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IMU: cortili e giardini vanno tassati come aree edificabili?

Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.26673 del 03/10/2025

Cortili, giardini e aree scoperte contigue all’abitazione, quando urbanisticamente edificabili, non sono automaticamente pertinenze ai fini IMU.

La sezione Tributaria sella Cassazione, con la sentenza n. 26673 del 3 ottobre 2025, afferma che le aree urbane rientranti nelle categorie fittizie del gruppo “F” (c.d. aree urbane) hanno, ai fini IMU, la natura di “aree fabbricabili” (art. 5, c. 5, d.lgs. 504/1992, richiamato dall’art. 13, d.l. 201/2011).

L’esclusione da imposizione per pertinenza opera solo se il vincolo è oggettivo, stabile e incompatibile con qualunque edificazione autonoma, e se provato dal contribuente.

La questione

Quando cortili, giardini e aree scoperte adiacenti a un’abitazione possono essere esclusi dall’IMU come pertinenze e quando, invece, devono essere tassati come aree edificabili valutate in base al valore venale in comune commercio?

Il caso

Il Comune di Genova aveva negato il rimborso IMU richiesto da una cooperativa per una “area urbana” (categoria fittizia del gruppo F, rendita nulla) annessa a un piccolo locale-deposito. In appello il rimborso era stato accolto solo perché la rendita era zero. La Cassazione ha però cassato la sentenza chiarendo che assenza di rendita e classamento F non bastano a escludere l’imponibilità: se l’area è edificabile secondo la pianificazione urbanistica, resta soggetta a IMU.

Le regole in materia

Ai fini IMU, le aree edificabili si tassano sul valore venale (art. 5, c. 5, d.lgs. 504/1992; art. 13, d.l. 201/2011). L’edificabilità rileva per come risulta dal piano regolatore generale, anche se non definitivamente approvato o privo di piani attuativi, considerando l’attualità delle potenzialità edificatorie e gli oneri connessi.

Le categorie “F” (tra cui le aree urbane) servono all’identificazione catastale e non comportano esenzione IMU. Quanto alle pertinenze (art. 817 c.c.), l’esclusione dall’imposta richiede un vincolo oggettivo, stabile e funzionalmente necessario, tale da rendere incompatibile ogni edificazione autonoma. La prova di tale vincolo spetta al contribuente.

Infine, per i tributi locali non vige, di norma, un contraddittorio preventivo ai sensi dell’art. 12, c. 7, Statuto del contribuente, salvo accessi in loco o specifiche previsioni legislative.

La decisione della Corte

Nel caso genovese, la classificazione catastale fittizia e la rendita nulla non hanno escluso l’IMU. L’area urbana doveva essere considerata edificabile perché inserita in una zona a potenziale edificabilità. La cooperativa non ha dimostrato l’esistenza di un vincolo pertinenziale stabile, né lo aveva dichiarato ai fini IMU. Di conseguenza, la Cassazione ha confermato il diniego di rimborso.

Conclusioni

Per i contribuenti, cortili, giardini, piazzali e aree di manovra contigue all’abitazione possono essere soggetti a IMU come aree edificabili se il piano urbanistico consente, anche solo potenzialmente, la costruzione. Per ottenere l’esclusione come pertinenze, occorrono prove concrete: opere o vincoli che rendano non edificabile il suolo, atti di asservimento, o titoli edilizi che documentino l’uso strettamente funzionale all’abitazione.

Per i Comuni, la decisione rafforza la possibilità di tassare le aree scoperte contigue, qualificandole come aree fabbricabili. La stima del valore venale deve tener conto di indici urbanistici, destinazioni d’uso e oneri connessi, valutando l’effettiva potenzialità edificatoria.

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Cassazione civile sez. trib., sentenza 03/10/2025 (ud. 17/09/2025) n. 26673

FATTI DI CAUSA

1. Il Comune di Genova ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale per la Liguria il 21 marzo 2019, n. 409/3/2019, che, in controversia su impugnazione del provvedimento reso dal medesimo Comune il 4 marzo 2016, n. 77173, che aveva respinto l'istanza presentata dalla "COOP. (Omissis) a r.l." il 24 dicembre 2015 per il parziale rimborso dell'IMU versata nell'anno 2014, nella misura di Euro 4.492,00, in relazione alla proprietà di un'area sita in Genova – Frazione Sestri – Località Bressanone, estesa circa mq. 12.000 e censita al NCT del medesimo Comune, dopo che la stessa era stata oggetto di frazionamento catastale (all'esito di procedura DOCFA su domanda presentata il 20 agosto 2014) con la derivazione al NCEU di un locale adibito a deposito, esteso mq. 28 e censito con la particella (Omissis) del folio (Omissis), la categoria (Omissis) e la rendita di Euro 88,21 e di un'area urbana pertinenziale al predetto locale, estesa mq. 11.795 e censita con particella (Omissis)del folio (Omissis), la categoria (Omissis) e la rendita nulla, sul presupposto che quest'ultima dovesse considerarsi area edificabile secondo la pianificazione urbanistica e dovesse ancora scontare (in aggiunta all'importo già versato di Euro 4.492,00) una residua imposta di Euro 7.815,62, ha parzialmente accolto l'appello proposto dalla "COOP. (Omissis) a r.l." nei confronti del Comune di Genova avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria provinciale di Genova il 21 marzo 2017, n. 488/3/2017, con condanna alla rifusione delle spese giudiziali.

