Professionista delegato ex art. 591-bis c.p.c. - L. n. 117 del 1988 - Applicabilità - Limiti - Fondamento - Responsabilità ex art. 2043 c.c. - Configurabilità - Presupposti

Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.31423 del 02/12/2025

Pubblicato il
Professionista delegato ex art. 591-bis c.p.c. - L. n. 117 del 1988 - Applicabilità - Limiti - Fondamento - Responsabilità ex art. 2043 c.c. - Configurabilità - Presupposti

Il professionista delegato alle operazioni di vendita ex art. 591-bis c.p.c. va considerato quale ausiliario del giudice dell’esecuzione, non essendo riconducibile la sua posizione a quella degli “estranei che partecipano all’esercizio della funzione giudiziaria” cui l’art. 1, comma 1, l. n. 117 del 1988 estende l’applicabilità della relativa disciplina; solo contro il risultato dell’agire del delegato oggetto di intervento del giudice dell’esecuzione e sfociato in un provvedimento di quest’ultimo può configurarsi, nel caso di inutile esperimento dei previsti rimedi impugnatori e sempre che ne ricorrano i tassativi presupposti, la possibilità dell’azione ex l. n. 117 del 1988 con riferimento all’agire finale del giudice, eventualmente anche in concorso con l’azione risarcitoria verso il delegato.

Per i danni cagionati nello svolgimento dell’attività delegata ai sensi dell’art. 591-bis c.p.c. il professionista delegato risponde ex art. 2043 c.c. ove agisca con dolo o colpa, restando comunque esclusa la responsabilità per colpa lieve consistita in imperizia nel caso in cui l’attività che ha causato il danno abbia richiesto la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà.

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

Cassazione civile, sez. III, sentenza 02/12/2025 (ud. 07/11/2025) n. 31423

FATTI DI CAUSA


1. De.Ro. convenne in giudizio, nel 2012, davanti al Tribunale di Teramo, il Notaio Co.An., delegato alla vendita nell'ambito della procedura esecutiva immobiliare n. 257/2006, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell'omessa indicazione, nell'avviso di vendita, della trascrizione di una domanda giudiziale e della successiva annotazione della sentenza che ne aveva sancito l'efficacia.

Espose che sulla base di tale trascrizione e della successiva annotazione la parte nel cui interesse erano state effettuate aveva proposto opposizione all'esecuzione culminata con la revoca del decreto di trasferimento. Precisato di avere ottenuto, su ordine del giudice dell'esecuzione, la restituzione del prezzo di aggiudicazione, chiese il ristoro economico per le spese effettuate sull'immobile in vista della sua rivendita e per il mancato guadagno.

2. Il Tribunale, con sentenza n. 105/2017, rigettò la domanda, avendo ritenuto che l'avviso di vendita fosse conforme all'art. 570 c.p.c., in quanto richiamava la relazione di stima nella quale era indicata la trascrizione pregiudizievole. Escluse, pertanto, la responsabilità del delegato alla vendita, anche sotto il profilo dell'omessa ispezione ipotecaria aggiornata. Rilevò, inoltre, l'assenza di nesso causale tra la condotta del notaio e il danno lamentato, trattandosi di una domanda ex art. 2901 c.c. che non comportava nullità della vendita.

3. Con sentenza n. 547/2022, resa pubblica il 12 aprile 2022, la Corte d'Appello di L'Aquila, in parziale accoglimento del gravame interposto dal De.Ro. e in conseguente riforma della decisione appellata, ha condannato il Notaio Co.An. al pagamento in favore del De.Ro. della somma di Euro 19.487,29 oltre interessi legali, alla restituzione delle spese legali di primo grado pari a Euro 11.378,38, e alla rifusione delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio.

In motivazione - posta la triplice premessa: a) della qualificazione della figura del delegato alla vendita ex art. 591-bis c.p.c. quale "ausiliario sui generis"; b) della conseguente esclusione dello stesso dall'ambito soggettivo di applicabilità della L. n. 117 del 1988; c) della non configurabilità di un rapporto contrattuale tra il notaio e l'aggiudicatario e della predicabilità piuttosto di una responsabilità extracontrattuale - ha riconosciuto la responsabilità a tal titolo dell'appellato per violazione del principio del neminem laedere.

Ha, infatti, ritenuto - argomentando in particolare dal combinato disposto degli artt. 591-bis n. 11 c.p.c. e dell'art. 173-bis disp. att. c.p.c. - che l'omessa indicazione della trascrizione pregiudizievole nell'avviso di vendita costituisse inadempimento degli obblighi derivanti dalla delega e delle norme di mera cautela nell'esercizio dell'attività demandata, compromettendo la stabilità della vendita, funzione propria dell'espropriazione forzata, e ingenerando al contempo un affidamento legittimo nell'aggiudicatario circa la regolarità dell'acquisto.

Ha inoltre ritenuto sussistente il nesso causale, essendo pacifica la preesistenza della trascrizione rispetto alla vendita ed al pignoramento ed essendo altresì incontestato che il decreto di trasferimento venne ad esser revocato proprio per l'esistenza di tale trascrizione.

Il danno emergente è stato comunque riconosciuto nei limiti delle spese documentate, affrontate per migliorare l'immobile.

4. Per la cassazione di tale sentenza il Notaio Co.An. ha proposto ricorso sulla base di due motivi, cui ha resistito il De.Ro., depositando controricorso.

5. All'esito dell'adunanza camerale del 20 dicembre 2024, in vista della quale il ricorrente aveva depositato memoria, questa Corte, con ordinanza interlocutoria n. 6435 dell'11/03/2025, ha disposto il rinvio della causa a nuovo ruolo, perché fosse trattata in pubblica udienza, "per la valenza nomofilattica della questione relativa all'assimilabilità dell'attività del professionista delegato ex art. 591-bis c.p.c. a quella giudiziaria (e, più in generale, ai criteri discretivi tra la delega di singoli atti da parte del giudice e l'esercizio di un'attività pienamente inscrivibile in quella giudiziaria in senso proprio)".

6. Il P.M. ha depositato conclusioni scritte con le quali ha chiesto l'accoglimento del ricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va preliminarmente rilevata l'inammissibilità della memoria di parte ricorrente in quanto tardivamente depositata in data 5 dicembre 2024 al di là del termine di dieci giorni prima dell'udienza fissato dall'art. 378, secondo comma, cod. proc. civ..

2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all'art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., "violazione e falsa applicazione degli articoli 2043 c.c., 591-ter c.p.c., 173-bis disp. att. c.p.c.".

Lamenta che la Corte d'Appello abbia erroneamente attribuito al delegato alla vendita obblighi informativi non previsti dalla normativa vigente, richiamando impropriamente l'art. 591-bis, terzo comma, n. 11 c.p.c., e l'art. 173-bis disp. att. c.p.c., i quali disciplinano le formalità di registrazione e cancellazione delle trascrizioni e iscrizioni ipotecarie successive al pignoramento, ma non impongono al delegato di segnalare trascrizioni anteriori. In particolare, evidenzia che l'art. 570 c.p.c., richiamato dall'art. 591-bis, non prevede l'obbligo di indicare nell'avviso di vendita le formalità pregiudizievoli anteriori al pignoramento, essendo sufficiente il rinvio alla relazione di stima, che nel caso di specie era consultabile on line e presso la cancelleria.

Contesta, inoltre, che la responsabilità del delegato possa fondarsi su generici doveri di cautela, essendo le sue funzioni rigidamente delimitate dalle disposizioni normative e dall'ordinanza di vendita.

Contesta, altresì, l'ulteriore affermazione contenuta in sentenza secondo cui l'omessa menzione della trascrizione avrebbe impedito l'espletamento delle formalità di cancellazione, osservando che tali formalità non riguardano trascrizioni anteriori, le quali non sono cancellabili con il decreto di trasferimento.

Rileva che l'affidamento ingenerato negli offerenti, richiamato dalla Corte, non può costituire parametro di responsabilità, in quanto il sistema normativo prevede un onere di diligenza in capo all'aggiudicatario, tenuto a consultare la relazione di stima e il fascicolo processuale.

3. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia "violazione e falsa applicazione degli articoli 2043 c.c. e 2921 c.c. e dei principi generali che ancorano la colpa generica a violazioni di regole cautelari innominate legate ad una posizione di garanzia, tenuto conto dell'onere gravante sull'aggiudicatario di accertarsi della condizione giuridica del bene".

