La perdita del feto per errore medico costituisce un danno da perdita del rapporto parentale.
La Cassazione, con l’ordinanza n. 26826 del 6 ottobre 2025, afferma che il legame tra genitori e concepito è reale già durante la gravidanza e che il risarcimento deve essere calcolato secondo le Tabelle milanesi, con una valutazione personalizzata sul caso concreto e, quando possibile, con l’interrogatorio libero delle parti ai sensi dell’art. 117 c.p.c.
Come si calcola il danno da perdita del feto quando la morte è causata da errore medico? E in che misura è assimilabile al danno da perdita del rapporto parentale?
La Corte di Cassazione chiarisce che la perdita del concepito è una vera e propria lesione del legame familiare, e che la liquidazione deve seguire i criteri delle Tabelle milanesi, adattati alla sofferenza effettiva dei genitori.
La vicenda riguarda una giovane donna alla quarantunesima settimana di gravidanza, ricoverata per sofferenza fetale evidente. Nonostante i tracciati cardiotocografici mostrassero chiari segnali di pericolo e le insistenti richieste dei familiari, i medici non intervennero con urgenza. Il parto cesareo fu eseguito solo la mattina successiva, quando la bambina era ormai deceduta per asfissia perinatale.
Il Tribunale di Benevento aveva riconosciuto ai genitori 165.000 euro ciascuno, applicando il minimo previsto dalle Tabelle milanesi. La Corte d’appello di Napoli, invece, dimezzò l’importo, ritenendo che il legame tra genitori e feto fosse una relazione affettiva solo potenziale.
La Cassazione ha ribaltato questa impostazione: la relazione genitori-figlio si forma già durante la gravidanza e la sua interruzione genera una sofferenza reale e profonda, che va risarcita secondo i criteri del danno parentale.
La Corte richiama gli articoli 2043 e 2059 c.c., che disciplinano l’illecito e il danno non patrimoniale, e gli articoli 2, 29, 30 e 31 della Costituzione, a tutela dei diritti inviolabili, della famiglia e della maternità. A livello europeo, la tutela del legame familiare è garantita dall’articolo 8 CEDU, che riconosce il diritto al rispetto della vita privata e familiare.
Rileva inoltre l’art. 117 c.p.c., che consente al giudice di acquisire elementi diretti sulla sofferenza attraverso l’interrogatorio libero delle parti.
Secondo la giurisprudenza di legittimità (Cass. 26301/2021; Cass. 901/2018; Cass. 28989/2019), il danno parentale comprende due dimensioni: la sofferenza interiore, intesa come dolore emotivo, e il pregiudizio dinamico-relazionale, che altera la quotidianità e i rapporti familiari. Le Tabelle milanesi, precisa la Corte, sono lo strumento uniforme per la liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, garantendo coerenza e prevedibilità delle decisioni.
Nel caso esaminato, la Cassazione ha censurato la riduzione automatica del 50% applicata dalla Corte d’appello. Tale criterio, osserva la Corte, non ha alcuna base giuridica, perché la sofferenza dei genitori che perdono un figlio, anche se non nato vivo, è effettiva e intensa.
Il giudice di rinvio dovrà quindi applicare integralmente le Tabelle milanesi, adeguando il risarcimento alla gravità del dolore e alle specificità del caso: età dei genitori, durata della gravidanza, condizioni familiari, presenza di altri figli e modalità dell’evento. L’audizione dei genitori, prevista dall’art. 117 c.p.c., rappresenta uno strumento utile per valutare l’autenticità e la profondità del danno.
La Corte sottolinea che la gravidanza è già di per sé una relazione affettiva piena, e la perdita del feto incide su un rapporto familiare già in essere, non su un progetto ipotetico o potenziale.
La pronuncia orienta in modo chiaro la materia della responsabilità sanitaria. Le domande di risarcimento per perdita del concepito devono essere formulate come danno parentale, con riferimento alle norme del codice civile, della Costituzione e della CEDU.
Le Tabelle milanesi restano il parametro di riferimento per il calcolo del risarcimento, da utilizzare con un approccio flessibile ma coerente. Ogni riduzione automatica è esclusa: il valore deve essere personalizzato sulla base della sofferenza concreta e delle circostanze individuali.
Cassazione civile, sez. III, ordinanza 06/10/2025 (ud. 01/07/2025) n. 26826
I FATTI
1. Alle 20.40 del 25 luglio del 2008, la signora Ca.Er., venticinquenne all'epoca dei fatti, giunta alla quarantunesima settimana di gravidanza e ormai prossima al parto, venne accompagnata al pronto soccorso dell'Ospedale Rummo di B.;
2. Fin dalle 20.58 vennero riscontrati segnali cardiotocografici di allarme, mentre un successivo tracciato eseguito circa 3 ore dopo avrebbe evidenziato una perdita di variabilità durante le decelerazioni - sintomo di sofferenza fetale;
3. Benché gli esami strumentali avessero indicato una chiara situazione di pericolo, nessun intervento venne eseguito durante l'intera notte, essendosi i sanitari limitati a ripetere i tracciati cardiotocografici nonostante la madre della signora Ca.Er. ne avesse ripetutamente richiesto l'intervento, preoccupata dagli allarmi sonori provenienti dalla strumentazione cardiotocografica, dopo che la figlia era stata finalmente ricoverata, alle ore 00.45, con diagnosi di sofferenza fetale acuta;
4. Nonostante la puerpera avesse ripetutamente evidenziato di non sentire più alcun movimento della bimba nel suo grembo, soltanto alle 9.45 del giorno successivo venne eseguita una ecografia - che mostrava segni di grave compromissione del feto - e soltanto alle 10.11 si procedette all'intervento di parto cesareo.
