La condotta della vittima minorenne può ridurre il risarcimento dovuto ai genitori per omessa vigilanza?
E in che rapporto stanno art. 1227 c.c. e art. 2048 c.c.?
La Sezione III civile della Cassazione, con la sentenza n. 26798 del 6 ottobre 2025, risponde così: la riduzione del risarcimento jure proprio dei genitori opera solo in base all’art. 1227, comma 1, c.c. quando la condotta del minore concorre causalmente all’evento; non si può applicare un’ulteriore sforbiciata ex art. 2048 c.c. se quella condotta non è illecito.
Un minorenne acquista eroina da un coetaneo; la sera, associando alcol e cocaina, muore per overdose. I genitori e la sorella agiscono contro il venditore e contro i suoi genitori (artt. 2043 e 2048 c.c.) chiedendo danni jure proprio e jure hereditatis.
Tribunale e Corte d’appello di Perugia accertano la responsabilità del cedente e dei suoi genitori e stimano un concorso della vittima al 50% ex art. 1227, comma 1, c.c..
In Cassazione i convenuti chiedono una ulteriore riduzione imputando ai genitori della vittima una culpa in vigilando/educando.
La riduzione per concorso del danneggiato discende dall’art. 1227, comma 1, c.c. e riguarda la causalità materiale: si valuta oggettivamente il contributo del comportamento della vittima, anche se minore o incapace. Il comma 2 dell’art. 1227 governa invece l’aggravamento o la mancata limitazione del danno successivi all’evento (causalità giuridica) e non serve a riscrivere il nesso causale dell’evento.
L’art. 2056 c.c. estende questi criteri anche alla responsabilità aquiliana. L’art. 2048 c.c. presuppone, per la responsabilità vicaria dei genitori, che il fatto del figlio sia illecito in senso oggettivo: se il comportamento del minore non integra illecito civile, non c’è spazio per un’ulteriore riduzione del risarcimento ai genitori. In tema di stupefacenti, il consumo personale non è illecito civile e la mera sanzione amministrativa (art. 75 T.U. Stupefacenti) non muta la qualificazione.
La Corte di Cassazione richiama i principi già affermati da Corte cost. n. 14/1985 e da Cass. n. 2704/2005, n. 2483/2018, n. 3557/2020, n. 4178/2020: il concorso del minore si valuta con lo standard dell’uomo medio e la sua considerazione assorbe ogni rilievo sulla culpa in educando/vigilando dei genitori della vittima, quando manchi un fatto illecito del minore.
Nel giudizio di merito la CTU penale minorile, ritualmente acquisita, individua il decesso nella dose letale ceduta nel pomeriggio; l’assunzione di alcol e cocaina non interrompe il nesso con la cessione. Tribunale e appello applicano l’art. 1227, comma 1, c.c. stimando al 50% il contributo causale della condotta della vittima.
La Cassazione conferma l’impostazione: la riduzione per concorso è l’unica ammissibile. Invocare l’art. 2048 c.c. per sottrarre ancora sul risarcimento dei genitori significherebbe duplicare l’area di irrisarcibilità già coperta dall’art. 1227 c.c.. Poiché il consumo personale non costituisce illecito civile, manca il presupposto per coinvolgere l’art. 2048 c.c. contro i genitori della vittima.
Di conseguenza il ricorso viene rigettato; restano ferme la responsabilità del cedente e dei suoi genitori (art. 2048 c.c.), la riduzione ex art. 1227, comma 1, c.c. per il concorso della vittima, la condanna alle spese e il raddoppio del contributo unificato ex art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 115/2002.
La riduzione del risarcimento ai genitori jure proprio dipende solo dal concorso oggettivo della vittima ex art. 1227, comma 1, c.c.; l’art. 2048 c.c. entra in gioco solo se il fatto del minore è illecito. Nei casi di overdose da consumo personale, la verifica resta sulla causalità materiale e sulla corretta quantificazione.
In tema di responsabilità cd. “vicaria” dei genitori del minore, ai fini della (ulteriore) riduzione del risarcimento del danno subito jure proprio (nella specie, morte del figlio per assunzione di sostanza stupefacente) e già ridotto in applicazione del comma primo, prima parte, dell’art. 1227 c.c. per essere stata ritenuta la condotta del danneggiato concausa dell’evento di danno, deve valutarsi esclusivamente se quest’ultimo abbia tenuto o meno un comportamento illecito, ossia oggettivamente in contrasto con una regola di condotta stabilita da norme positive, a prescindere dalla sua età e dal suo stato di incapacità.