Contesta la qualificazione della condotta come colposa per violazione di regole cautelari innominate, correlate alla sua qualità professionale di notaio, rilevando che argomentando in tal modo la Corte d'Appello ha erroneamente configurato una sorta di "colpa d'autore", senza individuare una regola di condotta violata, né un obbligo specifico disatteso.

Rileva che il sistema dell'esecuzione forzata è strutturato su una ripartizione analitica delle competenze tra giudice dell'esecuzione, esperto stimatore e delegato alla vendita, e che l'indicazione delle formalità pregiudizievoli è compito dell'esperto, non del delegato.

Osserva che l'aggiudicatario è onerato di verificare la condizione giuridica del bene, e che nel caso di specie l'avviso di vendita conteneva tutti i riferimenti utili per accedere alla relazione di stima e al fascicolo processuale. Richiama, a sostegno, la giurisprudenza di legittimità secondo cui l'aggiudicatario non può invocare responsabilità risarcitoria ove abbia omesso di compiere le verifiche necessarie con l'ordinaria diligenza (Cass. civ., sez. I, 4 dicembre 1985, n. 6072).

4. Nell'accingersi allo scrutinio dei motivi, che può farsi congiuntamente attesa la loro stretta connessione, questo Collegio è chiamato dall'ordinanza interlocutoria a dirimere preliminarmente la questione relativa alla qualificazione della figura del notaio (e in genere del professionista) delegato alla vendita nell'ambito della procedura di espropriazione immobiliare (se, in particolare, riconducibile oppure no al novero dei soggetti contemplati dall'art. 1 L. n. 117 del 1988) e del fondamento della relativa responsabilità per i danni cagionati nello svolgimento dell'attività delegata.

La questione, in realtà, non è posta dai motivi di ricorso, che non propongono alcuna censura rispetto alle premesse svolte dalla Corte di merito di cui si è sopra detto, dalle quali emerge in modo espresso l'affermazione:

a) della qualificazione della figura del delegato alla vendita ex art. 591-bis c.p.c. quale "ausiliario sui generis";

b) della conseguente esclusione dello stesso dall'ambito soggettivo di applicabilità della L. n. 117 del 1988;

c) della non configurabilità di un rapporto contrattuale tra il notaio e l'aggiudicatario;

d) della predicabilità piuttosto, in astratto, di una responsabilità extracontrattuale del delegato alla vendita.

Le doglianze impingono piuttosto nella valutazione in concreto della sussistenza di una tale responsabilità, avuto riguardo alle norme che disciplinano l'attività delegata ed ai poteri e agli oneri dei soggetti che con vari ruoli partecipano al suo svolgimento.

Proprio sulle questioni per le quali è stato disposto il rinvio ad udienza pubblica deve, dunque, ritenersi formato giudicato interno.

Il giudicato, infatti, - giova rammentare - è suscettibile di formarsi anche sulla qualificazione giuridica data all'azione dal giudice, quando tale qualificazione abbia condizionato l'impostazione e la definizione dell'indagine di merito e la parte interessata abbia omesso di impugnarla in appello (Cass. 07/11/2005, n. 21490; 07/08/1996, n.7260; Cass. 17/12/1993, n. 12499; Cass. 18/10/1991, n. 11022).

Tanto è avvenuto nella fattispecie e in termini di giudicato non implicito ma esplicito.

Nell'interpretazione della portata del giudicato, infatti, non si deve soltanto tenere conto della formula conclusiva in cui si riassume il contenuto precettivo della sentenza passata in giudicato, ma si deve individuare l'essenza e l'effettiva portata della decisione, ricavandola anche dalla motivazione e, quindi, altresì dal contenuto attribuito dalla sentenza alla domanda giudiziale (cfr. Cass. Sez. U. 17/03/1998, n. 2874; Cass. 17/02/2000, n. 1773; 27/04/1996, n. 3916).

5. Tuttavia, quanto osservato non impedisce l'assolvimento del compito nomofilattico prefigurato dall'ordinanza interlocutoria, cui questa Corte può attendere in applicazione dell'art. 363, terzo comma, c.p.c. il quale, consentendo che il principio di diritto possa essere enunciato anche quando il ricorso è inammissibile, implica che la Corte possa farlo anche quando il ricorso non pone una doglianza pertinente e vi sia, come nella specie, giudicato interno. Se lo può fare quando il ricorso è inammissibile, lo può fare anche quando il ricorso non pone la questione e, dunque, la Corte non può intervenire su di essa con effetti sulla decisione impugnata.

6. Ebbene, sul tema come sopra prospettato l'ordinanza interlocutoria dà conto dell'esistenza di due orientamenti giurisprudenziali.

Viene anzitutto citata una recente pronuncia (Cass. Sez. 3, sentenza n. 25698 del 25/09/2024, Rv. 672454-01) secondo la quale, pur nella premessa che il professionista delegato ex art. 591-bis c.p.c. non può considerarsi investito di funzioni giurisdizionali in senso stretto, la sua responsabilità non può ricondursi tout court all'art. 2043 c.c., dovendosi operare una distinzione a seconda dell'afferenza o meno dell'atto dannoso al novero di quelli tipici dell'attività giurisdizionale delegata: ove l'atto non esorbiti dal perimetro della delega, la responsabilità deve ritenersi imputabile all'organo giudiziario e può essere fatta valere nelle forme di cui alla L. n. 117 del 1988; viceversa, la clausola generale di responsabilità entra in gioco allorquando gli atti del professionista delegato siano stati posti in essere al di fuori dello schema legale e non possano essere ricondotti in alcun modo al legittimo esercizio della delega.

Viene poi ricordata altra pronuncia (Sez. 3, sentenza n. 4070 del 14/02/2024, Rv. 670099-01), peraltro menzionata anche dal più recente suindicato arresto, la quale ha escluso dal campo di applicazione della L. n. 117 del 1988 il consulente tecnico, "atteso che la ratio di tale normativa è la regolamentazione della responsabilità di tutti quelli che, pur se non inseriti stabilmente nell'organico della magistratura, svolgono, a vario titolo, funzioni giudiziarie nel senso tipico e rigoroso del termine e non è estensibile in favore di chi, pur lavorando in collaborazione con il magistrato, non svolge funzione giurisdizionale, come il consulente".

7. Le posizioni della dottrina sul tema sono alquanto variegate, oscillando con alcune varianti tra le tre tesi di fondo secondo cui il delegato andrebbe considerato, rispettivamente: a) mero ausiliario del giudice; b) ausiliario sui generis; c) sostituto del giudice; tesi, queste, delle quali solo l'ultima potrebbe giustificare la riconduzione della figura del professionista delegato alla vendita al novero degli "estranei che partecipano all'esercizio della funzione giudiziaria" cui l'art. 1, comma 1, L. n. 117 del 1988 estende l'applicazione delle relative disposizioni.

Solo in parte tali articolate posizioni possono dirsi condizionate dal diverso modellarsi nel tempo della disciplina dell'istituto in parola.

Mette conto, comunque, rammentare al riguardo che in un primo tempo la delega delle operazioni di vendita venne introdotta in via di fatto nella prassi di alcuni tribunali e traeva spunto dalla proposta di autorevole dottrina che la giustificava sul piano sistematico sul rilievo che lo svolgimento delle operazioni di vendita forzata non costituisse un'attività di ius dicere, quanto piuttosto una "mera amministrazione giudiziaria", in un'ottica dunque di "deprocessualizzazione" o "degiurisdizionalizzazione" della fase liquidativa del processo.

Tale prassi venne positivizzata dall'art. 3, comma 1, della legge 3 agosto 1998, n. 302 ("Norme in tema di espropriazione forzata e di atti affidabili ai notai"), con l'introduzione nel codice di procedura civile dell'art. 591-bis sulla disciplina della delega delle operazioni di vendita.

Successivamente le modifiche apportate dalla legge 14 maggio 2005, n. 80 (di conv. del D.L. n. 35 del 2005) e dalla legge 28 dicembre 2005, n. 263, hanno ampliato la delega delle operazioni di vendita non solo sotto il profilo soggettivo, aprendo ad altre categorie di professionisti (avvocati e commercialisti), ma anche sotto il profilo oggettivo, incrementando le attività passibili di delega (come ad es., il potere di fissazione del nuovo incanto e del termine per la presentazione di nuove offerte, il potere di restituzione delle cauzioni e di altre somme versate dagli offerenti non risultati aggiudicatari di cui agli artt. 580 e 584 c.p.c.).

