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Dirigente incapace di coordinare, è legittimo il licenziamento?

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.26609 del 02/10/2025

È legittimo il licenziamento di un dirigente per scarse capacità di coordinamento  anche senza una colpa grave o una violazione disciplinare?

In altri termini: può bastare una prestazione non all’altezza delle aspettative per giustificare la cessazione del rapporto?

La Sezione Lavoro della Cassazione, con l’ordinanza n. 26609 del 2 ottobre 2025, ha risposto affermativamente, confermando la legittimità del recesso quando l’inadeguatezza del dirigente compromette il rapporto fiduciario con l’azienda.

La vicenda

Il giudizio nasce dal licenziamento di un direttore generale di un’impresa, accusato di inefficace gestione e coordinamento del personale in una commessa estera in Svezia. L’azienda aveva contestato al dirigente la mancata traduzione dei documenti di gara e una istruttoria pre-gara superficiale, che avevano portato a errori nella stima dei costi e nell’organizzazione delle attività.

La Corte d’Appello di Roma aveva già escluso la giusta causa, riconoscendo tuttavia la giustificatezza del recesso, in quanto l’inadeguata gestione aveva inciso negativamente sull’andamento della struttura e sulla fiducia riposta nel dirigente. Il dirigente ricorre in Cassazione, sostenendo che il licenziamento fosse arbitrario e tardivo.

La normativa

La Cassazione ricorda che ai dirigenti non si applicano le tutele previste dalla legge n. 604/1966 e dallo Statuto dei lavoratori, ma la disciplina contrattuale della giustificatezza, concetto distinto sia dalla giusta causa (art. 2119 c.c.) sia dal giustificato motivo (art. 3, L. 604/1966).

  • La giusta causa presuppone una violazione così grave da rendere impossibile la prosecuzione anche provvisoria del rapporto.

  • La giustificatezza, invece, riguarda una ragione seria e obiettiva, che pur non essendo colpevole, rende non più adeguata la prosecuzione del rapporto, per la perdita di fiducia nel dirigente.

Il giudice deve quindi verificare che il recesso non sia arbitrario, ma fondato su elementi concreti che mostrino l’incapacità del dirigente di garantire la regia e il controllo richiesti dal suo ruolo.

La decisione della Corte

Nel caso esaminato, la Cassazione conferma la decisione della Corte d’Appello.

Il dirigente non aveva gestito in modo efficace la preparazione della gara, trascurando di coordinare l’attività di traduzione e di verifica dei documenti tecnici. Sebbene non vi fosse dolo o grave negligenza, la sua condotta aveva minato l’affidabilità e l’efficienza richieste dalla posizione apicale.

La Suprema Corte sottolinea che:

  • la contestazione disciplinare era stata tempestiva, valutata secondo il principio di immediatezza relativa, compatibile con la complessità della struttura aziendale;

  • la responsabilità non derivava dal fatto altrui, ma dal mancato coordinamento e dalla mancata supervisione delle attività da lui stesso dirette;

  • la valutazione unitaria delle carenze organizzative era sufficiente per riconoscere la giustificatezza del recesso.

Conclusione

La pronuncia in esame ribadisce che la giustificatezza e la giusta causa sono categorie autonome. Per i dirigenti, il licenziamento può fondarsi su carenze di performance, errori di gestione o incapacità organizzative, anche in assenza di una violazione disciplinare vera e propria.

Per le imprese, la decisione rappresenta un riferimento chiaro: è possibile recedere dal rapporto se l’inefficienza del dirigente è provata e incide sull’affidabilità complessiva della struttura.

Per i dirigenti, invece, emerge un messaggio netto: l’efficacia gestionale e la capacità di coordinamento sono parte integrante della professionalità richiesta e la loro mancanza può determinare la perdita del posto anche senza colpa grave.

Licenziamento disciplinare del dirigente – Giustificatezza del recesso – Differenza rispetto alla giusta causa – Non necessità di extrema ratio – Incrinatura del vincolo fiduciario

In tema di licenziamento disciplinare del dirigente, rilevando la giustificatezza del recesso che non si identifica con la giusta causa, a differenza di quanto avviene per i rapporti con la generalità dei lavoratori, il licenziamento non deve necessariamente costituire una extrema ratio, attuabile solo in presenza di situazioni così gravi da non consentire la prosecuzione neppure temporanea del rapporto, ma può conseguire a qualsiasi infrazione idonea a incrinare l’affidabilità e la fiducia che il datore di lavoro deve riporre nel dirigente.