La norma di cui all’art. 1227, comma 1, prima parte, c.c. ha riguardo all’accertamento del nesso di causalità materiale, onde l’eventuale contributo causale della vittima all’evento dannoso è di tipo oggettivo e prescinde dall’imputabilità della condotta colposa sul piano soggettivo. L’eventuale condotta della vittima incapace deve, pertanto, essere valutata alla stregua dello standard ordinario di comportamento diligente dell’uomo medio, senza tener conto della sua incapacità di intendere e di volere. Una siffatta valutazione oggettiva della condotta della vittima incapace, qualora non integri gli estremi di un autonomo fatto illecito, assorbe ogni rilievo circa la condotta del soggetto tenuto alla sua sorveglianza sotto il profilo di una sua eventuale culpa in vigilando e/o in educando.
Il principio di cui all’art. 1227 c.c. (riferibile anche alla materia del danno extracontrattuale per l’espresso richiamo contenuto nell’art. 2056 c.c.) della riduzione proporzionale del danno in ragione dell’efficienza concausale della condotta del soggetto danneggiato si applica anche quando questi sia incapace di intendere o di volere per minore età o per altra causa, e tale riduzione deve essere operata non solo nei confronti del danneggiato, ma anche nei confronti dei congiunti che agiscono per ottenere il risarcimento jure proprio. Resta tuttavia esclusa – nell’ipotesi in cui la condotta concorrente della vittima non abbia il carattere dell’illecito ai sensi dell’art. 2048 c.c. – la possibilità di una ulteriore riduzione del danno per culpa in educando o in vigilando dei genitori.
Cassazione civile, sez. III, sentenza 06/10/2025 (ud. 01/07/2025) n. 26798
I FATTI
1. Nel pomeriggio del 17 maggio 2003 Re.Re., all'epoca dei fatti ancora minorenne, acquistò da Ca.En., anche egli minorenne, una dose di sostanza stupefacente (poi rivelatasi eroina pura) per un quantitativo pari a 30 milligrammi.
2. La sera stessa il giovane Re.Re., iniettatasi la dose di eroina associandola all'assunzione di alcol e di cocaina, spirò.
3. I genitori e la sorella hanno agito in giudizio sia nei confronti di Ca.En., quale responsabile in proprio dell'evento, ex articolo 2043 c.c., sia dei suoi genitori, cui è stato mosso l'addebito della omessa sorveglianza ed educazione ex art. 2048 c.c. Gli attori, in particolare, hanno chiesto il risarcimento dei danni sia iure proprio che iure hereditatis.
4. I convenuti si sono costituiti sostenendo che la causa della morte andasse invece identificata non solo nel consapevole uso della sostanza stupefacente, ma anche nella volontaria assunzione di alcol da parte del minore poi deceduto.
5. Gli stessi convenuti, in proposito, avrebbero altresì eccepito, in limine litis, l'inidoneità ad acquisire, in seno al giudizio civile, qualsivoglia efficacia di giudicato della sentenza penale di condanna del Ca.El. pronunciata dal Tribunale per minorenni.
IL GIUDIZIO DI MERITO
1. Il Tribunale di Perugia, rigettata l'istanza di ammissione di una CTU volta ad indagare nuovamente sulle cause della morte del Re.Re., ritenne, alla luce delle puntuali conclusioni rassegnate dai consulenti nominati dal giudice minorile (conclusioni motivatamente condivise dallo stesso Tribunale), che il decesso del giovane fosse stata la conseguenza dell'assunzione della dose di eroina (rivelatasi poi letale) cedutagli da Ca.En., anche a prescindere dalla contestuale assunzione di alcol e cocaina da parte della vittima.
2. Accertata la responsabilità del Ca.El., il Tribunale ritenne altresì responsabili i suoi genitori, ex art. 2048 c.c., sulla base di plurime e convergenti circostanze di fatto (ff. 9-11 della sentenza impugnata), tali da rendere incontrovertibile l'inadeguatezza della funzione educativa svolta da entrambi, attesane, tra l'altro, la comprovata consapevolezza della vicinanza del figlio al mondo degli stupefacenti, come meglio si dirà in seguito.
3. Il giudice di prime cure, nondimeno, ritenne che anche la condotta della vittima fosse stata eziologicamente rilevante - anche se soltanto sul piano del concorso - alla produzione dell'evento, valorizzando, in particolare, la volontaria e consapevole assunzione della sostanza stupefacente da parte del Re.Re.