5. Dopo trenta minuti dalla nascita - come si legge nella sentenza del Tribunale di Benevento, puntualmente riportata dalla Corte di appello al folio 3 della sentenza oggi impugnata - la piccola Mi.An. morì, pur essendo stata sottoposta ad inutili interventi di rianimazione, a causa di una grave asfissia perinatale;
6. Tra la sera del 25 luglio e il mattino del giorno successivo, fino alle 9.37, avevano prestato servizio presso il nosocomio i medici Ci. e De.Mi., che vennero imputati nel procedimento penale instauratosi a loro carico per il delitto di omicidio colposo della piccola Mi.An.
Il procedimento si concluse con la condanna della sola De.Mi.
I GIUDIZI DI MERITO
Il giudizio dinanzi al Tribunale di Benevento
1. La signora Ca.Er., insieme al marito ed ai nonni paterni e materni della bimba spirata poco dopo la nascita, in proprio nonché in rappresentanza dei due figli nati successivamente alla morte della sorellina, convennero dinanzi al Tribunale di Benevento l'Azienda Ospedaliera, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patiti a vario titolo da ciascuno dei sei attori;
l'Azienda convenuta chiese ed ottenne di poter chiamare in causa la propria compagnia di assicurazioni, la QBE INSURANCE limited, che si costituì eccependo la non operatività della polizza.
Il 31 gennaio 2019 spiegò intervento volontario, ex art. 111 comma 3 c.p.c., la RELIANCE NATIONAL INSURANCE COMPANY, dichiarandosi cessionaria del portafoglio di responsabilità medica della QBE - alla quale era succeduta, sia pur soltanto in parte qua - e chiedendo la conseguente estromissione dal giudizio della cedente, cui, peraltro, non avrebbe prestato il proprio consenso l'Azienda ospedaliera.
2. Il Tribunale di Benevento, esaurita l'istruttoria - espletata sia a mezzo testi che mediante CTU - ritenne i sanitari responsabili della morte della neonata, evocando, in proposito, la più recente giurisprudenza penale in tema di distinzione tra feto e persona (e dunque quella tra interruzione colposa della gravidanza e omicidio colposo: Cass. Pen. 27539/2019), ritenendo configurabile la fattispecie della perdita non del feto, ma della piccola neonata ("alta 50 cm, dal peso di 3,2 kg., compiutamente formata e priva di qualsivoglia patologia fino al momento in cui era iniziato il travaglio della mamma"), che era stata regolarmente registrata presso l'ufficio dello stato civile del comune di Benevento (sul punto, amplius, infra).
3. La domanda risarcitoria fu pertanto accolta in favore tanto dei genitori della bambina - cui venne riconosciuto e liquidato il danno da perdita del rapporto parentale nella misura minima prevista dalle tabelle di Milano all'epoca vigenti (165.000 Euro ciascuno), considerata la brevissima durata del rapporto parentale e la loro giovane età, che gli aveva consentito di generare altri due figli, il primo concepito dopo soli 5 mesi dalla morte di una sorellina mai conosciuta - quanto dei nonni (24.000 Euro ciascuno), mentre venne rigettata quella proposta in nome e per conto dei fratellini, Fr. e Ma., non ancora concepiti all'epoca dei fatti.
Il giudizio dinanzi alla Corte di appello di Napoli
1. La sentenza di primo grado fu impugnata separatamente sia dalla Azienda Ospedaliera, sia dalle compagnie di assicurazione, entrambe condannate il solido in prime cure, e i due giudizi furono riuniti.
2. La Corte di Appello di Napoli accolse parzialmente il gravame della Azienda ospedaliera, dimezzando il risarcimento riconosciuto in prime cure a ciascuno dei danneggiati, e rigettò ogni altra impugnazione, compresa quella incidentale degli originari attori in prime cure.
3. Queste, in sintesi, le motivazioni testualmente adottate dal giudice di secondo grado a fondamento della sua decisione:
a) "In punto di fatto, non può revocarsi in dubbio (alla luce delle inequivoche risultanze della CTU di primo grado) che la piccola Mi.An. sia stata estratta dal grembo materno già priva di vita, con punteggio AGPAR pari a zero sia al primo che al quinto minuto";
b) "In materia di riconoscimento del danno da perdita del rapporto parentale con riferimento alla peculiare fattispecie del feto nato morto" non si poteva prescindere "dall'insegnamento espresso dalla Suprema Corte nella pronuncia 22859/2020", vicenda in relazione alla quale la "era stato liquidato un importo pari alla metà dei minimi previsti dalle tabelle milanesi";
c) "In questa ipotesi, viene ad essere pregiudicata una relazione affettiva non già concreta, bensì potenziale", fuori dall'ambito di una tabellazione espressa comunque connessa ad un rapporto parentale effettivo;
d) "Stante il mancato instaurarsi di un rapporto oggettivo, la Corte regolatrice ha ritenuto equa e congrua la liquidazione effettuata dalla corte territoriale pari alla metà del minimo riconoscibile in base alle tabelle milanesi all'epoca operative";
e) Ammessa, in tesi, "la piena risarcibilità del danno da perdita della relazione affettiva potenziale" come affermato dalla Corte di legittimità con la sentenza 22859/2020 (sulla scia della pronuncia 12717/2025), il motivo di gravame subordinato, inerente al quantum debeatur, verrà giudicato fondato, volta che "trattandosi di un rapporto affettivo potenziale" equa e congrua appariva la liquidazione il danno "nella misura della metà dei minimi previsti dalle attuali tabelle milanesi" (nella versione del 2018, che prevedevano una liquidazione cd. "a forbice");
f) Osserverà poi Corte territoriale che, "nella seconda comparsa ex art. 190 c.p.c., la difesa degli appellanti sostiene che la terza sezione civile della cassazione, nell'ordinanza 26301 del 2021, avrebbe affermato che anche la morte del feto, per responsabilità sanitaria, determina un vero e proprio danno da perdita del rapporto parentale". Eppure, secondo il collegio partenopeo, l'indicazione sarebbe stata errata, poiché
g) "trattavasi, in realtà, dell'ordinanza n. 26300/2021, ma soprattutto, essa non riguardava la fattispecie del feto nato morto: infatti, in tale pronuncia, la S.C. ha esaminato il caso di un bambino nato con grave sofferenza cerebrale per asfissia intra partum, poi deceduto all'età di 14 anni": in conclusione, e di conseguenza, "non poteva condividersi quest'ultimo argomento addotto dagli appellanti".
