In tema di affidamento dei figli minori, l’affido “super esclusivo” (idoneo a escludere il genitore non affidatario anche dalle decisioni di maggiore interesse) costituisce misura residuale e richiede, oltre alla contrarietà all’interesse del minore del regime condiviso, un “quid pluris” rappresentato dalla prova di condotte gravemente pregiudizievoli del genitore non affidatario, rigorosamente accertate, nonché una motivazione puntuale sulla corrispondenza della misura al preminente interesse del minore; ne consegue che è viziata da motivazione apparente la decisione che, pur valorizzando l’indisponibilità alla collaborazione di un genitore, disponga il collocamento presso l’altro limitandosi a richiamarne l’astratta idoneità, senza una concreta valutazione degli effetti sul minore – tanto più se affetto da disturbo dello spettro autistico – del drastico e repentino sradicamento dall’ambiente di vita e dalla figura genitoriale di riferimento.
Cassazione civile, sez. I, ordinanza 10/12/2025 (05/11/2025) n. 32058
FATTI DI CAUSA
1. – Il ricorso riguarda la sentenza della Corte d'Appello di Milano che ha confermato la decisione del Tribunale di Busto Arsizio con cui – dichiarata la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra Be.Cl. e Al.St. – aveva disposto
a) l'affidamento in via "super esclusiva" del figlio minore Ni. al padre e il collocamento dello stesso presso quest'ultimo, regolamentando le visite materne e affidando ai servizi sociali l'incarico di monitorare il nucleo familiare relazionando al Giudice Tutelare ogni sei mesi, regime questo, derogativo all'ordinario affido condiviso, prescelto in ragione dell'incapacità dell'altro genitore di esercitare le proprie funzioni genitoriali secondo modalità idonee ad assicurare una corretta ed equilibrata gestione condivisa dei figli, accertata alla stregua dei comportamenti materni nel lungo arco temporale del giudizio; tali comportamenti, invero, "avevano impedito al Be.Cl. di concorrere all'adozione di importanti decisioni nell'interesse del figlio Al. (all'epoca minorenne) in ordine al suo percorso scolastico, avendo la Al.St. incoraggiato la tendenza del giovane ad isolarsi in casa omettendo di partecipare alle lezioni dapprima in regime di "DAD" e poi in presenza, con la pretestuosa motivazione della sua allergia, così provocandone la bocciatura; anche in seguito all'iscrizione di Al. ad una scuola privata in funzione del recupero degli anni scolastici persi, la Al.St. aveva omesso di fornire le dovute informazioni non solo al padre ed al Curatore Speciale, ma anche all'Ente affidatario (relazione del 27/09/2022 dei Servizi Sociali), incurante di incorrere in una palese violazione delle prerogative dei soggetti professionali incaricati dal Tribunale e dell'altro genitore (...)"; ulteriori comportamenti rilevanti erano stati "l'incomprensibile rifiuto della Al.St. di prendere consapevolezza delle reali condizioni di salute di Ni. (una condizione di sospetto autismo), da lei attribuite ad un supposto trauma subito dal bambino alla scuola materna in precedenza frequentata, alla stregua del quale la convenuta non solo aveva omesso ogni forma di collaborazione per l'espletamento delle indagini presso il Centro specializzato Fondazione Mondino di Pavia (indagini che il C.T.U. dr.ssa Reggiori aveva consigliato), ma si era anche spinta a presentarsi il giorno stesso della visita in reparto per interrompere l'incombente proferendo urla e minacce di denunzia ai sanitari, nonché insulti ai bambini ricoverati ed ai medici del reparto ("tenete rinchiuso mio figlio in questo posto di pazzi", "fate schifo, mio figlio non lo lascio in questo schifo"), incurante dei tentativi di calmarla e del divieto a lei opposto di riprendere il tutto con la videochiamata (nonostante la palese violazione della privacy dei presenti) nell'intento dichiarato di documentare i presunti maltrattamenti subiti da Ni. che, a questo punto, scoppiava a piangere (si veda al riguardo la relazione allegata alla memoria del Curatore del 19/01/2023)"; il fatto che la sig. Al.St. si era "arrogata unilateralmente il diritto di stabilire le tempistiche con cui il Be.Cl. avrebbe potuto trascorrere le sue vacanze estive con i figli (noncurante, peraltro, delle statuizioni sul punto adottate dal Giudice Istruttore - ordinanza del 13/07/2022, preceduta da un altro provvedimento del 23/02/2022- che richiamava la Al.St. al suo obbligo di non ostacolare il rapporto tra padre e figli e di consentirne i contatti), omettendo poi di collaborare con i Servizi Sociali affidatari e con il Curatore Speciale per favorire i rapporti tra il marito e la prole (anzi, deliberatamente ostacolandoli, come più volte esposto dal Curatore Speciale per i minori)"; ed ancora - a conferma della condotta ostruzionistica della Al.St. nei riguardi di tutte le figure professionali coinvolte a vario titolo nel contenzioso - il fatto (rappresentato nella relazione dei Servizi Sociali del 25.10.2022) - "della dimissione di diversi educatori affiancati a Ni. presso la scuola primaria a causa delle false accuse rivolte dalla resistente nei loro riguardi di incapacità di gestire il figlio per loro lacune professionali (cui si accompagna la negazione della sintomatologia psichica del minore), al punto che gli operatori, constatata l'impossibilità di collaborare con la madre, avevano suggerito la revoca dell'affidamento all'Ente";
