
È nullo il decreto di espulsione se non è stato tradotto nella lingua madre dello straniero?
La Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 28132 del 23 ottobre 2025, ha chiarito che la mancata traduzione del decreto di espulsione non comporta nullità se lo straniero dimostra di comprendere la lingua italiana.
L’onere della traduzione sussiste solo quando esistano dubbi effettivi sulla capacità di comprensione dell’interessato.
Nel caso esaminato, un cittadino albanese, irregolare sul territorio italiano, aveva impugnato il decreto lamentando la violazione del diritto di difesa per mancata traduzione in albanese. Tuttavia, il giudice ha rilevato che l’uomo aveva lavorato per tre anni in Italia, circostanza da cui si poteva presumere una conoscenza sufficiente dell’italiano.
La Corte richiama l’art. 13, comma 7, del D.Lgs. 286/1998 (Testo unico sull’immigrazione), che prevede la traduzione del provvedimento di espulsione in una lingua compresa dallo straniero. Tuttavia, la giurisprudenza costante (Cass. nn. 8614/2023, 10865/2019, 29662/2018) precisa che la nullità dell’atto non discende automaticamente dall’omessa traduzione, ma solo quando vi sia un pregiudizio effettivo al diritto di difesa.
La traduzione è quindi obbligatoria se non vi sono elementi oggettivi da cui desumere la comprensione della lingua italiana.
Nel caso concreto, la Corte ha ritenuto inammissibile il ricorso, poiché il ricorrente aveva dimostrato di sapersi integrare e lavorare nel territorio italiano. Tali elementi sono stati considerati indici attendibili di comprensione linguistica.
La Cassazione sottolinea che il diritto di difesa deve essere tutelato in modo concreto, non formale: l’assenza di traduzione non può essere invocata come vizio meramente procedurale, se la parte era comunque in grado di comprendere il contenuto dell’atto.
Il decreto di espulsione non è nullo quando lo straniero comprende la lingua italiana, anche se non riceve la traduzione nella propria lingua madre.
La decisione si inserisce nel solco di un orientamento che mira a bilanciare garanzie difensive ed efficienza amministrativa, evitando automatismi che paralizzano le procedure in assenza di un reale pregiudizio.
Cassazione civile, sez. I, ordinanza 23/10/2025 (ud. 8/10/2025) n. 28132
FATTI DI CAUSA
Ritenuto che:
Gj.Lo., cittadino albanese proponeva opposizione innanzi al Giudice di Pace di Roma avverso il decreto di espulsione notificato, unitamente all'ordine di allontanamento del Questore, in data 1.12.2017, provvedimenti entrambi redatti in lingua italiana ed in lingua inglese.
Con sentenza 8736/2024 il giudice di pace rigettava l'opposizione.
Rilevava, per quanto riguarda la mancata traduzione del provvedimento nella lingua albanese, che detta mancanza non costituiva una violazione di legge essendo sufficiente che il testo fosse espresso in una lingua conosciuta e ove non possibile in inglese, francese e spagnolo.
Osservava che l'indicazione del testo in inglese ed in italiano non risultava incomprensibile posto che l'opponente, dopo alcuni anni di permanenza nel territorio italiano, era in grado di comprendere i tratti salienti del contenuto dell'atto qui impugnato e per la parti in cui non era in grado di comprendere sarebbe venuto in soccorso il testo redatto in lingua inglese.
Evidenziava che tale convincimento si fondava sul fatto che il ricorrente alla data del 1.12.2017 aveva soggiornato in Italia da circa tre anni ed aveva avuto un permesso di soggiorno per lavoro autonomo scaduto nel 2015 e per il quale aveva avanzato richiesta di rinnovo.
Riteneva pertanto che Gj.Lo. avesse compreso il testo del provvedimento impugnato in italiano ed in inglese avendo lo stesso dichiarato di conoscere tale lingua.
A tali considerazioni aggiungeva che il ricorrente si era rivolto ad un legale cui aveva conferito la relativa procura ed aveva potuto così svolgere le sue difese.