4. In applicazione dell'art. 1227 comma 1 c.c., pertanto, il concorso causale della vittima nella genesi dell'evento di danno venne quantificato nella misura del 50%, escludendosi, per converso, che l'assunzione di alcol avesse ulteriormente contribuito (con efficacia assorbente, ovvero quantomeno con-causale, come pure sostenuto da parte convenuta) a determinare l'evento letale.
5. Questa decisione venne impugnata, con appello principale, da Ca.En. e dai suoi genitori, e con appello incidentale dagli eredi Re.Re., i quali ultimi lamentarono l'illegittima attribuzione del contributo causale ascritto al figlio Re.Re., l'omesso riconoscimento del diritto al risarcimento del danno biologico sofferto dal padre, l'erronea liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale.
6. La Corte di Appello di Perugia rigettò l'appello principale ed accolse in parte quello incidentale, limitatamente all'omesso riconoscimento del danno biologico sofferto iure proprio dal padre del giovanetto deceduto.
7. In particolare, il giudice dell'appello, dopo aver escluso qualsivoglia efficacia di giudicato della sentenza penale minorile di condanna del Ca.El., ex art. 10, comma 1 e 2 del D.P.R. 448/1998, ritenne:
a) che il Tribunale, nel rispetto del principio del contradditorio, avesse correttamente fondato il proprio convincimento (non sul contenuto della detta sentenza di condanna, ma) sulle prove raccolte nel processo penale a carico di Ca.En. e ritualmente acquisite agli atti del giudizio civile, sottoponendole ad autonomo vaglio critico con pienezza di cognizione, giusta il costante insegnamento della Corte di legittimità (tra le altre, funditus, Cass. 24475/2014 e 12164/2021);
b) che la causa della morte di Re.Re. fosse riconducibile alla volontaria assunzione della dose letale di eroina cedutagli nel pomeriggio dal Ca.El., anche a prescindere dalla contestuale assunzione di alcol e cocaina, come condivisibilmente evidenziato dal CTU del giudizio penale minorile;
c) che la responsabilità dei genitori del cedente fosse stata correttamente accertata dal primo giudice, alla luce di plurime e convergenti circostanze di fatto (tra le altre, una realtà familiare definita dall'assistente sociale "poco fluida e serena", le reiterate doglianze sull'eccessivo permessivismo da parte del padre espresse dall'altra figlia Re.El., l'inerte consapevolezza da parte i genitori della condizione di tossicodipendenza da parte di Ca.En.: così a ff. 10-11 della sentenza impugnata), onde la prova dell'inadeguatezza della vigilanza e dell'educazione del figlio e il conseguente, mancato superamento della presunzione di cui all'art. 2048 c.c.;
d) che altrettanto correttamente era stato predicata l'esistenza di un contributo causale paritario da parte della vittima, alla luce della sua volontaria e consapevole assunzione della sostanza stupefacente;
e) che le doglianze relative all'omesso esame della responsabilità dei genitori del giovane deceduto erano del tutto infondate, volta che la responsabilità ex art. 2048 c.c. non poteva legittimamente estendersi oltre il limite del riconosciuto concorso di colpa (rectius, del contributo causale) della vittima che aveva cagionato danno a sé stesso, alla luce del disposto di cui all'art. 1227 c.c.;
f) che del tutto correttamente la vicenda del danno autoprodotto era stata valutato dal Tribunale, sul piano della causalità materiale, in senso rigorosamente oggettivo, a prescindere dalla imputabilità della condotta colposa sul piano soggettivo - non potendosi operare una indebita supervalutazione del contributo causale offerto dalla vittima dapprima sotto il (corretto) profilo della causalità materiale, e poi sotto quello (non corretto) di una culpa in vigilando ed educando ascritta ai suoi genitori ex art. 2048 c.c.;
g) che andava, infine, accolto il ricorso incidentale di Re.Do. nella parte in cui aveva lamentato un vizio di omessa pronuncia della sentenza impugnata quanto alla domanda di risarcimento del danno alla salute da lui sofferto, avendone il CTU accertato un disturbo dell'adattamento, con depressione ed ansia cronicizzata di grado lieve, quantificato in 6 punti percentuali di danno biologico.
IL RICORSO PER CASSAZIONE
1. Ca.En. e i suoi genitori, Ca.El. e Co.Ka., hanno impugnato la sentenza d'appello dinanzi a questa Corte con due motivi di censura, di cui chiedono il rigetto gli intimati costituitisi con controricorso.
