
La vigilanza scolastica non è un dovere uniforme: aumenta quando gli alunni sono più piccoli e si attenua con l’età e la maturità.
Lo chiarisce la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 27923 del 20 ottobre 2025, che ha rigettato il ricorso di uno studente ferito nello spogliatoio della scuola.
La decisione ribadisce che la scuola può essere esonerata da responsabilità se dimostra la non imputabilità del fatto ai sensi dell’art. 1218 c.c.. I
Un ragazzo, studente dell’Istituto Tecnico Industriale “A. Pacinotti” di Taranto, riportava la rottura di due denti dopo essere stato colpito accidentalmente da un compagno con un casco, nello spogliatoio maschile adiacente alla palestra.
La docente di educazione fisica, essendo donna, non poteva accedere a quello spazio. Dopo una prima pronuncia favorevole allo studente, la Corte d’appello di Lecce aveva riformato la sentenza, escludendo la responsabilità dell’istituto.
La Cassazione ha confermato questa decisione, ritenendo che la scuola avesse assolto all’obbligo di vigilanza in modo adeguato alle circostanze.
Secondo la consolidata giurisprudenza l’accoglimento della domanda di iscrizione crea un rapporto contrattuale tra scuola e studente. Da esso nasce l’obbligo di vigilare sulla sicurezza e sull’incolumità dell’alunno durante tutte le attività scolastiche. Tuttavia, la responsabilità dell’istituto non è automatica: la scuola può liberarsi provando che il danno è stato causato da un evento non imputabile.
L’obbligo di vigilanza è inversamente proporzionale al grado di maturità degli studenti. Con l’aumentare dell’età e della capacità di discernimento, diminuisce la necessità di una presenza costante degli insegnanti. Si tratta di una vigilanza che deve essere adeguata e proporzionata alle circostanze, non assoluta. Inoltre, la prevedibilità del comportamento dannoso gioca un ruolo decisivo nella valutazione della responsabilità.
Nel caso esaminato, il compagno che aveva colpito lo studente era prossimo alla maggiore età e frequentava l’ultimo anno di corso. La Corte ha ritenuto che, a quel livello di maturità, non fosse esigibile una sorveglianza continua. L’evento, accaduto nello spogliatoio dopo la lezione, aveva carattere accidentale e non prevedibile. La docente non poteva fisicamente accedere allo spogliatoio maschile e la scuola non era tenuta a garantire una presenza costante in quel luogo. Inoltre, il casco non era un oggetto vietato ma un normale accessorio di abbigliamento.
In questo contesto, la scuola ha dimostrato la causa non imputabile del danno e, di conseguenza, non è stata ritenuta responsabile. La Cassazione ha così confermato il principio per cui la vigilanza deve essere valutata in concreto, considerando età, luogo, attività e prevedibilità del comportamento.
La Corte ha rigettato il ricorso dello studente, confermando l’assenza di culpa in vigilando. Oltre alle spese processuali, è stata disposta la condanna al pagamento di somme aggiuntive ai sensi dell’art. 96 c.p.c. e dell’art. 13 del D.P.R. 115/2002, con l’ordine di omettere i dati identificativi per la pubblicazione.
L’obbligo di vigilanza dei docenti non è assoluto, ma deve essere commisurato all’età, alla maturità e alle circostanze. Con studenti prossimi alla maggiore età e comportamenti accidentali, la scuola può superare la presunzione di inadempimento provando la non imputabilità. La Cassazione riafferma così un principio di equilibrio: la vigilanza educativa non è controllo costante, ma accompagnamento responsabile verso l’autonomia.
Cassazione civile sez. III, ordinanza 20/10/2025 (ud. 28/05/2025) n. 27923
FATTI DI CAUSA
1. Tu.Mi. ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 673/21, del 20 gennaio 2021, della Corte d'Appello di Lecce, che – accogliendo il gravame esperito, in via di principalità, dal Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca (d'ora in poi, "MIUR"), nonché quello incidentale della società AMISSIMA ASSICURAZIONI Spa, avverso l'ordinanza n. 3723/18, resa del Tribunale della stessa città ex art. 702-ter cod. proc. civ. – ha rigettato la domanda risarcitoria dallo stesso proposta nei confronti del MIUR, in relazione ai danni subiti il 9 ottobre 2007, alle ore 13.00 circa, allorché frequentava, in qualità di studente, l'Istituto Tecnico Industriale Statale "A. Pacinotti", in Taranto.