Osservava che il provvedimento di espulsione si era fondato unicamente sull'avvenuto rigetto della domanda di permesso di soggiorno confermata anche in sede giurisdizionale amministrativa rimanendo estraneo al processo valutativo che aveva portato l'espulsione il giudizio di pericolosità sociale non rilevante ai fini della legittimità del provvedimento espulsivo.
Rilevava infine che il ricorrente non aveva contestato i presupposti che giustificavano l'espulsione né aveva allegato situazioni particolari di inespellibilità previste dall'art 19 T.U.I.
Avverso tale decreto Gj.Lo. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi cui non ha resistito con controricorso il Ministero degli Interni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Ritenuto che:
Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 13, comma 3, T.U.I. per difetto del nulla osta da parte dell'Autorità Giudiziaria Penale, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c. - Nullità della sentenza per motivazione apparente, in relazione all'art. 360, n. 4, c.p.c. (pag.3).
Si lamenta che il gdp non avrebbe motivato in relazione all'eccepita violazione dell'art. 13 comma 3 del Testo Unico sull'Immigrazione che dispone, il preciso obbligo da parte dell'autorità procedente, in particolare il questore, di verificare se il soggetto destinatario del provvedimento di espulsione sia o meno sottoposto a procedimento penale.
Si sostiene che nel ricorso sarebbe stato prospettato al Giudice di pace che il questore, infatti, aveva l'obbligo di richiedere il nulla osta all'autorità giudiziaria in pendenza di un procedimento penale a carico del ricorrente, obbligo che è fondamentale per garantire che l'espulsione non interferisca con procedimenti penali in corso, i quali potrebbero richiedere la presenza dello straniero sul territorio italiano.
Con un secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 13, comma 7, T.U. Immigrazione e 3, comma 3, D.P.R. 394/99, in ordine alla scelta della lingua di redazione dell'atto, in relazione all'art. 360, n. 3 c.p.c.
Si sostiene che la mancata traduzione del provvedimento nella lingua del paese d'origine dell'interessato comporta una lesione del suo diritto di difesa e che la legge consente la traduzione in una delle lingue indicate (spagnolo, inglese e francese) solo "ove non sia possibile quella in una lingua nota all'interessato", precisando che: tale impossibilità è nel caso di mancata identificazione del paese di provenienza dello straniero privo di documenti ovvero nel caso di provenienza da un paese la cui lingua, per la sua rarità nell'ambito delle lingue conosciute, non consenta l'agevole reperibilità di un traduttore."(Cass. Civ. n. 9 del 2002). Impossibilità che per la lingua albanese non poteva essere sussistente.
Il primo motivo è inammissibile per difetto di specificità. ai sensi dell'art. 366, comma primo, n. 4, cod. proc. civ.
Parte ricorrente non ha indicato e neppure localizzato in quale parte dell'atto avesse sollevato l'eccezione in questione.
Deve quindi darsi continuità alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi è cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l'avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche, in virtù del principio di autosufficienza, indicare in quale specifico atto del grado precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito e non rilevabili di ufficio (Cass. n. 18018/2024).
In ogni caso la questione non assume alcun rilievo nel caso in esame.
Questa Corte ha di recente affrontato la questione della compatibilità della espulsione amministrativa con accompagnamento alla frontiera con il diritto del condannato ad accedere alle misure alternative alla detenzione carceraria (Cass 2023 nr 35686).
In essa è stata riconosciuta la piena autonomia applicativa all'espulsione prefettizia rispetto al procedimento per la concessione delle misure alternative alla detenzione in presenza di un ordine di sospensione della pena ex art. 656 c.p.p. L'ordine di sospensione della pena, infatti lascia, infatti, intatto il potere prefettizio con la conseguente applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, la cui operatività non viene meno perché lo straniero non si trova in stato di detenzione.
L'espulsione amministrativa opera su un diverso piano e si differenzia dalle misure disposte dall'autorità giudiziaria.
Si tratta, cioè, di una misura caratterizzata da una sua intrinseca autonomia ed in quanto tale non può essere né confusa né assimilata con le altre forme di espulsione direttamente legate al procedimento penale.
