In tema di responsabilità contrattuale della scuola ex art. 1218 c.c., per il danno autoinferto dall’alunno durante l’attività scolastica, grava sull’amministrazione l’onere di provare che l’evento sia stato determinato da una causa non imputabile né alla scuola né all’insegnante, mediante la dimostrazione di aver adottato tutte le misure preventive e di vigilanza idonee a evitare il pregiudizio, tenuto conto delle condizioni psicofisiche dell’allievo.
Nel caso di alunno disabile caduto dalle scale all’interno dell’istituto, la caduta è prevedibile ove la diagnosi funzionale evidenzi difficoltà nella motricità globale e negli schemi motori complessi; pertanto, l’amministrazione risponde per omessa vigilanza, non essendo sufficiente il solo appoggio al corrimano, ma dovendo essere assicurato un accompagnamento personale adeguato alla condizione dell’allievo.
Cassazione civile, sez. III, ordinanza 24/10/2025 (ud. 25/09/2025) n. 28269
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Mu.Gi. e St.Fi., in proprio e quali esercenti la responsabilità sulla figlia minore Mu.Ma., convenivano dinanzi al Tribunale di Potenza il Ministero dell'Istruzione e l'Istituto Comprensivo "(...)" di Matera.
Gli attori deducevano che la figlia, affetta da "sindrome cerebrale e note dismorfiche con grave ritardo psicomotorio" e iscritta al primo anno della scuola media statale "(...)" di Matera, il giorno 11.10.2010, alla presenza dell'insegnante di sostegno La.Vi. e dell'assistente educativa Ta.Vi., era stata vittima di una caduta durante la discesa della scalinata interna del plesso scolastico nel tragitto verso il laboratorio di scienze al piano terreno. A seguito dell'incidente la minore aveva riportato una "frattura del femore destro in soggetto con ritardo mentale" con postumi permanenti. Gli attori, assumendo la responsabilità del personale scolastico per l'occorso, chiedevano la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni patiti dalla figlia, nonché di quelli loro riferibili.
Le amministrazioni convenute resistevano alle domande e chiedevano la chiamata in giudizio di Assicurazioni Generali Spa per essere da questa manlevate in virtù delle polizze infortuni e r.c.t. in essere.
Si costituiva GENERALI ITALIA Spa a mezzo della mandataria Generali Business Solutions s.c.p.a. ed eccepiva che la polizza cumulativa infortuni n. (...) era del tipo "per conto di chi spetta", sì che i relativi diritti competevano solo agli alunni, mentre la polizza per la responsabilità civile verso terzi n. (...) non era operativa per essere stato corrisposto il premio in data 9.11.2010. La terza chiamata, inoltre, contestava la fondatezza della domanda svolta, assumendo che la caduta fosse stata determinata da un malore della minore.
Con sentenza pubblicata il 21.2.2017 il Tribunale di Potenza condannava il Ministero dell'Istruzione e l'Istituto Comprensivo "(...)" di Matera al pagamento, a titolo di risarcimento dei danni, di Euro 62.420,25 in favore della minore Mu.Ma. e di Euro 11.593,14 in favore dei genitori Mu.Gi. e St.Fi.. Il Tribunale, invece, rigettava la domanda di manleva.
2. La Corte d'Appello di Potenza con sentenza pubblicata il 19.9.2022 rigettava l'appello proposto dal Ministero dell'Istruzione e dall'Istituto Comprensivo "(...)" di Matera, gravandoli delle spese del grado in favore degli appellati Mu.Gi., in proprio e quale tutore della figlia, St.Fi. e GENERALI ITALIA Spa
Per quanto ancora di interesse ai fini del presente giudizio, pur ritenendo fondata la censura di cui al primo motivo d'impugnazione, con il quale si censurava l'inquadramento della fattispecie operata dal Tribunale nell'art. 2048, comma secondo, cod. civ., dovendo optarsi per l'art. 1218 cod. civ. al cospetto di un danno autoinferto dal minore, con il conseguente onere della prova a carico dell'attore del nesso di causa tra la violazione dei doveri di vigilanza assunti dalla scuola e il danno lamentato, la Corte d'Appello notava come il tema della causalità non fosse stato affrontato dal primo giudice e nemmeno gli attori avessero fatto riferimento ad esso, tuttavia tale profilo non era stato oggetto di specifico motivo di impugnazione da parte delle amministrazioni, sì che la sentenza sullo specifico aspetto era passata in giudicato. In questo contesto, sulla convenuta gravava l'onere della prova della causa non imputabile né alla scuola, né all'insegnante.