b) disposto il mantenimento diretto a carico di ciascun genitore del figlio Al. maggiorenne che fosse con sé convivente; l'obbligo di ciascun genitore di contribuire in ragione del 50% alle spese straordinarie di entrambi i figli e che, in caso di convivenza di Al. presso il padre, la madre contribuisse, altresì, al mantenimento di entrambi i figli con la somma di 400,00 Euro mensili;
c) disposto l'assegnazione al padre della casa coniugale con il relativo arredo; respinto la domanda della sig. Al.St. di assegnazione di un assegno divorzile;
d) condannato quest'ultima al risarcimento dei danni subiti dai figli e dall'ex marito ai sensi dell'articolo 709 ter c.p.c. e liquidati in 1.000,00 Euro per ciascuno, oltre alla sanzione amministrativa di 200,00 Euro in favore della cassa delle ammende; condannato la resistente a rifondere le spese di lite anche in favore del Curatore Speciale, e al pagamento delle spese della CTU svolta in corso di causa; disposto l'inoltro degli atti al Giudice Tutelare per la funzione di vigilanza sul minore Ni..
2.- La Corte d'Appello ha confermato la sentenza impugnata – su conforma parere del PG –osservando che le doglianze dell'appellante consistevano essenzialmente nel fatto che la motivazione del Tribunale si era discostata dalle conclusioni del CTU in primo grado e dalle relazioni dei servizi sociali e non era parsa condivisibile nell'interesse del minore. Invero nella relazione della CTU si era osservato "una difficoltà da parte della sig. Al.St. a comprendere il quadro diagnostico di Ni. la signora sembra volersi assestare sulle conquiste del bambino negando una possibile definizione di autismo. Viceversa da parte del padre si è osservata l'urgenza concreta di dover avere un quadro diagnostico (...) e ha chiesto ripetutamente che venisse attuato quanto richiesto da neuropsichiatri all'interno di un lavoro coordinato con diversi specialisti"; perciò l'approfondimento diagnostico disposto dal giudice era opportuno e necessario al fine di chiarire limiti e possibilità del bambino, oltre che fondamentale per formulare indicazioni prognostiche utili a indirizzare e strutturare in maniera efficace gli interventi di sostegno. Tanto premesso la CTU aveva concluso, quanto all'affidamento dei minori, che "alla luce delle osservazioni effettuate e delle indagini espletate si esclude tassativamente la possibilità di un affido condiviso, tantomeno di un affido esclusivo. Si suggerisce il mantenimento dell'affidamento ai Servizi territoriali competenti che dovranno svolgere funzioni di monitoraggio e supervisione, aprendosi a un lavoro integrato e sinergico con gli altri enti e figure professionali che ruotano intorno ai minori. Si fatica a individuare alternative ai Servizi territoriali, per quanto essi si trovino in una posizione difficile e scarsamente incisiva occorre evitare che la gestione di Ni. e Al. possa rimanere in competenza della sola signora; parallelamente si rende necessario che il sig. Be.Cl., non solo venga tempestivamente informato sulle scelte inerenti i figli, ma possa divenire a parte attiva e operosa nel processo decisionale" con "il mantenimento del collocamento presso la madre". Quanto alla genitorialità la CTU aveva concluso che era consigliabile riprendere "il percorso di una coordinazione genitoriale avviato in precedenza, in primis con l'obiettivo di ripristinare un canale comunicativo tra le parti" secondo una specifica regolamentazione delle frequentazioni paterne per entrambi i figli che era necessario avvenissero in tempi e spazi separati e indipendenti al fine di preservare Al. dall'onere di assumere il ruolo di tramite e facilitatore nella relazione tra il sig. Be.Cl. e Ni.
La difesa dell'appellante aveva aggiunto che i Servizi Sociali si erano varie volte espressi in merito all'affido di Ni. e alla restituzione della casa familiare al padre ritenendo come fosse allo stato "estremamente pregiudizievole per il minore, in considerazione della sua conclamata fragilità, mettere in atto quanto statuito dalla sentenza del Tribunale di Busto" ed avevano più volte ammonito il sig. Be.Cl. di astenersi dal prelevare forzosamente il figlio dall'abitazione in cui dimorava con la madre, suggerendo una sorta di accompagnamento della figura materna nel passaggio graduale ad una presenza sempre maggiore della figura paterna, ed esprimendo forti perplessità ad attuare quanto disposto dal Tribunale posto che ciò avrebbe comportato a loro avviso una sorta di atto coercitivo verso il minore che rifiutava chiunque, soprattutto, una figura estranea al suo nucleo familiare.
