Il debitore incapiente già dichiarato fallito e che non abbia fruito, per qualsiasi ragione, del beneficio dell’esdebitazione ex art. 142 l.fall. non può successivamente invocare il diverso beneficio dell’esdebitazione dell’incapiente ex art. 283 CCII, quando l’esposizione debitoria è la stessa già ricompresa nella procedura concorsuale originata dal fallimento.
Cassazione civile, sez. I, ordinanza 14/11/2025 (ud. 14/10/2025) n. 30108
FATTI DI CAUSA
1. - Il Tribunale di Mantova in composizione monocratica ha rigettato, per difetto del requisito di meritevolezza, la domanda di esdebitazione del sovraindebitato incapiente ex art. 283 CCII presentata da Mu.Ga., il quale, pur essendo stato dichiarato fallito nel 2010 quale titolare di un'impresa individuale, aveva agito quale debitore ex artt. 1, comma 1 e 278, comma 3 CCII, poiché da anni svolgeva unicamente attività di lavoro subordinato, con un reddito mensile di Euro 1.300,00 che il gestore della crisi aveva ritenuto interamente destinato, secondo il criterio di cui all'art. 283, comma 2 CCII, al sostentamento del nucleo familiare, senza che il richiedente apparisse in grado, nemmeno in una prospettiva futura, di offrire ai creditori alcuna utilità, diretta o indiretta.
1.2. - Con decreto del 13.11.2023 la Corte d'Appello di Brescia ha respinto il "reclamo ex art. 283 CCI" del debitore. Secondo la corte territoriale, l'art. 283, comma 7, CCII prevede che il giudice, nel valutare la meritevolezza del "debitore incapiente", deve verificare "l'assenza di atti in frode e la mancanza di dolo o colpa grave nella formazione dell'indebitamento" e, nel caso di specie, trattandosi di indebitamento derivato esclusivamente "dalla crisi dell'impresa individuale gestita dal Mu.Ga., che ne aveva determinato il fallimento, nell'ambito del quale i crediti ammessi al passivo erano stati di Euro 7.787.832,83, di cui Euro 6.324.287,97 insoddisfatti alla chiusura della procedura concorsuale", non si può "prescindere dalla valutazione delle condotte poste in essere in prossimità del fallimento", come la lacunosa tenuta della contabilità segnalata nella relazione ex art. 33 L.Fall. (che "ha precluso agli organi della procedura una completa ricostruzione della massa attiva a detrimento dei creditori") e una serie di condotte distrattive, oggetto di sentenza di patteggiamento ex art. 444 c.p.p. del 2012, priva di efficacia di giudicato nel giudizio civile (ex art. 445 c.p.p.) ma utilizzabile come "pregnante elemento di prova", non avendo la difesa del debitore negato la commissione di tali condotte, né prospettato una diversa ricostruzione dei fatti, senza che alcun elemento contrario potesse trarsi dalla relazione del gestore della crisi, del tutto generica e priva di un'analisi delle "palesi criticità emergenti dagli atti". Di qui l'accertamento per via documentale di una "condotta gravemente colpevole del Mu.Ga. nella gestione della impresa che ha continuato ad operare per il 2008 e 2009, e sino dalla dichiarazione di fallimento del 22.4.2010, nonostante l'evidente e crescente indebitamento, senza adottare alcuna misura a tutela del creditori; ed ha inoltre compiuto atti distrattivi per importi notevoli che sicuramente denotano un condotta in frode ai creditori", in assenza di qualsivoglia prova della dedotta "mancanza di colpa in occasione della assunzione dei debiti".
2. - La decisione, pronunciata nei confronti del solo reclamante, è stata da questi impugnata con ricorso straordinario per cassazione affidato a due motivi. Non vi sono parti intimate.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. - Con il primo motivo il ricorrente denunzia "Violazione o falsa applicazione dell'art. 283 CCI", con riguardo al presupposto della meritevolezza, intesa nella norma come assenza di frode, dolo o colpa grave, nonché "degli artt. 115 e 116 c.p.c.", in relazione alla valutazione dei relativi elementi probatori.
2.2. - Con il secondo mezzo lamenta "Violazione o falsa applicazione dell'art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 30.5.2002, n. 115", con riguardo all'affermata sussistenza dei presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato, che invece riguarderebbe solo le impugnazioni in senso stretto (appello, ricorso per cassazione, revocazione, opposizione di terzo).
3. - Il ricorso è inammissibile, poiché il provvedimento impugnato difetta del requisito della decisorietà.
3.1. - Il concetto di decisorietà è tradizionalmente imperniato sulla idoneità del provvedimento al giudicato in ordine alla situazione soggettiva coinvolta, quale che sia la forma del provvedimento stesso, purché sia altresì definitivo, vale a dire insuscettibile di distinta impugnazione e non destinato a essere assorbito in un provvedimento ulteriore a sua volta impugnabile.
Nel tempo, si è venuta affermando una più moderna visione del concetto di decisorietà, via via affrancata dalla nozione identificativa originaria di attitudine al giudicato sostanziale.
