Il passeggero che non indossa la cintura di sicurezza non ha diritto al risarcimento se le lesioni derivano direttamente dalla mancata protezione.
La Cassazione, con l’ordinanza n. 26656 del 4 ottobre 2025, ha escluso la responsabilità del veicolo antagonista richiamando l’art. 172 del Codice della strada e l’art. 1227 c.c.
La questione
Può il passeggero trasportato, che non indossa la cintura di sicurezza, pretendere il risarcimento dei danni dal veicolo antagonista quando le lesioni sono conseguenza diretta della propria condotta?
Il caso
Un passeggero, coinvolto in un incidente stradale, riportava gravi lesioni. Pur essendo disponibile il dispositivo di ritenuta, non lo indossava al momento dell’urto. I giudici di merito avevano riconosciuto il risarcimento, attribuendo la responsabilità principale al conducente del veicolo antagonista.
Le norme rilevanti
L’art. 172 del Codice della strada obbliga i passeggeri a indossare la cintura di sicurezza.
L’art. 1227, comma 1, c.c., stabilisce che il risarcimento è escluso o ridotto se il danno è cagionato anche dal fatto colposo del danneggiato.
La decisione della Cassazione
La Corte di cassazione ha accolto il ricorso dell’assicurazione del veicolo antagonista. I giudici di legittimità hanno affermato che l’omessa utilizzazione della cintura di sicurezza integra un comportamento colposo idoneo a interrompere il nesso causale con la condotta del conducente. In questo caso, le lesioni erano dovute essenzialmente alla mancata protezione, sicché il risarcimento è stato negato.
Le conseguenze
La pronuncia ribadisce che il mancato utilizzo della cintura di sicurezza può condurre alla riduzione o all’esclusione totale del diritto al risarcimento. Viene così rafforzato l’orientamento giurisprudenziale che valorizza il concorso di colpa del danneggiato, fino a renderlo esclusivo.
Indossare la cintura di sicurezza non è solo un obbligo normativo, ma anche una condizione essenziale per non pregiudicare il diritto al risarcimento. In caso di incidente, la prova del nesso causale tra omissione e danno è determinante per l’esito della domanda risarcitoria.
Cassazione civile, sez. III, ordinanza 03/10/2025 (ud. 28/05/2025) n. 26656
FATTI DI CAUSA
1. Ta.El. ricorre, sulla base di cinque motivi, per la cassazione della sentenza n. 2804/21, del 16 febbraio 2021, del Tribunale di Roma, che - respingendone il gravame avverso la sentenza n. 428/16, del Giudice di pace della stessa città - ha confermato il rigetto della domanda risarcitoria dallo stesso proposta nei confronti De.Ri. e della società InChiaro Assicurazioni Spa (poi divenuta HDI Assicurazioni Spa), in relazione al sinistro stradale occorsogli in Ostia, il 14 ottobre 2009, nella qualità di terzo trasportato a bordo della vettura di proprietà di Ca.Si., condotta, nell'occasione, da tale Ca.Ol..
2. Riferisce, in punto di fatto, l'odierno ricorrente di aver adito l'autorità giudiziaria per conseguire il ristoro dei danni subiti a seguito dell'incidente verificatosi - nelle circostanze di tempo e di luogo sopra meglio descritte - all'esito di una collisione tra la vettura di proprietà (e condotta) da De.Ri. e quella a bordo della quale egli viaggiava. Lamentando, in particolare di aver riportato lesioni personali consistite in "trauma cranico, frattura ossa nasali, trauma distorsivo caviglia dx, distrazione rachide cervicale", egli conveniva in giudizio De.Ri. - che rimaneva contumace - e il suo assicuratore per la "RCA", divenuto in corso di causa HDI Assicurazioni (d'ora in poi, "HDI").
Il primo giudice, tuttavia, respingeva la domanda risarcitoria, addebitando al conducente del veicolo sul quale viaggiava l'attore l'esclusiva responsabilità del sinistro, e ciò sul presupposto che costui avesse impegnato, "a velocità non commisurata al luogo", un "incrocio nel centro abitato urbano in orario notturno".