2.1- Ciò premesso la Corte d'Appello ha osservato che sulla base della valutazione delle prove offerte era stato dapprima emesso un decreto provvisorio alla luce delle criticità emerse all'udienza del 20 dicembre 2023 allorquando erano state sentite tutte le parti, e, segnatamente, la persistenza di una forte conflittualità dei genitori nella gestione di Ni. (sia quanto al percorso scolastico che a quello terapeutico di logopedia e psicomotricità) che aveva fatto sì che il minore non frequentasse la scuola ma venisse seguito dalla madre negli studi, nonché la indisponibilità della madre a collaborare fattivamente con il Curatore speciale. Con detto decreto era stato ritenuto opportuno disporre in modo diverso rispetto al provvedimento di prime cure impugnato adottando disposizioni transitorie suscettibili di verifica nel breve e medio periodo, e perciò, stabilito il mantenimento del collocamento del minore Ni. presso la madre (come propugnato dai Servizi sociali a tutela del suo equilibrio) e il suo affido all'ente del Comune di residenza come consigliato dal CTU, con le corrispondenti limitazioni alla responsabilità genitoriale meglio specificate nel dispositivo con riguardo alle scelte relative alla scuola e alla salute del ragazzino; inoltre era stata disposta l'assegnazione della casa familiare e degli arredi alla madre collocataria fino a quando Ni. o Al. fossero stati con lei conviventi, e la rimessione ai servizi sociali della gestione della stabilita regolamentazione delle visite paterne; era stato, altresì disposto che l'ente affidatario collaborasse con i servizi specialistici territorialmente competenti per l'avvio immediata del percorso scolastico e la riattivazione di tutte le terapie necessarie (logopedia e psicomotricità) per Ni. oltre che di ogni trattamento sanitario ritenuto necessario, compresa la presa in carico immediato del bambino presso la NPI per una rivalutazione neuropsichiatrica, invitando la madre a collaborare con gli operatori prevedendo, diversamente, che i Servizi affidatari provvedessero prontamente a collocare Ni. in idonea struttura comunitaria con la madre e, in caso di rifiuto della madre, in comunità per soli infanti.
Tuttavia – osservava la Corte di merito - gli effetti di tale decreto provvisorio non erano stati apprezzabili rispetto alla situazione del minore Ni., giacché già alla successiva udienza del 20 marzo 2024 si erano riscontrate le stesse criticità - come emerso dall'audizione della madre, del padre, dei Servizi sociali, delle dottoresse incaricate dall'Ente affidatario di seguire il minore e del Curatore – ed, in particolare, la difficoltà del sig. Be.Cl. di incontrare il minore per la mancanza di ogni collaborazione della madre.
Pertanto all'esito della udienza successiva del 18 giugno 2024 in cui erano state nuovamente sentite tutte le parti, la Corte territoriale ha emesso la sentenza qui gravata, con cui ha rilevato che la madre non aveva mostrato sufficiente collaborazione per l'attuazione delle prescrizioni contenute nel decreto provvisorio, come era stato riferito dai Servizi sociali di Solbiate Olona, che già nella relazione del 4 aprile 2024 (al cui contenuto sostanzialmente si riporta in modo integrale) avevano rappresentato tutto quanto avevano cercato di mettere in atto a favore del minore, condividendo quasi quotidianamente col Curatore speciale e con gli operatori incaricati le strategie operative in funzione della tutela del minore e che il problema principale – causa anche di lungaggini oltre che della stagnazione della situazione – era l'assenza di collaborazione da parte della sig. Al.St., indisponibile ad accettare qualsiasi proposta dell'interlocutore affidatario nonché della figura professionale che nella contingenza tentasse di facilitare e ripristinare i contatti del minore con il padre, giacché per la stessa il problema riguardava sempre e proprio la presenza della figura paterna. Come riferito nella predetta relazione la madre risultava non aver mai mostrato un atteggiamento di dialogo né di disponibilità a che il sig. Be.Cl. potesse trascorrere del tempo col proprio figlio senza il suo controllo e la sua supervisione; ogni tentativo di intervento a tutela del minore o di mediazione con la madre perché prendesse coscienza dell'importanza per il minore della figura paterna e del fatto che il padre potesse trascorrere del tempo col figlio, si era scontrato con una mera apparenza di disponibilità alla collaborazione, giacché, di fatto, ricominciavano i conflitti con gli operatori e venivano addotti pretesti per evitare che il minore frequentasse il padre. Anche per l'aspetto scolastico v'erano stati non pochi problemi per inserire il minore a scuola, perché