Evidenziava la Corte d'Appello che il Tribunale aveva fondato la sua valutazione sulla mancanza di una più intensa e accurata vigilanza dell'allieva mediante l'adozione di tutte le misure idonee a prevenire ed evitare che potesse subire un pregiudizio alla sua incolumità, anche in considerazione del suo stato di invalidità psicofisica, e non sulla redazione superficiale del Piano Educativo Individualizzato (P.E.I.), mai prodotto, perché prevedente attività non coerenti con lo stato della minore. L'invocazione dei verbali di diagnosi funzionale dell'A.S.L. del 26.2.2002 e dell'11.2.2010, a proposito della capacità di deambulazione della minore, era stata fatta dalle amministrazioni appellanti sulla base di considerazioni tecniche non pertinenti. Per contro, proprio da tali verbali emergeva in modo convergente come la minore avesse difficoltà nella "motricità globale", data la persistenza di difficoltà nell'esecuzione "di schemi motori più organizzati", sì che, pur potendo effettuare in autonomia spostamenti sul piano e movimenti nello spazio verticale, incontrasse seri problemi nell'effettuare, senza la necessaria assistenza e l'ausilio di terzi, movimenti comportanti più azioni, quali salire e scendere le scale.
Ciò posto, la deduzione delle appellanti a proposito della natura accidentale e imprevedibile della caduta, ossia che essa non fosse imputabile a culpa in vigilando del personale scolastico, era inconferente dovendo l'amministrazione provare l'esistenza di una causa non imputabile, ossia di un fattore esterno alla condotta degli operatori imprevedibile e inevitabile. Tale carattere non ricorreva nel mero fatto della caduta della minore, essendo noti all'amministrazione lo stato di invalidità della bambina e le sue difficoltà nell'esecuzione di schemi motori più complessi. Conclusivamente, la caduta era prevedibile e sarebbe stato necessario accompagnare per mano la bambina nella discesa delle scale, non risultando sufficiente l'appoggio al corrimano.
3. Per la cassazione della sentenza impugnata ricorrono il Ministero dell'Istruzione e l'Istituto Comprensivo "(...)" di Matera, sulla base di quattro motivi. Resistono con controricorso Mu.Gi., St.Fi. e Mu.Ma., in persona del tutore Mu.Gi..
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell'art. 380-bis.1. cod. proc. civ.
Il Pubblico Ministero presso la Corte non ha presentato conclusioni scritte.
I controricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. In via preliminare, deve essere rilevato come non vi sia prova in atti della rituale notifica del ricorso a GENERALI ITALIA Spa, che ha partecipato al giudizio quale litisconsorte necessario processuale ed ha contestato anche la fondatezza della domanda nei confronti del chiamante.
Tuttavia, non essendo stata impugnata la sentenza di appello là dove è stato confermato il rigetto della domanda di manleva disposto in primo grado, nessun pregiudizio dall'omessa integrazione del contraddittorio potrebbe derivare ai danni del litisconsorte pretermesso per essere l'oggetto del giudizio ormai limitato al solo accertamento della responsabilità dei convenuti oggi ricorrenti (v. Cass., sez. III, 18 dicembre 2024, n. 33145; Cass., sez. III, 18 dicembre 2023, n. 35257). Conclusivamente, GENERALI ITALIA Spa non ha più interesse a partecipare al giudizio per essersi ormai sciolto il litisconsorzio necessario processuale, pertanto non si impone l'integrazione del contradditorio.
2. Con il primo motivo è denunciata, ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.: "mancato passaggio in giudicato per non contestazione del profilo relativo alla sussistenza del nesso di causalità. Erronee conseguenze della riqualificazione giuridica del riparto dell'onere probatorio".
