Spese legali – Parametri forensi – Minimi inderogabili – Fase istruttoria - Limiti alla riduzione - Compenso unitario

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.29925 del 12/11/2025

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Spese legali – Parametri forensi – Minimi inderogabili – Limiti alla riduzione

In tema di spese legali, in assenza di diversa convenzione tra le parti, il giudice, ove la liquidazione dei compensi professionali e delle spese di lite avvenga in base ai parametri di cui al D.M. n. 55/2014, come modificato dal D.M. n. 37/2018, non può scendere al di sotto dei valori minimi, aventi carattere inderogabile.

Spese legali – Compenso unitario – Trattazione e istruttoria – Liquidazione

In tema di spese legali, ai fini della liquidazione dell’onorario spettante al difensore, il D.M. n. 55/2014 non prevede un compenso autonomo per la sola fase istruttoria, ma uno unitario per tale fase e per quella di trattazione, spettante anche in assenza di attività istruttoria in senso stretto.
 

Spese legali – Fase istruttoria – Attività rilevanti – Art. 4, comma 5, lett. c), D.M. 55/2014

In tema di spese legali, ai fini della liquidazione del compenso spettante al difensore per la fase istruttoria, rilevano non solo l’espletamento di prove orali e CTU, ma anche le ulteriori attività difensive ricomprese dall’art. 4, comma 5, lett. c), D.M. n. 55/2014.

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Cassazione civile, sez. lav., ordinanza 12/11/2025 (ud. 25/09/2025) n. 29925

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


Il Tribunale di Roma, con sentenza emessa, nel contraddittorio delle parti, il 20 giugno 2019, preso atto della sopravvenuta erogazione, da parte dell'INPS, delle prestazioni chieste da Mo.Te., ha dichiarato cessata la materia del contendere e liquidato le spese in favore della ricorrente in misura pari a Euro 1.200,00, oltre accessori.

Mo.Te. ha proposto appello che la Corte d'Appello di Roma, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 2066/2022, ha rigettato.

Mo.Te. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

L'INPS si è difeso con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione dell'art. 91 c.p.c., del D.M. n. 55 del 10 marzo 2014, dell'art. 13, comma 6, legge n. 247 del 2012 e dell'art. 2233, comma 2, c.c. in quanto la corte territoriale avrebbe errato a non applicare il D.M. n. 37 del 2018, entrato in vigore il 27 aprile 2018 e destinato a regolare le liquidazioni successive a tale data, che aveva modificato il D.M. n. 55 del 2014, richiamato dal giudice di appello nel suo testo originario e non in quello successivamente integrato.

Sostiene la ricorrente che il D.M. n. 37 del 2018 avrebbe precluso la riduzione dei compensi dell'avvocato oltre i limiti fissati dal D.M. n. 55 del 2014, non essendo consentito al giudice di diminuirli ulteriormente.

Inoltre, lamenta che la Corte d'Appello di Roma avrebbe errato nel negare ogni compenso per l'attività istruttoria, dovendo in questa essere ricomprese le richieste di prova, l'esame degli scritti o documenti delle parti o dei provvedimenti giudiziari e le istanze al giudice in qualsiasi forma.

La censura merita accoglimento.

Nella specie, il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado è stato depositato il 10 dicembre 2018 e la successiva sentenza, che aveva dichiarato cessata la materia del contendere, è stata emessa il 20 giugno 2019.

Ne deriva che era già in vigore il D.M. n. 37 del 2018, il quale è divenuto efficace il 27 aprile 2018, e si applica alle liquidazioni successive a questa data (art. 6).

Al riguardo, la giurisprudenza più recente ha chiarito che, in tema di spese legali, in assenza di diversa convenzione tra le parti, il giudice, ove la liquidazione dei compensi professionali e delle spese di lite avvenga in base ai parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, come modificato dal D.M. n. 37 del 2018, non può scendere al di sotto dei valori minimi, in quanto aventi carattere inderogabile (Cass., Sez. 2, n. 9815 del 13 aprile 2023).

Sul punto, si osserva che il ricorso pone il problema della derogabilità dei valori tabellari minimi fissati, per ciascuna fase processuale, dall'art. 4, comma 1, D.M. n. 55 del 2014, come modificato dal D.M. n. 37 del 2018, il quale, nel testo che qui rileva, dispone che, ai fini della liquidazione del compenso, il giudice tiene conto dei valori medi di cui alle tabelle allegate, che, in applicazione dei parametri generali possono essere aumentati di regola sino all'80 per cento, ovvero possono essere diminuiti in ogni caso non oltre il 50 per cento. Per la fase istruttoria l'aumento è di regola fino al 100 per cento e la diminuzione in ogni caso non oltre il 70 per cento.

