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Investimenti finanziari: propensione al rischio non attenua gli obblighi informativi

Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.27965 del 21/10/2025

La maggiore propensione al rischio dell’investitore riduce gli obblighi informativi della banca?

No, ribadisce la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 27965 del 21 ottobre 2025.

Per i giudici, il dovere informativo non varia in base al profilo del cliente: la banca deve sempre fornire un quadro completo dei rischi, delle caratteristiche e delle prospettive dell’investimento, affinché il cliente possa assumere una decisione consapevole.

Profilazione e adeguatezza dell’investimento

Richiamando il d.lgs. n. 58/1998 (TUF) e il Regolamento Intermediari Consob, la Cassazione sottolinea che la profilazione del cliente rappresenta uno strumento utile, ma non sufficiente, a garantire l’adeguatezza dell’investimento.

L’intermediario deve non solo raccogliere le informazioni sul grado di esperienza e propensione al rischio del cliente, ma anche verificare che l’operazione sia effettivamente adeguata e coerente rispetto a quel profilo.

L’onere della prova sull’informazione

La Corte ribadisce inoltre che l’onere della prova dell’adempimento informativo grava interamente sulla banca. Spetta all’intermediario dimostrare di aver fornito al cliente informazioni specifiche, dettagliate e personalizzate, adeguate alle caratteristiche del prodotto e alle conoscenze del risparmiatore.

Le implicazioni per la prassi bancaria

La pronuncia in esame si inserisce in un orientamento costante volto a tutelare l’investitore retail. La Cassazione chiarisce che la propensione al rischio non equivale a consapevolezza dei rischi, e che il dovere informativo della banca non viene mai meno.

Per gli intermediari, ciò significa un rafforzamento della responsabilità nella fase precontrattuale e una conferma dell’obbligo di adottare un approccio proattivo nella verifica di adeguatezza e nella documentazione dell’informazione resa al cliente.

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Cassazione civile, sez. I, ordinanza 21/10/2025 (ud. 30/09/2025) n. 27965 