2. All'esito della camera di consiglio, il collegio ha disposto la trattazione del procedimento in pubblica udienza, in vista della quale il PG ha depositato le sue conclusioni chiedendo il rigetto del primo motivo e l'accoglimento del secondo.
3. Entrambe le parti, in vista della pubblica udienza, hanno depositato memorie.
LA DECISIONE DELLA CORTE
1. Il ricorso non può essere accolto.
2. Con il primo motivo, si prospetta, ex art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione dell'articolo 1227 secondo comma c.c. La tesi sostenuta dai ricorrenti si fonda sull'assunto secondo cui la norma dovrebbe essere intesa nei termini in cui essa viene interpretata dalla prevalente giurisprudenza di legittimità, e cioè come una disposizione che attiene al nesso di causalità materiale, e quindi funzionale ad apprezzare il contributo causale che il danneggiato apporta all'evento, indipendentemente dalle sue conseguenze. Nella fattispecie, il danneggiato non solo aveva consapevolmente assunto la droga dopo un certo lasso di tempo dalla cessione, ma si trovava anche in uno stato di intossicazione alcolica acuta, come rilevato dallo stesso CTU. 2.1. Osservano, in particolare, i ricorrenti (che riconoscono, peraltro, come la prevalente giurisprudenza di questa Corte escluda che la norma invocata disciplini una ipotesi di causalità materiale) come "il principio di correttezza ed auto responsabilità previsto dall'art. 1175 c.c., che si collega all'art. 1227 c.c. (Cass. 320/1992, Cass. 3279/1990, Cass. 1312/1980) avrebbe dovuto far sì che il danneggiato non ordinasse nemmeno la merce al Ca.El. .... da qui l'interruzione del nesso causale tra cessione ed assunzione, che spezza il nesso che lega gli eventi".
2.2. In altri termini, si soggiunge, "l'applicazione del secondo comma dell''art. 1227 c.c., negletta dal giudice di appello, dovrebbe portare alla applicazione di tale norma anche proiettandola sul piano causale, in special modo quando tra danno evento (la cessione) e danno conseguenza (la morte) si insinua un ragionevole lasso di tempo".
2.3. La censura in diritto mossa alla sentenza di appello, pertanto, è quella secondo cui, se i giudici di merito avessero valutato la condotta del danneggiato alla luce del secondo comma della norma in parola, e ne avessero più correttamente interpretato la relativa previsione in termini di causalità materiale, avrebbero inevitabilmente concluso nel senso di addebitare interamente l'evento al danneggiato.
3. Il motivo è infondato.
3.1. È principio di diritto consolidato in seno alla giurisprudenza di questa Corte, al quale il collegio intende dare ulteriore continuità - sia pur con la necessaria precisazione per la quale il nesso di causalità materiale è disciplinato (tanto in ambito contrattuale, quanto aquiliano) dalla sola prima parte del I comma della norma in parola, discorrendosi, nella seconda parte, di "entità delle conseguenze che ne sono derivate", con chiaro riferimento alla diversa fattispecie della causalità giuridica, al pari dell'intero secondo comma dell'art. 1227 - quello secondo il quale l'ipotesi prevista dall'art. 1227, comma 1, c.c., riguardando il contributo eziologico del danneggiato nella produzione dell'evento dannoso, va distinta da quella disciplinata dal comma 2 dello stesso articolo la quale, riferendosi al comportamento, successivo all'evento, con il quale il medesimo danneggiato abbia prodotto un aggravamento del danno ovvero non ne abbia ridotto l'entità, attiene al danno-conseguenza (tra le tante, Cass. 1165/ 2020; Cass. 16588/ 2005; Cass. 5127/ 2004).
3.2. La disciplina normativa della condotta del creditore di cui al secondo comma dell'art. 1227, pertanto, ha ad oggetto la diversa ipotesi per cui il danneggiato, pur non concorrendo, sul piano della causalità materiale, alla produzione dell'evento, ne abbia aggravato le conseguenze, così ponendosi sul diverso e concorrente piano della causalità giuridica (disciplinata espressamente dall'art. 1223 c.c. sub specie della "consequenzialità immediata e diretta", evidentemente espressivo, a sua volta, di un principio di tipo causale).
3.3. Correttamente, dunque, i giudici di merito hanno accertato l'esistenza di un nesso di causalità materiale tra le condotte dei due minori e la morte del Re.Re., applicando i criteri propri dell'accertamento delle concause disciplinato dall'art. 41 c.p. (che contiene, a differenza del precedente art. 40 - predicativo invece di un vago principio consequenzialistico - una vera e propria regola causale), dal quale esula la valutazione della condotta del danneggiato successiva all'evento, disciplinata dal citato articolo 1227 secondo comma c.c.