Esperito gravame dall'attore soccombente, il giudice d'appello, dato previamente corso alla consulenza tecnica d'ufficio che non era stata, invece, disposta in primo grado, rigettava l'impugnazione. A tale esito esso perveniva - pur ritenendo che la responsabilità della collisione fosse da addebitare, nella pari misura del 50%, a entrambi i conducenti (dato che De.Ri. risultava non aver rispettato il segnale di "stop" esistente "in loco") - sul rilievo che "la causa unica esclusiva efficiente del verificarsi delle lesioni" patite da Ta.El. andasse "ascritta al mancato uso delle cinture di sicurezza" da parte dello stesso. Riteneva, infatti, il secondo giudice "che i due comportamenti negligenti tenuti dai conducenti" dovessero recedere "nella dinamica complessiva dell'evento dannoso a mere occasioni non determinanti in termini giuridici l'avveramento dell'evento dannoso specifico derivato solo ed esclusivamente dal mancato uso della cintura di sicurezza", oggetto di un "obbligo primario incombente sul soggetto trasportato sul veicolo".
3. Avverso la sentenza del Tribunale capitolino ha proposto ricorso per cassazione Ta.El., sulla base - come detto - di cinque motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia - ex art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. - violazione degli artt. 112,115 e 132, comma 1, n. 4), cod. proc. civ., "per aver il Tribunale di Roma omesso l'esame di fatti decisivi per la decisione, oggetto di discussione fra le parti". Si tratterebbe, per l'esattezza, di fatti inerenti "al mancato utilizzo dei sistemi di ritenzione (cinture di sicurezza)" da parte di esso Ta.El., "al mancato accertamento di compatibilità ad opera del C.T.U.", nonché "all'omessa deduzione in merito da parte del ricorrente ed all'individuazione delle lesioni subite".
Si censura la sentenza impugnata là dove afferma che "sussiste una responsabilità primaria del trasportato in quanto non aveva indossata la cintura di sicurezza", e ciò perché le lesioni riportate dallo stesso "sono ubicate essenzialmente al setto nasale". Difatti, secondo il giudice d'appello, quantunque la consulenza tecnica d'ufficio non avesse "espressamente discusso la questione della compatibilità delle lesioni con l'uso o meno della cintura di sicurezza", costituirebbe circostanza "di notoria comune conoscenza umana" il fatto che un soggetto, "presente sul sedile anteriore lato passeggero di un autoveicolo", in tanto può esser gravato da lesioni al setto nasale, in quanto non abbia allacciato la cintura di sicurezza. Orbene, Ta.El. - sempre secondo la sentenza impugnata - "sul punto nulla ha dedotto in concreto in termini controfattuali onde consentire di giungere ad un diverso apprezzamento e valutazione del caso in esame", ed in particolare circa il fatto "che le lesioni si sarebbero comunque prodotte anche in presenza di allaccio regolare della cintura di sicurezza".
In realtà, sostiene il ricorrente, nessuna "di tali considerazioni risulta fondata e, per quel che qui interessa" (e cioè ai fini della censura ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.), "tutte furono oggetto di - diversa - discussione fra le parti, neppure accennata ed in taluni casi negata, dal magistrato".
3.2. Il secondo motivo denuncia - ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. - "violazione degli artt. 112,115,191 e ss.gg. cod. proc. civ.", oltre che dell'art. 183 cod. proc. civ.
Si censura la sentenza impugnata "per aver il Tribunale di Roma omesso di - correttamente - esaminare e di conformarsi alla C.T.U. svolta in contraddittorio e non oggetto di alcuna contestazione", o, in subordine, di convocare l'ausiliario a chiarimenti, o, infine, di dichiarare nulla la consulenza, e ciò alla luce della "statuizione di mancato riscontro ad un quesito", rivelatosi "fulcro portante della decisione di rigetto" della domanda, ovvero la "compatibilità delle lesioni con l'uso della cintura di sicurezza", e ciò "senza neppure sottoporre alle parti la trattazione sul punto".