la sig. Al.St. rifiutava categoricamente la scuola pubblica e richiedeva di continuo che il minore riprendesse la scuola privata precedente (Montessori), o altra scuola, ma sempre privata, benché l'operatrice del Servizio sociale incaricata avesse proposto e presentato ad entrambi i genitori l'educatrice di sostegno educativo che sarebbe stata presente nella scuola individuata ed avrebbe, magari, potuto facilitare anche gli incontri con il padre, proponendo altresì un passaggio graduale dal domicilio alla classe tentativo anche questo sempre rifiutato decisamente dalla sig. Al.St., che ricominciava immediatamente a porre in atto atteggiamenti ostili e di squalifica anche verso gli operatori. Lo stesso risultato aveva visto la proposta di poter avviare una frequenza diurna presso un centro specifico per bambini autistici nelle ore pomeridiane, onde proporre altre attività al minore e aumentare le sue relazioni con i pari, giacché sempre la sig. Al.St. aveva ha reagito molto male rifiutando categoricamente la proposta; ed allorché era stata rappresentata la necessità di informare il giudice di questo ennesimo atteggiamento di rifiuto di ostilità, onde l'ultima possibilità sarebbe stata una comunità mamma/bambino, con relative difficoltà di individuarne una disponibile vista anche la diagnosi di disturbo dello spettro autistico del minore, la sig. Al.St. aveva espressamente dichiarato che non si fidava di nessuno e che avrebbe affidato suo figlio solo a professionisti e persone da lei individuate e non certamente proposte dai Servizi sociali.
La corte di merito, infine, prendeva atto che i servizi affidatari riferivano che allo stato attuale la ricerca per strutture comunitarie mamma/bambino nella provincia di Varese non aveva dato riscontro positivo, anche per la complessità del caso, che rendeva indispensabile il supporto e la collaborazione da parte del servizio di neuropsichiatria infantile per individuare una comunità terapeutica sanitaria in grado di assolvere ai bisogni specifici del minore.
Pertanto, anche alla luce di quanto lo stesso sig. Be.Cl. aveva riferito circa i suoi impegni lavorativi e la compatibilità di questi con la sua disponibilità a prendersi cura del figlio minore Ni., la Corte territoriale ha ritenuta la figura paterna quella più idonea all'affido e al collocamento, onde la regolamentazione prospettata dal giudice di primo grado poteva costituire una valida alternativa a quella attuale, nell'interesse preminente del minore.
3.- Contro la sentenza della Corte d'Appello ha proposto ricorso per cassazione la sig. Al.St. affidato a sei motivi. Sono rimasti intimati Be.Cl., e Ma.Ma., curatrice speciale.
4.- È stata formulata una proposta di definizione del giudizio a norma dell'art. 380-bis c.p.c. La difesa di parte ricorrente ha chiesto la decisione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 155 bis, 315 bis, 333,337 ter, quater, quinquies e octies, c.c. e 473 bis.6, 473 bis.10, 473 bis.27, in relazione alla statuizione con cui la Corte di Appello, pur non avendo ritenuto che la condotta materna fosse tale da dar luogo ad una pronuncia di decadenza in quanto non espressamente contraria al benessere del figlio, aveva, tuttavia, ravvisato i presupposti per applicare l'affido esclusivo rafforzato del figlio al padre ex art. 337 quater, ultimo comma, c.c. (c.d. super-affido paterno) prescindendo dal contenuto dell'elaborato peritale di primo grado e basandosi unicamente sull'ultima relazione depositata dall' assistente sociale incaricata nonché sugli elementi emersi nell'udienza del 20 dicembre 2023 la Corte d'Appello avrebbe aderito acriticamente alle risultanze della relazione del 4 Aprile 2024 dell'assistente sociale del Comune affidatario, fondata su un giudizio personale dell'operatrice e di contenuto assolutamente contrastante rispetto alle precedenti relazioni della stessa ove la medesima si era espressa ritenendo estremamente pregiudizievole per Ni., in considerazione delle sue conclamate fragilità, la messa in atto quanto statuito dalla sentenza del Tribunale di Busto Arsizio. Il provvedimento sarebbe stato emesso solo sulla base della conflittualità insorta tra la ricorrente l'ex partner e sulla scorta di suoi presunti atteggiamenti ostili e di squalifica verso gli operatori coinvolti, senza neppure intraprendere un percorso di sostegno alla genitorialità o di coordinazione genitoriale come era stato suggerito dal CTU e senza tener conto di quanto disposto con il precedente decreto provvisorio che, invece, aveva disatteso il contenuto della sentenza. Inoltre in un contesto così delicato la Corte d'Appello non aveva ritenuto di ascoltare il minore omettendo qualsiasi motivazione sul punto.