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Cassazione civile sez. lav., ordinanza. 02/10/2025, (ud. 08/07/2025), n. 26609

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d'Appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa sede con la quale, in parziale accoglimento del ricorso proposto da Ur.Ma.per l'impugnativa del licenziamento intimatogli il 28.12.2018 dalla società Vi. Lavori, di cui era direttore generale, il licenziamento (disciplinare) era stato ritenuto privo di giusta causa, con condanna della società al pagamento dell'indennità di preavviso, ma assistito da giustificatezza, con rigetto della domanda di condanna al pagamento dell'indennità supplementare di cui alla disciplina collettiva

2. In sintesi, la Corte territoriale, nel rigettare l'appello principale del dirigente e l'appello incidentale della società, osservava che:

- la contestazione disciplinare, avente ad oggetto due addebiti connessi all'appalto per un'opera stradale in Svezia (mancata traduzione di documenti dallo svedese e insufficiente istruttoria pre-gara, sottostima dei costi di cantiere e del personale) era da considerare tempestiva, per i principi di relatività e di accertamento unitario regolanti la materia;

- non era ravvisabile giusta causa di recesso, per la molteplicità dei fattori influenzanti l'esito negativo della cd. commessa Svezia e il concorrente ruolo di numerosi soggetti, sia interni che esterni alla società, nelle fasi di previsione ed esecuzione dell'appalto;

- tuttavia, la decisione della società di recedere dal rapporto di lavoro per mancato adeguato coordinamento e indirizzo dell'attività di verifica e di studio dei documenti pre-gara non era arbitraria, in considerazione delle funzioni del dirigente di responsabile della proposta, qualunque condivise con l'AD, esercitate con una ritenuta certa dose di imperizia, non in linea con le responsabilità del ruolo ricoperto.

3. Avverso la sentenza d'appello l'ing. Ur.Ma. ha proposto ricorso per cassazione con sei motivi; ha resistito con controricorso la società; entrambe le parti hanno depositato memorie; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell'ordinanza;

CONSIDERATO CHE

1. Con il primo motivo, parte ricorrente deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione o falsa applicazione dell'art. 7 Stat. Lav. con riguardo all'eccezione di tardività del "primo" dei due addebiti, contestato con lettera 10.12.2018, trattandosi di fatti del 2016.

2. Il motivo non è fondato.

3. Come noto alle parti, la disciplina limitativa del potere di licenziamento di cui alle leggi n. 604/1966 e n. 300/1970 non è applicabile, ai sensi dell'art. 10 della legge n. 604/1966, ai dirigenti, e, ai fini dell'eventuale riconoscimento dell'indennità supplementare prevista per la categoria suddetta, occorre fare riferimento alla nozione contrattuale di giustificatezza che si discosta, sia nel piano soggettivo che su quello oggettivo, da quello di giustificato motivo ex art. 3, legge n. 604/1966, e di giusta causa ex art. 2119 c.c., trovando la sua ragione d'essere, in particolare, nel rapporto fiduciario che lega il dirigente al datore di lavoro in ragione delle mansioni affidate - suscettibile di essere leso anche da mera inadeguatezza rispetto ad aspettative riconoscibili ex ante o da importante deviazione dalla linea segnata dalle direttive generali del datore di lavoro (Cass. n. 27199/2018, n. 25145/2010).

4. Atteso che il potere disciplinare è un diritto potestativo contrattuale del datore di lavoro, e che l'esercizio di tale potere, che lo pone in una posizione non paritetica rispetto al lavoratore, deve essere improntato ai canoni di correttezza e buona fede, ciò significa anche che esso va esercitato nel rispetto di alcuni presupposti imprescindibili che lo legittimano, quali appunto l'immutabilità della contestazione e la sua tempestività.

5. Peraltro, costituisce valutazione riservata al giudice del merito l'apprezzamento in concreto del rispetto del principio dell'immediatezza della contestazione, principio da intendersi in senso relativo, dovendosi dare conto delle ragioni che possono cagionare il ritardo, quali il tempo necessario per l'accertamento dei fatti o la complessità della struttura organizzativa dell'impresa (v. Cass. n. 281/2016, n. 16841/2018, n. 29332/2022).