L'art. 13, comma 6, legge n. 247 del 2012 ha rimesso, com'è noto, ad un apposito decreto del Ministero della Giustizia, l'aggiornamento con cadenza biennale dei parametri medi, provvedimento da adottare d'intesa con il Consiglio nazionale forense, ai sensi dell'art. 1, comma 3, precisando che i nuovi parametri "si applicano quando all'atto dell'incarico o successivamente il compenso non sia stato determinato in forma scritta, in ogni caso di mancata determinazione consensuale, in caso di liquidazione giudiziale dei compensi e nei casi in cui la prestazione professionale è resa nell'interesse di terzi o per prestazioni officiose previste dalla legge".

La novellata previsione dell'art. 4, comma 1, è difforme dal punto di vista letterale dalle precedenti disposizioni regolamentari, che non contemplavano un vincolo espresso in ordine alla massima riduzione applicabile, limitandosi a disporre che detta riduzione non poteva di regola essere superiore al 50%. Sulla scorta di tale ultimo elemento testuale e alla luce del ritenuto carattere non vincolante dei parametri di liquidazione, questa Suprema Corte era giunta a sostenere che la quantificazione del compenso e delle spese processuali fosse espressione di un potere discrezionale riservato al giudice, e che la liquidazione, se contenuta entro i valori tabellari minimi e massimi, non richiedeva un'apposita motivazione e non era sottoposta al controllo di legittimità, dovendosi, invece, giustificare la scelta del giudice di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, fatto salvo l'obbligo di non attribuire somme simboliche, lesive del decorso professionale (Cass., Sez. 2, n. 9815 del 13 aprile 2023).

A tale approdo interpretativo, tuttora valido per le spese processuali e i compensi professionali regolati dal D.M. n. 55 del 2014, non può darsi continuità anche per quelli sottoposti al regime introdotto dal D.M. n. 37 del 2018 non è più consentita la liquidazione di importi risultanti da una riduzione superiore alla percentuale massima del 50% dei parametri medi e ciò per effetto di una scelta normativa intenzionale, volta a circoscrivere il potere del giudice di quantificare il compenso - o le spese processuali - e a garantire, attraverso una limitata flessibilità del parametri tabellari, l'uniformità e la prevedibilità delle liquidazioni a tutela del decoro della professione e del livello della prestazione professionale.

La detta ratio legis, esplicitamente evidenziata nel parere del Consiglio di Stato, Sezione consultiva, n. 2703 del 27 dicembre 2017, conduce ad affermare che l'attuale previsione mira a specificare "con maggiore chiarezza l'inderogabilità delle soglie minime percentuali di riduzione del compenso rispetto al valore parametrico di base da parte degli organi giudicanti".

La previsione di minimi tabellari in tema di compensi professionali non si pone, poi, in contrasto con la disciplina euro-unitaria in tema di tutela della concorrenza, accesso al mercato, restrizioni alla libera prestazione dei servizi (art. 101, par. 1, TFUE), come ricavabile dalla giurisprudenza della CGUE (CGUE, 19 febbraio 2000, C-35/1999; CGUE, 5 dicembre 2006, C-94/2004 e C-202/2004; CGUE, 9 settembre 2004, C-184/02 e C-223/2002).

Quanto alla questione concernente il riconoscimento dell'attività istruttoria, si evidenzia che la corte territoriale ne ha escluso lo svolgimento.

Peraltro, si osserva che, il D.M. n. 55 del 2014 (sul punto, la riforma del 2018 non rileva) non nega la liquidazione dell'onorario al difensore per la fase istruttoria, anche in caso di eventuale mancato svolgimento di attività di istruzione in senso stretto, poiché prevede un compenso unitario per la fase di trattazione e/o istruttoria complessivamente considerata, tale che l'importo rimane in ogni caso riferibile solo alla diversa fase della trattazione (Cass., Sez. 3, n. 28627 del 13 ottobre 2023).

Infatti, la Suprema Corte ha affermato che, in materia di spese processuali, ai fini della liquidazione del compenso spettante al difensore, il D.M. n. 55 del 2014 non prevede alcun compenso specifico per la fase istruttoria, ma un compenso unitario per la fase di trattazione, che comprende anche quella istruttoria, con la conseguenza che, nel computo dell'onorario, deve essere compreso anche il compenso spettante per la fase istruttoria, a prescindere dal suo concreto svolgimento (Cass., Sez. 2, n. 8561 del 27 marzo 2023).