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza n. 2330/2019, pubblicata in data 24 ottobre 2019, la Corte d'Appello di Catania, decidendo - nella regolare costituzione dell'appellata UNICREDIT Spa (succeduta nelle more del giudizio all'originaria convenuta Banco di Sicilia Spa) - sull'appello proposto da Al.Pi. e Ra.Li. avverso la sentenza del Tribunale di Catania n. 4420/2011, pubblicata in data 29 dicembre 2011, ha respinto l'appello di Ra.Li.mentre, in parziale accoglimento dell'appello di Al.Pi., ha dichiarato la risoluzione del contratto di acquisto di obbligazioni emesse dalla Repubblica Argentina stipulato in data 29 maggio 2001, condannando, per l'effetto, UNICREDIT Spa a restituire a Al.Pi. l'importo di Euro 90.999,11, oltre interessi legali dalla data di acquisto dei titoli, e gravando la medesima UNICREDIT Spa delle spese dei due gradi di giudizio.
2. Per quanto ancora rileva nella presente sede, la Corte territoriale ha ritenuto che l'odierna ricorrente avesse offerto la prova positiva dell'attività informativa diligentemente svolta al momento della stipula del contratto quadro mentre non avesse assolto al relativo onere probatorio con riferimento al successivo ordine di acquisto, non risultando che la stessa avesse evidenziato all'investitore la natura speculativa delle c.d. "obbligazioni Argentina" ed i relativi rischi patrimoniali.
Al riguardo la Corte d'Appello ha evidenziato la mancata compilazione, nell'ordine di investimento, della parte relativa alla segnalazione di inadeguatezza dell'operazione nonché l'assenza di ulteriori elementi necessari ai fini della piena osservanza delle prescrizioni di cui agli artt. 28 e 29 del Regolamento Consob n. 11522.
La Corte ha puntualizzato che a diversa soluzione non avrebbe condotto l'espletamento della prova testimoniale non ammessa dal primo giudice e nuovamente sollecitata in appello, in virtù della genericità dei capitoli di prova, tale da rendere gli stessi inidonei a fornire adeguata dimostrazione del puntuale adempimento dell'obbligo informativo specifico, essendo i fatti su cui i testi erano chiamati a deporre finalizzati ad accertare esclusivamente che il cliente era stato informato sui rischi dell'operazione finanziaria, ma non anche sulle caratteristiche proprie del titolo proposto, sul suo rating, sull'andamento eventualmente negativo delle valutazioni da parte delle Agenzie internazionali, e dunque all'intrinseca rischiosità dell'investimento.
Per le medesime ragioni è stata disattesa la richiesta di espletamento di consulenza tecnica d'ufficio, ritenuta del tutto esplorativa e, come tale, inammissibile.
Dichiarata la risoluzione del contratto di acquisto dei titoli ed affermata, quindi, la sussistenza degli obblighi restitutori ex art. 2038 c.c. la Corte d'Appello ha tuttavia rilevato che l'intermediario non aveva indicato e provato né l'ammontare delle cedole riscosse dall'investitore né l'ammontare della somma effettivamente percepita da quest'ultimo a titolo di importo residuale offerto dalla Repubblica argentina, concludendo conseguentemente che non vi era possibilità di procedere ad alcuna compensazione tra i reciproci obblighi restitutori nascenti dalla pronunzia di risoluzione.
Ulteriormente, la Corte d'Appello ha escluso la possibilità di procedere alla restituzione dei titoli in possesso dell'investitore, avendo l'intermediario omesso di riproporre in appello la relativa domanda proposta invece in primo grado.
3. Per la cassazione della sentenza della Corte d'Appello di Catania ricorre UNICREDIT Spa
Resiste con controricorso Al.Pi.
È rimasta intimata Ra.Li.
4. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380-bis 1, c.p.c.
5. Fissata inizialmente per la decisione l'adunanza del 30 gennaio 2024, la causa è stata rinviata da questa Corte a nuovo ruolo, osservando "che le questioni poste dal settimo e ottavo motivo presentano profili potenzialmente interferenti con quelli che saranno oggetto di discussione sul ricorso (rg. 20018/2019) rimesso in udienza pubblica con ordinanza della 1 Sezione n. 477 del 2024".
Le parti hanno depositato memorie.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è affidato ad otto motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all'art. 360, n. 5, c.p.c., "Errore di fatto – omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti - vizio della motivazione".
Si deduce "Erronea applicazione della legge in ragione della contraddittoria ed omessa ricostruzione della fattispecie concreta:
- Mancata e/o omessa valutazione del profilo di rischio dell'investitore e delle evidenze documentali
- Mancata e/o omessa valutazione del nesso causale tra l'asserito inadempimento della Banca e l'asserito danno non comprovato dell'investitore.".
Argomenta, in particolare, il ricorso che la Corte d'Appello avrebbe operato una non corretta ricostruzione della vicenda in fatto, omettendo di valutare una serie di elementi quali profilo di rischio del controricorrente, gli ulteriori investimenti dallo stesso effettuati, la sua propensione al rischio.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all'art. 360, n. 5, c.p.c., "Errore di fatto – omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti - vizio della motivazione".