2. Il giudice di appello ha parzialmente riformato la decisione di prime cure - che aveva rigettato il ricorso originario della contribuente - nel senso di escludere la debenza dell'IMU per un altro immobile in riferimento al mese di luglio dell'anno 2014, in ragione del possesso per un periodo inferiore a quindici giorni dopo l'acquisto fattone il 17 gennaio 2014, e di riconoscere il rimborso dell'IMU per l'area urbana pertinenziale, in ragione dell'attribuzione di una rendita nulla in dipendenza della classificazione in categoria (Omissis).

3. La "COOP. (Omissis) a r.l." ha resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale condizionato avverso la medesima sentenza.

4. Le parti hanno depositato memorie illustrative.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso principale è affidato a tre motivi.

1.1 Con il primo motivo, si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1, comma 2, 2, comma 1, lett. b), e 5, commi 2 e 5, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., per essere stata affermata dal giudice di secondo grado la spettanza del rimborso sulla base della sola carenza di rendita per l'immobile classificato in categoria (Omissis).

1.2 Con il secondo motivo, si denuncia nullità della sentenza impugnata per violazione dell'art. 132, secondo comma, n. 4), cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., per essere stato accolto l'appello dal giudice di secondo grado con motivazione carente o apparente.

1.3 Con il terzo motivo, si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 11-quaterdecies, comma 16, del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, 2, comma 1, lett. b), del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, 26 della legge reg. Liguria 4 settembre 1997, n. 36, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., per non essere stata considerata dal giudice di secondo grado la destinazione urbanistica dell'area pertinenziale.

2. Ragioni di pregiudizialità logico-giuridica consigliano di invertire l'ordine di prospettazione dei motivi dedotti e di scrutinare in via prioritaria il secondo motivo del ricorso principale, giacché un esito fausto travolgerebbe la sentenza impugnata nella sua interezza.

3. Il secondo motivo del ricorso principale è infondato.

3.1 Come è noto l'art. 36, comma 2, n. 4), del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, sulla falsariga dell'art. 132, secondo comma, n. 4), cod. proc. civ. (nel testo modificato dall'art. 45, comma 17, della legge 18 giugno 2009, n. 69), dispone che la sentenza: "... deve contenere:... 4) la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione;...".

Per costante giurisprudenza di questa Corte, invero, la mancanza di motivazione, quale causa di nullità della sentenza impugnata, va apprezzata, tanto nei casi di sua radicale carenza, quanto nelle evenienze in cui la stessa si dipani in forme del tutto inidonee a rivelare la ratio decidendi posta a fondamento dell'atto, poiché intessuta di argomentazioni fra loro logicamente inconciliabili, perplesse od obiettivamente incomprensibili (tra le tante: Cass., Sez. 5, 30 aprile 2020, n. 8427; Cass., Sez. 6-5, 15 aprile 2021, n. 9975; Cass., Sez. Trib., 20 dicembre 2022, n. 37344; Cass., Sez. Trib., 18 aprile 2023, n. 10354; Cass., Sez. Trib., 22 maggio 2024, n. 14337; Cass., Sez. Trib., 5 marzo 2025, n. 5882).

Peraltro, si è in presenza di una tipica fattispecie di "motivazione apparente", allorquando la motivazione della sentenza impugnata, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente e, talora, anche contenutisticamente sovrabbondante, risulta, tuttavia, essere stata costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull'esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio, e quindi tale da non attingere la soglia del "minimo costituzionale" richiesto dall'art. 111, sesto comma, Cost. (tra le tante: Cass., Sez. 1, 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., Sez. 6-5, 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., Sez. 6-5, 7 aprile 2021, n. 9288; Cass., Sez. 5, 13 aprile 2021, n. 9627; Cass., Sez. 6-5, 24 febbraio 2022, n. 6184; Cass., Sez. Trib., 18 aprile 2023, n. 10354; Cass., Sez. Trib., 22 maggio 2024, n. 14337; Cass., Sez. Trib., 5 marzo 2025, n. 5882).

