I buoni pasto devono essere riconosciuti anche ai lavoratori turnisti oppure valgono solo per chi ha un orario ordinario?
Sulla questione è tornata la Cassazione civile, Sezione Lavoro, con l’ordinanza n. 25525 del 17 settembre 2025.
La vicenda nasce dal ricorso di un gruppo di infermieri turnisti dell’ASP di Messina, esclusi dal beneficio a causa di un regolamento aziendale che limitava il servizio mensa e i ticket al solo personale non turnista con rientro pomeridiano.
Il punto di riferimento è l’art. 29 del CCNL comparto sanità 2001, collegato all’art. 8 del D.Lgs. n. 66/2003, che riconosce il diritto a una pausa destinata alla consumazione del pasto quando l’orario di lavoro giornaliero supera le sei ore.
La giurisprudenza di legittimità (tra cui Cass. n. 22478/2024, n. 32113/2022, n. 5547/2021) conferma che il buono pasto è una prestazione assistenziale volta a garantire il benessere psicofisico del lavoratore e non un benefit discrezionale.
La Corte ha chiarito che il diritto al buono pasto non dipende dalla natura del turno, né può essere limitato da regolamenti aziendali interni.
L’unico criterio rilevante è la durata effettiva della prestazione: superate le sei ore, il lavoratore ha diritto alla pausa e quindi al buono pasto o al servizio mensa, anche in forma sostitutiva.
Nel caso concreto, gli infermieri, pur impegnati in turni continuativi che impedivano l’accesso alla mensa, avevano comunque diritto al ticket sostitutivo.
La Cassazione ha quindi respinto il ricorso dell’ASP di Messina, confermando che i buoni pasto spettano a tutti i lavoratori che superano le sei ore giornaliere, indipendentemente dal tipo di orario.
In tema di buoni pasto, il datore di lavoro non può introdurre limitazioni unilaterali tramite regolamenti interni.
Ciò che conta è la durata del turno: superata la soglia delle sei ore, il ticket va riconosciuto, che si sia turnisti o meno.
In tema di pubblico impiego privatizzato l'attribuzione del buono pasto, in quanto agevolazione di carattere assistenziale che, nell'ambito dell'organizzazione dell'ambiente di lavoro, è diretta conciliare le esigenze del servizio con le esigenze quotidiane dei dipendenti, al fine di garantirne il benessere fisico necessario per proseguire l'attività lavorativa quando l'orario giornaliero corrisponda a quello contrattualmente previsto per la fruizione del beneficio, è condizionata all'effettuazione di una pausa pranzo che, a sua volta, presuppone, come regola generale, solo che il lavoratore osservando un orario di lavoro giornaliero di almeno sei ore, abbia diritto ad un intervallo non lavorato.
Cassazione civile, sez. lav., ordinanza 17/09/2025 (ud. 03/06/2025) n. 25525
FATTI DI CAUSA
1. Gli odierni ricorrenti, infermieri professionali turnisti, hanno agito nei confronti della ASP di Messina per ottenere il riconoscimento del diritto a fruire del servizio mensa o del buono pasto limitato dal Regolamento vigente solo al personale non turnista con rientro pomeridiano.
2. La Corte d'Appello, riformando la sentenza di primo grado, ha riconosciuto il diritto a beneficiare dei buoni pasto sostitutivi del servizio mensa per ogni turno lavorativo eccedente le sei ore, sul presupposto che, ai sensi del combinato disposto dell'art. 29 CCNL comparto sanità 2001 e dell'art. 8 D.L. 66/2003, il diritto alla consumazione del pasto (servizio mensa/buono pasto) spettasse a tutti i lavoratori che espletavano un orario di lavoro eccedente le sei ore. In particolare, il Collegio ha sottolineato che l'impossibilità di fruire del servizio mensa per ragioni legate alla strutturazione dell'orario di lavoro (esigenza continuità della prestazione) non facesse decadere dal diritto alla mensa, ma lo facesse sorgere nella la modalità sostitutiva del buono pasto. In seguito ad ordine di esibizione dei fogli di presenza ex art. 210 c.p.c., la Corte ha condannato l'Azienda al pagamento delle somme dovute.
3. La ASP di Messina ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi cui hanno resistito i lavoratori con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso ci si duole della violazione e falsa applicazione dell'articolo 29 CCNL 20 settembre 2001 Comparto Sanità, dell'art. 33 del D.P.R. 270 del 20.05.1987, dell'articolo 8 del D.L.66/2003, nonché si denuncia l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (in relazione all'art. 360 co 1, n. 3 cpc.).
2. Con il secondo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione dei precedenti di legittimità intervenuti in materia - insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza circa un punto decisivo della controversia.
Secondo l'Asp odierna ricorrente la Corte territoriale avrebbe errato nell'estendere il diritto alla mensa/pausa indistintamente a tutti i lavoratori la cui prestazione lavorativa superi le sei ore giornaliere senza tener conto della differenza tra i dipendenti turnisti che erogano attività continuativa e dipendenti non turnisti che possono interrompere la prestazione lavorativa per effettuare una pausa. Il Collegio avrebbe inoltre errato nel ritenere che il convincimento maturato fosse perfettamente in linea con i precedenti richiamati in quanto, in realtà, attinenti a fattispecie differenti in cui non esisteva un Regolamento Aziendale.
3. I motivi possono essere trattati congiuntamente stante la loro stretta connessione.
Le censure sono entrambe infondate alla stregua dell'orientamento ormai consolidato di questa Corte (cfr., da ultimo, Cass. n. 22478 dell'8.8.2024, Cass. n. 32113 del 19.10.2022 e Cass. n. 5547 dell'1.3.2021) secondo cui "in tema di pubblico impiego privatizzato l'attribuzione del buono pasto, in quanto agevolazione di carattere assistenziale che, nell'ambito dell'organizzazione dell'ambiente di lavoro, è diretta conciliare le esigenze del servizio con le esigenze quotidiane dei dipendenti, al fine di garantirne il benessere fisico necessario per proseguire l'attività lavorativa quando l'orario giornaliero corrisponda a quello contrattualmente previsto per la fruizione del beneficio, è condizionata all'effettuazione di una pausa pranzo che, a sua volta, presuppone, come regola generale, solo che il lavoratore osservando un orario di lavoro giornaliero di almeno sei ore, abbia diritto ad un intervallo non lavorato".
Pertanto, deve ritenersi aver la Corte territoriale correttamente interpretato la disposizione contrattuale di cui all'art. 29 del contratto integrativo del 20.9.2001 riconoscendo il collegamento del diritto alla mensa alla fruizione di un intervallo di lavoro, risultando tale collegamento operato anche in sede legislativa ove l'intervallo è previsto per la consumazione del pasto ed è collocato oltre il limite delle sei ore di lavoro, a prescindere dalla natura turnista o meno dell'orario lavorativo.
Il ricorso va, dunque, respinto, e la sentenza impugnata confermata in ordine al riconoscimento alla fruizione del ticket mensa per il periodo di cui è causa relativamente ai turni lavorativi eccedenti le sei ore.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al rimborso di Euro 8.000,00, a titolo di compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonché al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del D.P.R. 115/2002, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell'importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile della Corte Suprema di cassazione, il 3 giugno 2025.
Depositata in Cancelleria il 17 settembre 2025.