Nel 2015, con le modifiche apportate all'art. 591-bis c.p.c. dal D.L. 27 giugno 2015, n. 83, conv. con modif. dalla L. 6 agosto 2015, n. 132 ("Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell'amministrazione giudiziaria"), in vigore dal 21 agosto 2015, l'istituto in questione è divenuto obbligatorio: mentre, infatti, anteriormente era previsto che "Il giudice dell'esecuzione, con l'ordinanza con la quale provvede sull'istanza di vendita ai sensi dell'articolo 569, terzo comma, può, sentiti gli interessati, delegare...", nel nuovo testo (tuttora in vigore) è previsto che "Il giudice dell'esecuzione, con l'ordinanza (etc.)..., delega...", salvo che (nuovo secondo comma) "sentiti i creditori, ravvisi l'esigenza di procedere direttamente alle operazioni di vendita a tutela degli interessi delle parti".

Infine, la c.d. riforma Cartabia (D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149), intervenendo sull'art. 591-bis e sull'art. 591-ter c.p.c., ha introdotto un termine perentorio (di venti giorni) per la proposizione del reclamo avverso gli atti del professionista delegato; ha attribuito al professionista delegato non solo il potere di predisporre il progetto di distribuzione ma anche (almeno secondo una certa lettura) di approvarlo, previa audizione delle parti dinanzi allo stesso (e non dinanzi al giudice), così come già previsto dall'art. 596 c.p.c.; ha previsto un potere/dovere del giudice dell'esecuzione di "vigilare sul regolare e tempestivo svolgimento delle attività delegate e sull'operato del professionista delegato, al quale può in ogni momento richiedere informazioni sulle operazioni di vendita", disponendo altresì che, "sentito l'interessato, il giudice dell'esecuzione provvede alla sostituzione del delegato qualora non siano rispettati i termini e le direttive per lo svolgimento delle operazioni di vendita".

8. La prima tesi (delegato come "mero ausiliario del giudice") trova un addentellato normativo nell'art. 68 c.p.c., il quale, sotto la rubrica "Altri ausiliari", prevede al secondo comma che "Il giudice può commettere a un notaio il compimento di determinati atti nei casi previsti dalla legge".

Secondo i suoi sostenitori si riscontrerebbero nel delegato alla vendita i caratteri propri della figura dell'ausiliare, "in quanto il termine ausiliare, nel codice di procedura civile, sta a connotare la figura del soggetto diverso dal giudice, estraneo all'ordine giudiziario, ma anche all'ufficio giudiziario, che non partecipa all'esercizio della funzione giudiziaria, ma è investito dal giudice, attraverso un atto di nomina, dell'esercizio di attribuzioni, prefigurate dalla legge, strumentali all'esercizio della giurisdizione e per il cui svolgimento la legge si affida all'attività di privati, considerati idonei a svolgerla".

Secondo la tesi intermedia, il professionista delegato è un ausiliario sui generis, in virtù delle peculiarità che caratterizzano la propria attività: tutti i compiti svolti dal delegato possono, infatti, essere svolti anche dal giudice, tanto che, in mancanza di delega, il secondo comma dell'art. 591-bis c.p.c. li affida allo stesso giudice dell'esecuzione.

Altra dottrina ritiene, invece, che il delegato assuma il ruolo di sostituto anziché di mero ausiliare del giudice, poiché la sua attività supera i compiti di assistenza o di collaborazione subordinata che caratterizza gli ausiliari, proprio come si verifica nello svolgimento delle operazioni divisionali delegategli dal giudice istruttore. In forza di tale rapporto di sostituzione, gli atti compiuti dal delegato (notaio e altro professionista) producono gli stessi effetti processuali che questi avrebbero laddove posti in essere dal giudice dell'esecuzione, restando le operazioni svolte dal delegato sempre ancorate nell'alveo del processo civile. In sostanza, il professionista delegato usufruisce di poteri che, in forza della delega, gli sono attribuiti direttamente dalla legge: allo stesso viene delegata una fetta di giurisdizione.

L'espansione delle funzioni delegate, via via realizzatasi a partire dalle riforme del 2005, ha rafforzato gli argomenti a sostegno di tale ultimo orientamento. La dottrina attestata su posizioni diverse, tuttavia, pur riconoscendo che in talune ipotesi il professionista delegato eserciti funzioni di giurisdizione in senso stretto (e non già solo funzioni di giurisdizione in senso ampio), continua nondimeno a ritenere preferibile la qualificazione di ausiliario o di "ausiliario sui generis", in quanto i principali provvedimenti attraverso i quali si esercita la giurisdizione in senso stretto sono riservati al giudice dell'esecuzione.

9. Nella giurisprudenza di questa Corte quasi mai ha trovato ingresso la tesi del delegato come sostituto del giudice, essendo stata in netta prevalenza accolta l'opposta impostazione che considera il professionista delegato quale ausiliare del giudice che opera nell'esercizio di una funzione pubblica, finalizzata all'esatta realizzazione della vendita forzata ed alla certezza dei conseguenti trasferimenti, chiamato a contribuire con la propria attività ad individuare il contenuto degli atti che debbono essere compiuti nel processo dal giudice (v. Cass. 19/05/2022, n. 16219; 01/02/2013, n. 2474; 19/01/2010, n. 711; 29/01/2007, n. 1887; 29/05/1976, n. 1953).

Una sola pronuncia, a quanto consta, (Cass. Sez. 5, n. 724 del 15/01/2019, Rv. 652500), accoglie invece apertamente la tesi del delegato come sostituto del giudice, ma ciò fa nell'ambito di una controversia di natura tributaria nella quale, ovviamente, non veniva in rilievo una pretesa risarcitoria nei confronti del professionista.

Il contribuente aveva impugnato l'avviso di liquidazione emesso dall'Agenzia delle Entrate ed avente ad oggetto il pagamento dell'imposta di Registro Trasferimenti fabbricati derivanti da un Decreto di Esecuzione Immobiliare.

Il ricorrente deduceva di aver partecipato ad una vendita all'incanto di un immobile in Roma, alla quale era stato delegato un notaio, ed in relazione a tale vendita aveva depositato nelle mani del notaio due assegni circolari a titolo di esecuzione e fondo spese, venendo successivamente dichiarato aggiudicatario dell'immobile oggetto di vendita. Successivamente gli era stata notificata una cartella di pagamento relativa ai detti asseriti mancati versamenti dell'imposta di registro. Eccepiva l'illegittimità del recupero delle citate imposte per difetto di legittimazione passiva, in quanto asseriva che le somme destinate al pagamento delle predette imposte relative all'immobile, oggetto di vendita all'incanto, erano state da lui versate nelle mani del notaio incaricato dell'esecuzione, al quale, pertanto, andava ordinato il pagamento di quanto richiesto nell'avviso.

La S.C., in accoglimento del ricorso, ha osservato che "il professionista delegato per la vendita di un immobile agisce quale longa manus del Tribunale, in quanto la delega attribuisce al designato la legittimazione all'esercizio di poteri e funzioni spettanti al giudice e, pertanto, arreca un danno economico all'Amministrazione della Giustizia ove si appropri dolosamente delle somme frutto delle esecuzioni immobiliari che, sebbene formalmente appartenenti al debitore esecutato, sono vincolate alla procedura esecutiva e, per ciò stesso, trattenute fino alla fase distributiva nella piena consapevolezza di avere in custodia denaro altrui".

In quella occasione la Cassazione ha aggiunto che "il notaio delegato differisce nettamente dalla figura dall'ausiliario ex art. 68 c.p.c., atteso che nell'incarico di delega non è ravvisabile un mero rapporto accessorio, collaterale ed occasionale, bensì un'autentica sostituzione nell'attività del giudice dell'esecuzione giuridicamente qualificabile in termini di "delega sostitutiva", in virtù del quale il delegato è tenuto al compimento di atti i quali, se la delega non fosse intervenuta, spetterebbero al giudice dell'esecuzione. Ne discende la configurazione di un rapporto di servizio tra il professionista e l'amministrazione statale della giustizia, che nella giurisprudenza della Corte dei Conti si traduce nella ravvisabilità di ipotesi di danno erariale (v. Sez. U, ordinanza n. 30786 del 30/12/2011) e, più in generale, nella qualificazione del delegato quale pubblico ufficiale".