I ricorrenti si dolgono per aver ritenuto la Corte d'Appello l'assenza di un'impugnazione specifica in ordine al profilo causale e il conseguente passaggio in giudicato sul punto della sentenza di primo grado. Osservano come la contestazione del nesso causale tra la condotta delle insegnanti e il danno autoinferto fosse stata effettuata "mediante la negazione di addebiti di colpa in capo alle prime" e la connotazione del sinistro come accidentale, sì che l'invocazione del caso fortuito era idonea a impedire il passaggio in giudicato.
La corte, inoltre, pur avendo accolto il primo motivo di impugnazione in relazione all'erroneo inquadramento operato dal Tribunale nell'art. 2048, comma secondo, cod. civ., non ne avrebbe tratto le debite conseguenze sul piano del riparto dell'onere della prova ed ha ritenuto "non contestata una circostanza che non è stata neppure affrontata dalla sentenza di primo grado", per essersi il primo giudice basato sullo schema di prova presuntiva connesso all'erroneo inquadramento ai sensi dell'art. 2048, comma secondo, cod. civ.
2.1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell'art. 366, comma primo, n. 6, cod. proc. civ., in quanto privo del requisito della specificità.
La Corte d'Appello, richiamando Cass., sez. III, 31 marzo 2021, n. 8849, ha affermato che in tema di responsabilità dell'istituto scolastico per il danno cagionato dall'alunno a se stesso, il regime di distribuzione dell'onere della prova ex art. 1218 cod. civ. comporta che sulla parte ritenuta inadempiente (o non esattamente adempiente) ricade l'onere di fornire la prova positiva dell'avvenuto adempimento (o dell'esattezza di esso), mentre il principio generale previsto dall'art. 2697 cod. civ. fa gravare sull'attore la prova del nesso causale fra la condotta dell'obbligato e il pregiudizio, ossia la derivazione causale tra la violazione dei doveri di vigilanza assunti dalla scuola e il danno lamentato.
Sebbene la questione del nesso causale non fosse stata espressamente affrontata dal giudice del primo grado, non avendo gli attori dedotto il legame tra la violazione del dovere di vigilanza e il danno subito dall'alunna e neppure contestato alcun inadempimento - va notato, tuttavia, che nel riferire una parte del primo motivo di appello si legge che gli attori avevano configurato una culpa in vigilando imputabile all'insegnante di sostegno (sentenza, pagina 7, primo capoverso) -, la corte potentina ha rimarcato che la questione della prova del nesso di causa "non ha formato oggetto di specifico motivo di impugnazione, sicché la decisione del Tribunale di Potenza, nel punto in cui si suppone la sussistenza del predetto nesso di causalità, deve considerarsi coperta da giudicato" (pagina 11, terzo capoverso).
Al riguardo, fermo restando che è rimasta del tutto inesplicata la violazione dell'art. 116 cod. proc. civ., i ricorrenti non hanno riprodotto estensivamente il contenuto del primo motivo d'appello, ma hanno premesso che in sede di appello la contestazione della questione afferente al nesso di causa è stata fatta, indirettamente, "mediante la negazione di addebiti di colpa in capo alle insegnanti ed una connotazione del sinistro come accidentale". Per il resto è stato estrapolato un passo del motivo di appello, il quale in ogni caso si impernia sul tema dell'assenza di una omessa sorveglianza: "dai documenti depositati e dalle prove acquisite emerge che la caduta della piccola Mu.Ma. non è in alcun modo imputabile all'insegnante di sostegno ed all'assistente educativa; caduta che, al contrario di quanto sostenuto in sentenza, è stata del tutto "accidentale", non causata né da carenza di misure di sicurezza, comunque adottate dagli organi scolastici, né tantomeno da negligenza o da "culpa in vigilando" da parte dell'insegnante di sostegno e dell'assistente educativa, preposte alla cura della piccola" (v. pagina 6 del ricorso, penultimo capoverso).
È pur vero che nel passo appena citato si allude all'assenza della causalità da carenza di misure organizzative o da "culpa in vigilando da parte dell'insegnante di sostegno e dell'assistente educativa, preposte alla cura della piccola". Il brano appena indicato si colloca in ogni caso nel contesto della natura della responsabilità in esame: "è, dunque, palese l'infondatezza della domanda che, a differenza di quanto opinano gli attori, non è responsabilità oggettiva ma colposa. Nel qual caso in essa è stato dimostrato che sono state adottate tutte le cautele per impedire l'evento e lo stesso si è verificato per fatto accidentale e, come tale, non imputabile alla Scuola" (pagina 6 del ricorso, ultimo capoverso, pagina 7, primo capoverso).