Ne consegue, allora, che, se l'ordine di esecuzione della pena è stato sospeso ai sensi dell'art. 656 c.p.p., il decreto di espulsione prefettizio non può dirsi per ciò solo inefficace o confliggente con gli accertamenti in sede penale.
L'autonomia dell'espulsione amministrativa è infatti certificata dal medesimo art. 13 teste richiamato, che al comma 3 recita esattamente che "quando lo straniero è sottoposto a procedimento penale e non si trova in stato di custodia cautelare in carcere, il questore, prima di eseguire l'espulsione, richiede il nulla osta all'autorità giudiziaria, che può negarlo solo in presenza di inderogabili esigenze processuali valutate in relazione all'accertamento della responsabilità di eventuali concorrenti nel reato o imputati in procedimenti per reati connessi, e all'interesse della persona offesa.
In tal caso l'esecuzione del provvedimento è sospesa fino a quando l'autorità giudiziaria comunica la cessazione delle esigenze processuali.
Il questore, ottenuto il nulla osta, provvede all'espulsione con le modalità di cui al comma 4. Il nulla osta si intende concesso qualora l'autorità giudiziaria non provveda entro sette giorni dalla data di ricevimento della richiesta. In attesa della decisione sulla richiesta di nulla osta, il questore può adottare la misura del trattenimento presso un centro di permanenza per i rimpatri ai sensi dell'art. 14".
L'adottabilità dell'espulsione prefettizia non è dunque preclusa dalla pendenza di un procedimento penale, trovando nello strumento del nulla osta la chiave della propria compatibilità con le esigenze proprie di quello.
Nel caso poi non sia stato formalmente richiesto il nulla osta all'autorità giudiziaria penale va osservato che, come affermato più volte da Corte dell'avviso, "lo straniero che ricorra avverso il decreto di espulsione, e nei cui confronti penda un procedimento penale o che sia parte offesa nel medesimo, non può far valere, quale motivo di invalidità del provvedimento, la mancanza del nulla osta all'espulsione da parte del giudice penale, imposta dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 3, perché non ha alcun interesse protetto alla denunzia di tale omissione, essendo detta previsione posta a salvaguardia delle esigenze della giurisdizione penale, mentre l'interesse dell'espulso all'esercizio del diritto di difesa e alla partecipazione al processo penale è tutelato dall'autorizzazione al rientro contemplata dall'art. 17 del medesimo D.Lgs. (Cass., Sez. I, 31/07/2019, n. 20693; Cass 2025 nr 3938).
Il secondo motivo è inammissibile sotto un duplice profilo.
La censura infatti, da un lato, non confuta con sufficiente specificità le ragioni poste a base del convincimento del giudice, il quale, come su detto, ha rilevato che l'opponente era stato soggiornante in Italia per tre anni svolgendo un lavoro autonomo ed aveva inoltrato domanda per il rinnovo del permesso di soggiorno e comunque aveva dichiarato di conoscere la lingua inglese.
Dall'altro il motivo è diretto impropriamente diretto a censurare un accertamento di fatto effettuato dal Giudice di primo grado e idoneamente motivato.
Questa Corte ha affermato che, in tema di procedimento di espulsione amministrativa dello straniero, la prova presuntiva della conoscenza lingua italiana può essere desunta da parte del giudice del merito sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, esposti dal giudice stesso (cfr. tra le altre, Cass. 4636/2019). Nel caso di specie il Giudice di Pace ha ritenuto dimostrato il fatto che l'odierno ricorrente comprende la lingua italiana, dato che era stato in Italia per tre anni, era stato titolare di permesso di soggiorno per lavoro autonomo.
Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va dichiarato inammissibile.
Nessuna determinazione in punto spese stante la mancata costituzione del Ministero.
P.Q.M.
La Corte dichiara l'inammissibilità del ricorso.
In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri elementi identificativi a norma dell'art. 52, comma 2, D.Lgs. 196/2003.
Così deciso in Roma, l'8 ottobre 2025.
Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2025.