3.2 Nella specie, tuttavia, si può ritenere che la sentenza impugnata sia sufficiente o coerente sul piano della logica giuridica, contenendo un'adeguata illustrazione delle ragioni giustificatrici della decisione adottata in ordine alla conferma dell'atto impositivo (a prescindere dalla loro fondatezza in punto di diritto), laddove si è concluso che, considerando l'assenza di altri debiti per l'IMU relativa all'anno di riferimento e l'inerzia dell'ente impositore per la sollecitazione di un'eventuale revisione del classamento, la contribuente aveva diritto al rimborso per la quota imputabile all'area urbana classificata in categoria (Omissis) con attribuzione di rendita nulla (cioè, pari ad Euro 0).

4. Il primo motivo ed il terzo motivo del ricorso principale – la cui stretta ed intima connessione consiglia la trattazione congiunta per la comune attinenza alla questione della soggezione ad IMU degli immobili classificati in categoria (Omissis) – sono fondati.

4.1 Per quanto concerne l'ICI, in base all'art. 5, commi 2, 5 e 7, del D.L.gs. 30 dicembre 1992, n. 504: "2. Per i fabbricati iscritti in catasto, il valore è costituito da quello che risulta applicando all'ammontare delle rendite risultanti in catasto, vigenti al 1 gennaio dell'anno di imposizione, i moltiplicatori determinati con i criteri e le modalità previsti dal primo periodo dell'ultimo comma dell'articolo 52 del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 196, n. 131.... 5. Per le aree fabbricabili, il valore è costituito da quello venale in comune commercio al 1 gennaio dell'anno di imposizione, avendo riguardo alla zona territoriale di ubicazione, all'indice di edificabilità, alla destinazione d'uso consentita, agli oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, ai prezzi medi rilevati sul mercato dalla vendita di aree aventi analoghe caratteristiche.... 7. Per i terreni agricoli, il valore è costituito da quello che risulta applicando all'ammontare del reddito dominicale risultante in catasto, vigente al 1 gennaio dell'anno di imposizione, un moltiplicatore pari a settantacinque".

L'art. 13, comma 3, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha richiamato l'art. 5, comma 5, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, per la determinazione della base imponibile delle aree fabbricabili anche ai fini della liquidazione dell'IMU.

Tuttavia, i commi 4 e 5 della medesima disposizione hanno dettato una diversa regolamentazione con riguardo ai fabbricati e ai terreni agricoli, stabilendo che: "4. Per i fabbricati iscritti in catasto, il valore è costituito da quello ottenuto applicando all'ammontare delle rendite risultanti in catasto, vigenti al 1 gennaio dell'anno di imposizione, rivalutate del 5 per cento ai sensi dell'articolo 3, comma 48, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, i seguenti moltiplicatori:

a. 160 per i fabbricati classificati nel gruppo catastale A e nelle categorie catastali (Omissis), (Omissis), e (Omissis),, con esclusione della categoria catastale (Omissis),;

b. 140 per i fabbricati classificati nel gruppo catastale B e nelle categorie catastali (Omissis), (Omissis), e (Omissis),;

b-bis. 80 per i fabbricati classificati nella categoria catastale (Omissis),;

c. 80 per i fabbricati classificati nella categoria catastale (Omissis),;

d. 60 per i fabbricati classificati nel gruppo catastale D, ad eccezione dei fabbricati classificati nella categoria catastale (Omissis),; tale moltiplicatore è elevato a 65 a decorrere dal 1º gennaio 2013;

e. 55 per i fabbricati classificati nella categoria catastale (Omissis),.

5. Per i terreni agricoli, il valore è costituito da quello ottenuto applicando all'ammontare del reddito dominicale risultante in catasto, vigente al 1 gennaio dell'anno di imposizione, rivalutato del 25 per cento ai sensi dell'articolo 3, comma 51, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, un moltiplicatore pari a 135. Per i terreni agricoli, nonché per quelli non coltivati, posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola il moltiplicatore è pari a 110".

4.2 Ciò posto, per costante orientamento di questa Corte, in tema di ICI (come anche di IMU) l'edificabilità di un'area, ai fini dell'applicabilità del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale, deve essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall'approvazione dello stesso da parte della Regione e dall'adozione di strumenti urbanistici attuativi, fermo restando che l'inapplicabilità del criterio fondato sul valore catastale dell'immobile impone di tener conto, in concreto, della maggiore o minore attualità delle sue potenzialità edificatorie, nonché della possibile incidenza degli ulteriori oneri di urbanizzazione sul valore dello stesso in comune commercio (tra le tante: Cass., Sez. 5, 2 marzo 2018, n. 4952; Cass., Sez. 6-5, 3 aprile 2019, n. 9202; Cass., Sez. 5, 7 agosto 2019, n. 21080; Cass., Sez. 5, 10 marzo 2020, n. 6702; Cass. Sez. Un., 29 ottobre 2020, n. 23902; Cass., Sez. 5, 16 febbraio 2021, n. 3973; Cass., Sez. Trib., 1 dicembre 2022, n. 35436; Cass., Sez. Trib., 11 agosto 2023, n. 24547; Cass., Sez. Trib., 23 novembre 2023, n. 32662; Cass., Sez. Trib., 15 maggio 2024, n. 13462; Cass., Sez. Trib., 19 febbraio 2025, n. 4313).