Si deduce "Erronea valutazione dell'obbligo informativo e delle circostanze relative all'informazione rese per l'investimento di cui è causa - Illegittimo rigetto della prova per testi articolata: violazione degli artt. 112,115,116, c.p.c.".
La ricorrente censura la decisione impugnata nella parte in cui ha disatteso l'istanza di assunzione di prova testimoniale dichiarandola erroneamente inammissibile.
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all'art. 360, n. 5, c.p.c., "Errore di fatto – omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti - vizio della motivazione".
Si deduce "Erronea applicazione dell'Art. 29 del Regolamento Consob 1.7.1998 n. 11522 in ragione della contraddittoria ed omessa ricostruzione della fattispecie concreta.".
Argomenta, in particolare, il ricorso che la Corte d'Appello avrebbe ritenuto erroneamente che la mancanza di prova delle informazioni relative all'operazione di investimento si riflettesse sulla valutazione di adeguatezza dell'operazione di investimento, omettendo di valutare la propensione al rischio del controricorrente.
1.4. Con il quarto motivo il ricorso deduce, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115,116 c.p.c.; 2697, 2727, 2729 c.c.
Si deduce "Mancato assolvimento dell'onere probatorio della perdita effettiva e, quindi, delle somme da restituire per l'acquisto delle Obbligazioni Argentina a carico dell'attore – investitore.".
Argomenta, in particolare, il ricorso che gravava sull'odierno controricorrente l'onere di fornire prova della perdita subita, laddove tale onere sarebbe stato erroneamente attribuito alla stessa ricorrente.
Si osserva ulteriormente che, essendo le obbligazioni rimaste nella titolarità del controricorrente – che avrebbe continuato ad incassare le cedole – la ricorrente non sarebbe stata in grado di fornire tale prova.
1.5. Con il quinto motivo il ricorso deduce, in relazione all'art. 360, n. 5, c.p.c., "Errore di fatto – omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti - vizio della motivazione".
Si deduce "Grave carenza nell'accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, per non aver accolto la istanza di CTU di accertamento tecnico del profili di rischio dell'investitore, degli elementi caratterizzanti delle obbligazioni di cui è causa e dei successivi avvenimenti verificatisi nel corso del giudizio, anche d'appello, quale la dedotta e comprovata operazione di concambio.".
1.6. Con il sesto motivo il ricorso deduce, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115,116,183 c.p.c.; 2697, 2727, 2729, 2721 c.c.
La ricorrente censura la decisione impugnata "per aver ritenuto genericamente l'inammissibilità della prova per testi pur essendo la stessa orientata ad assolvere l'onere probatorio: grave preclusione e nocumento al diritto di difesa del convenuto.".
1.7. Con il settimo motivo il ricorso deduce, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115,116 c.p.c.; 2697, 2038, 2727, 2729 c.c.
La ricorrente censura la decisione impugnata "per avere il giudice di merito errato a ritenere provata la perdita sulla base soltanto dell'importo dell'investimento iniziale, senza tener conto della richiesta di procedere alla detrazione della somme (sic) per effetto della dichiarazione di risoluzione per inadempimento e dei conseguenti reciproci obblighi restitutori".
1.8. Con l'ottavo motivo il ricorso deduce, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell'art. 1458 c.c.
La ricorrente censura la decisione impugnata in quanto la decisione impugnata avrebbe "pronunciata la risoluzione del contratto e fissato la decorrenza degli interessi dalla data dell'ordine di investimento (29/05/2001) e non da quella della domanda giudiziale (10/07/2008".
1.9. Con il nono motivo il ricorso deduce, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell'art. 92, secondo comma, c.p.c. "perché la sentenza della corte di appello ha riformato la condanna alle spese legali del primo grado mentre avrebbe dovuto disporre la compensazone (sic) integrale delle spese di entrambi i gradi del giudizio".
2. Il primo motivo è inammissibile e, ulteriormente, infondato.
2.1. Inammissibile, perché il costrutto argomentativo del mezzo omette radicalmente di misurarsi con la ratio fondamentale della decisione impugnata, e cioè con l'affermazione (pagg. 6-7) per cui "Per escludere la responsabilità del convenuto, il Tribunale non avrebbe dovuto limitarsi ad accertare l'eventuale sua negligenza in base al profilo di rischio dichiarato dall'investitore, ma avrebbe dovuto verificare se sussisteva o meno la prova positiva della sua diligenza e dell'adempimento alle obbligazioni poste a suo carico (con onere a carico dell'intermediario in base al disposto dell'art. 23 D.Lgs. 24.2.1998 n. 58) e, in base all'esito dell'indagine, accogliere o eventualmente rigettare la domanda di parte attrice (Cass. 19.10.2012 n. 18039), per cui ha errato il primo giudice a dare esclusivo rilievo all'alta propensione al rischio attribuita all'investitore pervenendo poi all'errata conclusione che anche laddove fosse stato accertato l'inadempimento dell'intermediario a propri obblighi d'informazione sarebbe venuto meno il nesso causale tra la condotta inadempiente ed il danno subito dall'investitore."