2. Riferisce, in punto di fatto, l'odierno ricorrente di essere rimasto vittima di un sinistro, nelle circostanze di tempo e luogo sopra meglio indicate, allorché – terminata la lezione di educazione fisica – venne colpito, accidentalmente, con un casco da un compagno di scuola, nel locale spogliatoio adiacente la palestra, subendo, per l'effetto, la rottura di due denti.
Radicato un primo giudizio risarcitorio nei confronti dell'Istituto scolastico (nel quale, oltre ad intervenire volontariamente il MIUR, veniva autorizzata la chiamata in causa dell'assicuratore Carige Assicurazioni Spa), lo stesso si concludeva con sentenza dichiarativa del difetto di legittimazione passiva del convenuto.
Radicato, pertanto, un nuovo giudizio – nelle forme del cd. "processo sommario di cognizione" – nei confronti del MIUR, il convenuto chiedeva ed otteneva di essere autorizzata a chiamare in causa la società Amissima Assicurazioni (già Carige Assicurazioni), per essere da essa manlevata.
Accolta dal primo giudice la domanda risarcitoria (e quella di manleva), la decisione – su gravame del convenuto e della terza chiamata – veniva riformata in appello, essendosi ritenuta raggiunta la prova, necessaria vertendosi in una fattispecie di responsabilità contrattuale ex art. 1218 cod. civ., che il danno fosse stato determinato da causa non imputabile all'Istituto scolastico o a un suo docente. Esito al quale il giudice di seconde cure perveniva sul rilievo che il sinistro si era verificato nello spogliatoio maschile (al quale la docente, donna, di educazione fisica non poteva accedere), ad opera di un compagno di Tu.Mi. frequentante il quinto anno scolastico e prossimo alla maggiore età, e dunque munito di completa capacità di discernimento e già formato dal punto di vista comportamentale, donde l'impossibilità di configurare alcun profilo di "culpa in vigilando".
3. Avverso la sentenza della Corte salentina ha proposto ricorso per cassazione Tu.Mi., sulla base – come detto – di due motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione o falsa applicazione di norme di diritto con riferimento agli artt. 1218 e 2048 cod. civ.
Reputa il ricorrente che le circostanze valorizzate dalla sentenza impugnata per escludere la responsabilità dell'Istituto scolastico (e per esso, del MIUR) siano "tutte prive di pregio e assolutamente non condivisibili".
Premette il ricorrente che "con l'accoglimento della domanda di iscrizione presso un istituto scolastico e la conseguente ammissione dell'allievo a scuola, sorge un vincolo negoziale dal quale discende l'obbligo di vigilare sulla sicurezza e l'incolumità dell'alunno, per tutto il tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica, in tutte le sue espressioni", e ciò "indipendentemente dalla sua età".
Si tratterebbe, in altri termini, di un "contratto di protezione", secondo il quale "tra gli interessi da realizzarsi da parte della scuola rientra quello all'integrità fisica dell'allievo".
Tale obbligo – di natura contrattuale – "permane per tutta la durata del servizio scolastico", e "non può essere interrotto per l'assenza di un insegnante, non costituendo ciò un fatto eccezionale, bensì normale e prevedibile".
Ciò detto, la circostanza che la docente di educazione fisica non potesse accedere – in quanto donna – allo spogliatoio non escluderebbe la responsabilità dell'Istituto, il quale "avrebbe dovuto "distaccare" o "delegare" un dipendente di sesso maschile (una volta si chiamavano "bidelli") per la sorveglianza all'interno dello spogliatoio, o predisporre qualsiasi altra cautela idonea ad evitare episodi come quello – incontestatamente e incontestabilmente – verificatosi".