6. Muovendosi sul sottile, ma chiaro, crinale di confine tra recesso privo di giusta causa e recesso assistito da giustificatezza in materia di licenziamento del dirigente, la Corte di Roma è pervenuta alla valutazione che la dimostrazione di una violazione di rilievo disciplinare su due contestate, tenuto conto della sua portata, nonché dello specifico ruolo e della responsabilità del dirigente, non integrasse una situazione di fatto tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto, con conseguente difetto di giusta causa del recesso; contestualmente ha ritenuto che tale violazione mettesse comunque in crisi la fiducia sul futuro corretto adempimento del ruolo dirigenziale attribuito in relazione alle direttive aziendali, e che quindi il recesso non fosse privo di giustificatezza.

7. Si tratta di una valutazione del caso concreto all'interno dei parametri di legge (costituenti clausole elastiche), conforme al loro ambito di applicazione e rispondente a criteri di ragionevolezza e di adeguata motivazione, avendo i giudici di merito proceduto a una valutazione unitaria del comportamento in relazione agli obiettivi dirigenziali. Si tratta, altresì, di valutazione del requisito dell'immediatezza relativa della contestazione conforme alla giurisprudenza di legittimità consolidata in materia, che pertanto resiste alle censure svolte con il motivo in esame (cfr. Cass. n. 88/2023, n. 23278/2023).

8. Con il secondo motivo, parte ricorrente denuncia (art. 360, n. 4, c.p.c.) nullità della sentenza per violazione dell'art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., sostenendo che, in punto di asserita giustificatezza del licenziamento, la Corte territoriale è incorsa nel vizio di motivazione costituzionalmente rilevante, attesa la totale mancanza di ogni riferimento e confronto con i motivi d'appello, facendo propria la sentenza di primo grado senza alcun esame critico delle specifiche censure.

9. Il motivo non è fondato.

10.Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull'esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. n. 9105/2017; conf. Cass, n. 20921/2019), restando il sindacato di legittimità sulla motivazione circoscritto alla sola verifica della violazione del cd. minimo costituzionale richiesto dall'art. 111, sesto comma, Cost. (Cass. S.U. n. 8053 e 8054/2014, n. 23940/2017, n.

16595/2019).

11.D'altra parte, il giudice di merito non è tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive (cfr. Cass. n. 11933/2003, n. 12362/2006, n. 17097/2010, n. 16056/2016, n. 19011/2017). Né, con il ricorso per cassazione, la parte può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate nel merito, poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti in tale sede è preclusa in sede di legittimità (Cass. n. 29404/2017).

12.Con il terzo motivo, parte ricorrente censura la sentenza impugnata (art. 360, n. 5, c.p.c.), in via subordinata rispetto al secondo motivo, per violazione dell'art. 7 Stat. Lav., per genericità dell'addebito e mancata contestazione di condotte integranti responsabilità per fatto altrui; sostiene che la contestazione non conteneva alcun riferimento a mancati controlli dell'attività altrui, non indicava quali fossero i documenti di gara non tradotti, né a quali contestazioni da parte del committente intendesse riferirsi la società datrice, né di quale natura e quando articolate.

13.Il motivo è inammissibile.

14.Avendo la Corte d'Appello confermato integralmente le statuizioni di primo grado, è integrata ipotesi di cd. doppia conforme rilevante ai sensi dell'art. 360, comma 4, c.p.c., che stabilisce che, quando la pronuncia di appello conferma la decisione di primo grado per le stesse ragioni, inerenti ai medesimi fatti posti a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui all'art. 360, primo comma, nn. 1), 2), 3), 4), c.p.c.; ricorre l'ipotesi di "doppia conforme", con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 368a comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (v. Cass. n. 29715/2018, n. 7724/2022, n. 5934/2023, n. 26934/2023);

15.Con il quarto motivo, la sentenza d'appello viene censurata, ai sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c., per violazione o falsa applicazione dell'art. 2049 c.c., sempre in via subordinata rispetto al secondo motivo di censura con riguardo al "primo" addebito (mancata traduzione in inglese dei documenti di gara da parte dell'Ufficio Gare) fondato su "posizione apicale", "ruolo ricoperto" di "dirigente generale" (rectius: direttore generale); si sostiene erronea estensione all'ambito disciplinare dell'art. 2049 c.c., che attribuisce a carico di un datore di lavoro responsabilità, patrimoniale e non disciplinare, per fatto altrui, solo per i pregiudizi arrecati da un dipendente e non anche a carico di un altro dipendente sol perché sovraordinato rispetto a chi ha commesso il fatto.

