
Quali sono i confini del potere di attestazione di conformità del difensore nel processo civile telematico?
La Seconda Sezione civile, con la sentenza n. 27565 del 15 ottobre 2025, precisa che l’avvocato può certificare solo le copie informatiche di documenti che ha nella propria disponibilità o che provengono dal fascicolo telematico. Quando invece l’atto è custodito nel fascicolo cartaceo d’ufficio, la copia conforme può essere rilasciata solo dalla cancelleria.
Un avvocato, nel proporre opposizione ex L. n. 89/2001 per l’irragionevole durata del processo, aveva depositato in via telematica i verbali di causa e altri atti tratti dal fascicolo d’ufficio, allegando un’unica attestazione di conformità. La Corte d’appello di Napoli aveva rigettato la domanda, ritenendo priva di valore tale attestazione, poiché l’avvocato non disponeva degli originali né di copie autentiche. La Cassazione ha confermato la decisione, ribadendo che il difensore non può sostituirsi al cancelliere nell’autenticazione di atti che si trovano presso l’ufficio giudiziario.
Il potere di attestazione del difensore trova il suo limite nelle fonti del processo telematico:
Art. 16-decies d.l. 179/2012 (conv. in l. 221/2012): consente l’attestazione di conformità solo per atti o provvedimenti formati su supporto analogico, ma detenuti in originale o in copia conforme dall’avvocato.
Art. 16-bis, comma 9-bis, d.l. 179/2012: riguarda le copie informatiche estratte dal fascicolo informatico o ricevute via PEC dal sistema ministeriale.
Art. 126 e 168 c.p.c.: i verbali di causa sono atti certificativi inseriti nel fascicolo d’ufficio e la loro autenticità è garantita dal cancelliere.
Art. 3 L. 89/2001: richiede espressamente la produzione dei verbali di causa in copia autentica.
La Corte ha inoltre richiamato la giurisprudenza in tema di errore revocatorio (art. 395, n. 4, c.p.c.; Cass. S.U. n. 5792/2024), precisando che eventuali sviste di fatto del giudice di merito non possono essere corrette con il ricorso per cassazione, ma solo con la revocazione.
Nel caso di specie, la Cassazione ha escluso che il difensore potesse autenticare i verbali estratti dal fascicolo cartaceo. L’attestazione telematica su tali documenti è inefficace, poiché l’avvocato non ne aveva il possesso in originale né in copia autentica. Di conseguenza, gli atti prodotti non potevano essere considerati validi ai fini probatori nel giudizio di equo indennizzo.
La Corte ha ribadito che solo il cancelliere, quale pubblico ufficiale, può certificare la conformità delle copie di atti contenuti nei fascicoli d’ufficio. Ogni diversa prassi viola il principio di certezza pubblica che tutela l’autenticità degli atti giudiziari.
La pronuncia in esame definisce con chiarezza i confini tra le funzioni del difensore e quelle della cancelleria nel processo telematico.
In sintesi:
l’avvocato può attestare la conformità solo di documenti digitali nel PCT o già nella propria disponibilità;
la copia conforme di atti d’ufficio deve essere rilasciata dalla cancelleria;
un’attestazione non legittima può comportare inammissibilità o nullità dell’atto depositato.
Consiglio operativo: prima di depositare un atto, verificare sempre da dove proviene. Se si tratta di un documento del fascicolo d’ufficio, è indispensabile richiedere la copia conforme in cancelleria.
Cassazione civile sez. II, sentenza 15/10/2025 (ud. 10/04/2025) n. 27565
FATTI DI CAUSA
1. Ac.To. propose opposizione, ex art. 5-ter L. n. 89/2001, dinnanzi alla Corte d'Appello di Napoli, avverso il decreto n. cron. 3139/2021, pronunciato in composizione monocratica, con cui era stata rigettata la sua domanda di indennità per irragionevole durata del giudizio di lavoro instaurato per ottenere le provvidenze economiche ex L. n. 118/1971 e L. n. 18/1980.
1.1. In particolare, egli depositò la documentazione concernente il giudizio presupposto, in precedenza non tempestivamente allegata perché i fascicoli si trovavano presso la Cassazione e produsse, nel fascicolo telematico, una "attestazione di conformità", dichiarando "ai sensi dell'art. 16 decies del D.L. n. 179/2012, che il seguente file - atti di causa merito.pdf è copia informatica conforme al rispettivo originale analogico".