4. Con il secondo motivo si prospetta, ex art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione dell'articolo 2048 c.c.
4.1. Fin dal primo giudizio di merito, i convenuti avevano chiesto che si accertasse un ulteriore concorso di colpa dei genitori della vittima per culpa in educando e in vigilando. La Corte di Appello, e prima ancora il Tribunale, ha escluso la legittimità di tale ipotesi, ritenendo che il concorso di colpa del danneggiato andasse valutato oggettivamente, a prescindere non solo dagli stati soggettivi (il minorenne andava equiparato ad un maggiorenne, quanto a capacità di intendere e volere) ma anche dalla vigilanza da parte dei genitori - e dunque dalla responsabilità di terzi - per l'omesso controllo della vittima, diciassettenne all'epoca dei fatti.
4.2. È stata conseguentemente operata una riduzione del risarcimento riconosciuto ai genitori della vittima iure proprio, ex art. 1227 c.c., in conseguenza del contributo causale riconducibile alla condotta del figlio rispetto al danno autoprodotto, ma non anche l'ulteriore riduzione ascrivibile alla loro responsabilità vicaria, ossia al presunto difetto di vigilanza o di educazione del figlio disciplinato dall'art. 2048 c.c.
4.3. I ricorrenti contestano questa decisione quanto al danno iure proprio da perdita del rapporto parentale riconosciuto ai genitori della vittima primaria, sostenendo che, per tale tipo di danno, la relativa colpa in vigilando o in educando non potrebbe non spiegare una sua propria efficacia causale nella (ulteriore) riduzione del risarcimento loro dovuto, pena una non giustificabile disparità di trattamento tra i genitori del minorenne che ha ceduto la droga (responsabili ex art. 2048), e quelli del minore acquirente, la cui condotta era pur stata ritenuta (con)causalmente efficiente, e che invece non avrebbero patito alcuna conseguenza, ai sensi della norma citata, per una condotta perfettamente sovrapponibile, quoad effecta, a quella degli altri genitori.
5. Il motivo, benché suggestivamente argomentato, non è fondato. 5.1. Ai fini della corretta soluzione del caso sottoposto all'esame di questa Corte, è necessaria una prima premessa: mentre il codice civile, all'art. 2046, si limita a qualificare come "fatto dannoso" e non come "fatto illecito" quello posto in essere dall'incapace (differenza lessicale ritenuta da una parte della dottrina indicativa di una precisa scelta del legislatore, intesa ad escludere l'illiceità del fatto, prima ancora che la responsabilità del suo autore, in linea, peraltro, con parte della dottrina penalistica che, pur a fronte del dato testuale dell'art. 85 c.p., tende a ritenere l'imputabilità presupposto del reato ovvero elemento della colpevolezza), nel diverso caso dei genitori destinatari dell'azione risarcitoria - ovvero chiamati a rispondere per culpa in vigilando o in educando in concorso con il figlio minorenne al fine di una ulteriore diminuzione del risarcimento loro dovuto iure proprio (oltre a quella già predicabile per il concorso del minore ex art. 1227 c.c.) è necessario che l'atto di quest'ultimo possa essere qualificato come atto illecito. Ne consegue che la loro responsabilità deve essere esclusa anche quando il fatto, pur dannoso, non possa essere legittimamente collocato all'interno di tale categoria.
5.2. Va ulteriormente rammentato come la stessa Corte costituzionale si sia pronunciata, sin dal 1985, a favore del rilievo causale della condotta del danneggiato incapace (osservando come l'interpretazione corrente dell'art. 1227 cod. civ. non contrasti col principio di eguaglianza, in quanto l'equiparazione dell'incapace alla persona capace appare giustificata dal rilievo che il comportamento del creditore, sia egli capace o no, si pone egualmente come un evento di cui il debitore, che non l'ha cagionato, ragionevolmente non deve rispondere), censurando poi (e la precisazione appare fondamentale) l'inesattezza del richiamo, come tertium comparationis, al combinato disposto degli artt. 2046 e 2047 del codice "concernenti l'autore dell'illecito, mentre nel caso di cui all'art. 1227 si discute della condotta della persona offesa" (così, Corte cost. 23 gennaio 1985, n. 14, sulla cui scia Cass. 19 febbraio 2020, n. 4178; Cass. 13 febbraio 2020, n. 3557; Cass. 15 novembre 2016, n. 23214; Cass. 2 marzo 2012, n. 3242).