Si assume l'illegittimità della decisione consistita nel ravvisare la causa esclusiva delle lesioni nel mancato uso della cintura di sicurezza, avendo in consulente tecnico d'ufficio "esaustivamente accertato la compatibilità fra lesioni e l'uso dei sistemi di sicurezza e non avendolo il magistrato convocato a chiarimenti e/o dichiarata nulla la C.T.U., oppure, in estremo subordine, concesso la discussione fra le parti sul punto".
3.3. Il terzo motivo denuncia - ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), cod. proc. civ. - violazione degli artt. 112,115 e 132, comma 2, n. 4), cod. proc. civ., "per aver il Tribunale di Roma rigettato la domanda risarcitoria nonostante la "non contestazione della compagnia"" (giacché essa "richiedeva un concorso di colpa" del trasportato e nulla di più). Si addebita alla sentenza impugnata "un ragionamento illogico, incongruo ed illegittimo, tale da rendere la pronuncia non corrispondente al chiesto o, in subordine, nulla/apparente, per aver negato integralmente il risarcimento danni come richiesto, ex artt. 2054 e 2055 cod. civ., ad un trasportato rimasto vittima di sinistro stradale avvenuto per pari colpa fra i due conducenti antagonisti"; esito raggiunto "esclusivamente per il - presunto ed errato - mancato utilizzo della cintura di sicurezza e la mancata citazione del vettore", con "l'aggravante" di aver negato il risarcimento "in un contesto ove la compagnia richiedeva la concorsualità".
Si evidenzia che le due pronunce di questa Corte, indicate dal Tribunale e sulle quali esso ha basato il rigetto della domanda risarcitoria, "riguardano sinistri stradali avvenuti senza alcun scontro, per colpa esclusiva del vettore che gareggiava in velocità, la prima, oppure che perdeva il controllo del proprio mezzo, la seconda", concernendo, quindi, casi "completamente differenti" da quello presente, "ove il sinistro stradale è avvenuto per corresponsabilità accertata al 50% del resistente". Inoltre, i due precedenti richiamati hanno "riconosciuto una corresponsabilità di chi ha causato il sinistro" (nella misura, rispettivamente, "dell'80% e del 75%"), con ciò "ponendo la residuale quota minoritaria a carico del trasportato per via della propria negligenza nel non indossare le cinture di sicurezza", senza, dunque, denegare il risarcimento.
3.4. Il quarto motivo denuncia - ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. - violazione degli artt. 1227,2043 e 2054 cod. civ., censurando la sentenza impugnata per aver "escluso totalmente il risarcimento del danno in favore del trasportato rimasto vittima di sinistro stradale avvenuto per pari colpa fra il vettore ed il conducente antagonista", e ciò sebbene il danneggiato non avesse "contribuito in modo esclusivo alla propria lesione avendo, quale unica - presunta e qui contestata - colpa di non aver allacciato le cinture di sicurezza".
Assume, infatti, il ricorrente che, in base alla "granitica" giurisprudenza di questa Corte, "il mancato uso della cintura di sicurezza, qualora accertato e dimostrato dal vettore o dalla di lui compagnia, non può che considerarsi "concausa" delle lesioni subite, le quali sono la - diretta - conseguenza del sinistro, potendo dare adito ad un concorso di colpa, minoritario, del danneggiato" (e citata Cass. Sez. 3, ord. 30 gennaio 2019, n. 2531), ma non certo ritenersi causa esclusiva delle lesioni.
3.5. Il quinto motivo denuncia - ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. - violazione degli artt. 112,115,132, comma 2, n. 4), 91 e 92 cod. proc. civ.