Tale principio è stato specificamente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità anche per le aree classificate in categoria (Omissis), ritenendosi che l'edificabilità debba essere desunta dalle previsioni della pianificazione urbanistica (Cass., Sez. 6-5, 31 maggio 2018, n. 13820).

4.3 L'art. 54, lett. f), del "regolamento per la formazione del nuovo catasto edilizio urbano" di cui al D.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142, aveva previsto che la "scheda per la dichiarazione" al catasto edilizio urbano della proprietà immobiliare contenesse, ai fini dell'indicazione dell'unità immobiliare, le "aree scoperte od altre dipendenze annesse all'uso dell'unità immobiliare, precisando se esse sono comuni ad altre unità".

L'art. 15 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 650 (in materia di "Perfezionamento e revisione del sistema catastale"), aveva disposto che: "Ad integrazione e modifica di quanto è stabilito con la L. 11 agosto 1939, n. 1249, modificata con D.L. 8 aprile 1948, n. 514, e con il relativo regolamento approvato con D.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142, nel catasto edilizio urbano verranno anche iscritti, con indicazione della sola superficie, i lastrici solari nonché le aree scoperte di pertinenza o dipendenza delle unità immobiliari urbane. Gli uni e le altre dovranno essere dichiarate dagli interessati con le medesime modalità stabilite per la dichiarazione delle unità immobiliari urbane dalle norme di legge e di regolamento citate al comma precedente...".

Ai sensi dell'art. 3, comma 2, del D.M. 2 gennaio 1998, n. 28 (in materia di "Regolamento recante norme in tema di costituzione del catasto dei fabbricati e modalità di produzione ed adeguamento della nuova cartografia catastale"): "Ai soli fini della identificazione, ai sensi dell'articolo 4, possono formare oggetto di iscrizione in catasto, senza attribuzione di rendita catastale, ma con descrizione dei caratteri specifici e della destinazione d'uso, i seguenti immobili: a) fabbricati o loro porzioni in corso di costruzione o di definizione; b) costruzioni inidonee ad utilizzazioni produttive di reddito, a causa dell'accentuato livello di degrado; c) lastrici solari; d) aree urbane".

4.4 Sulla scorta di tali prescrizioni normative, la prassi amministrativa in materia catastale (in particolare, la circolare emanata dall'Agenzia del Territorio il 26 novembre 2001, n. 9/T) ha individuato il c.d. tipo "F" comprendente le c.d. "categorie fittizie", che sono destinate ad identificare quegli immobili che non producono reddito, ma che devono essere individuati in catasto per motivi di natura civilistica. Il gruppo annovera le seguenti categorie: a) (Omissis) - area urbana; b) (Omissis), - unità collabente; c) (Omissis), - unità in corso di costruzione; d) (Omissis), - unità in corso di definizione; e) (Omissis), - lastrico solare; f) (Omissis), - fabbricato in attesa di dichiarazione; g) (Omissis), - infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione. Pur non essendo previste nel quadro generale delle categorie, in quanto ad esse non è associabile una rendita, le categorie in questione sono state necessariamente introdotte per consentire l'iscrizione in catasto di unità particolari con la procedura informatica di aggiornamento DOCFA.

4.5 In particolare, la categoria (Omissis) identifica le aree scoperte in contesti urbani (ad esempio: giardini, cortili, spazi post-demolizione) che non producono reddito catastale e svolgono una funzione accessoria o strumentale rispetto ad un'unità immobiliare principale.

Per comprendere appieno la natura e la varietà delle aree classificabili in tale categoria, basta osservare il diversificato panorama del tessuto urbano, il quale presenta un multiforme assortimento di figure accomunate dalla destinazione pertinenziale.

Così, si suole ricondurre a tale tipologia: 1) giardini e cortili pertinenziali ad unità immobiliari urbane; 2) aree di viabilità privata (come: strade, vialetti, piazzole, spazi di manovra all'interno di complessi residenziali o di insediamenti produttivi, con la funzione di garantire l'accesso e la circolazione all'interno di proprietà private); 3) spazi derivanti da demolizioni (come: aree risultanti dalla demolizione totale o parziale di fabbricati urbani, in attesa di una nuova edificazione o di una diversa destinazione urbanistica); 4) campi da gioco e aree sportive scoperte (come: campi da tennis, campi da calcetto, palestre all'aperto, ecc.); 5) piazzali di servizio e parcheggi scoperti (come: piazzali di carico e scarico per merci; aree di parcheggio scoperte a servizio di specifici edifici urbani); 6) terrazzi a livello non esclusivi.