I RICORSI PER CASSAZIONE
1. La sentenza di appello è stata oggetto di ricorso per cassazione da parte dei congiunti della bambina, illustrato da tre motivi di censura.
Si è costituita l'Azienda Sanitaria con controricorso e memoria.
2. Avverso la sentenza, peraltro, era stato già proposto ricorso dalle due società di assicurazione dell'Azienda, illustrato da un solo motivo di censura, cui avrebbe fatto seguito il ricorso incidentale condizionato della stessa Azienda Ospedaliera, entrambi illustrati da memoria.
I due procedimenti, separatamente proposti, sono stati riuniti e, in particolare, al ricorso n. 12089/2023 (proposto dalle compagnie assicuratrici), che assume veste di ricorso principale, è stato riunito quello n. 12439/2023, proposto dalle parti danneggiate, che prende veste di ricorso incidentale, ma che sarà esaminato in via prioritaria per le ragioni che di qui a breve si esporranno.
Il ricorso incidentale Ca.Er.
1. Con il primo motivo si prospetta la nullità della sentenza impugnata ex art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articoli 2059,1223 e 1226 c.c. nonché 2, 29 e 30 della Costituzione ed 8 della CEDU. La censura, dopo aver premesso (F. 9 del ricorso) che il Tribunale di Benevento aveva ricostruito la dolorosa vicenda che aveva colpito i coniugi Ca.Er. - Mi.Co. "in termini di perdita non solo di frutto del concepimento, ma proprio della figlia Mi.An., neonata compiutamente formatasi, viva, e priva di alcuna patologia, tanto da venir regolarmente registrata presso l'ufficio di stato civile di Benevento", mira a contestare la tesi, fatta propria dalla Corte di Appello, secondo cui la perdita del feto rappresenterebbe una perdita del rapporto parentale non effettivo, ma soltanto potenziale - tesi che i giudici di merito ricavano da un principio espresso in passato in due pronunce di questa Corte, predicative di un principio secondo cui, nella liquidazione del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale per il parto di un feto morto, il giudice di merito, nell'applicare i parametri delle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano, può operare la necessaria personalizzazione, in base alle circostanze del caso concreto, riconoscendo ai danneggiati una somma inferiore ai valori minimi tabellari in considerazione della mancata instaurazione di una relazione affettiva, in quanto tale circostanza non è riconducibile alle tabelle ed esprime il differente caso di una relazione soltanto potenziale (Cass. 22859/2020; Cass. 12717/2015, mentre la successiva Cass. 22899/ 2024 si limita ad un fugace accenno alla questione ai soli fini della quantificazione del risarcimento, senza affermare alcun principio di diritto, e citando la sola sentenza del 2015).
Sostengono, di converso, i ricorrenti che questa tesi non tiene conto della rilevanza della relazione con il feto, ossia del fatto che anche con il feto si instaura una relazione parentale vera e propria, e che dunque la sua perdita è fonte di pregiudizi non patrimoniali al pari della perdita di un neonato o di un congiunto, come affermato da questa stessa Corte con la ordinanza n. 26301/2021.
2. Con il secondo motivo si prospetta, ex art. 360 n. 4 c.p.c. la nullità della sentenza per violazione dell'articolo 112 c.p.c., oltre che difetto di motivazione sull'ammontare del risarcimento.
Come già detto in narrativa, la Corte di Appello, sul presupposto che la perdita del feto sia una perdita di un rapporto parentale solo potenziale, ha liquidato un risarcimento inferiore a quello previsto dalle tabelle per la perdita del parente, ed in particolare un risarcimento ridotto della metà rispetto al minimo. Sostengono i ricorrenti che la motivazione, del tutto illogica, e meramente apparente, risulta priva di qualsivoglia disamina logico-giuridica della fattispecie concreta, e soprattutto trascura il principio di diritto affermato da questa Corte nella ordinanza 26301 del 2021, che i giudici di appello confondono con altra e diversa pronuncia (la n. 26300 del 2001).
3. Il terzo motivo, che prospetta, ex art. 360 n. 5 c.p.c. un vizio di omesso esame di fatti storici rilevanti ai fini della liquidazione equitativa del danno, si pone sulla falsariga del secondo.
Si assume che la sentenza impugnata non risulta motivata laddove la Corte d'Appello ha proceduto ad una riduzione in misura del 50% del danno riconosciuto agli appellanti solo sulla scorta del fatto che trattasi di lesione di un rapporto affettivo soltanto potenziale e che in un caso analogo la Suprema Corte ha prospettato ed avvalorato detta riduzione, e che, di conseguenza, appare evidente come la Corte di merito abbia omesso di motivare in ordine all'abbattimento tout court del 50% del valore monetario base fissato dalle tabelle milanesi del Gennaio 2021 " .