E quindi, solo nei limiti in cui sia stabilmente destinato a incidere su diritti, il provvedimento non può essere sottratto alla garanzia costituzionale di cui all'art. 111 Cost., la quale mira infatti a contrastare il pericolo di applicazioni non uniformi della legge con provvedimenti suscettibili di passare in giudicato, cioè con provvedimenti tipici ed esclusivi della giurisdizione contenziosa, mediante i quali il giudice, per realizzare la volontà di legge nel caso concreto, riconosce o attribuisce un diritto soggettivo, oggetto di contestazione (anche eventuale) nel contraddittorio delle parti.
Si è detto, allora, che è giurisdizione contenziosa non tanto quella che si realizza necessariamente nel processo (ordinario o speciale) di cognizione, quanto, piuttosto, quella "che si esprime su una controversia, anche solo potenziale, fra parti contrapposte", chiamate "a confrontarsi in contraddittorio nel processo" (cfr. Cass. Sez. U, 26989/2016, 27073/2016).
Diversamente, ove il provvedimento non costituisca espressione del potere-dovere del giudice di decidere controversie tra parti contrapposte, in cui cioè ciascuna tende all'accertamento di un proprio diritto soggettivo nei confronti dell'altra, esso non può avere contenuto sostanziale di sentenza, né carattere decisorio, finanche ove non sia suscettibile di alcuna forma di impugnazione, essendosi dinanzi a provvedimenti ritenuti sempre in qualche misura revocabili (Cass. Sez. U, 22048/2023).
3.2. - Nel caso in esame, si tratta di un decreto di diniego del beneficio della esdebitazione del cd. sovraindebitato incapiente, ritualmente emesso senza la preventiva instaurazione del contraddittorio con i creditori, che l'art. 283, comma 8, CCII riserva, in forma differita, solo al decreto di riconoscimento della esdebitazione, a seguito di opposizione (con il correttivo del 2024 definito "reclamo" ex art. 124 CCII) da parte dei creditori, ai quali perciò il solo decreto concessivo viene appositamente comunicato.
Dunque, non si tratta di decisione resa nel contraddittorio delle parti su diritti contrapposti (cfr., ex multis, Cass. 11448/2025, 11451/2025, 30529/2024).
3.3. - Peraltro, il provvedimento impugnato manca anche del carattere di definitività, nel senso che, trattandosi di negazione del beneficio, la riproposizione dell'istanza non è preclusa.
4. - Deve aggiungersi, in ordine al secondo motivo che, a partire dal principio affermato da Cass. Sez. U, 4315/2020 - per cui è riservata al giudice la valutazione del "presupposto processuale" che determina in astratto il raddoppio del contributo unificato, ossia l'aver assunto una pronuncia integrale di rigetto o di inammissibilità o di improcedibilità dell'impugnazione - la giurisprudenza di questa Corte ha adottato un concetto di impugnazione assai ampio, e non ristretto ai mezzi ordinari di impugnazione (cfr. Cass. 4346/2024 e 48/2025 per il giudizio di opposizione allo stato passivo fallimentare, Cass. 15533/2024 per il reclamo avverso la dichiarazione di fallimento; cfr. anche Cass. 14835/2025 in tema di esdebitazione del fallito e del sovraindebitato).
5. - Ciò premesso, ritiene il Collegio che ricorrano i presupposti per l'enunciazione di un principio di diritto nell'interesse della legge, ex art. 363, comma 3, c.p.c., stante la particolare importanza che riveste la questione posta con il ricorso (cfr. Cass. Sez. U, 30605/2024, Cass. 4854/2025).
5.1. - Il tema in rilievo è se il soggetto già dichiarato fallito, e che non abbia per qualsiasi ragione usufruito dell'esdebitazione ex art. 142 L.Fall., possa in un secondo momento accedere all'istituto della "esdebitazione del sovraindebitato incapiente" previsto dall'art. 283 CCII (e modificato dal D.Lgs. n. 136 del 2024), sulla scia dell'analogo istituto dell'esdebitazione del "debitore incapiente" di cui all'art. 14-quaterdecies della L. n. 3/2012, introdotto con il D.L. n. 137/2020 (conv. con mod. dalla L. n. 176/2020).
Al quesito deve darsi risposta negativa.
5.2. - Affrontando una questione similare, questa Corte (Cass. 14835/2025) ha già avuto occasione di affermare che, in tema di esdebitazione, l'istanza proposta dopo l'entrata in vigore del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza (15 luglio 2022) da soggetto dichiarato fallito anteriormente, resta disciplinata dalla legge fallimentare, poiché l'art. 390 CCII non menziona le procedure di esdebitazione - e dunque non detta alcuna disciplina transitoria per le domande di esdebitazione proposte dopo il 15 luglio 2022 da soggetti dichiarati falliti in base alla disciplina dettata dalla legge fallimentare - ma ciò non significa che possa applicarsi la regola generale di cui all'art. 389 CCII, per cui le domande in questione, in quanto depositate dopo l'entrata in vigore del CCII, sarebbero assoggettate alla nuova disciplina sull'esdebitazione codicistica.