La S.C. ha, quindi, conclusivamente affermato che "è senz'altro configurabile un rapporto di servizio tra il professionista delegato e l'Amministrazione statale, atteso che il primo è abilitato a svolgere un'attività del g.e., che questi potrebbe compiere direttamente se avesse le specifiche competenze necessarie e, pertanto, pur se nei limiti posti dalla norma che ne prevede la delega, il delegato concorre oggettivamente all'esercizio della funzione giudiziaria nella fase della vendita immobiliare (in questi termini, sia pure con riferimento alla figura del consulente del P.M., Sez. U, ordinanza n. 11 del 4/01/2012). Il rapporto che si instaura con il delegato non è, dunque, di natura contrattuale, ma fiduciaria con il g.e.".

Non può considerarsi, invece, in contrasto con l'orientamento prevalente l'arresto, richiamato nell'ordinanza interlocutoria, di cui a Cass. n. 25698 del 25/09/2024, Rv. 672454-01, posto che anzi - in quello che, peraltro, deve considerarsi un mero obiter dictum in quanto espressamente indicato come non fondante la decisione - essa esclude che il professionista delegato ex art. 591-bis c.p.c. possa considerarsi investito dell'"esercizio pieno di funzioni giudiziarie o giurisdizionali", e ciò in quanto "la legge processuale, come modificata a decorrere dall'anno 1998, si limita a prevedere la delegabilità di un novero, invero assai ampio, di atti del processo esecutivo, che resta diretto dal giudice dell'esecuzione, giusta la previsione dell'art. 484, comma 1, cod. proc. civ., ferma restando che l'imputazione degli atti fa capo sempre all'ufficio giudiziario nel suo complesso". Piuttosto tale pronuncia si limita a prospettare un limite alla responsabilità extracontrattuale del delegato nel caso in cui l'atto compiuto non esorbiti dal perimetro della delega, in tal caso osservando che la responsabilità debba piuttosto ritenersi imputabile all'organo giudiziario e possa dunque essere fatta valere nelle forme di cui alla L. n. 117 del 1988.

10. La differente qualificazione giuridica del professionista delegato ha evidenti ricadute anche sul problema dell'applicabilità allo stesso della L. 13 aprile 1988, n. 117, in materia di "Responsabilità dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati".

Se si segue la tesi prevalente, secondo cui il delegato è un mero ausiliario del giudice, è giocoforza concludere, proprio come si è fatto per il consulente tecnico, che al professionista delegato non possa estendersi la speciale disciplina dettata per la responsabilità civile dei magistrati e degli "estranei che partecipano all'esercizio della funzione giudiziaria"; infatti, l'art. 1, comma 1, L. 13 aprile 1988, n. 117 (sul punto non modificata dalla L. 27 febbraio 2015, n. 18), non riguarda tutti gli ausiliari, bensì soltanto coloro che, pur non appartenendo all'ordine giudiziario, svolgono nei casi previsti dalla legge funzioni proprie del magistrato giudicante o requirente. Cass. 8/05/2008, n. 11229, ha escluso l'applicabilità di tale disciplina al curatore fallimentare perché egli "esercita solo una funzione pubblica nell'interesse della giustizia ma non anche una funzione propriamente giudiziaria nell'accezione individuata nella stessa legge speciale". Per le stesse ragioni sono stati esclusi dalla nozione di "estranei" di cui all'art. 1, comma 1, L. 13 aprile 1988, n. 117, gli appartenenti alla polizia giudiziaria (Cass. 05/08/2010, n. 18170), il consulente tecnico d'ufficio (Cass. 18/09/2015, n. 18313), il consulente del P.M. (Cass. 14/02/2024, n. 4070).

I sostenitori della tesi secondo cui il professionista delegato sarebbe un vero e proprio sostituto del giudice dell'esecuzione hanno, invece, affermato l'operatività, nei confronti del delegato, della L. 13 aprile 1988, n. 117. Si è, tuttavia, precisato che tale normativa è composta da regole di carattere sostanziale e processuale. Dal punto di vista sostanziale la responsabilità è limitata dagli artt. 2 e 3, L. n. 117/1988 al: a) compimento (o all'omissione) di attività per dolo o colpa grave (nelle ipotesi tassativamente previste); b) diniego di giustizia, consistente nel rifiuto, omissione o ritardo nel compimento di atti dell'ufficio. Le regole processuali, che presentano natura particolare, hanno invece ad oggetto - abrogato il c.d. "filtro di ammissibilità" ad opera della L. n. 15 del 2015 - la legittimazione passiva dello Stato, con conseguente impossibilità di azione diretta verso il magistrato (art. 5 L. n. 117/1988), e la non estensione del giudizio negativo al magistrato, salva l'ipotesi di partecipazione volontaria al giudizio (art. 6 L. n. 117/1988) e, infine, il giudizio di rivalsa dello Stato verso il magistrato (art. 7 L. n. 117/1988).

Da tale premessa conseguirebbe una fondamentale differenza rispetto a quanto previsto dalla L. n. 117 del 1988 per i magistrati, perché nei confronti del professionista delegato dovrebbero applicarsi le sole norme di diritto sostanziale, ma non quelle di carattere processuale, giacché le esigenze di terzietà ed imparzialità del professionista sono salvaguardate dall'applicazione dell'art. 51 c.p.c. in materia di ricusazione, nonché soprattutto per l'oggettiva difficoltà di configurare, nell'ambito dell'espropriazione forzata immobiliare, delegata a professionisti, un'azione diretta contro lo Stato, come pure l'intervento nel relativo giudizio e l'azione di rivalsa avverso il professionista delegato.

La tesi intermedia, infine, per la quale il professionista delegato sarebbe un ausiliario sui generis del giudice, che compie sia attività meramente esecutive che attività che partecipano del carattere della giurisdizione, sembra lasciare aperta la possibilità di un'applicazione della disciplina di cui alla L. n. 117/1988 quantomeno per le attività che possono essere definite come giurisdizionali in senso stretto.

Dalla qualificazione in termini di mero ausiliare discenderebbe, invece, che a carico del professionista delegato inadempiente ai propri doveri è configurabile - in quanto ausiliario del giudice - una responsabilità civile di natura extracontrattuale, secondo il paradigma dell'art. 2043 c.c., nell'ipotesi in cui si sia verificato un danno ingiusto a carico di una delle parti del processo esecutivo o di terzi interessati (quale è l'aggiudicatario). Una ulteriore conseguenza della qualificazione come ausiliario del delegato alle vendite è rappresentata, secondo alcuni, dall'applicazione del regime di responsabilità delineato dall'art. 64 c.p.c., con limitazione della stessa ai soli casi di colpa grave nell'esecuzione degli atti.

11. Questi essendo i termini del dibattito sulla questione indicata, reputa il Collegio di dover aderire e dare continuità alla concezione tuttora prevalente nella giurisprudenza di questa Corte che attribuisce alla figura del delegato alla vendita ex art. 591-bis c.p.c. il ruolo e la natura di ausiliare del giudice.

Può anche dirsi che si tratta di ausiliare sui generis, purché si abbia chiaro che tale attributo ha solo valore descrittivo - connotativo, non denotativo - di una posizione che, per la natura delle attività delegate (di per sé suscettibili di essere svolte direttamente anche dal giudice), si differenzia da quella degli ausiliari "tipici", ma senza che a tale caratterizzazione sia possibile attribuire, come si dirà, anche conseguenze sul piano della costruzione di uno statuto speciale della responsabilità.

12. È certamente ampio il novero delle attività che, nell'ambito della fase liquidatoria del procedimento di espropriazione forzata, l'ordinamento oggi prevede che di regola debbano (non possano) essere delegate ad un professionista: si tratta di tutte le operazioni che vanno dalla predisposizione dell'avviso di vendita fino alla bozza del decreto di trasferimento e del progetto di distribuzione (occorrendo comunque precisare che la fattispecie in esame è da scrutinare con riferimento, ratione temporis, al testo dell'art. 591-bis anteriore alle modifiche apportate dal D.L. 27 giugno 2015, n. 83).