La decisione della Corte
1. I tre motivi di ricorso, che possono essere congiuntamente esaminati attesane la intrinseca connessione, meritano accoglimento.
2. Parte controricorrente, preliminarmente, eccepisce l'inammissibilità del ricorso per difetto di autosufficienza, osservando che, pur avendo i ricorrenti richiamato parti della sentenza del Tribunale e di quella di appello, nonché della loro comparsa, omettono poi di localizzare tali atti, in particolare non specificando in che parte del fascicolo essi siano stati allegati.
2.1. L'eccezione è infondata per due ragioni: la prima è quella per cui gli atti risultano comunque allegati (la sentenza impugnata e quella di primo grado sono facilmente rintracciabili); la seconda, oltre a ciò, sta nel fatto che la controricorrente non contesta che i passi riportati (e tratti dagli atti che avrebbero dovuto essere localizzati) corrispondano all'originale, ma si limita ad esporre una defatigante eccezione formale sulla mancata localizzazione, che è eccezione, di per sé, inconferente nella misura in cui non si dubita che ciò che è riportato in ricorso corrisponde all'atto di cui si fa citazione.
3. Nel merito, i genitori della piccola Mi.An. criticano l'orientamento - fatto proprio dai giudici di appello - desumibile dalle due già citate decisioni di questa Corte (Cass. 22859/2020; Cass. 12717/2015), secondo le quali la perdita del frutto del concepimento (ovvero di un neonato, come afferma, nel caso di specie, il Tribunale, a differenza del giudice di appello, che discorre di perdita del feto) sarebbe una perdita di un rapporto parentale "soltanto potenziale"; secondo i ricorrenti, che traggono conforto da una diversa decisione sempre di questa Corte (Cass. 26301/ 2021), si tratterebbe della perdita di un rapporto parentale tout court.
4. Il contrasto tra le decisioni sopra ricordate potrebbe risultare meramente apparente, a condizione che il significato del sintagma "danno potenziale" sia rettamente inteso. Infatti, se per "danno potenziale" si fa riferimento alla (mancata) evoluzione di un rapporto genitore-figlio, normalmente destinato a dipanarsi nel tempo, ed impedito dalla colpevole attività dei sanitari, la definizione è senz'altro corretta. Non lo sarebbe, di converso, se essa impingesse, negandola, nella doppia dimensione del danno da perdita di un feto (o di un neonato) escludendone la rilevanza sia sotto il profilo della sofferenza interiore (specie della madre, che vive per nove mesi un rapporto via via sempre più intenso, in una dimensione di progressiva immedesimazione, con il frutto del concepimento), sia sotto quelli dinamico-relazionale, poiché la quotidianità della vita di due genitori che perdono un figlio anche soltanto concepito non è paragonabile a quella di genitori che, quel figlio, lo hanno visto nascere, e si preparano ad accompagnarlo giorno dopo giorno in tutte le stagioni della sua vita.
5. Vanno, pertanto, riaffermati i principi già espressi nella citata sentenza 26301/2001, a mente della quale, circoscrivendo nella sua sola dimensione funzionale -riduttivamente ed impropriamente- il danno "da perdita del frutto del concepimento", si omette di considerare che, in realtà, i genitori prima, il giudice poi, si trovano al cospetto di un vero e proprio danno da perdita del rapporto parentale.
E si rammenta ancora, in motivazione, come "anche la tutela del concepito abbia un sicuro fondamento costituzionale" come ripetutamente affermato dal Giudice delle leggi, rilevando in tale prospettiva non solo la previsione della tutela della maternità sancita dall'art. 31, secondo comma, Cost., ma anche quanto stabilito dall'art. 2 Cost., norma "che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, fra i quali non può non collocarsi, sia pure con le particolari caratteristiche sue proprie, la situazione giuridica del concepito" (Corte costituzionale n. 27 del 1975).
5.1. Andranno, pertanto, applicati, nel caso di specie, i principi ripetutamente affermati da questa Corte, che non solo ha ritenuto legittimati i componenti del consorzio familiare a far valere una pretesa risarcitoria che trova fondamento negli artt. 2043 e 2059 cod. civ. in relazione agli artt. 2,29 e 30 Cost., nonché - ai sensi della norma costituzionale interposta costituita dall'art. 8 CEDU, che dà rilievo al diritto alla protezione della vita privata e familiare - all'art. 117, comma 1, Cost. (in tal senso, funditus, Cass. 27 marzo 2019, n. 8442), ma ha anche chiarito che tale tipo di pregiudizio rileva nella sua duplice, non sovrapponibile dimensione morfologica "della sofferenza interiore eventualmente patita, sul piano morale soggettivo, nel momento in cui la perdita del congiunto è percepita nel proprio vissuto interiore, e quella, ulteriore e diversa, che eventualmente si sia riflessa, in termini dinamico-relazionali, sui percorsi della vita quotidiana attiva del soggetto che l'ha subita": così, Cass. 901/2018, 7513/2018, 2788/2019, nonché, funditus, Cass. 11 novembre 2019, n. 28989 (nella quale, all'evidenza, è contenuto un refuso nell'incipit della motivazione, contenuto al folio 9, poiché il principio dedicato alle duplicazioni risarcitorie è soltanto la riproduzione virgolettata di quanto -erroneamente- affermato dalle sezioni unite del 2008, il cui superamento è poi inconfutabilmente argomentato nelle pagine successive della sentenza).