D'altra parte, neppure andrebbe "trascurata la considerazione che un casco da moto non è un capo di vestiario da cambiare dopo l'ora di educazione fisica, ma sicuramente rappresenta un oggetto contundente, che non avrebbe dovuto – né dovrebbe – mai avere accesso nell'ambito di un istituto scolastico, o al massimo essere depositato in appositi contenitori posti all'ingresso".
Infine, si rileva che, spingendo il ragionamento svolto dalla sentenza impugnata "alle estreme, ma logiche, conseguenze", si dovrebbe affermare che, "nell'ambito di uno spogliatoio", un alunno potrebbe "portare non un casco da moto, bensì un coltello a serramanico, o altro strumento da offesa", senza che l'istituto scolastico ne risenta le conseguenze.
3.2. Il secondo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione o falsa applicazione di norme di diritto con riferimento all'art. 92 cod. proc. civ., lamentando errata regolazione delle spese processuali.
Si censura la sentenza impugnata per aver posto le spese di ambo i gradi di giudizio, sostenute tanto dal MIUR quanto da Amissima Assicurazioni, a carico di esso ricorrente.
Si tratterebbe di decisione "errata e non condivisibile sotto un duplice profilo".
In primo luogo, perché egli, "né in veste di attore nel giudizio di prime cure, né in veste di appellato nel giudizio di secondo grado, ha mai formulato deduzioni difensive e/o rassegnato conclusioni nei confronti della AMISSIMA ASSICURAZIONI Spa, soggetto a lui completamente estraneo ed evocato in giudizio solo ed esclusivamente dal Ministero".
In secondo luogo, perché "la Corte ha completamente omesso di considerare che il MIUR aveva proposto ben quattro motivi di appello, dei quali addirittura tre erano stati ritenuti infondati, e quindi rigettati", sicché avrebbe "dovuto applicare il disposto del secondo comma dell'art. 92 cod. proc. civ., essendovi soccombenza reciproca e percentualmente maggiore per quanto attiene l'appellante MIUR".
4. Ha resistito all'avversaria impugnazione, con controricorso, la società Amissima Assicurazioni, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
5. È rimasto solo intimato il MIUR.
6. In relazione al presente ricorso veniva formulata proposta di definizione accelerata, ex art. 380-bis, comma 1, cod. proc. civ, nel senso della sua inammissibilità o comunque infondatezza, così motivata:
"Quanto al primo motivo, in particolare, esso si palesa inammissibile ai sensi dell'art. 360-bis c.p.c., giacché la sentenza impugnata è stata decisa in conformità alla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 2334/2018, resa su fattispecie singolarmente analoga a quella che occupa), ed il mezzo non offre argomenti per mutare orientamento.
Quanto al secondo motivo, esso si palesa infondato, perché la Corte territoriale ha correttamente governato il regolamento delle spese secondo la pressoché totale soccombenza dell'odierno ricorrente, tenuto conseguentemente a rifondere anche le spese del terzo, neppure essendo stata dedotta l'arbitrarietà della chiamata in causa (ex multis, Cass. n. 31889/2019).".
Comunicata al ricorrente tale proposta, il medesimo ha richiesto la decisione del collegio ai sensi del comma 2 del medesimo articolo, sicché la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell'art. 380-bis.1 cod. proc. civ
6. Il ricorrente e la controricorrente hanno presentato memoria.
7. Non consta, invece, la presentazione di requisitoria scritta da parte del Procuratore Generale presso questa Corte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
8. In via preliminare, deve rilevarsi la nullità della notificazione del ricorso al MIUR, giacché avvenuta presso l'Avvocatura distrettuale di Lecce, e non presso l'Avvocatura generale dello Stato, ciò che imporrebbe la rinnovazione della stessa (tra molte: Cass. Sez. Un., ord. interl. 15 gennaio 2015, n. 608, Rv. 633916-01).
Nondimeno, essendo il ricorso destinato al rigetto, questo Collegio reputa di doversi esimere da tale incombente, in conformità con il consolidato indirizzo di questa Corte che esclude la necessità della rinnovazione della notificazione allorché il ricorso sia inammissibile o manifestamente infondato (cfr., tra le altre, Cass. Sez. Un., 22 marzo 2010, n. 6826, Rv. 612077-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 15 maggio 2020, n. 8980, Rv. 657883-01).