4.6 A ben vedere, le "aree urbane" non sono certamente assimilabili ai terreni agricoli. Difatti, pur non costituendo né ospitando fabbricati veri e propri (di natura permanente), esse sono, comunque, il prodotto di una manipolazione (più o meno intensa) dello stato naturale del suolo, che viene ad essere trasformato dall'intervento antropico in un aliud, che non è più suscettibile di sfruttamento agricolo, ma conserva ancora le potenzialità edificatorie secondo i dettami della pianificazione urbanistica.

Ne discende che, non essendo terreni agricoli (né, a maggior ragione, fabbricati), le "aree urbane" devono essere qualificate ai fini dell'IMU alla stregua di "aree fabbricabili" nell'accezione sancita dall'art. 5, comma 5, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 (quale richiamato dall'art. 13, comma 3, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214), essendo sempre edificabili in conformità alla destinazione urbanistica.

4.7 Né tale conclusione è compromessa dalla natura fisiologicamente pertinenziale (art. 817 cod. civ.) delle "aree urbane", ancorché non risulti che la contribuente abbia dedotto l'incidenza di tale vincolo sull'esigibilità del tributo sin dalla proposizione del ricorso originario, alla luce delle censure formulate in quella sede contro il diniego di rimborso (nella sintesi riportata alla pagina 13 del ricorso per cassazione).

Secondo una consolidata giurisprudenza di legittimità, in tema di ICI (ma con valenza anche per l'IMU), l'esclusione dell'autonoma tassabilità delle aree pertinenziali, prevista dall'art. 2 del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, si fonda sull'accertamento rigoroso dei presupposti di cui all'art. 817 cod. civ., desumibili da concreti segni esteriori dimostrativi della volontà del titolare, consistenti nel fatto oggettivo che il bene sia effettivamente posto, da parte del proprietario del fabbricato principale, a servizio (o ad ornamento) del fabbricato medesimo e che non sia possibile una diversa destinazione senza radicale trasformazione, poiché, altrimenti, sarebbe agevole per il proprietario, al mero fine di godere dell'esenzione, creare una destinazione pertinenziale che possa facilmente cessare senza determinare una radicale trasformazione dell'immobile stesso (tra le tante: Cass., Sez. 5, 29 ottobre 2010, n. 22128; Cass., Sez. 5, 8 novembre 2013, n. 25170; Cass., Sez. 5, 30 ottobre 2018, n. 27573; Cass., Sez. 6-5, 24 gennaio 2019, n. 2128; Cass., Sez. 5, 22 maggio 2019, n. 13742; Cass., Sez. 5, 9 giugno 2020, n. 10976; Cass., Sez. 5, 9 marzo 2021, n. 6406; Cass., Sez. 5, 31 agosto 2022, n. 25561; Cass., Sez. Trib., 24 gennaio 2023, n. 2143; Cass., Sez. Trib., 24 gennaio 2024, n. 2351; Cass., Sez. Trib., 28 aprile 2025, n. 11181).

Si osserva - da un lato - che la natura pertinenziale di un'area non è incompatibile con il carattere edificabile di quest'ultima, potendo coesistere le due destinazioni e qualificazioni giuridiche ; e - dall'altro - che la natura pertinenziale esclude l'autonomo assoggettamento ad ICI ex art. 2 del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, solo quando l'area edificabile venga fatta oggetto di una destinazione oggettiva e funzionale di servizio non revocabile ad libitum, ma tale da modificare lo stato dei luoghi escludendone stabilmente l'edificazione. In tal senso si è espresso l'indirizzo di legittimità, secondo cui, in tema di ICI (ma con valenza anche per l'IMU), è possibile la coesistenza, nello stesso suolo, della pertinenzialità ad altro immobile - che ne esclude l'autonoma tassabilità ai sensi dell'art. 2 del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 - e della edificabilità; l'asservimento pertinenziale - la cui prova incombe sul contribuente - ricorre, peraltro, ove il bene non sia semplicemente posto al servizio od ornamento di un altro, ma quando tale destinazione sia durevole (sul piano soggettivo ed oggettivo) e non sia possibile una destinazione diversa senza una radicale trasformazione del bene pertinenziale, divenendo altrimenti agevole l'elusione del precetto che impone la tassazione per la natura reale del cespite (Cass., Sez. 5, 8 novembre 2013, n. 25170; Cass., Sez. 5, 15 novembre 2017, n. 27025).