5.3. La Corte di Appello, pertanto, ha fatto corretta applicazione del principio, più volte affermato da questa Corte, a mente del quale, se il minore ha concorso a cagionare il danno a se stesso, il risarcimento dovuto ai suoi genitori si riduce in funzione del suo contributo causale alla verificazione dell'evento, senza bisogno di indagare quale sia stato il loro ruolo nella vicenda, volta che la sola, possibile riduzione risarcitoria è l'effetto del concorso di colpa del minore, mentre non si può ammettere una riduzione ulteriore dovuta alla colpa presunta di omessa vigilanza ed educazione del figlio. (Cass. 2704/ 2005; Cass. 22514/ 2014; Cass. 23426/ 2014 ed altre, più recenti pronunce su cui amplius, infra).
5.4. Il ricorrente invoca, per converso, l'applicazione di un diverso principio, affermato, a suo dire, oltre che dalle risalenti sentenze 2549/1986, 5619/1994, 4633/1997, dalla pronuncia di cui a Cass. 11241/2003 (Pres. Carbone, est. Preden), a mente della quale "qualora il genitore del minore danneggiato agisca in proprio per ottenere il risarcimento dei danni eventualmente derivatigli dall'illecito commesso nei confronti del figlio, è opponibile il suo concorso di colpa (per omessa vigilanza del minore stesso), essendo in tale ipotesi la relativa eccezione diretta a limitare la misura del risarcimento del danno in favore di esso genitore; tale questione non può essere, invece, utilmente proposta allorché il genitore agisca quale rappresentante del minore danneggiato".
5.5. Ebbene, dalla lettura della sentenza - e dalla attenta analisi della fattispecie concreta - emerge che il principio, autorevolmente affermato, e del tutto condivisibile, aveva ad oggetto un caso in cui "i giudici di appello, nel ricostruire la dinamica dell'incidente, avevano ritenuto che la condotta dell'alunno M. (giuridicamente imputabile ai genitori a titolo di culpa in educando) aveva concorso nella produzione dell'evento dannoso finale, per avere il predetto dato inizio al lancio di sassi, in risposta al quale l'alunno R. aveva a sua volta lanciato il sasso che avrebbe poi colpito l'alunno M". Pertanto, l'estensione della responsabilità del minore poi risultato vittima delle lesioni anche ai suoi genitori, in concorso con quella della responsabilità dell'altro alunno (e dei suoi genitori) si fondava sul concorso nell'illecito commesso da entrambi gli alunni: si legge, difatti, in motivazione, che la valutazione del giudice di appello appariva del tutto corretta proprio perché "il secondo lancio di sassi, andato a segno, non si poneva certamente al di fuori delle normali e prevedibili linee di sviluppo causale del primo, pur se non aveva raggiunto il bersaglio, dovendo essere considerata la reazione, con eguali modalità, del soggetto destinatario del lancio di un sasso conseguenza normale dell'antecedente".
5.6. Delle altre pronunce citate, la 4633/1997 risulta inconferente (avendo ad oggetto la diversa fattispecie di cui all'art. 2647 c.c.: soltanto se la condotta dell'incapace di intendere o volere, stante l'applicabilità anche in tal caso dell'art. 1227, comma 1, c.c., ha contribuito a cagionare il danno dal medesimo subito, il responsabile che deve risarcirlo può eccepire il concorso di colpa del soggetto obbligato alla sorveglianza di quegli, ex art. 2047 c.c.), mentre i principi delle ormai risalenti pronunce del 1986 e del 1994 sono stati definitivamente superati dalla successiva giurisprudenza di questa Corte, di tal che non appare corretto discorrere di un vero e proprio contrasto, se non su di un piano significativamente diacronico.