2. Il secondo motivo denuncia nullità della sentenza in relazione all'art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c., in violazione dell'obbligo imposto dall'art. 112 c.p.c. in quanto la Corte territoriale avrebbe omesso di motivare, ovvero avrebbe adottato una motivazione apparente, eccessivamente sintetica ed apodittica, su varie doglianze espresse avverso il provvedimento del Tribunale, in particolare omettendo di considerare elementi di giudizio favorevoli alla ricorrente ed utilizzando solo l'ultima relazione dell'Assistente sociale senza esaminare i motivi di contestazione ed aderendo acriticamente alle conclusioni di detta assistente sociale, la quale a dire della ricorrente riportava un atteggiamento ostile della madre a recepire le prescrizioni dei Servizi Sociali e della Curatrice con ciò frapponendo ostacoli alla frequentazione padre-figlio. Avrebbe inoltre provveduto ad un affido super esclusivo al padre pur in difetto di domanda e omettendo di vagliare e rispondere sulle varie doglianze espresse nell'appello contro il provvedimento del Tribunale di Busto Arsizio che riguardavano il disposto regime di affidamento in difetto di domanda, l'omessa considerazione della difesa della signora Al.St. e dei significativi documenti che erano stati prodotti e l'errata valutazione delle questioni economiche in punto contributo a un mantenimento dei figli e attribuzione dell'assegno divorzile
3. Il terzo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 155 c.c., 315 bis c.c., 316 c.c., 337 ter, quater, quinquies e octies c.c., nonché dell'art. 2, 16, 31,32 e 111 Cost. in quanto la Corte d'Appello avrebbe deciso il collocamento del minore presso il padre sulla scorta del rilievo che la madre "non ha mostrato sufficiente collaborazione per l'attuazione delle prescrizioni contenute nel decreto provvisorio", convinzione che la Corte, avrebbe tratto da una relazione dell'Assistente sociale fondata su giudizi personali, privi di riscontro probatorio e peraltro di tenore contrario rispetto alle precedenti valutazioni/relazioni della stessa; e comunque inveritiera e mendace, come dimostrerebbero le tante prove offerte in produzione dalla sig.ra Al.St. ; in sostanza la Corte d'Appello si sarebbe basata su prove false, destituite di fondamento, laddove sarebbero false anche le dichiarazioni rese dal Curatore speciale del minore in udienza a proposito del rifiuto da parte della madre dell'educatrice di sostegno educativo e della sua mancata collaborazione in relazione all'aspetto scolastico.
4. Il quarto motivo denuncia omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero la mancata valutazione comparativa degli effetti sul minore del disposto collocamento presso il padre - quindi in un contesto familiare a sé sconosciuto posto che sino ad allora Ni. aveva sempre vissuto con la madre e con il fratello Al. - rispetto al beneficio atteso; il minore era stato sottratto con la forza al suo ambiente familiare, amicale e scolastico, e la Corte d'Appello non avrebbe considerato, nel valutare il miglior interesse del minore, i rischi di un drastico quanto per lui incomprensibile sradicamento dal proprio ambiente e dai propri affetti, tanto più considerata la patologia da cui è affetto di disturbo dello spettro autistico.
5. Il quinto motivo denuncia violazione dell'art. 111 Cost., art. 6 Cedu, art. 155 sexties c.c., art. 337 bis ed octies c.c., in quanto la Corte d'Appello aveva confermato in toto il provvedimento del giudice di prime cure e l'allontanamento del bambino dall'ambiente familiare per collocarlo in regime di super-affido presso il padre con incontri protetti con la madre, senza aver ascoltato il minore undicenne e senza considerare l'esito dell'ascolto dell'altro figlio, Al., che si era opposto sin da subito al collocamento di Ni. presso il padre, laddove Ni. non era stato neppure ascoltato dagli operatori coinvolti né dal Curatore speciale.
6. Il sesto motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione delle seguenti norme di diritto a) artt. 3, 6, 12, 16, 19 della Convenzione internazionale di New York sui diritti del fanciullo; b) artt. 3-6 della Convenzione Europea di Strasburgo sui diritti del fanciullo nonché art. 337 octies c.c. sull'ascolto del minore; c) art. 8 della CEDU); d) art. 4 della Convenzione di Istanbul del 2011, L. ratif. n. 77/2013. Secondo la ricorrente il provvedimento impugnato, anche in relazione al divieto assoluto del minore di incontrare la madre se non in un contesto protetto, non risponderebbe al suo interesse superiore e al suo diritto di non subire ingerenze nella sua vita privata, giacché un provvedimento così drastico costituisce, anche alla luce della giurisprudenza CEDU, l'estrema ratio in caso di condotte indegne del genitore. Le ragioni poste a sostegno della sentenza impugnata non costruirebbero buon governo delle suddette norme in ordine alla finalità di realizzare il diritto alla bigenitorialità e dunque il miglior interesse del minore che costituisce la ratio sottesa ad ogni statuizione sull'affidamento dei minori; in particolare la Corte d'Appello non avrebbe minimamente considerato il trauma, anche irreparabile, allo sviluppo fisico-cognitivo del minore, undicenne ed affetto da spettro dell'autismo, rappresentato dall'ablazione della figura materna dalla sua vita.