Ad ogni buon conto, è stato anche precisato che, in tema di ICI (come anche di IMU), al contribuente che non abbia evidenziato l'esistenza della pertinenza nella dichiarazione prevista dall'art. 10, comma 4, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 (prima della soppressione del relativo obbligo, con decorrenza dall'1 gennaio 2009, da parte dell'art. 36, comma 53, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248), nonché nella dichiarazione prevista dall'art. 13, comma 12-ter, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, nel testo inserito dall'art. 4, comma 5, lett. i), del D.L. 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, e modificato dall'art. 9, comma 3, lett. b), del D.L. 10 ottobre 2012, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213, dichiarazioni essenziali per beneficiare di esenzioni o riduzioni secondo le rispettive discipline dell'ICI e dell'IMU, non è consentito contestare l'atto impositivo con cui l'area asseritamente pertinenziale viene assoggettata a tassazione, deducendo solo nel giudizio la sussistenza del vincolo di pertinenzialità (tra le tante: Cass., Sez. 6-5, 24 luglio 2012, n. 13017; Cass., Sez. 5, 30 marzo 2016, n. 6139; Cass., Sez. 5, 3 febbraio 2017, n. 2901; Cass., Sez. 5, 17 aprile 2017, n. 9790; Cass., Sez. 5, 9 marzo 2021, n. 6406; Cass., Sez. 5, 31 agosto 2022, n. 25561; Cass., Sez. Trib., 2 marzo 2023, nn. 6267 e 6281; Cass., Sez. Trib., 4 giugno 2025, n. 14904).

È vero che un recente arresto di questa Corte ha, altresì, precisato che, ai fini dell'ICI e dell'IMU, anche in difetto di dichiarazione preventiva da parte dei contribuenti, l'area pertinenziale, costituendo parte integrante del fabbricato cui accede, perde autonoma rilevanza ai fini impositivi, nonostante l'edificabilità prevista dalla pianificazione urbanistica (generale ed attuativa), sempre che l'ente impositore abbia avuto contezza, attraverso l'acquisizione di documenti o l'assunzione di informazioni, anche se per finalità extratributarie, del vincolo di pertinenzialità - desumibile dall'accertamento in fatto della stabile e durevole destinazione del bene accessorio a servizio o ornamento del bene principale - prima dell'anno di imposta a cui si riferisce l'avviso di accertamento (Cass., Sez. Trib., 8 maggio 2023, n. 12226).

Comunque, nulla è stato allegato a tale riguardo dalla contribuente, che, pertanto, non può far valere in questa sede l'accessorietà dell'area urbana al locale adibito a deposito per ottenere l'esenzione dal tributo.

4.8 Considerando la carenza di un consolidato orientamento di legittimità sulla questione esaminata, il collegio ritiene di poter enunciare il seguente principio di diritto: "Ai fini dell'IMU, le c.d. "aree urbane", il cui classamento catastale in categoria (Omissis) esclude l'attribuzione di una rendita, a norma dell'art. 3, comma 2, lett. d), del D.M. 2 gennaio 1998, n. 28, non possono essere equiparate ai "fabbricati", a causa della carenza di un'edificazione in senso tecnico con la realizzazione di costruzioni coperte su uno o più livelli, né ai "terreni agricoli", a causa dell'alterazione subita dallo stato naturale del suolo per effetto delle opere ascrivibili all'intervento antropico, ma devono essere considerate alla stregua di "aree fabbricabili" nell'accezione sancita dall'art. 5, comma 5, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 (quale richiamato dall'art. 13, comma 3, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214), con la conseguenza che l'imposta deve essere liquidata sulla base del "valore venale in comune commercio", tenendo conto dell'edificabilità desumibile dalle previsioni della pianificazione urbanistica".

5. Il ricorso incidentale condizionato – il cui scrutinio è consentito dall'avveramento della condizione sospensiva, costituita dall'accoglimento del ricorso principale - è affidato a due motivi.

5.1 Con il primo motivo, si denuncia violazione dell'art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., per essere stato omesso dal giudice di secondo grado di pronunciarsi sul motivo di appello circa la nullità del diniego di rimborso per carenza di contraddittorio preventivo.

5.2 Con il secondo motivo, si denuncia violazione dell'art. 7, comma 1, della legge 27 luglio 2000, n. 212, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., per essere stato omesso dal giudice di secondo grado di pronunciarsi sul motivo di appello circa la nullità del diniego di rimborso per carenza di adeguata motivazione.