5.7. La più recente giurisprudenza di legittimità, difatti, ha escluso la configurabilità di un (ulteriore) concorso dei genitori del minore danneggiato all'esito dell'accertamento dell'originario concorso dello stesso, affermando, fin dalla sentenza 2704/2005, il principio secondo il quale la norma di cui all'art. 1227 c.c. (riferibile anche alla materia del danno extracontrattuale per l'espresso richiamo contenuto nell'art. 2056 del codice) della riduzione proporzionale del danno in ragione dell'entità percentuale dell'efficienza causale del soggetto danneggiato si applica anche quando questi sia incapace di intendere o di volere per minore età o per altra causa, e tale riduzione deve essere operata non solo nei confronti del danneggiato, che reclama il risarcimento del pregiudizio direttamente patito al cui verificarsi ha contribuito la sua condotta, ma anche nei confronti dei congiunti che, in relazione agli effetti riflessi che l'evento di danno subito proietta su di essi, agiscono per ottenere il risarcimento dei danni iure proprio, restando, peraltro, esclusa - ove essi avessero avuto sull'incapace un potere di vigilanza - la possibilità di far luogo ad una ulteriore riduzione del danno risarcibile sulla base di un loro concorso nella sua causazione per culpa in educando o in vigilando. (Nella specie, la Corte ha confermato la sentenza di merito che aveva proporzionalmente ridotto l'ammontare della somma da liquidare in favore dei genitori per il risarcimento del danno subito a causa della morte della figlia minore che, attraversando imprudentemente la strada, era stata investita da un'auto, tenendo conto del concorso di colpa della stessa minore, nell'accezione sopra indicata, nel provocare il danno).
5.8. In altri termini, una volta stabilito che il concorso della condotta concorrente della vittima minorenne che non commetta un autonomo illecito deve essere preso in considerazione, ex art. 1227 I comma c.c., ai fini della proporzionale riduzione del risarcimento dei danni reclamati iure proprio dai genitori, l'ulteriore accertamento avente ad oggetto la sussistenza della loro colpa concorrente ex art. 2048 c.c. al fine di far derivare la (ulteriore) riduzione del danno risarcibile diviene irrilevante, dato che l'eventuale culpa in educando ovvero in vigilando verrebbe a coprire, per altro verso, quel medesimo ambito di irrisarcibilità già derivante dall'applicazione dell'art. 1227 cod. civ. (in termini, sia pur con varietà argomentativa, Cass. 2483/2018; Cass. 3557/2020).
5.9. Non colgono nel segno, pertanto, le pur suggestive argomentazioni di parte ricorrente, secondo cui, se l'applicazione dell'articolo 1227 c.c. impedisce una pronuncia di condanna che tenga conto anche del difetto di vigilanza ed educazione dei genitori della vittima, ciò non vuol dire che di tale difetto non possa tenersi conto ad altro titolo, ossia in base all'articolo 2048 c.c. - così anelandosi ad una pronuncia predicativa del principio secondo cui il risarcimento iure proprio dei genitori del minore deceduto andrebbe due volte ridotto, in base a due diversi titoli, ex art. 1227 per essere il danno stato causato anche dalla vittima, ed ex art. 2048 in quanto imputabile alla loro responsabilità vicaria.
5.10. La decisione dei giudici di merito è (condivisibilmente) fondata, di converso, su di una lettura dell'art. 2048 c.c. che istituisce i genitori responsabili del fatto (del minore) solo qualora esso sia illecito. Nella specie, il danno che il minore aveva causato a sé stesso è di colore giuridicamente "neutro" rispetto alla sua condotta, volta che, assumendo droga, egli non compie alcun atto illecito né verso se stesso né verso i genitori - con la conseguenza che questi ultimi non possono essere chiamati a subire quel danno oltre il limite del concorso del figlio deceduto ex art. 1227 c.c., posto che essi rispondono della condotta del minore solo quando essa sia autonomamente illecita, vuoi che il danno conseguente riguardi terzi, vuoi che riguardi lo stesso danneggiato.
5.11. Né varrebbe obbiettare che i genitori rispondono del fatto del minore solo ed esclusivamente se tale fatto sia illecito evocando la figura degli atti leciti dannosi (ossia quei casi in cui il compimento dell'atto, che ha prodotto danno, è consentito dall'ordinamento), poiché l'esistenza di una eventuale causa di giustificazione ex lege (come nell'ipotesi di accesso al fondo altrui per recuperare una cosa smarrita: art. 843 c.c.), da un canto, genera un obbligo non risarcitorio ma indennitario, dall'altro, nella sua evidente eccezionalità, non fa che confermare la regola della inscindibilità tra illiceità della condotta del minore e responsabilità genitoriale sancita dall'art. 2048 c.c.