In particolare, osserva la ricorrente, la Corte d'Appello non si sarebbe pronunciata tenendo conto delle evidenziate problematiche del bambino cosicché la motivazione sarebbe del tutto implausibile ed apparente quanto alla realizzazione del miglior interesse del minore, sviluppando - come già il Tribunale di Busto Arsizio - rilievi e critiche alla condotta della madre circa gli ostacoli che questa avrebbe frapposti continuamente alla ripresa dei rapporti tra il minore e il padre, così giungendo alla conclusione che l'unica misura utile l'attuazione della bigenitorialità fosse quella drastica del "super affido" al padre laddove secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di affidamento dei figli minori, qualora un genitore denunci comportamenti dell'altro affidatario o collocatario di allontanamento morale e materiale del figlio da sé, ai fini della modifica delle modalità di affidamento il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità del fatto utilizzando i comuni mezzi di prova tipici e specifici della materia, mentre i giudici di merito avevano accertato detti fatti avvalendosi meramente dell'ultima relazione assistente sociale che - oltre a essere contraddittoria, valutativa e contraria a precedenti valutazioni - era smentita dalle produzioni documentali offerte.
La ricorrente richiama inoltre la giurisprudenza della corte EDU che, pur riconoscendo all'autorità giudiziaria ampia libertà e in materia di diritto di affidamento di un figlio di età minore, ha precisato che è, comunque, necessario un rigoroso controllo sulle restrizioni supplementari, ovvero su quelle apportate dalle autorità al diritto di visita dei genitori e sulle garanzie giuridiche destinate a assicurare la protezione effettiva del diritto dei genitori e dei figli al rispetto della loro vita familiare di cui articolo 8 della Convenzione, onde scongiurare il rischio di troncare le relazioni familiari tra un figlio in tenera età e uno dei genitori; e precisa che, agli effetti della decisione e di garantire l'effettività del diritto di cui all'articolo 8 predetto, gli obblighi positivi da adottarsi dalle Autorità degli Stati nazionali non si limitano al controllo che il bambino possa incontrare il proprio genitore o avere contatti con lui, ma includono l'insieme delle misure preparatorie che, non automatiche e stereotipate, permettono di raggiungere questo risultato. In questa cornice giurisprudenziale sovranazionale la Corte d'Appello aveva meramente richiamato che i professionisti incaricati avevano riscontrato una forte animosità della ricorrente nei loro confronti e una certa refrattarietà a seguire i suggerimenti nelle prescrizioni impartite in ordine al rapporto minore/padre, laddove le asprezze caratteriali della ricorrente erano state valutate in senso fortemente stigmatizzante pur in mancanza di condotte di oggettiva trascuratezza o incuria verso il minore, del cui accudimento la ricorrente si era sempre occupata in via esclusiva per disinteresse nel corso degli anni del padre, come era emerso in sede di CTU di primo grado. Pur nella doverosa prospettiva di soddisfare il diritto dovere del padre nei confronti del minore la decisone gravata conduceva a rimuovere la figura genitoriale della madre, senza considerazione del preminente interesse del minore, che, comunque, deve presiedere anche all'adozione dei provvedimenti tesi a garantire il diritto alla bigenitorialità, in conformità a quanto previsto in punto dagli articoli 337 ter c.c. e 8cedu e della Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza ratificata con L. n. 176 del 91, cioè senza in alcun modo affrontare la questione della sottrazione improvvisa del medesimo, undicenne ed affetto da sindrome dello spettro autistico, alla madre e all'ambiente familiare in cui è cresciuto.
7.- La proposta di definizione anticipata ha il tenore che segue.
"Rilevato che risulta omesso il deposito in atti del provvedimento impugnato (è presente solo attestazione conformità della sentenza), con conseguente improcedibilità del ricorso per violazione di art.369 co.2 n. 2) c.p.c.; propone la definizione del ricorso ai sensi dell'art. 380-bis cod. proc. civ."