Per quanto ampio sia l'elenco di tali attività resta però valida l'affermazione secondo cui esse non costituiscono attività propriamente di ius dicere, in quanto i principali provvedimenti attraverso i quali si esercita la giurisdizione in senso stretto sono riservati al giudice dell'esecuzione.

Rimangono, infatti, provvedimenti esclusivi del g.e.: l'ordinanza di autorizzazione alla vendita; la sostituzione del debitore nella custodia e l'ordine di liberazione dell'immobile; la nomina dello stimatore; la determinazione delle forme di pubblicità; il frazionamento in più lotti; l'ammissibilità dell'istanza di vendita diretta; la condanna dell'aggiudicatario inadempiente; la revoca della vendita conclusa a prezzo ingiusto o, in alternativa, la pronuncia del decreto di trasferimento ex art. 587 c.p.c. e l'ordine di cancellazione delle formalità pregiudizievoli; le decisioni in ordine all'amministrazione giudiziaria, nonché le altre determinazioni di cui all'art. 591 c.p.c..

A ben guardare, anche le scelte sulle modalità di vendita, o sulla rateizzazione sono attività precluse al professionista, in considerazione della rilevante discrezionalità e della ricaduta di tali determinazioni sull'efficienza dell'espropriazione e sulla soddisfazione dei creditori.

Di contro, le potestà oggetto di delega si caratterizzano per essere meramente esecutive e comunque, anche quelle che funzionalmente costituiscono esercizio di attività giurisdizionale in senso stretto (come ad es. la deliberazione sulle offerte ex artt. 572 e 573 c.p.c.) rimangono soggette al controllo e in definitiva per essere riferibili alla responsabilità del giudice dell'esecuzione e in definitiva, proprio per questo, anche quando sono espressione dell'esercizio di quell'attività, risultano per essere riferibili alla responsabilità dello stesso giudice dell'esecuzione, giacché è solo attraverso questa figura, cioè la figura del giudice, che assumono valore di ius dicere, o meglio, trattandosi di esecuzione forzata, di realizzazione della giurisdizione esecutiva.

Anche la predisposizione del progetto di distribuzione, contenente la graduazione dei creditori che vi partecipano, nella quale maggiormente può ravvisarsi il connotato di una attività giurisdizionale in senso stretto, resta pur sempre sottoposta alla supervisione del giudice dell'esecuzione, il quale "entro dieci giorni dal deposito del progetto, ... esamina il progetto di distribuzione e, apportate le eventuali variazioni, lo deposita nel fascicolo della procedura perché possa essere consultato dai creditori e dal debitore".

Il professionista resta poi delegato anche a ordinare il pagamento delle somme, ma solo in caso di approvazione del progetto o accordo tra le parti, in caso contrario dovendo farsi applicazione dell'art. 512 c.p.c. (art. 598 c.p.c.).

È, in ogni caso, stretto il vincolo di subordinazione funzionale al giudice dell'esecuzione, emergente sia dal fatto che la fonte del potere attribuito è pur sempre rappresentata da un atto di delega relativo al singolo procedimento, sia dal fatto che tale attività deve conformarsi alle direttive dettate nella ordinanza di delega (artt. 569 e 591-bis c.p.c.), che costituisce la lex specialis di quella determinata espropriazione con riferimento alle modalità, ai tempi e condizioni della vendita, sia infine dalla previsione di un potere/dovere di vigilanza in capo al giudice dell'esecuzione, il quale "può in ogni momento richiedere informazioni sulle operazioni di vendita" e provvedere anche alla eventuale sostituzione del delegato "qualora non siano rispettati i termini e le direttive per lo svolgimento delle operazioni di vendita, salvo che il professionista delegato dimostri che il mancato rispetto della delega sia dipeso da causa a lui non imputabile".

13. Appare allora consentito concludere nel senso che ancorché l'agire del delegato sia sostitutivo di un possibile agire del giudice, esso è comunque un agire che - a differenza di quello del giudice - non risulta definitivo per esprimere il risultato cui è funzionale. Tale risultato è sempre - in tutte le versioni succedutesi dell'art. 591-bis - rimasto subordinato alla valutazione definitiva del giudice, sicché la responsabilità è sempre stata ed è riferibile al giudice. Si tratta di esercizio di attività giurisdizionale che sfocia in un risultato finale riferibile al giudice. È solo questo risultato finale, in quanto ascrivibile al giudice dell'esecuzione, che assume il valore di manifestazione di esercizio della potestà giurisdizionale riconducibile alla tutela predisposta dalla L. n. 117 del 1988.

14. Non possono, dunque, ravvisarsi le condizioni perché la figura del professionista delegato alle operazioni di vendita possa fondatamente essere ricondotto al novero degli "estranei che partecipano all'esercizio della funzione giudiziaria" ai quali, ai sensi dell'art. 1, comma 1, è applicabile la L. n. 117 del 1988.

Come già evidenziato in motivazione da Cass. n. 4070 del 2024, cit.:

- la ratio di tale normativa è nel senso di regolamentare specificatamente la responsabilità di tutti quelli che, a vario titolo, svolgono funzioni giudiziarie nel senso tipico e rigoroso del termine, pur se non inseriti stabilmente nell'organico della magistratura;

- tale ragione ispiratrice deve essere interpretata restrittivamente, onde circoscrivere la sottrazione dall'esercizio dell'azione generale di responsabilità civile solo nei ristretti limiti consentiti dalla norma.

Come condivisibilmente osserva il P.G. nelle proprie conclusioni, gli "estranei che partecipano all'esercizio della funzione giudiziaria", di cui parla il citato art. 1 comma 1 L. n. 117 del 1988, sono "estranei" in quanto non appartenenti "alle magistrature ordinaria, amministrativa, contabile, militare e speciali", ma sono "intranei" sotto il profilo dell'attività svolta, in quanto "esercitano l'attività giudiziaria".

L'estensione a costoro delle prescrizioni della legge n. 117 del 1988 nasce proprio dal fatto che essi, al pari dei magistrati di carriera, comunque giudicano, decidono le controversie e i processi (giudici di pace, giudici onorari di Tribunale oggi GOP, giudici popolari di corte d'assise), ovvero svolgono al pari dei magistrati di carriera funzioni requirenti (i VPO): funzioni giurisdizionali sono svolte in modo pieno e autonomo, non in modo parziale e solo delegato. E si tratta di funzioni che si evidenziano come tali proprio attraverso il diretto operare dei detti "estranei".

Nell'ipotesi considerata, invece, accade in sostanza che lo sbocco dell'agire del delegato, pur espressione di esercizio di attività che altrimenti avrebbe svolto il giudice, rimane soggetto al possibile intervento e in definitiva alla responsabilità del giudice dell'esecuzione e, dunque, anche la verificazione di suoi eventuali errori (come quello dedotto a fondamento della pretesa risarcitoria in esame), è comunque soggetta alla valutazione del giudice dell'esecuzione.

15. Di decisivo rilievo sistematico in tale prospettiva appare la disposizione di cui all'art. 591-ter c.p.c. che, nelle varie versioni succedutesi nel tempo, prevede:

a) la possibilità per il delegato nel caso insorgano difficoltà nel corso dell'operazione di vendita di rivolgersi al giudice, il quale decide con decreto, impugnabile dalle parti e dagli interessati con ricorso innanzi allo stesso giudice, ricorso proponibile dalle parti e dagli interessati più in generale anche avverso "gli atti del professionista delegato" e deciso dal giudice con ordinanza;

b) l'impugnabilità di quest'ultimo provvedimento con opposizione agli atti esecutivi, quindi - dopo le modifiche introdotte nel 2015 - con reclamo al collegio secondo le forme del rito cautelare ex art. 669-terdecies c.p.c., oggi nuovamente con opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. a seguito della novella apportata dall'art. 3, comma 42, lett. b), D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (c.d. riforma Cartabia): occorre rammentare, comunque, che la fattispecie in esame è soggetta ratione temporis alla norma nel testo previgente alla riforma del 2015, che prevedeva l'opposizione agli atti esecutivi.