Né valgono, tantomeno, la generica indicazione in questa sede del caso fortuito dedotto in modo del tutto aspecifico, o l'invocazione della diversa qualificazione, accolta dalla Corte d'Appello, al fine di corroborare lo svolgimento in modo puntuale di una impugnazione del profilo in questione. Quand'anche non affrontata ex professo in primo grado la questione della causalità, questo non esimeva i ricorrenti dallo svolgere uno specifico motivo di appello, del cui contenuto avrebbero dovuto riprodurre il contenuto per intero o, quantomeno, provvedere alla relativa localizzazione, al fine di permettere l'esame da parte della Corte.
Deve essere ricordato che in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione dell'art. 366, comma primo, n. 6, c.p.c., le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l'esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2019, n. 34469 e ribadito più di recente da Cass., sez. III, 1 luglio 2021, n. 18695).
3. Con il secondo motivo viene denunciata, ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 e 116 cod. proc. civ. e dell'art. 2697 cod. civ.: "violazione del principio dispositivo, fondamento della decisione su elementi acquisiti illegittimamente ex officio".
I ricorrenti lamentano che la Corte d'Appello avrebbe disatteso le risultanze delle certificazioni della ASL del 20.6.2002 e dell'11.2.2010 sulla base di conoscenze scientifiche valorizzate d'ufficio, dirette a fondare il convincimento circa l'inidoneità della minore a scendere le scale, non allegate dalle parti e non rientranti nel concetto di "massime di esperienza".
3.1. Il motivo è inammissibile, perché privo di una censura pertinente rispetto all'intera ratio decidendi espressa dalla Corte d'Appello.
I ricorrenti contestano che la Corte d'Appello, in violazione del principio dispositivo, avrebbe reso la sua decisione sulla base di elementi illegittimamente acquisiti in via officiosa.
Il giudice di secondo grado, premesso che il regime di distribuzione dell'onere della prova ex art. 1218 cod. civ. imponeva all'amministrazione di dimostrare che l'evento dannoso era stato determinato "da causa non imputabile né alla scuola, né all'insegnante (v. Cass., Sez. Un., 27 giugno 2002, n. 9436, parag. 7.2.5; Cass., sez. III, 25 novembre 2011, n. 36723), ha affermato che il Tribunale di Potenza, sulla base della documentazione relativa alla "diagnosi funzionale", ha ritenuto la responsabilità dell'amministrazione "esclusivamente sul "fatto" omissivo della mancata più intensa ed accurata vigilanza apprestata all'allieva sotto forma di adozione di tutte le misure idonee (secondo i canoni di buon senso) a prevenire ed evitare che l'alunna potesse subire pregiudizio alla propria incolumità, anche in considerazione del suo stato di invalidità psicofisica" (pagina 12, terzultimo capoverso).
La Corte d'Appello, nel criticare la lettura tecnica sostenuta dagli appellanti del contenuto dei certificati in atti del 26.2.2002 e dell'11.2.2013, dove era riportato "deambulazione autonoma e sufficientemente equilibrata", tale da consentire di salire e scendere le scale, ha scritto: "La circostanza che in entrambi i predetti verbali di diagnosi funzionale sia stata sottolineata la persistenza di difficoltà di schemi motori più organizzati e sia stato riscontrato un impaccio nell'espletamento di schemi motori più complessi ed organizzati vale ad alimentare il convincimento che, all'epoca del sinistro, la piccola Mu.Ma. fosse senz'altro in condizioni di effettuare in autonomia spostamenti sul piano e movimenti nello spazio verticale, nel senso sopra precisato, ma incontrasse ancora seri problemi ad eseguire, senza la necessaria assistenza e l'ausilio di terze persone, movimenti finalizzati implicanti più azioni, come appunto il salire e lo scendere le scale" (pagina 14, penultimo capoverso).