La Corte territoriale, cioè, ha chiarito che il profilo della propensione al rischio deve essere tenuto distinto dal profilo dell'adempimento dell'intermediario agli obblighi informativi, dal momento che gli stessi assumono rilevanza fondamentale anche nei confronti di un investitore che presenti un elevato profilo di rischio.
Va infatti ribadito – come questa Corte ha già avuto di chiarire di recente (Cass. Sez. 1 - Ordinanza n. 12990 del 12/05/2023; Cass. Sez. 3 - Ordinanza n. 7288 del 13/03/2023; Cass. Sez. 1 - , Ordinanza n. 19891 del 20/06/2022) – che anche l'investitore speculativamente orientato e disponibile ad assumersi rischi deve poter valutare la propria scelta speculativa e rischiosa nell'ambito di tutte le opzioni dello stesso genere offerte dal mercato, alla luce dei fattori di rischio che gli siano stati segnalati, da ciò derivando che l'inottemperanza dell'intermediario agli obblighi informativi cui è tenuto fa insorgere anche la presunzione di sussistenza del nesso di causalità tra detto inadempimento e il pregiudizio lamentato dall'investitore, la cui prova contraria, a carico dell'intermediario medesimo, non può consistere nella dimostrazione di una generica propensione al rischio da parte dell'investitore, desunta anche da scelte rischiose pregresse.
Si deve quindi ribadire che anche l'investitore con una elevata propensione al rischio, invero, deve ricevere dall'intermediario tutte le informazioni necessarie e valutare il singolo investimento e, in particolare, i caratteri di rischiosità del medesimo, non potendosi intendere la propensione al rischio come mera ed acritica accettazione di qualsiasi livello di incertezza degli esiti dell'investimento, indipendentemente dal livello di informazione resa dall'intermediario.
Quest'ultimo, anzi, venendo meno ai propri doveri di informazione viene a determinare una condizione di disorientamento dell'investitore, impedendogli di svolgere quella valutazione razionale che distingue la propensione al rischio – che è accettazione del grado elevato di un'incertezza ed imprevedibilità di cui si è tuttavia pienamente e lucidamente consapevoli – dal mero azzardo acritico, non ponderato e quindi irrazionale.
2.2. Rigetto, perché l'esame della decisione impugnata viene ad evidenziare che le circostanze di cui parte ricorrente lamenta l'omessa valutazione sono state invece direttamente ponderate dalla Corte di merito, che tuttavia ha negato loro decisività, conformandosi – come appena visto – all'orientamento espresso da questa Corte.
Ancor meno pertinenti appaiono, poi, le deduzioni riferite al profilo del nesso causale tra inadempimento e danno, sol che si consideri che la decisione impugnata non ha operato alcun riconoscimento di danni, essendosi limitata a dichiarare risolta l'operazione di investimento, statuendo poi di conseguenza sugli obblighi restitutori, e non risarcitori.
3. Inammissibili, invece, risultano il secondo ed il sesto mezzo, i quali possono essere esaminati congiuntamente, stante sia la convergenza su un medesimo profilo sia la sovrapponibilità sostanziale delle doglianze formulate dalla ricorrente.
I due motivi, infatti, mirano a sindacare la valutazione di congruenza probatoria della testimonianza espressa dalla Corte territoriale, e cioè una valutazione che, nel momento in cui risulti motivata - come nella specie - deve ritenersi insindacabile in sede di legittimità.
4. Parimenti inammissibile risulta il terzo motivo.
Anche in questo caso, infatti, il mezzo non si confronta con la ratio della decisione impugnata ed anzi viene a sovrapporre profili che – come già argomentato in sede di esame del primo motivo – devono essere tenuti adeguatamente distinti, e cioè, la propensione al rischio, da un lato, e l'adempimento degli obblighi informativi, dall'altro.
Si deve conseguentemente evidenziare che la Corte d'Appello, del tutto correttamente, ha tenuto ben differenziati tali profili, evidenziando – in conformità ai principi espressi da questa Corte e poc'anzi richiamati - che il fattore decisivo nella vicenda in esame era costituito, non da una valutazione di (in)adeguatezza dell'investimento, bensì dal mancato adempimento, da parte dell'odierna ricorrente, del preliminare e fondamentale obbligo di fornire adeguata informazione all'investitore.
5. Il quarto mezzo è, ancora una volta, sia inammissibile sia infondato.
5.1. Inammissibile, perché, nuovamente, il mezzo si diffonde in argomentazioni che concernono il tema del risarcimento del danno, laddove – come già chiarito in relazione al primo motivo di ricorso – la Corte territoriale non ha riconosciuto alcun danno al controricorrente, avendo disposto semmai in ordine agli obblighi restitutori, da ciò emergendo che il motivo, ben lungi dal cogliere la ratio della decisione fallisce persino nell'individuare l'oggetto effettivo della statuizione finale.