Si censura la decisione del Tribunale consistita nel rigetto del terzo motivo di gravame (con cui era stata lamentata la "erronea condanna alla refusione di spese di lite anticipate in primo grado in assenza di qualsivoglia anticipazione sia sostanziale che dimostrata"), assumendo che essa sarebbe affetta da "motivazione illogica ed inesistente, oltre che contraria alla normativa di riferimento e non corrispondete a quanto chiesto ed eccepito dalle parti".
Il primo giudice, infatti, aveva disposto la condanna di esso Ta.El. alla refusione delle spese del grado, liquidandole "in Euro. 500,00 (di cui Euro. 50,00 per spese)". Tale statuizione era stata censurata in appello, con iniziativa in relazione alla quale la stessa parte vittoriosa in primo grado si era limitata a rilevare la possibilità del ricorso alla procedura di correzione dell'errore materiale per emendare tale statuizione. Per contro, il giudice di appello, in relazione a tale questione (ovvero, quella "degli Euro 50 per "spese" attribuite dal primo giudice") osservava "che verosimilmente esse attengono alla liquidazione delle spese generali 15% dovute per legge in conseguenza della soccombenza, anche se non espressamente dichiarato dal giudice". Senonché, osserva l'odierno ricorrente, tale affermazione "risulta errata", in quanto "il 15% di 450 (500-50 come statuito dal G.d.p.) non risulta essere 50, ma 67,50".
4. Ha resistito all'avversaria impugnazione, con controricorso, HDI, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
5. È rimasto solo intimato De.Ri..
6. La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell'art. 380-bis.1 cod. proc. civ., inizialmente per l'adunanza camerale dell'11 gennaio 2024, in vista della quale il ricorrente depositava memoria.
Con ordinanza interlocutoria n. 15482/24, del 3 giugno 2024, questa Corte rilevava non esservi prova dell'avvenuta notificazione del ricorso - avvenuta a mezzo posta - a De.Ri.. Invero, veniva rilevata la mancanza, agli atti del giudizio, dell'avviso di ricevimento della raccomandata, "documento, invece, indispensabile ai fini del perfezionarsi della notificazione, non essendo a tal fine sufficiente la prova dell'avvenuta spedizione, nella specie invece presente (si veda, in tal senso, Cass. Sez. Un., sent. 15 aprile 2021, n. 10012, Rv. 660953-01)".
Per tali ragioni, veniva ordinata la rinnovazione della notificazione (con rinvio del presente giudizio a nuovo ruolo), adempimento al quale il ricorrente ha ritualmente provveduto nei termini all'uopo fissati.
Ciò nonostante, il predetto De.Ri. è restato, egualmente, solo intimato.
7. In vista della presente adunanza sia il ricorrente che il controricorrente hanno presentato memoria.
8. Il Collegio si è riservato il deposito nei successivi sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
9. Il ricorso va accolto, nei limiti di seguito precisati, ovvero in relazione all'ultimo motivo.
9.1. I primi tre motivi di ricorso - suscettibili di disamina congiunta, data laro connessione - non sono fondati.
9.1.1. Infatti, deve osservarsi che il giudice d'appello non era vincolato alle risultanze della CTU, giacché "il principio "judex peritus peritorum" comporta non solo che il giudice di merito, per la soluzione di questioni di natura tecnica o scientifica, non abbia alcun obbligo di nominare un consulente d'ufficio, potendo ricorrere alle conoscenze specialistiche acquisite direttamente attraverso studi o ricerche personali, ma anche che egli, esaminando direttamente la documentazione su cui si basa la relazione del consulente tecnico, può disattenderne le argomentazioni, in quanto sorrette da motivazioni contraddittorie, o sostituirle con proprie diverse, tratte da personali cognizioni tecniche" (cfr. Cass. Sez. 1, sent. 21 dicembre 2017, n. 30733, Rv. 646659-01).
Tanto premesso, è altrettanto innegabile che il giudice d'appello avesse pure il potere/dovere di accertare la "causa prossima di rilievo" dell'evento dannoso, a norma dell'art. 1227, comma 1, cod. civ., indipendentemente da quanto dedotto della società HDI.