La nozione di "motricità globale", "intesa come capacità di alzarsi, piegarsi, ruotare, oscillare, flettere" (v., pagina 14, riga 19, della sentenza), enunciata dalla corte potentina per distinguere le capacità di spostamento nel piano e di movimento nello spazio verticale - sia detto per inciso, tale nozione fa parte del bagaglio culturale minimo del giudice che si occupa di danni alla persona, normalmente esplicato all'interno di qualunque quesito medico legale -, e la distinzione tra "prassie semplici" implicanti una sola azione, e "prassie complesse", richiedenti movimenti con più azioni (tra cui salire e scendere le scale), non sono state valorizzate in contrasto con le risultanze delle certificazioni sanitarie, ma inquadrate nell'ambito di una "persistenza di difficoltà di schemi motori più organizzati" e di "impaccio nell'espletamento di schemi motori più complessi ed organizzati".
I ricorrenti, pertanto, hanno prospettato la censura in termini non aderenti alla sentenza impugnata, di qui l'inammissibilità del motivo dovendosi senz'altro dare seguito ai consolidati principi di diritto, in base ai quali "La proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al "decisum" della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall'art. 366, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d'ufficio" (v. Cass., sez. 6-I, 7 settembre 2017, n. 20910; in motivazione, Cass., sez. un., 20 marzo 2017, n. 7074; sez. 6-III, 3 luglio 2020, n. 13735).
4. Con il terzo motivo è denunciata, ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1218 e 2697 cod. civ.: "corretto riparto dell'onere probatorio, rischio della mancata prova".
I ricorrenti lamentano che il rischio della mancata prova in merito alle circostanze dell'infortunio sia stato fatto gravare sull'amministrazione. Viceversa, in applicazione dell'art. 1218 cod. civ. l'onere della prova del nesso causale tra l'asserito inadempimento degli obblighi di vigilanza e protezione (e il danno subito dalla minore), sarebbe dovuto ricadere sugli attori, con assunzione del rischio della causa ignota, mentre sulla parte convenuta sarebbe dovuto ricadere l'onere della prova dell'esatto adempimento di detti obblighi.
4.1. Il motivo è inammissibile, poiché con esso i ricorrenti assumono di potere nuovamente sottoporre a questa Corte il tema della distribuzione dell'onere della prova sulla causalità materiale.
La Corte d'Appello, come già detto in occasione dello scrutinio del primo motivo, ha affermato che: "(...) la questione della prova dell'esistenza del nesso di derivazione causale tra la violazione dei doveri di vigilanza assunti dalla scuola e il danno occorso alla piccola Mu.Ma. non ha formato oggetto di specifico motivo di impugnazione, sicché la decisione del Tribunale di Potenza, nel punto in cui suppone la sussistenza del predetto nesso di causalità, deve considerarsi coperta da giudicato".
Non avendo i ricorrenti adeguatamente censurato la decisione di secondo grado riguardo al tema della causalità, come già esposto in occasione dello scrutinio del primo motivo, la censura nuovamente svolta si palesa inammissibile.
5. Con il quarto motivo viene denunciata, ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell'art. 116 cod. proc. civ.: "erronea valutazione degli elementi probatori in atti, illogicità intrinseca".
I ricorrenti lamentano che la Corte d'Appello, facendo leva sulla incapacità di autonoma deambulazione della minore, basata su un rilievo officioso della indicata letteratura scientifica (già censurata nel secondo motivo), avrebbe ritenuto la caduta come prevedibile, così da imporre di accompagnare per mano l'alunna. Erroneamente valutando il materiale di prova, la corte non avrebbe considerato che la minore era accompagnata da due insegnanti, nonché con ragionamento affetto da illogicità intrinseca ha tratto la prevedibilità ed evitabilità della caduta dalla sua verificazione, "omettendo di rilevare l'impossibilità di prevedere ed evitare eventi del tutto fortuiti, quali, appunto la caduta o uno scivolamento improvviso".
5.1. Il motivo va disatteso poiché le entrambe censure svolte si collocano fuori dagli invocati paradigmi.
5.2. Nell'ambito di un ricorso per cassazione una questione di violazione o di falsa applicazione dell'art. 116 cod. proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo allorché si alleghi che quest'ultimo abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (v. Cass., 10 giugno 2016, n. 11892; 8 ottobre 2019, n. 25027; 31 agosto 2020, n. 18092; 22 settembre 2020, n. 19798; Cass., sez. un., 30 settembre 2020, n. 20867).