9. Il ricorso va rigettato, come da proposta di definizione accelerata.
9.1. Il primo motivo non è fondato.
9.1.1. Nello scrutinarlo, deve premettersi – in ciò risultando corretto l'assunto da cui muove il ricorrente, salvo però trarne consegue erronee – che "l'accoglimento della domanda di iscrizione, con la conseguente ammissione dell'allievo alla scuola, determina l'instaurazione di un vincolo negoziale, dal quale sorge a carico dell'istituto l'obbligazione di vigilare sulla sicurezza e l'incolumità dell'allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni (anche al fine di evitare che l'allievo procuri danno a se stesso)", ragion per cui risulta "applicabile il regime probatorio desumibile dall'art. 1218 cod. civ."; di conseguenza, "mentre l'attore deve provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, sull'altra parte incombe l'onere di dimostrare che l'evento dannoso è stato determinato da causa non imputabile né alla scuola né all'insegnante" (così già Cass. Sez. 3, sent. 15 febbraio 2011, n. 3680, Rv. 617285-01).
Nondimeno, se l'istituto è certamente "tenuto ad osservare obblighi di vigilanza e controllo", ciò deve avvenire con "lo sforzo diligente adeguato alla natura della cosa e alle circostanze del caso concreto", dato che il "normale esito della prestazione" dipende, appunto, da "una pluralità di fattori, tra cui l'organizzazione dei mezzi adeguati per il raggiungimento degli obiettivi in condizioni di normalità, secondo un giudizio relazionale di valore, in ragione delle circostanze del caso" (Cass. Sez. 3, sent. 4 ottobre 2013, n. 22752, Rv. 628691-01).
Tra le circostanze da apprezzare, al fine di stabilire se sia stata raggiunta, o meno, la prova della non imputabilità dell'evento dannoso – esonerativa, come detto, della responsabilità ex art. 1218 cod. cv. – viene in rilievo, innanzitutto, "l'età degli allievi, che impone una vigilanza crescente con la diminuzione dell'età anagrafica" (Cass. Sez. 3, sent. 29 maggio 2013, n. 13457, Rv. 626650-01), essendosi, in particolare, precisato che "il contenuto dell'obbligo di vigilanza è inversamente proporzionale al grado di maturità degli alunni, onde con l'avvicinarsi di questi all'età del pieno discernimento il dovere di vigilanza dei precettori richiede in minor misura la loro continua presenza", e ciò perché siffatta condizione, nei casi in cui si controverta in merito al danno cagionato da uno studente ad un altro, è "tale da far presumere la non prevedibilità della condotta dannosa posta in essere" (Cass. Sez. 3, ord. 31 gennaio 2018, n. 2334, Rv. 647926-01; negli stessi termini pure Cass. Sez. 3, ord. 24 gennaio 2024, n. 2394, non massimata, peraltro relativa ad un caso di lesione cagionata ad un alunno volontariamente – e non, come nella specie, accidentalmente – da un altro).
A questi principi si è – persino dichiaratamente – attenuta la sentenza impugnata, donde la non fondatezza del motivo.
Infine, solo una "suggestione" è l'argomento per cui, la mancata predisposizione di misure di vigilanza all'interno di uno spogliatoio potrebbe condurre all'introduzione, nello stesso, di armi o di oggetti contundenti, e ciò perché – come si è detto – la valutazione relativa alla sussistenza della prova esonerativa della responsabilità deve essere sempre "strettamente legata alle circostanze del caso concreto" (Cass. Sez. 3, sent. 13457 del 2013, cit.), e non ad altre "ipotetiche". Senza, infine, trascurare il fatto che il casco protettivo è da equipararsi ad un capo di abbigliamento, sicché, come tale, poteva essere introdotto nello spogliatoio dell'istituto.