Al contrario, si è detto, "i debitori assoggettati alla procedura del fallimento, così come regolata dagli artt. 1 ss. L.Fall., ovvero alla procedura di liquidazione del patrimonio, così come prevista dagli artt. 14 ter ss. della L. n. 3/2012, possono chiedere il beneficio dell'esdebitazione solo a fronte dei presupposti soggettivi e oggettivi e nel rispetto delle norme procedurali previste, rispettivamente, dagli artt. 142 ss. L.Fall. e dall'art. 14-terdecies della L. n. 3 cit., dovendosi, per contro, escludere che le relative loro domande, semplicemente perché depositate dopo il 15/7/2022, siano assoggettate alle norme dettate dagli artt. 278 ss. CCII oppure dagli artt. 282 ss. CCII".
E ciò in forza di due rilievi, di carattere sistematico e letterale.
Quanto al primo, poiché l'esdebitazione regolata dalla legge fallimentare e dalla legge n. 3 del 2012 non è un istituto a sé stante, casualmente (accidentalmente) collegato al fallimento (o alla composizione della crisi da sovraindebitamento) in ragione di un mero dato temporale, ma attiene proprio alla fase conclusiva della rispettiva procedura, della quale è destinata a completare gli effetti nei confronti del fallito o del sovraindebitato.
Difatti, gli artt. 142 e segg. L.Fall., così come l'art. 14-terdecies cit., formano un unico corpus normativo con le disposizioni che li precedono e integrano a pieno titolo la complessiva disciplina, rispettivamente, del fallimento e della liquidazione del patrimonio del debitore in stato di sovraindebitamento, delle quali, pertanto, sono destinati a mutuare l'efficacia ultrattiva espressamente prevista nei loro riguardi dall'art. 390, comma 2, CCII.
Quanto al secondo, perché il disposto degli artt. 142, comma 1, L.Fall. e 14-terdecies, L. n. 3/2012 riserva chiaramente - in modo espresso con il primo, in modo implicito con il secondo - il beneficio dell'esdebitazione, rispettivamente, al "fallito" e al "debitore in stato di sovraindebitamento"; così come, altrettanto chiaramente, gli artt. 278 e segg. CCII riservano il beneficio dell'esdebitazione da essi regolato esclusivamente al "debitore dei crediti rimasti insoddisfatti nell'ambito di una procedura di liquidazione giudiziale o di liquidazione controllata", delle quali, pertanto, presuppongono l'apertura e lo svolgimento secondo le norme (sostanziali e procedurali) ad esse proprie.
5.3. - Il Collegio condivide le argomentazioni spese nel precedente riferito, cui intende dare continuità anche con riguardo al beneficio della esdebitazione del sovraindebitato incapiente, il quale appartiene a quello stesso plesso normativo, quale tassello del mosaico dell'istituto della esdebitazione.
E dunque, qualora (come è pacifico nel caso in esame) l'esposizione debitoria in rilievo sia proprio quella maturata in relazione ad una pregressa dichiarazione di fallimento (nel caso in esame risalente al 2010), la mancata fruizione, per qualsiasi ragione, del beneficio dell'esdebitazione disciplinata dall'art. 142 L.Fall., nei tempi e alle condizioni previste dalla norma, non consente al fallito, in un secondo momento, di avvalersi del nuovo beneficio per l'incapiente, introdotto nell'ordinamento dal 2020 e poi ridisciplinato, con peculiari caratteristiche, nell'art. 283 CCII, stante l'inscindibile correlazione esistente tra il beneficio invocato e i debiti regolati dalla procedura fallimentare.
È evidente che, altrimenti, gli stringenti vincoli posti dall'art. 142 L.Fall. a garanzia dei creditori rimasti insoddisfatti, e sui quali essi potevano legittimamente confidare, resterebbero superati e stravolti, perdendo a posteriori ogni effetto.
Altra questione, estranea alla fattispecie, potrà porsi, con conclusioni potenzialmente diverse, qualora il beneficio dell'esdebitazione venisse invocato dal debitore sovraindebitato incapiente a fronte di un'esposizione debitoria maturata successivamente al fallimento.
Viene formulato il seguente principio di diritto ex art. 363 c.p.c.: "Il debitore incapiente già dichiarato fallito e che non abbia fruito, per qualsiasi ragione, del beneficio dell'esdebitazione di cui all'art. 142 L.Fall. non può successivamente invocare il diverso beneficio dell'esdebitazione dell'incapiente, disciplinato dall'art. 283 CCII, qualora l'esposizione debitoria si riferisca a quella già afferente alla procedura originata dalla dichiarazione di fallimento".
6. - Segue la declaratoria di inammissibilità del ricorso, senza alcuna statuizione sulle spese, in assenza di parti intimate.
7. - Sussistono i presupposti processuali, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115/2002, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della L. n. 228/2012, per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14 ottobre 2025.
Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2025.