5.12. Del tutto fuori fuoco, infine, deve ritenersi tanto la tesi secondo cui anche il consumo personale di sostanze stupefacenti, in quanto oggetto di sanzione amministrativa (art. 75 del TU stupefacenti), sarebbe "disapprovato" dall'ordinamento (e pertanto integrante una fattispecie di illecito), quanto quella che vorrebbe qualificare la condotta di chi acquista e consuma lo stupefacente - sia pur ai soli fini della fattispecie civilistica del danno che ne deriva - in termini di "concorso" con quella, illecita, dello spacciatore nella determinazione dell'evento. Quanto alla prima, non sembra minimamente discutibile la necessità che il "fatto illecito" ascritto alla vittima debba orbitare attorno alla sua necessaria dimensione civilistica (o penalistica), e non amministrativa; quanto alla seconda, la sola ipotesi di una sorta di "concorso civilistico" nell'illecito (penale) rappresentato dall'attività di spaccio da parte del venditore dello stupefacente non ha, all'evidenza, alcun fondamento giuridico, alla luce della valutazione di non illiceità della condotta dell'acquirente compiuta dallo stesso ordinamento a tutt'oggi (ancora) vigente.
5.13. I genitori del minore che abbia acquistato e poi assunto volontariamente una quantitativo mortale di sostanza stupefacente, e che sia rimasto vittima di tale comportamento, subiranno, pertanto, una riduzione del risarcimento loro dovuto per il danno patito iure proprio, ai sensi dell'articolo 1227 c.c., volta che quel danno è stato (in parte) materialmente causato dalla condotta del figlio deceduto, ma non potranno subire una ulteriore riduzione di quel risarcimento, ex art. 2048 c.c., se (come nella specie) la condotta del minore non abbia rivestito il carattere della illiceità.
I PRINCIPI DI DIRITTO
Ai sensi dell'art. 384, I comma c.p.c., essendo stato il ricorso esaminato e deciso ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c., la Corte enuncia i principi di diritto che seguono:
1) In tema di responsabilità cd. "vicaria" dei genitori del minore, ai fini della (ulteriore) riduzione del risarcimento del danno subito iure proprio (nella specie, morte del figlio per assunzione di sostanza stupefacente) e già ridotto in applicazione del comma primo, prima parte, dell'art. 1227 c.c. per essere stata ritenuta la condotta del danneggiato concausa dell'evento di danno, deve valutarsi esclusivamente se quest'ultimo abbia tenuto o meno un comportamento illecito, ossia oggettivamente in contrasto con una regola di condotta stabilita da norme positive, a prescindere dalla sua età e dal suo stato di incapacità.
2) La norma di cui all'art. 1227, comma 1, prima parte c.c. ha riguardo all'accertamento del nesso di causalità materiale, onde l'eventuale contributo causale della vittima all'evento dannoso è di tipo oggettivo e prescinde dall'imputabilità della condotta colposa sul piano soggettivo. L'eventuale condotta della vittima incapace, deve - pertanto - essere valutata alla stregua dello standard ordinario di comportamento diligente dell'uomo medio, senza tener conto della sua incapacità di intendere e di volere. Una siffatta valutazione oggettiva della condotta della vittima incapace, qualora non integri gli estremi di un autonomo fatto illecito, assorbe ogni rilievo circa la condotta del soggetto tenuto alla sua sorveglianza sotto il profilo di una sua eventuale culpa in vigilando e/o in educando, in quanto quest'ultima resta di fatto assorbita e superata dal fatto che la valutazione della condotta della vittima incapace viene effettuata secondo un criterio che non tiene conto della sua incapacità, operando invece su di un piano esclusivamente oggettivo e materiale.
3) Il principio di cui all'art. 1227 c.c. (riferibile anche alla materia del danno extracontrattuale per l'espresso richiamo contenuto nell'art. 2056 c.c.) della riduzione proporzionale del danno in ragione dell'efficienza con-causale della condotta del soggetto danneggiato si applica anche quando questi sia incapace di intendere o di volere per minore età o per altra causa, e tale riduzione deve essere operata non solo nei confronti del danneggiato, che reclama il risarcimento del pregiudizio direttamente patito al cui verificarsi ha contribuito la sua condotta, ma anche nei confronti dei congiunti che, in relazione agli effetti riflessi che l'evento di danno subito proietta su di essi, agiscono per ottenere il risarcimento dei danni iure proprio, restando peraltro esclusa - nell'ipotesi in cui la condotta concorrente della vittima non abbia il carattere dell'illecito, giusta il principio di cui all'art. 2048 c.c. - la possibilità di far luogo ad una ulteriore riduzione del danno risarcibile sulla base di un loro ipotetico concorso nella sua causazione per culpa in educando o in vigilando.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento, in favore del controricorrente Fr.Ma., delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 7200, di cui Euro 200 per spese.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale/ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del primo luglio 2025.
Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2025.