In particolare, ha chiarito che, in materia di spese di giustizia, ai fini della liquidazione del compenso spettante al difensore per la fase istruttoria, rilevano non solo l'espletamento di prove orali e di ctu, ma anche le ulteriori attività difensive che l'art. 4, comma 5, lett. c), del D.M. n. 55 del 2014 include in detta fase, tra cui pure le richieste di prova e le memorie illustrative o di precisazione o integrazione delle domande già proposte (Cass., Sez. 6 - 2, n. 4698 del 18 febbraio 2019).

Per l'esattezza, l'art. 4, comma 5, lett. c) citato precisa che, esemplificativamente, si intende

"c) per fase istruttoria le richieste di prova, le memorie illustrative o di precisazione o integrazione delle domande o dei motivi d'impugnazione, eccezioni e conclusioni, l'esame degli scritti o documenti delle altre parti o dei provvedimenti giudiziali pronunciati nel corso e in funzione dell'istruzione, gli adempimenti o le prestazioni connesse ai suddetti provvedimenti giudiziali, le partecipazioni e assistenze relative ad attività istruttorie, gli atti necessari per la formazione della prova o del mezzo istruttorio anche quando disposto d'ufficio, la designazione di consulenti di parte, l'esame delle corrispondenti attività e designazioni delle altre parti, l'esame delle deduzioni dei consulenti d'ufficio o delle altre parti, la notificazione delle domande nuove o di altri atti nel corso del giudizio compresi quelli al contumace, le relative richieste di copie al cancelliere, le istanze al giudice in qualsiasi forma, le dichiarazioni rese nei casi previsti dalla legge, le deduzioni a verbale, le intimazioni dei testimoni, comprese le notificazioni e l'esame delle relative relate, i procedimenti comunque incidentali comprese le querele di falso e quelli inerenti alla verificazione delle scritture private. Al fine di valutare il grado di complessità della fase rilevano, in particolare, le plurime memorie per parte, necessarie o autorizzate dal giudice, comunque denominate ma non meramente illustrative, ovvero le plurime richieste istruttorie ammesse per ciascuna parte e le plurime prove assunte per ciascuna parte. La fase rileva ai fini della liquidazione del compenso quando effettivamente svolta".

La corte territoriale, pertanto, avrebbe dovuto considerare non tanto se vi fosse stata un'istruttoria in senso stretto, ma valutare, piuttosto, se fossero state poste in essere le attività sopra menzionate e, comunque, se vi fosse stata una trattazione della causa (le tabelle allegate al D.M. n. 55 del 2014 menzionano espressamente una "Fase istruttoria e/o di trattazione").

Ne deriva l'accoglimento del motivo.

2) La seconda censura, con la quale la ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione dell'art. 152 disp. att. c.p.c. in quanto, a suo avviso, avrebbe rispettato i requisiti reddituali per non essere assoggettata al pagamento delle spese processuali, non deve essere esaminata, in ragione dell'accoglimento del primo motivo di ricorso.

3) Il ricorso è accolto quanto al primo motivo, assorbito il secondo.

La sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte d'Appello di Roma, in diversa composizione, la quale deciderà la causa nel merito e in ordine alle spese di legittimità, applicando i seguenti principi di diritto

"In tema di spese legali, in assenza di diversa convenzione tra le parti, il giudice, ove la liquidazione dei compensi professionali e delle spese di lite avvenga in base ai parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, come modificato dal D.M. n. 37 del 2018, non può scendere al di sotto dei valori minimi, in quanto aventi carattere inderogabile";

"In tema di spese legali, ai fini della liquidazione dell'onorario spettante al difensore, il D.M. n. 55 del 2014 non prevede un compenso specifico per la sola fase istruttoria, ma uno unitario per tale fase e per quella di trattazione, il quale spetta al detto difensore a prescindere dal concreto svolgimento o meno di un'attività istruttoria";

"In tema di spese legali, ai fini della liquidazione del compenso spettante al difensore per la fase istruttoria, rilevano non solo l'espletamento di prove orali e di CTU, ma anche le ulteriori attività difensive che l'art. 4, comma 5, lett. c), del D.M. n. 55 del 2014 include in detta fase".

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, e cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'Appello di Roma, in diversa composizione, la quale deciderà la causa nel merito e in ordine alle spese di legittimità.


Così deciso in Roma il 25 settembre 2025.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2025.

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