L'approdo definitivo di un lungo e tormentato percorso interpretativo ha finalmente colto la reale fenomenologia del danno alla persona, come confermato dallo stesso, esplicito dettato legislativo di cui al novellato art. 138 C.d.a., oltre che dalla cristallina sentenza del Giudice delle leggi n. 235/2014 che, nel pronunciarsi sulla conformità a Costituzione del successivo art. 139, e discorrendo di risarcibilità anche del danno morale al punto 10.1. della sentenza, ha definitivamente chiarito la differenza strutturale tra qualificazione della fattispecie e quantificazione del danno.
5.2. Tutti gli aspetti, comportamentali e sofferenziali, di due genitori cui la vita infligge l'ardua prova rappresentata dalla morte di una neonata, ovvero del frutto del concepimento appena estratto dal corpo della madre, non possono, pertanto, considerarsi "danno potenziale" come tale avulso dalla costante, insanabile, implacabile dimensione del dolore genitoriale, risultando tale espressione, se così erroneamente interpretata, del tutto non conforme alla realtà, prima ancora che al diritto.
5.3. Può oggi definirsi massima di comune esperienza, grazie all'insegnamento di molte scienze umane, quella secondo cui, di norma, il rapporto genitoriale viene ad esistere già durante la vita prenatale, per consolidarsi progressivamente nel corso della stessa, a prescindere dal fatto che il feto sia successivamente venuto alla luce. Ed è constatazione diffusa, che non necessita del supporto di particolari riferimenti scientifici, che già durante la gravidanza il genitore comincia a viversi come tale, instaurando una relazione affettiva (oltre che strettamente biologica, da parte della madre) con il concepito, adeguando alla nuova situazione, al tempo stesso attuale e in fieri, la propria dimensione di vita. Ove l'illecito abbia causato la morte del feto, quella che si produce - in capo ai genitori - è, dunque, lesione di un rapporto familiare (non solo potenziale, bensì) già in essere.
5.4. Nel riconsiderare tali aspetti del danno lamentato dai ricorrenti, il collegio di rinvio - dopo aver sciolto il nodo della sopravvivenza o meno della piccola Mi.An., alla luce della contraddizione che sembra emergere dalla stessa sentenza - terrà conto di quanto, ancora, affermato da questa Corte con la più volte citata sentenza 26301/2021 (oltre che dei principi di cui a Cass. 8887/2020), valorizzando in particolare l'aspetto della sofferenza interiore patita dai genitori, volta che, nella perdita di un rapporto parentale (specialmente di un figlio) è proprio la dimensione del dolore, assai più che la modifica della propria vita di relazione, a rappresentare l'aspetto più significativo del danno.
5.5. Esiste, difatti, una radicale differenza tra il danno per la perdita del rapporto parentale e quello per la sua compromissione dovuta a macrolesione del congiunto rimasto in vita - caso nel quale è la vita di relazione a subire profonde modificazioni in pejus.
Una differenziazione che rileva da un punto di vista qualitativo quantitativo del risarcimento se è vero che, come insegna la più recente ed avveduta scienza psicologica, (e contrariamente alle originarie teorie elaborate alla fine de secolo scorso sul tema del lutto), quella della cosiddetta elaborazione del lutto è un'idea fallace, poiché camminiamo nel mondo sempre circondati dalle assenze che hanno segnato la nostra vita e che continuano ad essere presenti tra noi. Il dolore del lutto non ci libera da queste assenze, ma ci permette di continuare a vivere e di resistere alla tentazione di scomparire insieme a ciò che abbiamo perduto". Il vero danno, nella perdita del rapporto parentale, è la sofferenza, non la relazione. È il dolore, non la vita, che cambia una persona, se la vita è destinata, sì, a cambiare, ma, in qualche modo, sopravvivendo a sé stessi nel mondo.
6. Va pertanto stigmatizzata, sotto il profilo della omessa motivazione, l'affermazione della Corte territoriale, che si legge al folio 25 della sentenza impugnata, secondo la quale il richiamo operato dai ricorrenti, nella seconda comparsa ex art. 190 c.p.c., alla sentenza 26301/2021 sarebbe il frutto di un vero e proprio errore, poiché in realtà "si tratta" scrivono i giudici partenopei "dell'ordinanza n. 26300/2021, ma, soprattutto, essa non riguarda la fattispecie del feto morto, ma esamina un caso di grave sofferenza cerebrale per asfissia intra partum, cui seguì il decesso del danneggiato all'età di 14 anni".
Ebbene, a differenza di quanto incautamente affermato, si tratta, in realtà, proprio dell'ordinanza 26301/2021 (il numero di provvedimento 26301 è evidentemente diverso dal numero 26300, come sarebbe stato agevole notare se solo ci si fosse data pena di leggerli entrambi), che si occupava, contrariamente a quanto si legge nella sentenza impugnata, proprio di un caso esattamente sovrapponibile a quello di specie, la cui motivazione (ben diversa da quella che si era occupata di uno sfortunato quattordicenne) è stata poc'anzi riportata in parte qua (supra, sub 5.4 e 5.5.).
Ogni altra considerazione sul punto va in questa sede risparmiata caritatis causa.
7. Corretta risulta, di converso, la decisione della Corte di appello di utilizzare, quale parametro risarcitorio, le tabelle di Milano.