Difatti, "l'art. 1227, comma 1, cod. civ. (applicabile anche in tema di responsabilità extracontrattuale per il richiamo contenuto nell'art. 2056 dello stesso codice), nello stabilire che il risarcimento non è dovuto per i danni causati dal comportamento colposo del danneggiato, obbliga con ciò stesso il giudice ad accertare tutti i fattori causali, così da imporgli di indagare d'ufficio sull'eventuale concorso di colpa del danneggiato e sulla sua incidenza in ordine alla genesi del danno" (Cass. Sez. 3, sent. 9 novembre 2005, n. 21686, Rv. 584458-01), giacché l'ipotesi contemplata da tale norma "non concretando un'eccezione in senso proprio, ma una semplice difesa, dev'essere esaminata e verificata dal giudice anche d'ufficio, attraverso le opportune indagini sull'eventuale sussistenza della colpa del danneggiato e sulla quantificazione dell'incidenza causale dell'accertata negligenza nella produzione dell'evento dannoso, indipendentemente dalle argomentazioni e richieste formulate dalla parte; pertanto, anche il giudice d'appello può valutare d'ufficio tale concorso di colpa nel caso in cui il danneggiante si limiti a contestare "in toto" la propria responsabilità" (Cass. Sez. 3, sent. 22 marzo 2011, n. 6529, Rv. 617423-01; in senso analogo Cass. Sez. 3, sent. 10 novembre 2009, n. 23734, Rv. 610120-01; Cass. Sez. 3, ord. 2 aprile 2021, n. 9200, Rv. 661071- 01).
9.2. Anche il quarto motivo non è fondato.
9.2.1. Impone, per vero, tale conclusione la constatazione che l'odierno ricorrente ebbe a radicare il giudizio risarcitorio non nei confronti del proprietario e del conducente del veicolo a bordo del quale egli viaggiava, bensì nei riguardi solo del proprietario/conducente del veicolo antagonista, nonché del suo assicuratore per la "RCA".
Non trova, dunque, applicazione la giurisprudenza di questa Corte secondo cui, "qualora la messa in circolazione dell'autoveicolo in condizioni di insicurezza (e tale è la circolazione senza che il trasportato abbia allacciato le cinture di sicurezza), sia ricollegabile all'azione o omissione, non solo del trasportato, ma anche del conducente (il quale prima di iniziare o proseguirla la marcia deve controllare che essa avvenga in conformità delle normali norme di prudenza e sicurezza), fra costoro si è formato il consenso alla circolazione medesima con consapevole partecipazione di ciascuno alla condotta colposa dell'altro ed accettazione dei relativi rischi; pertanto si verifica un'ipotesi di cooperazione nel fatto colposo, cioè di cooperazione nell'azione produttiva dell'evento (diversa da quella in cui distinti fatti colposi convergano autonomamente nella produzione dell'evento)" (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 10 giugno 2020, n. 11095, Rv. 658149-01). Solo in tale situazione, quindi, "a parte l'eventuale responsabilità verso terzi ex art. 2054 cod. civ., deve ritenersi risarcibile, a carico del conducente del suddetto veicolo e secondo la normativa generale degli artt. 2043,2056,1227 cod. civ., anche il pregiudizio all'integrità fisica che il trasportato abbia subito in conseguenza dell'incidente, tenuto conto che il comportamento dello stesso, nell'ambito dell'indicata cooperazione, non può valere ad interrompere il nesso causale fra la condotta del conducente ed il danno, né ad integrare un valido consenso alla lesione ricevuta, vertendosi in materia di diritti indisponibili" (Cass. Sez. 3, ord. n. 11095 del 2020, cit.; nello stesso già, tra le altre, Cass. Sez. 3, sent. 14 marzo 2017, n. 6481, Rv. 643408-01; Cass. Sez. 3, sent. 13 maggio 2011, n. 10526, Rv. 618201-01).