È significativo al riguardo che, con riferimento al sistema vigente dal 21 agosto 2015 al 17 ottobre 2022, nel periodo dunque di applicazione delle modifiche apportate dal D.L. 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 132, questa Corte ha affermato, con ferma giurisprudenza, che: i) i provvedimenti con cui il g.e. fornisce istruzioni al professionista e decide sul reclamo avverso gli atti di questi hanno contenuto meramente ordinatorio e non vincolano il giudice dell'esecuzione nell'adozione dei successivi provvedimenti della procedura; ii) il reclamo al collegio avverso i provvedimenti resi dal g.e. nelle ipotesi precedenti è definito da un'ordinanza priva di natura decisoria, come tale insuscettibile di passare in giudicato e, quindi, non impugnabile con ricorso per cassazione, né ordinario, né straordinario ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost.; iii) eventuali nullità verificatisi nel corso delle operazioni delegate e non rilevate nel procedimento di reclamo ex art. 591-ter, potranno comunque essere dedotte impugnando ex art. 617 c.p.c. il primo provvedimento successivo adottato dal giudice dell'esecuzione (ovvero il decreto di trasferimento)(Cass. 09/05/2019, n. 12239; 18/04/2023, n. 10350; v. anche Cass. 28/02/2023, n. 6083).

Significativa in tale direzione anche l'applicazione dell'art. 591-ter cod. proc. civ. in sede fallimentare.

Per Cass. 10/05/2007, n. 10925, ogni irregolarità degli atti del professionista deve essere sottoposta all'esame del giudice delegato (che al pari del giudice dell'esecuzione assicura la regolarità del procedimento), nel rispetto dell'art. 591-ter cod. proc. civ., sicché solo il provvedimento reso dal giudice delegato è reclamabile ai sensi dell'art. 26 L.Fall., quale rimedio tipico equivalente all'opposizione ex art. 617 cod. proc. civ. Applicando tali principi la Prima Sezione di questa Corte ha ritenuto inammissibile il reclamo ex art. 26 L.Fall. proposto direttamente al Tribunale per contestare le irregolarità del professionista.

Più recentemente, Cass. 11/07/2023, n. 19712, ha affermato che, ove il curatore preveda all'interno del programma di liquidazione che le vendite vengano effettuate nel rispetto delle disposizioni del codice di procedura civile, con delega delle operazioni di vendita, la disciplina di cui agli artt. 591-bis e 591-ter c.p.c. - quest'ultimo nel testo introdotto dall'art. 13, comma 1, lett. cc-bis, del D.L. n. 83 del 2015, convertito con modificazioni dalla L. n. 132 del 2015 e non ancora modificato, per i procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023, dall'art. 3, comma 42, letto b), del D.Lgs. n. 149/2022 - si applica nella sua interezza, con la conseguenza che: 1) l'ordinanza emessa dal g.d. ai sensi dell'art. 591-ter c.p.c. è impugnabile col reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c.; 2) l'ordinanza collegiale pronunciata all'esito di tale reclamo non ha natura decisoria, né definitiva; 3) la medesima ordinanza, in ragione di una simile natura, non è impugnabile con ricorso per cassazione ordinario, né straordinario ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost.; 4) eventuali nullità verificatesi nel corso delle operazioni delegate si trasmetteranno agli atti successivi riservati al g.d., i quali soltanto potranno essere impugnati ai sensi dell'art. 26 L.Fall..

16. Al di là delle questioni processuali cui ha dato adito il mutare nel tempo del sistema impugnatorio per effetto delle menzionate riforme processuali del 2015 e del 2022, il dato fermo da considerare ai fini in discorso è che un rimedio propriamente impugnatorio, e con esiti decisori, è esperibile esclusivamente nei confronti di provvedimenti del giudice dell'esecuzione, sicché, ove l'atto che si assume viziato provenga dal professionista delegato, esso (alla stessa stregua degli atti di altro ausiliario, ivi compreso l'ufficiale giudiziario) è sottoponibile al controllo del giudice, nelle diverse forme desumibili dalla disciplina del procedimento esecutivo azionato. In definitiva, solo dopo che il giudice si sia pronunciato sull'istanza è possibile impugnare il conseguente provvedimento giudiziale nelle forme previste.

17. È palese, dunque, che solo contro il risultato dell'agire del delegato oggetto di intervento del G.E. e sfociato in un provvedimento del G.E. e, quindi, suscettibile di sottoposizione al rimedio dell'art. 617 c.p.c., può semmai configurarsi la possibilità - naturalmente nel caso di inutile esperimento del rimedio (come l'opposizione agli atti e ciò che ne segue), e sempre che ne ricorrano i presupposti del dolo o colpa grave o del diniego di giustizia nei sensi tassativamente indicati dall'art. 2 - dell'azione ex L. n. 117 del 1988 da parte dei soggetti coinvolti nell'esecuzione, eventualmente anche in concorso con l'azione risarcitoria verso il delegato.

18. Esclusa, dunque, l'applicabilità della L. n. 117 del 1988, la responsabilità del delegato deve essere valutata secondo i criteri fissati dalla norma generale dell'art. 2043 c.c..

Al riguardo il Collegio reputa, anzitutto, di non poter condividere l'affermazione contenuta nel citato arresto di Cass. n. 25698 del 2024 (peraltro, come detto, costituente obiter dictum) secondo cui, sulla premessa che "l'imputazione degli atti fa capo sempre all'ufficio giudiziario nel suo complesso", l'eventuale azione di risarcimento danni per violazione commesse nell'esercizio dell'attività del delegato deve essere "comunque rivolta nei confronti dell'ufficio giudiziario, qualora esso sia collegiale, ovvero del singolo giudice persona fisica... ai sensi della legge n. 117 del 13/4/1988... e non nei confronti del professionista delegato", potendo quest'ultimo essere "chiamato a rispondere in via ordinaria, per colpa o dolo, ai sensi dell'art. 2043 cod. civ., qualora ne sussistano i presupposti, ossia quando i suoi atti sono stati posti in essere al di fuori dello schema legale e non possano essere ricondotti in alcun modo al legittimo esercizio della delega".

Deve, anzitutto, osservarsi che, anche ammesso che possa ipotizzarsi tra il delegato e l'organo delegante un rapporto di immedesimazione organica equiparabile a quello che discende dal rapporto di pubblico impiego e riconducibile alla previsione di cui all'art. 28 Cost., una responsabilità del giudice delegante (nei limiti e secondo i presupposti di cui alla L. n. 117 del 1988) potrebbe affermarsi solo in via concorrente, non esclusiva, ché altrimenti si perverrebbe, senza alcun fondamento logico né giuridico, ad un regime di esenzione da ogni responsabilità del professionista delegato persino più radicale di quello che deriverebbe dall'applicazione nei suoi confronti delle disposizioni di cui alla L. n. 117 del 1988.

Deve però escludersi la predicabilità di una tale immedesimazione organica.

La qualifica dell'attività del delegato come attività solo in senso lato giurisdizionale (in quanto costituente, nei suoi pur vari aspetti, solo un segmento, privo di contenuto decisorio, di un procedimento civile esecutivo) e la conseguente natura della figura del delegato quale ausiliare del giudice, sia pure sui generis, rendono pertinenti, quali corollari strettamente conseguenti (pena l'intrinseca incoerenza della intera ricostruzione), le stesse affermazioni di principio che tradizionalmente sono riferite agli altri ausiliari (quale il c.t.u. o l'appartenente alla polizia giudiziaria) e cioè:

- il delegato svolge, nell'ambito del processo, una pubblica funzione quale ausiliare del giudice, nell'interesse generale e superiore della giustizia, il che può essere fonte di responsabilità penale, disciplinare e anche civile, la quale importa, in capo allo stesso, l'obbligo di risarcire il danno che abbia cagionato in violazione dei doveri connessi all'ufficio (Cass. 25/05/1973, n. 1545; 21/10/1992, n. 11474; Cass. 18/09/2015, n. 18313);

- è l'ausiliare del giudice che deve risarcire i danni che ha cagionato alle parti con la sua condotta colposa, mentre della stessa non può essere chiamato a rispondere il Ministero della Giustizia (v. Cass. n. 18313 del 2015, cit.; n. 4070 del 2024, cit.).

19. Problema diverso è se la responsabilità del professionista delegato debba oppure no essere limitata ai casi di colpa grave.

19.1. La risposta a tale interrogativo non può trovare fondamento in una applicazione analogica dell'art. 2 L. n. 117 del 1988 che limita la responsabilità civile dello Stato per il danno ingiusto conseguente a un comportamento, un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell'esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia, con previsione tipizzata e tassativa dei casi di colpa grave limitata alle sole ipotesi ivi considerate.