6. Il primo motivo del ricorso incidentale condizionato è infondato.

6.1 Anzitutto, in disparte l'impropria formulazione della rubrica (giacché il mezzo denuncia, a meglio vedere, un'omessa pronunzia ex art. 112 cod. proc. civ., da ricondursi al vizio tipizzato dall'art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ.), la censura trascura di considerare, anche alla luce dell'esegesi proposta dal giudice delle leggi (Corte Cost., 21 marzo 2023, n. 47), che l'obbligo generale di contraddittorio preventivo esiste unicamente per i c.d. "tributi armonizzati", mentre per i c.d. "tributi non armonizzati" occorre una specifica previsione normativa. Difatti, in tema di tributi "non armonizzati" (come l'IRPEF, l'IRAP, le imposte di registro, ipotecaria e catastale, i tributi locali), l'obbligo dell'amministrazione finanziaria di instaurare il contraddittorio nel corso del procedimento non sussiste per gli accertamenti c.d. "a tavolino", per cui non si pone la questione di un'eventuale inosservanza del termine dilatorio di cui all'art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212; tuttavia, tale principio non vale per i tributi "armonizzati" come l'IVA, ipotesi nella quale, tuttavia, il contribuente che faccia valere il mancato rispetto di detto termine è in ogni caso onerato di indicare, in concreto, le questioni che avrebbe potuto dedurre in sede di contraddittorio preventivo (tra le tante: Cass., Sez. Un., 9 dicembre 2015, n. 24823; Cass., Sez. 6-5, 29 ottobre 2018, n. 27420; Cass., Sez. 6-5, 5 novembre 2020, n. 24793; Cass., Sez. 5, 29 dicembre 2020, n. 29726; Cass., Sez. 5, 6 luglio 2021, nn. 19176 e 19177; Cass., Sez. 5, 23 maggio 2022, n. 16481; Cass., Sez. Trib., 4 dicembre 2023, n. 33699; Cass., Sez. Trib., 6 marzo 2024, n. 6094; Cass., Sez. Trib., 23 maggio 2025, n. 13818; Cass., Sez. Trib., 10 giugno 2025, n. 15522; Cass., Sez. Un., 25 luglio 2025, n. 21271).

Viceversa, l'art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, prevede, nel triplice caso di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all'esercizio dell'attività, una valutazione ex ante in merito al rispetto del contraddittorio operata dal legislatore, attraverso la previsione di nullità dell'atto impositivo per mancato rispetto del termine dilatorio, che già, a monte, assorbe la "prova di resistenza", senza distinguere tra tributi armonizzati e non armonizzati (tra le tante: Cass., Sez. 5, 15 gennaio 2019, nn. 701 e 702; Cass., Sez. 5, 30 marzo 2021, n. 8718; Cass., Sez. 6-5, 23 novembre 2021, n. 36118; Cass., Sez. 5, 23 maggio 2022, n. 16481; Cass., Sez. Trib., 17 novembre 2023, n. 31997; Cass., Sez. Trib., 28 febbraio 2024, n. 5269; Cass., Sez. Trib., 10 giugno 2025, n. 15522).

Nella specie, comunque, esulandosi dal campo dei c.d. "tributi armonizzati", in assenza di una specifica previsione della disciplina nazionale, non può affermarsi l'esistenza di un obbligo di contraddittorio preventivo, la cui mancanza possa invalidare il diniego di rimborso. Né quest'ultimo è stato preceduto da una verifica fiscale con accesso presso la sede della contribuente, rispetto alla verbalizzazione delle cui risultanze si ponesse l'esigenza di tutelare l'esercizio del diritto di difesa mediante la comunicazione di osservazioni e richieste da rimettersi alla valutazione dell'ente impositore.

6.2 Ne discende che, pronunziandosi nel merito della pretesa restitutoria con decisione favorevole alla contribuente, il giudice di appello ha implicitamente disatteso lo specifico motivo di gravame sulla questione preliminare della carenza di contraddittorio preventivo. Si può, quindi, ritenere che vi sia stato un rigetto implicito della censura in questione da parte del giudice di appello, secondo il principio (estensibile per analogia anche in materia di impugnazione del diniego di rimborso) per cui, in tema di contenzioso tributario, qualora il giudice, nonostante l'eccezione di nullità dell'avviso di accertamento, sia passato all'esame del rapporto sostanziale, si deve ritenere, per come è strutturato il giudizio di fronte alle commissioni tributarie, che ha ritenuto tale eccezione implicitamente infondata, atteso che il giudizio tributario, ancorché avente ad oggetto l'accertamento del rapporto sostanziale, è formalmente costruito come giudizio di impugnazione dell'atto impositivo, il quale costituisce il "veicolo di accesso" al giudizio di merito, cui si perviene solo per il tramite di tale impugnazione, con la conseguenza che quando ricorrano vizi formali dell'atto, tali da condurre alla sua invalidazione, il giudice deve arrestarsi alla relativa pronuncia, rimanendo in tal guisa pienamente e correttamente esercitata la giurisdizione attribuitagli (da ultime: Cass., Sez. Trib., 10 dicembre 2024, n. 31827; Cass., Sez. Trib., 30 maggio 2025, n. 14562; Cass., Sez. Trib., 10 luglio 2025, n. 18941).

Il che esclude la stessa ipotizzabilità di un'omessa pronuncia ex art. 112 cod. proc. civ. Difatti, è pacifico che ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un'espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto; tale vizio, pertanto, non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di una specifica argomentazione (tra le tante: Cass., Sez. 5, 30 gennaio 2020, n. 2153; Cass., Sez. 5, 2 aprile 2020, n. 7662; Cass., Sez. 3, 29 gennaio 2021, n. 2151; Cass., Sez. Trib., 3 agosto 2023, n. 23672; Cass., Sez. Trib., 13 agosto 2024, n. 22775; Cass., Sez. Trib., 13 luglio 2025, n. 19240).