Analogamente, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell'art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., che dà rilievo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio, né in quello del precedente n. 4, disposizione che - per il tramite dell'art. 132, n. 4, cod. proc. civ. - dà rilievo unicamente all'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (v. Cass. 11892/2016 cit.; Cass., sez. I, 26 settembre 2018, n. 23153; Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, nn. 8053/8054). Ipotesi non ricorrenti nel caso di specie, apparendo evidente che il motivo sollecita questa Corte a svolgere un non consentito riesame del merito sulla base di una diversa lettura del compendio di probatorio.
5.3. Del pari l'addotta illogicità della motivazione, là dove si afferma che la prevedibilità ed evitabilità dell'evento è stata ricavata dal suo verificarsi, a parte il carattere tautologico del rilievo, si colloca fuori dal perimetro segnato dalle Sezioni Unite di questa Corte in termini di riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Infatti, è denunciabile in Cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione"" (v., Cass., Sez. Un., 8053 - 8054/2014, citate; Cass., sez. III, 12 ottobre 2017, n. 23940; Sez. VI-3, 25 settembre 2018, n. 22598; sez. I, 3 marzo 2022, n. 7090).
Ipotesi non ricorrenti nel caso in esame, poiché la Corte d'Appello non ha tratto la prevedibilità ed evitabilità della caduta dalla sua verificazione, ma ha considerato che: "(...) la caduta per le scale della piccola Mu.Ma. era evento dall'insegnante di sostegno e dall'assistente educativa prevedibile, alla luce della conoscenza delle effettive condizioni di invalidità psicofisica dell'alunna, ed evitabile tramite l'adozione di opportune misure rientranti nelle specifiche competenze del predetto personale scolastico, misure quale, ad esempio, quella di accompagnare per mano la bambina nella discesa delle scale, non essendo all'evidenza sufficiente ad evitare la caduta (come la realtà dei fatti ha dimostrato) la circostanza che l'alunna si appoggiasse al corrimano delle scale" (pagina 17, penultimo capoverso).
6. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza, dovendosi puntualizzare che unico legittimato a contraddire la domanda attorea è il Ministero dell'Istruzione e non l'istituto scolastico. Infatti, la personalità giuridica degli istituti scolastici attribuita dal D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275 attiene esclusivamente all'aspetto amministrativo-gestionale, lasciando inalterata la loro qualità di organi dello Stato e non genera, quindi, alcun rapporto organico con le persone che in essi prestano la loro attività quali dipendenti statali (v., Cass., sez. III, 27 maggio 2024, n. 14720; Cass., sez. III, 31 gennaio 2018, n. 2335; Cass. sez. 3, 19 febbraio 2016 n. 3275; Cass., sez. III, 6 novembre 2012 n. 19158, Cass. sez. III, 29 gennaio 2006 n. 10042 e Cass. sez. III, 10 maggio 2005 n. 9752; e cfr. pure Cass., sez. lav., 21 marzo 2011 n. 6372, Cass. sez. III, 14 novembre 2008 n. 27426; Cass. sez. III, 11 febbraio 2005, n. 2839).
Non può trovare applicazione l'obbligo di versare, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, essendo parte ricorrente un'amministrazione dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, è esentata dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (v., Cass., sez. III, 13 novembre 2024, n. 3384; sez. V, 29 dicembre 2016, n. 27301; sez. 6-Lav., 29 gennaio 2016, n. 1778; v. anche Cass., Sez. Un., 8 maggio 2014, n. 9938; Cass., sez. III, 14 marzo 2014, n. 5955).
Deve essere disposto, ai sensi dell'art. 52 D.Lgs. 196 del 2003, che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omessi generalità ed altri dati identificativi dei controricorrenti.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il Ministero dell'Istruzione alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, in favore dei controricorrenti, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 7.200,00 per competenze professionali, oltre rimborso forfetario del 15%, Iva e cpa se dovuti per legge.
Dispone che, ai sensi dell'art. 52 D.Lgs. 196 del 2003, in caso di diffusione del presente provvedimento siano omessi generalità ed altri dati identificativi dei controricorrenti.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione civile della Corte Suprema di Cassazione in data 25 settembre 2025.
Depositata in Cancelleria il 24 ottobre 2025.