16.Con il quinto motivo, viene dedotta (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione o falsa applicazione dell'art. 7 legge n. 300/1970 o dell'art. 2 legge n. 604/1966, in via subordinata rispetto al secondo e al quarto motivo, con riferimento alla responsabilità (a titolo di culpa in vigilando) per comportamenti altrui implicante elementi di fatto totalmente nuovi rispetto alla pretesa omissione della attività di traduzione documentale contestata e comunque violazione del principio di immodificabilità dei motivi di recesso e, quindi, dell'art. 2 legge 604/1966.

17.Con il sesto motivo si denuncia (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione o falsa applicazione degli artt. 2104 e 2106 c.c., in via subordinata rispetto al secondo e al quarto motivo, assumendo che la sentenza viola il principio di imputabilità (o colpevolezza) su cui si fonda la responsabilità disciplinare, che esclude ogni responsabilità se l'illecito lamentato non è ascrivibile ad un comportamento quantomeno colpevole del dipendente.

18.I motivi, da trattare congiuntamente per connessione, non sono fondati.

19. La Corte d'Appello non ha affermato che il dirigente è responsabile di tutto quello che fanno (o non fanno) i dipendenti che a lui rispondono; ha però affermato che, in questo caso, il dirigente, nelle sue funzioni di responsabile di gara, non aveva coordinato e adeguatamente indirizzato l'attività di verifica e di studio dei documenti relativi alla cd. "commessa svedese", cioè non aveva svolto con la particolare perizia richiesta i compiti di monitoraggio e coordinamento connessi alla funzione di proposal manager.

20. La responsabilità dirigenziale nel caso concreto è stata dunque ricondotta alle attività poste in essere dalla struttura dal dirigente diretta e dal dirigente consapevolmente fatte proprie, con accertamento in fatto conforme nel doppio grado di merito, procedendo, come già sopra evidenziato, a una valutazione unitaria del comportamento in relazione agli obiettivi dirigenziali.

21.Ai fini della "giustificatezza" del licenziamento del dirigente, infatti, non è necessaria una analitica verifica di specifiche condizioni, ma è sufficiente una valutazione globale,

che escluda l'arbitrarietà del recesso, in quanto intimato con riferimento a circostanze idonee a turbare il rapporto fiduciari con il datore di lavoro, nel cui ambito rientra l'ampiezza di poteri attribuiti al dirigente (cfr. Cass. n. 34736/2019, n. 6110/2014; v. anche Cass. n. 22318/2023, n. 88/2023 cit., n. 2075/2025; cfr., inoltre, Cass. n. 381/2023, con cui è stato precisato che, in tema di licenziamento disciplinare del dirigente, rilevando la giustificatezza del recesso che non si identifica con la giusta causa, a differenza di quanto avviene relativamente ai rapporti con la generalità dei lavoratori, il licenziamento non deve necessariamente costituire una extrema ratio, da attuarsi solo in presenza di situazioni così gravi da non consentire la prosecuzione neppure temporanea del rapporto, e allorquando ogni altra misura si rivelerebbe inefficace, ma può conseguire ad ogni infrazione che incrini l'affidabilità e la fiducia che il datore di lavoro deve riporre sul dirigente).

22. La sentenza impugnata, che ha sussunto gli accertamenti in fatto svolti nell'ambito dei principi testé ricordati, resiste perciò alle critiche oggetto dei motivi in esame, perché le censure della parte finiscono con il richiedere la rivalutazione in fatto dei dati valutati dal giudice di merito, esprimendo in sostanza un mero dissenso motivazionale, che non inficia la legittimità della sentenza impugnata, atteso che tale operazione di rivalutazione in fatto fuoriesce dal perimetro del giudizio di legittimità (v. Cass. n. 8758/2017, n. 29404/2017, n. 18721/2018, n. 20814/2018, n. 1229/2019, S.U. n. 34476/2019, n. 15568/2020, S.U. 20867/2020, n. 5987/2021, n. 20553/2021, n. 6774/2022, n. 36349/2023).

23.In ragione della soccombenza parte ricorrente deve essere condannata alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore di parte controricorrente, liquidate come da dispositivo.

24.Al rigetto dell'impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 10.000 per compensi, Euro 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell'Adunanza camerale dell'8 luglio 2025.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2025.

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