7. Il secondo motivo del ricorso incidentale condizionato è infondato.

7.1 In disparte, anche in questo caso, l'impropria formulazione della rubrica (giacché la denuncia attiene, a meglio vedere, ad un'omessa pronunzia ex art. 112 cod. proc. civ., da ricondursi al vizio tipizzato dall'art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ.), si possono richiamare le argomentazioni illustrate al precedente punto 5.2 circa l'ininfluenza dell'omessa pronunzia sulla questione preliminare della nullità del diniego di rimborso rispetto ad una decisione sul merito del rapporto tributario.

7.2 Ad ogni buon conto, alla luce della testuale trascrizione in controricorso (alle pagine 10 e 11) del diniego di rimborso (con l'annesso prospetto di riepilogo), in ossequio al canone dell'autosufficienza, si deve escludere l'inadeguatezza motivazionale del suo contenuto.

In proposito, si rammenta l'orientamento di questa Corte, secondo cui, in tema di contenzioso tributario, ove la controversia abbia ad oggetto l'impugnazione del rigetto di un'istanza di rimborso di un tributo avanzata dal contribuente, l'ente impositore può esercitare la facoltà di controdeduzione di cui all'art. 23 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e, quindi, prospettare, senza che si determini vizio di ultrapetizione, argomentazioni giuridiche ulteriori rispetto a quelle che hanno formato la motivazione di rigetto della istanza in sede amministrativa, poiché, in tal caso, il contribuente assume la posizione sostanziale di attore, che deve fornire la prova della propria domanda, mentre l'ente impositore non ha esplicitato una "pretesa" (impugnata dal contribuente), quale l'avviso di accertamento o di liquidazione, o l'irrogazione di una sanzione. Ne consegue che, non potendosi attribuire alla motivazione del provvedimento di rigetto (equivalente, peraltro, al c.d. "silenzio-rifiuto", del pari impugnabile) il carattere dell'esaustività, può ritenersi adeguata una motivazione del diniego che delinei gli aspetti essenziali delle ragioni del provvedimento, e che si fondi sull'insussistenza dei presupposti per il rimborso, richiamando altresì le norme di riferimento e gli eventuali provvedimenti adottati (Cass., Sez. 5, 27 giugno 2019, n. 17239; Cass. Sez. 6-Trib., 2 settembre 2022, n. 25999; Cass., Sez. Trib., 20 dicembre 2024, n. 33692; Cass., Sez. Trib., 9 giugno 2025, n. 15297).

Nella specie, peraltro, la motivazione del rifiuto opposto dall'ente impositore all'istanza di rimborso ("... l'istanza di rimborso non può essere accolta in quanto per l'anno 2014 l'imposta complessivamente versata risulta inferiore all'imposta dovuta come da prospetto allegato") è agevolmente intellegibile, ove si tenga conto della specifica indicazione nell'annesso prospetto della base imponibile, dell'aliquota applicata, dell'imposta dovuta e dell'imposta versata per ciascun immobile della contribuente, la quale aveva piena cognizione delle ragioni ostative alla propria pretesa di restituzione.

8. Alla stregua delle suesposte argomentazioni, dunque, valutandosi la fondatezza del primo motivo e del terzo motivo del ricorso principale, l'infondatezza del secondo motivo del ricorso principale, nonché l'infondatezza del primo motivo e del secondo motivo del ricorso incidentale condizionato, il ricorso principale può trovare accoglimento entro tali limiti, mentre il ricorso incidentale condizionato deve essere rigettato; non occorrendo ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell'art. 384, primo comma, ultima parte, cod. proc. civ., con il rigetto del ricorso originario e la conferma del diniego di rimborso.

9. Le spese giudiziali (sia per i gradi di merito, che per il grado di legittimità) seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo.

10. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della controricorrente/ricorrente incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo ed il terzo motivo del ricorso principale; rigetta il secondo motivo del ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale condizionato; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario con la conferma del diniego di rimborso; condanna la controricorrente alla rifusione delle spese dei giudizi di merito in favore del ricorrente, liquidandole, rispettivamente, nella misura di Euro 1.500,00 per compensi del giudizio di primo grado e di Euro 1.600,00 per compensi del giudizio di secondo grado, oltre a contributo unificato, rimborso forfettario nella misura del 15% sui compensi e ad altri accessori di legge; condanna la controricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in favore del ricorrente, liquidandole nella misura di Euro 200,00 per esborsi ed Euro 1.500,00 per compensi, oltre a rimborso forfettario nella misura del 15% sui compensi e ad altri accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della controricorrente/ricorrente incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 17 settembre 2025.

Depositato in cancelleria il 3 ottobre 2025.

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