7.1. La decisione fa doverosa applicazione di una giurisprudenza di legittimità costantemente e univocamente orientata, ampiamente motivata, ed ormai ultradecennale (alla quale non può che darsi ulteriore continuità), i cui principi non appaiono in alcun modo scalfiti da un'unica, distonica e assai sinteticamente motivata pronuncia recente di questa sezione (Cass. n. 24349 del 2025, ove si opina essere "del tutto evidente - nonostante una giurisprudenza l'abbia affermato, ma senza alcuna oggettiva base, suscitando da ultimo un intervento specifico del legislatore che non poteva essere supplito - che le c.d. tabelle milanesi, come quelle di qualunque altro Foro, non hanno alcun valore normativo, non provenendo da un soggetto dotato di potestà legislativa e/o regolamentare: si tratta, in effetti, di una mera proposta di usualità equiparativa");
7.2. Consta peraltro al collegio che "la giurisprudenza" che l'avrebbe affermato "senza alcuna oggettiva base" è rappresentata da molte decine di pronunce (da ultimo, Cass. Sez. lavoro 16/03/2025, n.6981: nel solo anno 2024 se ne contano 9; tra le numerosissime altre, funditus, Cass. 25164/2020) che prendono tutte lo spunto dalla fondamentale sentenza 12408/2011, volta a porre fine a una ormai intollerabile anarchia risarcitoria che pervadeva la giurisprudenza di merito di questo Paese.
Si affermarono così, con alto livello di approfondimento e di consapevolezza della questione, il principio secondo il quale l'equità va intesa anche come parità di trattamento, onde la liquidazione del danno non patrimoniale alla persona da lesione dell'integrità psico-fisica presuppone l'adozione da parte di tutti i giudici di merito di parametri di valutazione uniformi, da individuarsi in quelli tabellari elaborati presso il Tribunale di Milano, da modularsi a seconda delle circostanze del caso concreto; il principio secondo il quale, allorché si lede l'integrità psicofisica di una persona, arrecandole anche un danno non patrimoniale, si incide negativamente su diritti fondamentali costituzionalmente garantiti, di tal che, ritenute la marcata, frequentissima disparità e l'empirismo dei metodi di riferimento, di valutazione e di liquidazione riscontrabili nella giurisprudenza di merito, ritenute le pletoriche, accentuate varietà e le non lievi divergenze riscontrabili, finora, in seno ai cd. valori tabellari, ritenuta la sussistenza, anche a parità di condizioni, di una giurisprudenza diversificata per zone territoriali, con violazione dei principi di uguaglianza, di equità, di certezza del diritto, con incremento della litigiosità e del contenzioso e con notevole, inaccettabile casualità delle aspettative e delle risultanze risarcitorie, a tutto discapito anche della necessaria c.d. morigeratezza processuale, ritenute le controindicazioni che tarano negativamente le varie medie aritmetiche adottate, ritenuta la carenza, finora, di una tabella unica di riferimento e di valutazione per la stima e la quantificazione del danno non patrimoniale e del correlativo risarcimento, ritenuto l'ineludibile ruolo nomofilattico assegnato, istituzionalmente, alla S.C.C., ritenuta la plausibilità e l'attendibilità, sotto ogni punto di vista, delle tabelle di riferimento e valutazione elaborate dal Tribunale di Milano e caratterizzate dall'adozione articolata di criteri uniformi e più diffusi sul territorio nazionale, ebbene, quanto sopra ritenuto e premesso, sono comunemente applicabili e vincolanti, de futuro, perché valide ed attendibili, le sole tabelle milanesi, potendo il giudice e l'interprete discostarsene solo con esplicita, adeguata, esaustiva motivazione imposta dagli elementi e dalle circostanze del singolo caso;
7.3. È del tutto evidente che tali principi, costantemente riaffermati dalla giurisprudenza di questa Corte, conservano intatta la loro persuasività e la loro forza esplicativa, giuridica e non, anche all'indomani dell'emanazione, da parte del governo, delle c.d. TUN, a distanza di vent'anni dalla data prevista dal codice delle assicurazioni, restando conseguentemente intatta la ratio della relativa necessità applicativa per tutte le altre fattispecie di danni, diversi da quello alla salute, puntualmente previste dalle tabelle milanesi.
7.4. Di tutto ciò è prova il costante riferimento, e la altrettanto costante, proficua interlocuzione della Corte di legittimità con l'organo deputato all'elaborazione delle tabelle milanesi -interlocuzione, sia pur indiretta, di cui è prova proprio la sentenza 26300/2021 (e, prima ancora, la pronuncia 10579/2021) che stigmatizzò l'inadeguatezza della tabella milanese con riguardo al danno parentale per mancanza di parametri (era prevista, all'epoca, soltanto una liquidazione cd. "a forbice"). Adeguandosi a tali pronunce, nel maggio del 2022 l'Osservatorio meneghino licenziò le nuove tabelle integrate a punti, ricevendo, in tutte le pronunce successive di questa stessa Corte, una rinnovata e incontestata legittimazione, a riprova che i principi della sentenza del 2011 estendevano la loro preziosa portata ben oltre la fattispecie del danno biologico.