2. Con decreto n. cronol. 900/2022, la Corte d'Appello di Napoli respinse la domanda per difetto di prova, rimarcando, per quel che qui rileva, che il difensore aveva prodotto i documenti relativi al giudizio, in particolare i verbali di causa e le memorie difensive dell'Inps, non in copia autentica, attestandone la conformità agli originali contenuti nei fascicoli cartacei, pur non avendo questo potere di attestazione.
3. Avverso questo decreto Ac.To. ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a due motivi, a cui il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.
Il ricorso è stato inizialmente avviato per la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380-bis.1 cod. proc. civ. All'esito dell'adunanza camerale fissata al 21/3/2024, con ordinanza interlocutoria n. 29701 del 2024 depositata il 19/11/2024, il Collegio, ritenuto il valore nomofilattico dello stabilire se il potere di attestazione della conformità all'originale fosse limitato agli atti di parte estratti dal fascicolo informatico (oltre che agli atti processuali degli ausiliari del giudice ed ai provvedimenti del giudice) oppure se potesse estendersi agli atti cartacei in possesso del difensore, ha disposto la rimessione del processo alla pubblica udienza.
Alla pubblica udienza, il Sostituto Procuratore, dott. Stefano Pepe, modificando parzialmente le conclusioni della requisitoria depositata, ha chiesto l'accoglimento del secondo motivo di ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo Ac.To. ha denunciato, in riferimento al n. 3 del comma I dell'art. 360 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell'art. 16-decies del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 come convertito, con modificazioni, in L. 17 dicembre 2012 n. 221, per avere la Corte d'Appello negato che il difensore abbia il potere di attestare "la conformità degli atti in suo possesso agli originali contenuti nei fascicoli cartacei d'ufficio", sebbene l'art. 16-decies preveda proprio che il difensore, il dipendente di cui si avvale la pubblica amministrazione per stare in giudizio personalmente, il consulente tecnico, il professionista delegato, il curatore ed il commissario giudiziale, quando depositano con modalità telematiche la copia informatica, anche per immagine, di un atto processuale di parte o di un provvedimento del giudice formato su supporto analogico e detenuto in originale o in copia conforme, attestino la conformità della copia al predetto atto.
In particolare, e, in fatto, la Corte d'Appello non avrebbe considerato che della documentazione, depositata telematicamente in sede di opposizione tutta in un unico file, le copie dei verbali di causa, sia per il primo che per il secondo grado, non erano state estratte direttamente dal fascicolo cartaceo, ma da copie conformi, tant'è che recavano il timbro della cancelleria, le marche da bollo e la specifica del cancelliere del Tribunale con indicazione dell'importo riscosso e la firma datata.
2. Con il secondo motivo, articolato ancora una volta in riferimento al n. 3 del comma I dell'art. 360 cod. proc. civ., il ricorrente ha lamentato la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 5 ter della L. n. 89/2001, nonché degli artt. 24,111 e 117 Cost. in relazione agli artt. 6 e 13 CEDU, per avere la Corte d'Appello rigettato il ricorso per la mancanza della copia conforme degli atti del giudizio presupposto, senza verificare se quelli ritualmente prodotti fossero sufficienti ad accertare la durata irragionevole, le modalità di svolgimento del giudizio, le caratteristiche della controversia che ne formava oggetto.
2.1. I due motivi, che possono essere trattati congiuntamente per continuità di argomentazione, sono in parte infondati e in parte inammissibili.
La Corte d'Appello ha innanzitutto ribadito che nel giudizio instaurato innanzi a sé in composizione collegiale, ex art. 5 ter legge n. 89/01, non è precluso alcun accertamento e alcuna attività istruttoria necessari ai fini della decisione, poiché l'opposizione non introduce un autonomo giudizio d'impugnazione del decreto di cui al precedente art. 3, comma 4, ma realizza, con l'ampio effetto devolutivo tipico di ogni opposizione, la fase a contraddittorio pieno di un unico procedimento; in conseguenza, ha riconosciuto che il ricorrente in equo indennizzo può produrre anche in questa fase del giudizio la documentazione a sostegno della domanda non allegata nella fase monitoria.
Ha, tuttavia, rilevato che, sebbene l'art. 3 comma 3 L. n. 89/2001 preveda che gli atti in esso indicati debbano essere depositati in copia autentica, tutti i documenti relativi al giudizio presupposto, in particolare i verbali di causa, seppure estratti da fascicoli cartacei, sono stati, invece, depositati con un'"attestazione di conformità" resa dal difensore che ha dichiarato che tutto il file pdf denominato "atti di merito" fosse copia informatica conforme al rispettivo originale analogico: ha, perciò, rigettato la domanda, rimarcando che "il difensore ha il potere di attestare la conformità degli atti prodotti a quelli autentici in suo possesso, ma non certo la conformità degli atti in suo possesso agli originali contenuti nei fascicoli cartacei d'ufficio".