Trattasi, infatti, come detto, di previsione di carattere eccezionale derogativa del generale principio del neminem laedere, dettata da una norma speciale, come tale non suscettibile di applicazione analogica al di fuori dei casi ivi considerati.

Sarebbe contraddittorio escludere i professionisti delegati dal novero dei soggetti "estranei" considerati dall'art. 1 L. n. 117 del 1988 e nondimeno ritenere ad essi applicabili i limiti dettati dall'art. 2 sia pure per singoli segmenti dell'attività delegata, posto che comunque anche quelle attività che possono considerarsi giurisdizionali in senso stretto sul piano degli effetti, non lo sono comunque anche sul piano strutturale, attesa la riferibilità delle attività delegate, singolarmente e nel loro complesso considerate, alla sopraordinata responsabilità del giudice dell'esecuzione, chiaramente emergente dal sistema dei rimedi endoprocedimentali e impugnatori disegnato dalle norme.

19.2. Né potrebbe giovare, sempre in chiave analogica, il riferimento all'art. 64, secondo comma, c.p.c. in tema di responsabilità del consulente tecnico.

La soglia della "colpa grave" è infatti ivi prevista, nel primo periodo del secondo comma, solo per la responsabilità penale dell'ausiliare, previsione ben distinta da quella del secondo periodo che, con la locuzione avverbiale "in ogni caso" posta in apertura ("in ogni caso è dovuto il risarcimento dei danni causati alle parti"), rende evidente che quel limite non si è inteso invece porre per la responsabilità risarcitoria (v. Cass. n. 3917 del 13/02/2024; n. 13010 del 23/06/2016).

19.3. Nemmeno può utilmente invocarsi la disciplina dettata dall'art. 23, comma 1, D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico dello statuto degli impiegati civili dello Stato) che limita la responsabilità civile del pubblico impiegato alle violazioni (per condotte commissive o omissive) connotate da "dolo o colpa grave".

La norma è ancorata alla particolare posizione soggettiva del pubblico impiegato, che agisce nell'ambito di un rapporto organizzativo continuativo con la pubblica amministrazione e non è generalmente estensibile a soggetti che svolgono attività delegata ma non sono legati da un rapporto di pubblico impiego.

La responsabilità disciplinata dall'art. 23 D.P.R. n. 3 del 1957 rimane collegata al rapporto di pubblico impiego o a situazioni in cui il soggetto è funzionalmente integrato nell'organizzazione pubblica, mentre per i soggetti esterni con attività delegata senza rapporto di pubblico impiego, la responsabilità verso terzi non può che restare soggetta alle regole comuni in tema responsabilità civile.

19.4 Può invece trovare applicazione, trattandosi di prestazioni di diligenza professionale, la regola fissata dall'art. 2236 cod. civ., a mente del quale "Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave".

La norma va correlata alla previsione di cui all'art. 1176 cod. civ., in tema di obbligazioni in generale, che al secondo comma ("nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata") detta la regola per cui la diligenza del professionista va parametrata alle leges artis: diligenza nel significato di esecuzione abile della prestazione, osservanza delle regole della buona tecnica, attività esperta, perizia.

L'art. 2236 cod. civ. presuppone tale significato di diligenza e detta una norma ad esso conseguente e complementare, limitando la responsabilità al dolo o alla colpa grave solo se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà (è costante l'insegnamento di questa Corte secondo cui la relazione tra le due norme è di integrazione per complementarità e non già per specialità: v. Cass. n. 499 del 15/01/2001; n. 13874 del 06/07/2020; 07/05/1998 n. 3389; 13/02/1998 n. 1560; 18/05/1988 n. 3463).

La limitazione di responsabilità non vale per i casi nei quali non viene in rilievo la specifica competenza del professionista, ossia la sua perizia, e nemmeno nei casi in cui, pur trattandosi di mettere in opera le competenze proprie della professione (la perizia), non si richieda la soluzione di "problemi tecnici di speciale difficoltà". Questo perché l'agire del professionista, proprio in quanto tale, deve essere "esperto", deve cioè potersi presumere in grado di affrontare problemi che costituiscono ordinario oggetto e campo di applicazione proprio della sua professione. Quella limitazione si giustifica invece ove ricorra la necessità di risolvere "problemi tecnici di speciale difficoltà". Essa non può voler dire che il professionista, in caso di prestazioni particolarmente difficili, può essere meno diligente o attento del debitore comune: è l'imperizia che deve valutarsi con minor rigore in tali casi, per non disincentivare attività professionali di speciale difficoltà, non certo l'ordinaria diligenza nel senso proprio e comune di prudenza, cura, cautela, attenzione, sollecitudine, sforzo, tensione di volontà.

Ricostruito in tali termini il suo fondamento razionale ne discende che l'art. 2236 cod. civ., sebbene dettato in tema di contratto di prestazione d'opera professionale (Libro V, Titolo III, Capo II del Codice civile), può allora considerarsi espressione di un principio generale valido anche ove si tratti di valutare la eventuale responsabilità extracontrattuale del professionista (v. già, in tal senso, Cass. n. 8496 del 06/05/2020; n. 11743 del 20/11/1998).

I parametri valutativi della condotta (la perizia, la diligenza e la prudenza) restano, infatti, sostanzialmente gli stessi, sia che il professionista agisca in esecuzione di un contratto, sia che operi al di fuori di esso. In ambito contrattuale il secondo comma dell'art. 1176 cod. civ. vale a definire il contenuto dell'obbligazione del prestatore d'opera; fuori da un contratto vale, ai fini del giudizio sulla colpa, come parametro di valutazione della sua diligenza professionale.

La responsabilità, extracontrattuale, del professionista delegato alla vendita per i danni arrecati a terzi (come l'aggiudicatario) dall'esecuzione dell'attività delegate deve allora essere valutata con minor rigore, nel senso di essere limitata ai casi di colpa grave, le volte in cui l'attività che ha cagionato il danno abbia richiesto la soluzione di problemi di speciale difficoltà, non anche nel caso in cui il pregiudizio sia disceso dall'esecuzione negligente o imprudente dell'attività o dalla mancanza della perizia normalmente esigibile per la soluzione di problemi di non speciale difficoltà.

In tal senso questa Corte ha già affermato, sebbene con riferimento a fattispecie di responsabilità contrattuale, che "in relazione all'obbligo di espletare la visura dei registri immobiliari in occasione di una compravendita immobiliare, il notaio non può invocare la limitazione di responsabilità prevista per il professionista dall'art. 2236 c.c. con riferimento al caso di prestazione implicante la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà (nella specie, costituita dalla non coincidenza tra le risultanze dei registri immobiliari, in cui la particella oggetto di vendita risultava libera, e quelle di un atto di pignoramento), in quanto tale inosservanza non è riconducibile ad un'ipotesi di imperizia, a cui si applica quella limitazione, bensì a negligenza o imprudenza e, cioè, alla violazione del dovere della diligenza professionale media esigibile ai sensi dell'art. 1176, comma 2, c.c., rispetto alla quale rileva anche la colpa lieve" (Cass. Sez. 3, 17/09/2024, n. 25026).

20. A conclusione della disamina che precede devono dunque essere enunciati i seguenti principi di diritto:

, - "il professionista delegato alle operazioni di vendita ex art. 591-bis c.p.c. va considerato quale ausiliario del giudice dell'esecuzione, non essendo riconducibile la sua posizione a quella degli "estranei che partecipano all'esercizio della funzione giudiziaria" cui l'art. 1, comma 1, L. n. 117 del 1988 estende l'applicabilità della relativa disciplina; solo contro il risultato dell'agire del delegato oggetto di intervento del giudice dell'esecuzione e sfociato in un provvedimento di quest'ultimo può configurarsi, nel caso di inutile esperimento dei previsti rimedi impugnatori e sempre che ne ricorrano i tassativi presupposti, la possibilità dell'azione ex L. n. 117 del 1988 con riferimento all'agire finale del giudice, eventualmente anche in concorso con l'azione risarcitoria verso il delegato";

- "per i danni cagionati nello svolgimento dell'attività delegata ai sensi dell'art. 591-bis c.p.c. il professionista delegato risponde ex art. 2043 cod. civ. ove agisca con dolo o colpa, restando comunque esclusa la responsabilità per colpa lieve consistita in imperizia nel caso in cui l'attività che ha causato il danno abbia richiesto la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà".