7.5. Definitiva conferma della attualità e della necessità che i giudici di merito continuino ad applicare le tabelle di Milano si ricava dalla lettura del recente provvedimento del primo Presidente di questa Corte (del cui contenuto non è traccia alcuna nella citata ordinanza 24349/2025) che, ritenendo ammissibile il quesito pregiudiziale posto proprio dal Tribunale di Milano circa l'applicazione retroattiva delle TUN, ovvero, in alternativa, delle tabelle milanesi, osserva, in premessa: il Tribunale di Milano, con ordinanza del 18 luglio 2025 n. 4915, ha sollevato la questione pregiudiziale, ai sensi dell'art. 363-bis c.p.c., sul "se, in relazione alla controversia sub judice, relativa ad una domanda risarcitoria di danno alla salute superiore al 9% derivante da sinistro della circolazione stradale avvenuto prima del 5.03.2025, tenuto conto della sopravvenuta emanazione del D.PR. n. 12/2025 in vigore dal 5 marzo 2025, che ha approvato la T UN. (Tabella Unica Nazionale) ex art. 138 Codice delle Assicurazioni Private, il giudice: 1) in conformità con gli assunti della sentenza Cass. n. 12408/2011 (poi ribaditi nella sentenza Cass., n. 10579/2021), per non incorrere nel vizio di violazione di legge, deve continuare ad applicare la Tabella per la liquidazione del danno non patrimoniale da lesione del bene salute approvata dall'Osservatorio sulla Giustizia civile di Milano (ad oggi le Tabelle milanesi Edizione 2024), che ha acquistato una sorta di efficacia para-normativa, "quale parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli arti. 1226 e 2056 cod. civ."; 2) oppure, per non incorrere nel vizio di violazione di legge, dovrà necessariamente applicare la TUN., avendo questa assunto, dopo l'emanazione del D.PR. n. 12/2025, valenza, in linea generale, di nuovo parametro di conformità della valutazione equitativa del danno non patrimoniale da lesione del bene salute alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 c.c.; 3) oppure, con adeguata motivazione, sarà libero di applicare, in tutto o in parte, la TUN, ovvero la Tabella per la liquidazione del danno non patrimoniale da lesione del bene salute approvata dall'Osservatorio sulla Giustizia civile di Milano (Edizione 2024), in base alle peculiarità della fattispecie concreta".
7.6. Il Primo Presidente della Corte di Cassazione, con provvedimento reso in data 16/9/2025, ha ritenuto sussistenti le condizioni di cui all'art. 363 bis c.p.c. per dichiarare ammissibile il rinvio pregiudiziale sollevato dal Tribunale di Milano, ed ha assegnato la questione alla Terza Sezione Civile, cui è demandato il quesito relativo alla applicabilità/inapplicabilità retroattiva delle TUN rispetto alle tabelle dell'Osservatorio del Tribunale di Milano, così confermandosi implicitamente la costantemente predicata valenza paranormativa di dette tabelle (e non di altre), e tantomeno la cancellazione del principio di equità attraverso una sorta di irresponsabile legittimazione del giudice di merito a pronunciare sentenze del tutto avulse dall'applicazione di parametri predeterminati.
Il ricorso principale delle società di assicurazione.
1. Preliminarmente, l'Azienda Ospedaliera eccepisce l'inammissibilità del ricorso dell'assicuratrice Reliance in quanto la procura al difensore sarebbe stata rilasciata dal sig. To.Ba., che, a sua volta, avrebbe ricevuto tale potere dal rappresentante legale della società, lamentando che quest'ultima procura, ossia quella mediante la quale la società avrebbe conferito al To.Ba. il potere di nominare il difensore e di conferire a costui il mandato, non sarebbe stata allegata.
La società, con la memoria, però, ha fatto presente di aver depositato l'atto, ai sensi dell'art. 372 c.p.c., e dunque la procura è in atti.
2. Con l'unico motivo di ricorso, le due società di assicurazione denunciano la violazione dell'articolo 112 e dell'art. 39 della Direttiva 2009/138/EC del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 novembre 2009, del D.Lgs. 74/2015, in relazione al combinato disposto degli artt. 168 e 199 del Codice delle Assicurazioni Private e al Bollettino IVASS n. 10/2018.
3. La tesi è la seguente. La società QBE INSURANCE (Europe) Limited era la compagnia che aveva assicurato l'azienda ospedaliera, e che era stata inizialmente citata in giudizio da quest'ultima. Nel corso del giudizio la QBE, come già esposto in narrativa, aveva ceduto un intero portafoglio (dunque un insieme di contratti) alla società RELIANCE NATIONAL INSURANCE COMPANY (Europe) Limited, intervenuta in giudizio quale suo successore a titolo particolare.
3.1. Sin dal primo grado, QBE aveva eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, poiché la cessione si era perfezionata ed aveva conseguentemente prodotto l'effetto di successione.
La Reliance, a sua volta, era intervenuta in giudizio ed aveva chiesto l'estromissione di QBE, sua dante causa.
3.2. Il giudice di primo grado non aveva accolto tale richiesta, ed avverso tale decisione entrambe le società avevano proposto inutilmente appello, volta che anche il giudice di secondo grado ne aveva rigettato la domanda di estromissione, riaffermando la legittimazione passiva di QBE (cedente) sul presupposto che avesse a sua volta proposto impugnazione.
3.3. Ritennero, in proposito, i giudici di secondo grado, in via preliminare, che non si potesse prescindere dall'esplicito diniego (espresso in primo grado dall'Azienda Ospedaliera San Pio ), all'estromissione dal giudizio della dante causa QBE INSURANCE, a seguito dell'intervento volontario spiegato dall'avente causa Reliance National Insurance - con conseguente permanenza della legittimazione processuale delle due compagnie, stante la presa d'atto da parte delle medesime società, avendo entrambe proposto l'appello principale, introduttivo dell'originario procedimento n. 1696/20 RG." (p. 18 della sentenza).
3.4. Le due ricorrenti contestano questa ratio, assumendo che, perfezionatasi la cessione, l'unica ad essere passivamente legittimata sarebbe stata la società cessionaria.