2.2. Risulta, allora, innanzitutto inammissibile il primo motivo laddove prospetta, a ragione di censura, che la copia informatica dei verbali di causa, cioè di documenti del fascicolo cartaceo, attestata come conforme dal difensore, sarebbe stata estratta da copie cartacee dei verbali già certificate come conformi agli originali da parte del cancelliere: sul punto, la Corte d'Appello avrebbe, perciò, erroneamente affermato che le copie sono state estratte direttamente dai verbali cartacei in originale.
L'omessa considerazione dell'avvenuta apposizione della certificazione - da parte del cancelliere - di conformità delle copie dei verbali di primo e secondo grado all'originale contenuto nei fascicoli cartacei pone, invero, una questione che si risolve, per sua prospettazione, in un errore revocatorio.
Costituisce, infatti, errore di fatto deducibile, ex art. 395, n. 4, cod. proc. civ., come motivo di revocazione della sentenza, quello che si verifica in presenza non già di sviste di giudizio, ma della percezione, in contrasto con gli atti e le risultanze di causa, di una falsa realtà documentale, in conseguenza della quale il giudice si sia indotto ad affermare o supporre l'esistenza o inesistenza di un fatto la cui verità risulti invece in modo indiscutibilmente esclusa o accertata in base al tenore degli atti e documenti di causa: questa falsa percezione della realtà integra un errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolge l'attività valutativa e che, pertanto, non può essere oggetto di ricorso per una delle ipotesi ex art. 360 comma I cod. proc. civ.
La Corte d'Appello ha assunto, a fondamento della decisione, il presupposto di fatto dell'avvenuta estrazione delle copie, poi attestate dal difensore come conformi, direttamente dai documenti contenuti nel fascicolo cartaceo e non dalle loro copie, già certificate come autentiche dal cancelliere.
Dal compito istituzionale di questa Corte, allora, esorbita il giudizio del fatto che è ricevuto, con il ricorso, come già compiutamente accertato nella sentenza impugnata: se il giudice di appello sia incorso in una svista, pertanto, è a lui che spetta di porvi rimedio, a mezzo della revocazione per errore di fatto, al fine di eventualmente consegnare al giudice di legittimità un accertamento definitivamente ricostruito nella sua oggettività (Cass. Sez. 1, n. 5369 del 11/04/2001; Cass. Sez. 3, n. 8251 del 24/05/2003; Cass. Sez. L, n. 19174 del 28/09/2016; Cass. Sez. 5, n. 1562 del 26/01/2021).
Questa Corte, a Sezioni unite (in motivazione, sentenza n. 5792 del 5/3/2024) ha proprio sottolineato come l'art. 395, n. 4, cod. proc. civ., laddove prevede che le sentenze pronunciate in grado d'appello o in unico grado possano essere impugnate per revocazione se "effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa", individua questo errore quando la decisione è fondata sulla "supposizione" di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando "è supposta" l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita e, tanto nell'uno quanto nell'altro caso, se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare.
"La chiave di volta della disposizione - così per le S.U. - è il sostantivo "supposizione", riferita a "un fatto"": il giudice di merito, e, dall'introduzione dell'art. 391 bis cod. proc. civ., anche la Corte di cassazione, "suppone" il fatto e lo suppone anche contro una cartesiana evidenza bidirezionale, trattandosi di un fatto che è incontrastabilmente escluso o positivamente stabilito; la falsa supposizione non è frutto di una scelta deliberata, ragionata, ma è una falsa rappresentazione della realtà da ascrivere ad un abbaglio dei sensi, a disattenzione, distrazione, in buona sostanza ad una svista nella consultazione degli atti del processo; questa svista, per essere emendata, necessita di un intervento sulla stessa ratio che sostiene la decisione affetta da errore, perché può disvelarsi soltanto dalla messa a confronto di due divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, da un lato quella risultante dalla decisione, dall'altro quella, contrastante e che la smentisce, emergente univocamente dagli atti e documenti acquisiti al processo.
In mancanza di questo intervento del Giudice adito in revocazione, il fatto riportato in sentenza, allora, seppure falsamente "supposto", resta "accertato" come lo è stato.
2.3. Ciò puntualizzato, l'esclusione, da parte della Corte d'Appello, di un potere del difensore di certificazione della conformità delle copie informatiche direttamente estratte dai documenti contenuti nel fascicolo cartaceo - e, perciò, anche dei verbali di causa - è certamente corretta in diritto: in tal senso è infondato il primo motivo.