9.2. Il secondo motivo è infondato, in ognuna delle censure in cui si articola.
9.2.1. Quanto alla prima, infatti, deve darsi ulteriore seguito al principio secondo cui le spese sostenute dal terzo chiamato in garanzia sono sopportate dall'attore soccombente, salvo che la chiamata non risulti – evenienza da escludersi (e, per vero, neppure ipotizzata) nel caso di specie – manifestamente arbitraria o palesemente infondata, tanto da concretare abuso del diritto (Cass. Sez. 3, ord. 6 dicembre 2019, n. 31889, Rv. 655979-02; Cass. Sez. 6-3, ord. 1 luglio 2021, n. 18710, Rv. 661752-01). Principio, questo, peraltro ormai esteso non solo alla chiamata in garanzia impropria (Cass. Sez. 1, ord. 18 aprile 2023, n. 10364, Rv. 667650-01), ma persino ad ogni altra ipotesi di chiamata di terzo (Cass. Sez. 3, ord. 7 marzo 2024, n. 6144, Rv. 670458-01).
Quanto alla seconda censura, deve ribadirsi che "il concetto di soccombenza reciproca, che consente la compensazione tra le parti delle spese processuali (art. 92, secondo comma, cod. proc. civ.), sottende una pluralità di pretese contrapposte, rigettate dal giudice a svantaggio di entrambi gli istanti" (Cass. Sez. 1, sent. 26 maggio 2006, n. 12629, Rv. 590079-01), e, dunque, l'esistenza di "una pluralità di domande contrapposte, accolte o rigettate e che siano state cumulate nel medesimo processo fra le stesse parti" (da ultimo, tra le tante, Cass. Sez. 3, ord. 22 agosto 2018, n. 20888, Rv. 650435-01), restandovi, dunque, estranea la reiezione di eccezioni – di rito o di merito – sollevate dalla parte nei cui confronti la domanda sia stata posta e poi risultata, come nella specie, totalmente vittoriosa all'esito del giudizio (Cass. Sez. 6-2, ord. 2 settembre 2014, n. 18503, Rv. 632108-01; Cass. Sez. 3, sent. 5 aprile 2003, n. 5373, Rv. 561926-01). Il tutto, poi, senza tacere che la Corte territoriale ha chiaramente liquidato le spese in applicazione del principio secondo cui la relativa regolamentazione deve tenere conto dell'esito finale della lite.
10. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
11. Essendo stato il presente giudizio definito conformemente alla proposta ex art. 380-bis cod. proc. civ., trovano applicazione le previsioni di cui ai commi 3 e 4 dell'art. 96 cod. proc. civ.
Va, pertanto, disposta – ai sensi della prima delle due previsioni normative testé richiamate – la condanna della parte ricorrente al pagamento, in favore di AMISSIMA ASSICURAZIONI Spa, di una somma che si ritiene di dover fissare in Euro. 1.400,00.
In forza, invece, di quanto stabilito dalla seconda delle due citate previsioni normative, va, altresì, disposta la condanna delle ricorrenti al pagamento di ulteriore somma di denaro alla Cassa delle ammende, somma che si reputa equo fissare, nella specie, nella misura, nuovamente, di Euro 500,00.
12. A carico del ricorrente, stante il rigetto del ricorso, sussiste l'obbligo di versare, al competente ufficio di merito, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all'amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
13. Infine, per la natura della causa petendi, va di ufficio disposta l'omissione, in caso di diffusione del presente provvedimento, delle generalità e degli altri dati identificativi del ricorrente, ai sensi dell'art. 52 del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condannando Tu.Mi. a rifondere, alla società AMISSIMA ASSICURAZIONI Spa, le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.800,00, più Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 96, commi terzo e quarto, cod. proc. civ., condanna le Tu.Mi. al pagamento della somma di Euro. 1.400,00, in favore di AMISSIMA ASSICURAZIONI Spa, e di una ulteriore somma di Euro. 500,00, in favore della Cassa delle Ammende.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Dispone che, ai sensi dell'art. 52 del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, in caso di diffusione del presente provvedimento siano omessi generalità ed altri dati identificativi del ricorrente.
Così deciso in Roma, all'esito dell'adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, svoltasi il 28 maggio 2025.
Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2025.