5.2. Infondato, perché, ragionandosi – appunto - in tema di obblighi restitutori - e non di danno - ed operando il principio già enunciato da questa Corte (Cass. Sez. 1 - Sentenza n. 2661 del 30/01/2019 e da Cass. Sez. 1 - , Ordinanza n. 11239 del 29/04/2025) – con conseguente operatività della c.d. "compensazione impropria" in relazione alle poste reciprocamente dovute dalle parti - l'onere di provare an e quantum del credito da portare in compensazione veniva a gravare sul soggetto che aveva formulato la relativa domanda, e quindi sull'odierna ricorrente, la quale, pertanto, avrebbe dovuto dare prova dell'importo delle cedole riscosse dall'investitore, quale elemento costitutivo della propria domanda, operando invece a detrimento della stessa ricorrente le conseguenze del mancato raggiungimento della prova.
6. Ulteriormente inammissibile è il quinto mezzo.
Questa Corte, infatti, ha già ripetutamente chiarito che la decisione di ricorrere o meno ad una consulenza tecnica d'ufficio costituisce un potere discrezionale del giudice, essendo quest'ultimo tenuto solo a motivare adeguatamente il rigetto dell'istanza di ammissione proveniente da una delle parti, dimostrando di poter risolvere, sulla base di corretti criteri, i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17399 del 01/09/2015; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4853 del 01/03/2007).
Nel caso in esame la Corte territoriale, con motivazione adeguata, ha ritenuto che la consulenza tecnica, il cui espletamento era sollecitato dall'odierna ricorrente, avrebbe avuto carattere meramente esplorativo, senza che le censure formulate in questa sede dalla ricorrente – censure ancora una volta riferite a profili irrilevanti, come la propensione al rischio o l'ammontare di un danno che non è stato minimamente riconosciuto dalla Corte di merito – riescano nell'intento di intaccare minimamente il ragionamento del giudice.
7. L'inammissibilità del settimo motivo discende direttamente dalla sua inerenza al medesimo profilo già sollevato dal quarto motivo e dalla declaratoria di inammissibilità dello stesso.
Ancora una volta le deduzioni della ricorrente non si misurano adeguatamente con la ratio decidendi espressa dalla Corte etnea e, in concreto, si sostanziano in una inammissibile censura in dirizzata alla valutazione in fatto enunciata dalla Corte di merito circa l'assenza di adeguata prova dell'importo delle cedole incassate dall'odierno controricorrente.
8. Fondato è, invece, l'ottavo motivo.
Nello stabilire – invero apoditticamente – che sulla somma oggetto della pronuncia restitutoria in favore dell'odierno controricorrente dovevano essere computati gli interessi dalle date dei singoli versamenti finalizzati all'acquisto, la Corte territoriale ha sostanzialmente ignorato l'insegnamento di questa Corte che, in tema di intermediazione finanziaria ha chiarito che allorquando sia stata pronunciata la risoluzione del contratto per inadempimento dell'intermediario, la prova della mala fede di quest'ultimo non può reputarsi in re ipsa per effetto dalla mera imputabilità all'intermediario medesimo dell'inadempimento che abbia determinato la risoluzione del contratto, dovendo quindi il credito del cliente avente ad oggetto il rimborso del capitale investito produrre interessi, in base ai principi in tema di ripetizione dell'indebito, solo con decorrenza dalla proposizione della domanda giudiziale e gravando, semmai, su chi richiede che gli interessi vengano fatti decorrere dalla data del versamento l'onere di provare che l'intermediario era in mala fede (Cass. Sez. 1 - Ordinanza n. 3912 del 16/02/2018).
È opportuno precisare che non può invocarsi in senso contrario altra recente pronuncia di questa Corte (Cass. Sez. 1 - Sentenza n. 423 del 08/01/2025): quest'ultima, infatti, si è occupata del distinto tema della data di decorrenza, in relazione alla buona o mala fede, dell'importo delle cedole riscosse e non del profilo della restituzione dell'importo versato per l'investimento, chiarendo in ogni caso che in tema di risoluzione del contratto per inadempimento, la regola ex art. 2033 c.c. sulla spettanza di frutti e interessi non riguarda quelli previsti dal contratto, che, ove percepiti, costituiscono attribuzioni patrimoniali oggetto di restituzione in ragione della retroattività prevista dall'art. 1458 c.c., ma i frutti e gli interessi che maturano per legge in relazione al bene o alla somma di denaro oggetto di ripetizione.
9. L'accoglimento dell'ottavo motivo determina l'assorbimento del nono.
10. Il ricorso va quindi accolto in relazione al solo ottavo motivo e, per l'effetto, la decisione impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d'Appello di Catania, in diversa composizione, la quale, nel conformarsi al principio qui richiamato, provvederà altresì a regolare le spese anche del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie l'ottavo motivo di ricorso, cassa l'impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d'Appello di Catania in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il giorno 30 settembre 2025.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2025.

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