Sul punto, occorre premettere che è il legislatore ad aver stabilito, nell'art. 3 della legge n. 89/2001, la necessità della autenticità delle copie della documentazione posta a sostegno del ricorso per equo indennizzo e che è estranea al presente giudizio la questione dell'operatività, nel procedimento di opposizione ex art. 5 ter L. 89/2001, del meccanismo di riconoscimento implicito della conformità delle copie per omessa contestazione.
Deve, quindi, pure considerarsi che il potere del difensore di certificazione della conformità di un atto non è conferito da una norma generale e, perciò, deve essere utilizzato esclusivamente nei limiti previsti dalla legge, che resta speciale.
Ciò posto, gli atti che qui rilevano sono, in particolare, i verbali di causa dei giudizi presupposti di primo e secondo grado.
Il verbale di causa, in quanto atto giuridico appartenente alla categoria degli atti certificativi, è il documento preordinato alla descrizione di atti o fatti, rilevanti per il diritto, compiuti alla presenza di un soggetto verbalizzante, appositamente incaricato di tale compito, il cancelliere, che garantisce quale pubblico ufficiale la certezza della descrizione degli accadimenti constatati, documentandone l'esistenza (art. 126 cod. proc. civ.).
Secondo l'art. 168 cod. proc. civ., comma secondo, il cancelliere inserisce nel fascicolo d'ufficio, oltre agli altri documenti di cancelleria, di parte e ai provvedimenti del giudice, i verbali di causa.
I verbali redatti in modalità cartacea, pertanto, non costituiscono una tipologia di atti la cui copia estratta possa essere attestata direttamente come conforme dal difensore.
La fattispecie, infatti, è certamente diversa dalla previsione dell'art. 16 decies del D.L. n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, in L. 17 dicembre 2012, n. 221, come invocato dal ricorrente: in questo articolo, infatti, il potere di attestazione della conformità è attribuita al difensore nell'ipotesi in cui depositi, con modalità telematiche, la copia informatica, anche per immagine, di un atto processuale di parte o di un provvedimento del giudice, formato su supporto analogico, ma purché sia detenuto da lui in originale o in copia già certificata come conforme; soltanto in tale ipotesi è previsto che la copia munita dell'attestazione del difensore equivalga all'originale o alla copia conforme dell'atto o del provvedimento.
La fattispecie dell'estrazione diretta di copia dei verbali cartacei non è neppure disciplinata dal comma 9 bis dell'art. 16 bis dello stesso D.L. n. 179/2012, come inserito dall'art. 52 del D.L. n. 90/2014: questa norma, infatti, attribuisce il potere di attestazione al difensore delle copie informatiche, anche per immagine, di atti processuali di parte e degli ausiliari del giudice nonché dei provvedimenti di quest'ultimo, presenti nei fascicoli informatici o trasmessi in allegato alle comunicazioni telematiche, perché l'estrazione avviene con modalità informatiche, per accesso consentito da valide credenziali, nei limiti in cui è tecnicamente assicurato che il documento informatico, ottenuto sullo stesso sistema di memorizzazione o su un sistema diverso, contenga la stessa sequenza di bit del documento informatico di origine.
Esorbitando dai limiti segnati dalle suddette norme, la certificazione di conformità delle copie dei verbali cartacei resta, dunque, di competenza esclusiva del cancelliere, quale pubblico ufficiale che ha formato il documento e ne detiene l'originale nel fascicolo d'ufficio.
2.4. Infine, non risulta fondata la censura, proposta con il secondo motivo, di violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 5 ter della L. n. 89/2001, nonché degli artt. 24,111 e 117 Cost. in relazione agli artt. 6 e 13 CEDU, per avere la Corte d'Appello rigettato la domanda senza verificare se gli atti del giudizio presupposto, ritualmente prodotti, fossero sufficienti a costituirne idoneo fondamento.
Sul punto, è sufficiente osservare che è lo stesso art. 3 a prevedere, alla lett. b), come documenti necessari i verbali di causa: evidentemente, infatti, è soltanto dai verbali di causa che risulta possibile verificare la durata irragionevole e la sua imputabilità allo Stato e non al comportamento delle parti private.
3. Il ricorso è perciò, respinto, con conseguente condanna di Ac.To. al rimborso delle spese processuali in favore del Ministero, liquidate in dispositivo in relazione al valore.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna Ac.To. al pagamento, in favore del Ministero della Giustizia, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.500,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte suprema di Cassazione del 10 aprile 2025.
Depositata in Cancelleria il 15 ottobre 2025.