8.- Il ricorrente nell'opporsi alla PDA ha osservato che
i) il provvedimento impugnato – sentenza n. 2351/2024 della Corte d'Appello di Milano – era stato correttamente depositato per ben 2 volte, giacché stante la "pesantezza" dei file, il difensore era stato costretto dal sistema ad effettuare il 2.12.24 un deposito principale seguito dal deposito di buste complementari il 3.12.2024, le quali tutte risultavano correttamente depositate ed acquisite dal sistema, per come si evincerebbe dall'allegato a) che consiste in una riproduzione fotografica della consolle avvocati di cui si avvale il difensore per compiere i depositi telematici;
ii) l'allegato b), riporta gli allegati della busta del 2.12.24 con all'interno la cartellina zippata denominata "DEPOSITATA PUBBLICATA SENTENZA" nonché il file denominato "Notificazione ai sensi della legge n.53 del...", files inseriti nelle buste complementari 5 e 4;
iii) l'allegato c) riporta l'esito del deposito della busta datata 2.12.2024 "Accettazione avvenuta con successo";
iv) il provvedimento impugnato risulta ridepositato un'altra volta in un'altra busta complementare deposito complementare del 3.12.24 con file "POSTA CERTIFICATA Notificazione ai sensi della legge n.53 del 1994.msg" che contiene appunto la sentenza impugnata notificata dalla controparte – allegato d).
Deduce inoltre il difensore della ricorrente di aver interpellato la cancelleria della Corte di Cassazione che aveva riferito che il contenuto del deposito del 2.12.24 non era visibile ma che risultava ben visibile il deposito della busta complementare di cui all'allegato d) con la sentenza impugnata contenuta all'interno del file "POSTA CERTIFICATA Notificazione ai sensi della legge n.53 del 1994.msg".
Pertanto, avendo dimostrato di aver depositato il provvedimento impugnato inserendolo in 2 buste, ancorchè visibile solo in una busta (all.d) la decisione di improcedibilità sarebbe erronea.
8.1- L'istanza va accolta poiché effettivamente nel citato allegato d) risulta il deposito della sentenza gravata.
9.- Ciò detto il Collegio reputa che i motivi di ricorso possano essere esaminati unitariamente in quanto tutti connessi dal fatto che censurano la decisione per non avere fatto corretta applicazione delle norme e dei principi che impongono l'ascolto del minore e presiedono alla valutazione del suo preminente interesse, nonché per aver aderito in modo acritico e senza tener conto delle risultanze probatorie contrarie alla relazione dei servizi sociali citata onde confermare le statuizioni di primo grado, e senza considerare né motivare a proposito della corrispondenza del prescelto regime di affido super esclusivo al padre al preminente interesse del minore nello specifico contesto, e segnatamente a proposito dell'impatto sul medesimo di una misura comportante l'allontanamento repentino e drastico dall'ambiente domestico e dalla figura materna, tanto più alla luce del disturbo di autismo diagnosticato.
9.1- Ciò premesso il Collegio rileva che sono anzitutto infondate le censure che attengono al mancato ascolto del minore.
Com'è noto, in attuazione della delega contenuta nell'art. 2 L. n. 219 del 2012, il D.Lgs. n. 154 del 2013 ha introdotto l'espressa previsione dell'ascolto del minore in numerose disposizioni. In particolare, l'art. 315 bis c.c., ha enunciato in via generale il diritto del minore all'ascolto, il cui ambito applicativo è esteso a tutte le questioni e a tutte le procedure che lo riguardano, a prescindere dalla pendenza o meno di una vertenza giudiziaria. L'art. 336 bis c.c., invece, reca la disciplina dell'ascolto del minore, riferita ai procedimenti giudiziari, in cui devono essere adottati provvedimenti che riguardano minori. Tale articolo, insieme agli artt. 337 octies c.c. e 38 bis disp. att. c.c., è stato abrogato dal D.Lgs. n. 149 del 2022 che ha accorpato le norme sull'ascolto del minore negli artt. 473 bis.4 e ss. c.p.c. e negli articoli 152 quater e 152 quinquies disp. att. c.p.c. Le nuove disposizioni hanno avuto effetto a decorrere dal 28/02/2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data, mentre i giudizi pendenti - tra cui è quello in esame, introdotto nel 2020 - restano regolati dalle norme previgenti.
9.2- Orbene, l'art. 336 bis c.c. prevede che "Il minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore, ove capace di discernimento, è ascoltato dal presidente del Tribunale o dal giudice delegato, nell'ambito dei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano. Se l'ascolto è in contrasto con l'interesse del minore, o manifestamente superfluo, il giudice non procede all'adempimento dandone atto con provvedimento motivato....". Il legislatore ha, dunque, stabilito che l'ascolto deve essere disposto quando il minore interessato al procedimento abbia compiuto i dodici anni di età o anche quando sia di età inferiore, ma comunque risulti capace di discernimento, con il che – come già osservato da questa Corte (v. Cass. 32359/2024) - il legislatore italiano ha operato un adattamento del principio contenuto nell'art. 12 della Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989, secondo cui al fanciullo capace di discernimento deve essere data la possibilità di essere ascoltato nella procedura giudiziaria che lo concerne, prevedendo - con una semplificazione che rende più agevole gli adempimenti - che deve ritenersi sussistente la capacità di discernimento, e conseguentemente doveroso l'ascolto, quando il minore abbia compiuto i dodici anni, senza la necessità di alcun ulteriore accertamento, mentre, con riguardo agli infradodicenni, l'ascolto è obbligatorio solo nel caso in cui il minore risulti capace di discernimento. In sostanza, ai fini dell'ascolto, al di sopra dei dodici anni la capacità di discernimento si presume (e non è ammessa prova contraria, ma solo cause che giustificano il mancato ascolto), mentre al di sotto di quest'età la menzionata capacità deve essere dimostrata, e laddove lo sia, ovviamente, l'ascolto non è discrezionale, ma doveroso, ove non siano presenti gli altri limiti previsti dalla legge.