21. Assolto nei termini su esposti l'onere nomofilattico attivato dall'ordinanza interlocutoria, può dunque passarsi all'esame dei motivi di ricorso.

Tali motivi, congiuntamente esaminabili per la stretta connessione, sono fondati.

Occorre muovere dal rilievo, emergente quale dato pacifico in causa, che a fondamento della pretesa risarcitoria si ascrive al notaio l'avere omesso di indicare nell'avviso di vendita l'esistenza della trascrizione, anteriore anche al pignoramento, di domanda giudiziale proposta da un terzo volta all'accertamento del carattere simulato del titolo d'acquisto della proprietà del bene in capo al debitore esecutato o della sua inefficacia ex art. 2901 cod. civ. e della successiva annotazione della sentenza che tale domanda aveva accolto.

La Corte d'Appello ha ritenuto fondata una tale prospettazione sulla base di una considerazione teleologica complessiva delle norme, dalla quale ha tratto il convincimento che l'attività del delegato debba comunque considerarsi orientata al risultato di garantire la stabilità della vendita, funzione propria dell'espropriazione forzata, di modo che in essa debbano farsi rientrare anche quegli adempimenti che, seppur non espressamente previsti, debbano ritenersi a quel fine coessenziali e quindi dovuti in quanto esigibili in rapporto alla qualificazione professionale propria del delegato.

Tra questi, dunque, andrebbe fatto rientrare anche il compito di verificare e segnalare nell'avviso di vendita l'esistenza della anteriore trascrizione nei pubblici registri della domanda giudiziale potenzialmente ostativa al buon esito della procedura esecutiva.

Come fondatamente rilevato in ricorso e anche dal P.G. nelle sue conclusioni, una tale ricostruzione non può essere avallata, contrastando essa con il carattere standardizzato che di tale specifica attività delegata emerge dall'art. 570 c.p.c., il quale indica in termini specifici il contenuto che tale avviso deve avere, non lasciando margine alcuno, tanto meno al professionista delegato, per una sua implementazione o integrazione sulla base di informazioni diverse da quelle richieste in quella fase della procedura espropriativa.

La funzione di detto avviso è quella di saldarsi idealmente all'ordinanza di vendita/delega, ex art. 591-bis c.p.c., sì da rendere conoscibile ai possibili interessati l'attività liquidatoria coattiva in corso di realizzazione in danno dell'esecutato, mediante pubblicazione dell'esperimento di vendita senza incanto onde conseguire le relative offerte di acquisto ex art. 571 c.p.c..

Così a norma dell'art. 570 c.p.c., lo standard deve contenere "l'indicazione degli estremi previsti nell'articolo 555 (quelli, cioè, necessari per l'individuazione del bene, n.d.r.), del valore dell'immobile determinato a norma dell'articolo 568, del sito Internet sul quale è pubblicata la relativa relazione di stima, del nome e del recapito telefonico del custode nominato in sostituzione del debitore, con l'avvertimento che maggiori informazioni, anche relative alle generalità del debitore, possono essere fornite dalla cancelleria del Tribunale a chiunque vi abbia interesse". Ai sensi dell'art. 173-quater disp. att. c.p.c., esso deve altresì "contenere l'indicazione della destinazione urbanistica del terreno risultante dal certificato di destinazione urbanistica di cui all'articolo 30 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, nonché delle notizie di cui all'articolo 46 del citato testo unico e di cui all'articolo 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni; in caso di insufficienza di tali notizie, tale da determinare le nullità di cui all'articolo 46, comma 1, del citato testo unico, ovvero di cui all'articolo 40, secondo comma, della citata legge 28 febbraio 1985, n. 47, ne va fatta menzione nell'avviso con avvertenza che l'aggiudicatario potrà, ricorrendone i presupposti, avvalersi delle disposizioni di cui all'articolo 46, comma 5, del citato testo unico e di cui all'articolo 40, sesto comma, della citata legge 28 febbraio 1985, n. 47".

Il professionista delegato è, dunque, chiamato a predisporre l'avviso seguendo binari specificamente tracciati, come reso ora anche esplicito dall'ultimo comma aggiunto dall'art. 3 D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, ai sensi del quale "l'avviso è redatto in conformità a modelli predisposti dal giudice dell'esecuzione".

Se è vero che tale ultima disposizione ha effetto - ex art. 35 D.Lgs. cit. - dal 23 febbraio 2023 e trova diretta applicazione per i procedimenti instaurati successivamente a tale data, non pare possa obliterarsi il valore indiretto di riferimento esegetico per ricostruire anche retroattivamente contenuto e scopo dell'avviso ai fini discorso.

Ebbene, in tale coacervo di pur ampie e dettagliate indicazioni non trova posto anche quella relativa alla eventuale trascrizione di domande giudiziali, il che si spiega con il fatto che la sua esistenza non è di per sé ostativa alla liquidazione del bene, tale semmai essendo solo l'esito eventualmente sfavorevole all'esecutato del giudizio introdotto da quella domanda. La considerazione dei rischi insiti in tale circostanza può semmai assumere rilievo al momento della determinazione di porre o meno il bene in vendita avviando la fase liquidatoria, ma questa è decisione rimessa al giudice dell'esecuzione; una volta che questa sia adottata la predisposizione e pubblicazione dell'avviso di vendita costituisce attività esecutiva in certo senso vincolata alla quale il delegato è tenuto con i contenuti fissati dalle norme e nella stessa ordinanza del g.e.

Giova rimarcare in proposito che la posizione dell'aggiudicatario non rimane esposta a tali rischi senza possibilità di valutarli e prevenirli.

Il sistema, infatti, si completa con la previsione, da un lato, di cui all'art. 173-bis disp. att. c.p.c. che attribuisce al perito incaricato della stima l'obbligo di indicare nella relazione, tra l'altro, "... 4) l'esistenza di formalità, vincoli o oneri, anche di natura condominiale, gravanti sul bene, che resteranno a carico dell'acquirente, ivi compresi i vincoli derivanti da contratti incidenti sulla attitudine edificatoria dello stesso o i vincoli connessi con il suo carattere storico-artistico"; dall'altro, con la previsione di cui all'art. 570 c.p.c. che indica - come visto - quale contenuto necessario dell'avviso di vendita anche "l'indicazione... del sito Internet sul quale è pubblicata la relativa relazione di stima"; adempimenti entrambi nella specie pacificamente assolti essendo altresì pacifico che nella relazione di stima era presente anche l'indicazione della trascrizione in questione.

Emerge dunque sottesa a tale schema la considerazione che l'esistenza delle trascrizioni del tipo di quella di cui si discute rientra nel novero dei pesi e delle circostanze di per sé non ostativi alla messa in liquidazione ma solo rilevanti al fine di valutare la convenienza della partecipazione all'incanto e quindi dell'aggiudicazione, valutazione rimessa all'offerente sul presupposto implicito della autoresponsabilità che richiede la sua stessa determinazione al riguardo.

Né - come osserva il PG - la responsabilità del delegato può essere recuperata per il semplice fatto che l'avviso di vendita dell'8 aprile 2010 recasse la dicitura "Gli immobili vengono venduti liberi da iscrizioni ipotecarie e da trascrizioni di pignoramenti e sequestri che saranno cancellati a cura della procedura". Si parla di vincoli specifici, in particolare di "trascrizione di pignoramenti e sequestri", non di trascrizione di domande giudiziali. E solo per detti vincoli specifici viene garantita la libertà da essi e la loro cancellazione.

L'omissione della indicazione in questione nell'avviso di vendita non è pertanto ascrivibile a colpa del notaio delegato il quale ha atteso a quello specifico incombente delegato nei termini dettati dalla norma e dalla delega e non aveva l'obbligo, né a ben vedere il potere, di inserire nell'avviso informazioni diverse da quelle indicate dalle norme citate ed eventualmente dall'ordinanza di vendita/delega.

22. Il ricorso merita pertanto accoglimento; la sentenza impugnata deve dunque essere cassata, con rinvio della causa al giudice a quo, al quale va anche demandato il regolamento delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa ad altra Sezione della Corte d'Appello di L'Aquila, comunque in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.


Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 novembre 2025.

Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2025.

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472