3.5. A tale argomento l'Azienda sanitaria replica che l'estromissione non era stata acconsentita (ex art. 111, terzo comma c.p.c.) e che sulla legittimazione passiva della cedente si era formato giudicato, in quanto la decisione di primo grado non è stata impugnata sul punto, onde il giudice di appello, decidendo nel merito di tale questione (con la motivazione sopra riportata) aveva violato il giudicato.
Il ricorso incidentale condizionato dell'Azienda ospedaliera
1. L'Azienda ospedaliera, dunque, propone un solo motivo di ricorso incidentale condizionato. Ossia chiede che, nel caso si ritenga che la cessione del contratto renda non legittimato il cedente, venga tuttavia accertato il capo di sentenza con il quale era stata dichiarata tale legittimazione era passato in giudicato dopo il primo grado, e che il giudice di appello aveva violato l'art. 2909 c.c. nel non rilevarla.
La decisione della Corte
1. Il ricorso principale delle due compagnie di assicurazioni non è fondato.
2. È difatti consolidato, presso questa Corte, il principio di diritto secondo cui "in caso di successione a titolo particolare nel diritto controverso, il processo prosegue fra le parti originarie e, anche quando non vi sia estromissione del convenuto ai sensi dell'art. 111, terzo comma, cod. proc. civ., la sentenza ha comunque effetto contro il successore a titolo particolare, il quale può intervenire o essere chiamato nel giudizio, divenendone parte a tutti gli effetti; nè peraltro la circostanza per cui, contro tale successore, detta sentenza, pur se pronunciata in confronto del solo originario convenuto, abbia efficacia anche come titolo esecutivo, elimina l'attualità dell'interesse dell'attore ad agire contro l'originario convenuto" (Cass. sez. un. 22727/ 2011; Cass. 6471/ 2012; Cass. 3454/2021).
2.1. La ratio di tale principio viene rinvenuta "nell'esigenza di contemperare l'interesse della controparte di colui che, nel corso del processo, ha trasferito a titolo particolare il diritto controverso, alla non modificazione soggettiva del rapporto processuale (cd. "perpetuatio legitimationis") con il principio della (normale) coincidenza delle parti processuali con i soggetti del rapporto sostanziale dedotto in giudizio. Siffatto contemperamento è stato attuato, per un verso, mediante l'attribuzione al successore a titolo particolare della facoltà d'intervenire "in ogni caso" nel giudizio (cui fa riscontro la facoltà di chiamata in causa spettante alla controparte) e, per altro verso, nella subordinazione al consenso della controparte stessa, della estromissione dal giudizio dell'originario titolare (e originaria parte processuale) del diritto controverso.
Consegue che, una volta intervenuto (o chiamato in causa) il successore a titolo particolare, tra quest'ultimo e il "dante causa" (ove non estromesso dal giudizio col consenso della controparte) sussiste un litisconsorzio necessario, e la sentenza deve essere pronunziata nei confronti di entrambi, (così, Cass. sez. un. 1918/ 1990; negli stessi termini, quanto al principio di diritto, Cass. 18843/ 2006; Cass. 1535/ 2010; Cass. 4486/ 2010; Cass. 15905/ 2018).
3. Il rigetto del ricorso principale delle Compagnie assicurative comporta l'assorbimento di quello incidentale dell'Azienda ospedaliera Rummo, proposto solo condizionatamente all'accoglimento di quello principale.
4. Va dunque accolto il ricorso incidentale dei danneggiati (nr. 12439/ 2023), mentre va rigettato quello principale delle società di assicurazione (nr. 12089/ 2023), con assorbimento del ricorso incidentale condizionato dell'ente ospedaliero.
I principi di diritto
Ai sensi dell'art. 384, I comma c.p.c., essendo stato il ricorso esaminato e deciso ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c., la Corte enuncia i principi di diritto che seguono, cui il giudice del rinvio si atterrà previa disamina di tutte le circostanze di fatto rappresentate dagli odierni ricorrenti incidentali: In tema di responsabilità sanitaria, il danno da perdita del feto imputabile ad omissioni e ritardi dei medici è morfologicamente assimilabile al danno da perdita del rapporto parentale, che rileva tanto nella sua dimensione di sofferenza interiore patita sul piano morale soggettivo, quanto nella sua attitudine a riflettersi sugli aspetti dinamico-relazionali della vita quotidiana dei genitori e degli altri eventuali soggetti aventi diritto al risarcimento del danno.
In tema di responsabilità sanitaria, la perdita del frutto del concepimento prima della sua venuta in vita, imputabile a omissioni e ritardi dei medici, determina la risarcibilità del danno da perdita del rapporto parentale, che si manifesta prevalentemente in termini di intensa sofferenza interiore tanto del padre, quanto (e soprattutto) della madre.
In tema da risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, il giudice di merito è tenuto ad applicare le tabelle milanesi, utilizzandone i singoli parametri alla luce dei principi in tema di morfologia del danno da perdita del frutto del concepimento, tenuto conto di tutte le circostanze di fatto portate al suo esame, procedendo altresì, tutte le volte in cui sia possibile, all'interrogatorio libero delle parti ex art. 117 c.p.c.
P.Q.M.
accoglie il ricorso incidentale di Ca.Er. più altri nei termini di cui in motivazione;
rigetta il ricorso principale delle Compagnie assicurative;
dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato dell'Azienda ospedaliera Rummo;
cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Corte di appello di Napoli in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese dell'intero giudizio di legittimità.
Dispone che, in caso di utilizzazione del presente provvedimento in qualsiasi forma, sia omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi di Ca.Do., Mi.Ge., Ca.Er., Mo.Gi., Mi.An. ivi riportati.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell'1 luglio 2025.
Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2025.