto degli artt. 132, n. 4, e 118, disp. att., c.p.c. e art. 111, Cost. in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., e contrarietà ai precedenti giurisprudenziali della Suprema Corte, per essere la pronuncia gravata "afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e "perplessa ed obiettivamente incomprensibile", non essendo possibile così comprendere quali siano state le ragioni, per l'appunto, che hanno indotto il giudice a sposare l'una o l'altra tesi proposte nel giudizio, consentendole altresì di valutare - ed eventualmente censurare - l'operato del giudice, anche con riferimento al rispetto delle norme di legge sostanziali e processuali, può affermarsi che il capo del decreto oggetto di impugnazione non assolva affatto alle predette finalità (c.d. motivazione apparente).
9.- I motivi possono esaminarsi congiuntamente e sono infondati.
Il ricorrente incidentale non considera il rilievo centrale che ha nella motivazione del provvedimento l'affermazione che "la revoca è frutto di una valutazione, come si è detto, che deve tenere conto di elementi di fatto e di diritto estremamente articolati e susseguitisi nel tempo"; la revoca dipende quindi da una valutazione fatta all'attualità che qualifica l'offerta come "opportunità rara nel mondo del lavoro" compiendo così un accertamento di carattere costitutivo.
In conseguenza di queste ed altre argomentazioni - alcune delle quali in verità sovrabbondanti - la Corte di merito ha revocato l'assegno divorzile senza retrodatare il momento in cui detta revoca ha effetto, precisando che alla ex moglie va comunque "riconosciuto pur sempre il diritto ad una somma caratterizzata dalle complesse componenti affermate dalla Cassazione". Con ciò ha nella sostanza ritenuto che fino al momento della sua decisione spettasse alla donna l'assegno divorzile, anche a fini compensativi.
Pertanto, deve dirsi che, trattandosi di revoca dell'assegno divorzile con effetto ex nunc (dalla data di pubblicazione del decreto), la Corte di merito non doveva disporre la restituzione di quanto pagato fino a quel momento, dal momento che il pagamento diviene indebito solo dal momento in cui viene meno il titolo.
10.- Ne consegue il rigetto tanto del ricorso principale che del ricorso incidentale e, stante la reciproca soccombenza, la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale. Rigetta il ricorso incidentale. Compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e del ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri titoli identificativi a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/2003.
Così deciso in Roma, il 10 settembre 2025.
Depositata in Cancelleria il 17 settembre 2025.