Diversa è, però, la presente fattispecie, giacché - come si notava - la pretesa risarcitoria s'indirizza solo nei confronti del proprietario/conducente del veicolo antagonista, unico convenuto in giudizio; sicché ben può verificarsi, in questo caso, che la condotta colposa ascritta allo stesso danneggiato, e consistita nel mancato uso della cintura di sicurezza (condotta alla quale il convenuto è rimasto, per definizione, estraneo), possa esaurire l'intera efficienza causale del danno subito, a condizione che sia dimostrato - in base ad un accertamento di fatto, non sindacabile in questa sede - che l'impiego di tale strumento di protezione avrebbe neutralizzato le conseguenze del sinistro.
9.3. Il quinto e ultimo motivo è, invece, fondato.
9.3.1. Erra il giudice d'appello nel ritenere che, a fronte di una condanna alle spese di lite comminata dal primo giudice per complessivi Euro 500,00, dei quali Euro 50,00 per spese, questi ultimi corrispondessero alle spese generali, ovvero al 15% dei compensi: ciò equivarrebbe, infatti, a ritenere i compensi pari alla differenza tra i due importi, e dunque ad Euro 450,00.
Per contro, il 15% di Euro 450,00 ammonta ad Euro 67,50, sicché l'importo complessivo da porre a carico della parte soccombente, quali spese di lite, all'esito del primo grado di giudizio, era pari a Euro 517,50.
Il motivo, dunque, merita accoglimento.
10. In conclusione, il ricorso va accolto in relazione al suo quinto motivo e la sentenza impugnata cassata in relazione.
11. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito ex art. 384, comma 2, ultima parte, cod. proc. civ., sicché questa Corte, accogliendo l'appello di Ta.El. solo in relazione al motivo di gravame che contestava il computo delle spese del primo grado di giudizio, così provvede: condanna Ta.El. a corrispondere ad HDI Assicurazioni Spa le spese del giudizio di primo grado, liquidate in Euro 450 per compensi, oltre Euro 67,50 per spese generali, più IVA e CPA come per legge, compensando nella misura del 50% le spese del giudizio d'appello, costituendo giusto motivo, ex art. 92, comma 2, cod. proc. civ., il parziale accoglimento del gravame, così liquidandole, sempre in favore di HDI Assicurazioni Spa, in Euro 1.620,00, per compensi, da ridursi in Euro 810,00, oltre spese generali nella misura del 15% ed IVA e CPA come per legge.
12. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno compensate nella misura del 50%, costituendo giusto motivo, ex art. 92, comma 2, cod. proc. civ., il parziale accoglimento del ricorso; spese da liquidarsi come da dispositivo.
13. Infine, per la natura della causa petendi, va di ufficio disposta l'omissione, in caso di diffusione del presente provvedimento, delle generalità e degli altri dati identificativi del ricorrente, ai sensi dell'art. 52 del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, rigettando per il resto, sicché cassa in relazione la sentenza impugnata e decidendo nel merito così provvede: accoglie parzialmente l'atto di appello di Ta.El., rideterminando le spese del giudizio di primo grado, in Euro 450 per compensi, oltre Euro 67,50 per spese generali, più IVA e CPA come per legge, compensando nella misura del 50% le spese del giudizio d'appello che liquida, in Euro 1.620,00, per compensi, da ridursi in Euro 810,00, oltre spese generali nella misura del 15% ed IVA e CPA come per legge.
Condanna Ta.El. a rifondere ad HDI Assicurazioni Spa le spese del presente giudizio di legittimità, compensandole per la metà, così liquidandole in Euro 1.800,00 per compensi, da ridursi in Euro 900,00, più Euro 200,00, per esborsi, da ridursi in Euro 100,00, più IVA e CPA come per legge.
Dispone che, ai sensi dell'art. 52 del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, in caso di diffusione del presente provvedimento siano omessi generalità ed altri dati identificativi del ricorrente.
Così deciso in Roma, all'esito dell'adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, svoltasi il 28 maggio 2025.
Depositata in Cancelleria il 3 ottobre 2025.