9.3 -Secondo un orientamento consolidato a partire da Cass. n. 5676/2017 (in tema di procedimento di adottabilità), nella prima ipotesi, la presunzione della capacità di discernimento, fissata in via legislativa, impone al giudice di primo grado di prevedere, anche officiosamente, una scansione procedimentale dedicata all'ascolto stesso, da svolgersi secondo le modalità stabilite nei commi secondo e terzo dell'art. 336 bis c.c., salvo che il giudice stesso, motivatamente, non ritenga l'ascolto superfluo o contrario all'interesse del minore. Perciò il mancato ascolto del minore senza una esplicita motivazione al riguardo determina la nullità del procedimento di primo grado per omessa ingiustificata audizione del minore. Nella seconda ipotesi, invece, il minore deve essere ascoltato solo se ritenuto capace di discernimento, nel senso che il giudice ha senz'altro il potere officioso di procedere all'ascolto del minore pur quando non abbia compiuto i dodici anni (anche al fine di accertarsi della capacità di discernimento e sempre nel rigoroso rispetto delle modalità stabilite dall'art. 336 bis c.c.) poiché la norma sta solo a significare che tale adempimento non è obbligatorio; ove, tuttavia, sia formulata una specifica richiesta di ascolto del minore infradodicenne, il giudice è tenuto a motivare le ragioni per cui non procede a detto adempimento ovvero perché ritiene insussistente la capacità di discernimento o per le altre ragioni ostative; in mancanza discendendone la nullità della sentenza.
Nella stessa pronuncia, la Corte ha evidenziato che l'ascolto costituisce una modalità, tra le più rilevanti, di riconoscimento del diritto fondamentale del minore ad essere informato ed esprimere la propria opinione e le proprie opinioni nei procedimenti che lo riguardano, costituendo lo strumento peculiare di partecipazione alle decisioni che lo investono e al conseguimento del suo preminente interesse. "Tuttavia, tale obiettivo non si realizza, per i minori di età inferiore ai dodici anni, mediante la previsione di un obbligo generalizzato ed officioso di ascolto, o della correlata necessità della giustificazione espressa delle ragioni dell'omessa audizione, poiché il diritto alla partecipazione alle decisioni del giudice deve essere esercitato in modo consapevole ed effettivo. In questi casi, dunque 1) il giudice ha il potere discrezionale officioso di disporre l'ascolto del minore, anche al fine di verificarne la capacità di discernimento; 2) il giudice deve disporre l'ascolto o motivarne l'omissione se vi è un'istanza di parte che indichi gli argomenti e i temi di approfondimento sui quali si ritiene necessario l'ascolto, scattando in mancanza la sanzione della nullità processuale; 3) il giudice non ha l'obbligo, senza sollecitazione di parte, di giustificare la scelta omissiva. In quest'ottica, ad esempio, Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 1887 del 23/01/2019 ha affermato, sempre in un giudizio promosso per la dichiarazione dello stato di adottabilità, che la mancata audizione del minore infradodicenne capace di discernimento implica l'obbligo del giudice di specifica e circostanziata motivazione - tanto più necessaria quanto più l'età del minore si approssima a quella dei dodici anni, oltre la quale subentra l'obbligo legale dell'ascolto - non solo se considera il minore infradodicenne incapace di discernimento, o ritiene l'esame manifestamente superfluo o in contrasto con l'interesse del minore, ma anche quando opta, in luogo dell'ascolto diretto, per un ascolto effettuato nel corso di indagini peritali o demandato ad un esperto al di fuori di detto incarico".(Cass. n. 32359/2024 cit.).
9.4- Le stesse conclusioni sono state raggiunte, in relazione all'ascolto nei giudizi di separazione e divorzio (cui vanno assimilati tutti i giudizi separativi menzionati nell'art. 337 bis c.c.), ove i minori - a differenza di quanto stabilito per i procedimenti volti alla dichiarazione dello stato di adottabilità - non sono parti in senso formale del processo, ma, tramite l'esercizio del diritto di ascolto, possono far sentire la loro voce, prima che vengano assunte decisioni importantissime per la loro vita (v. in particolare, Cass. n. 19327/2015 che ha evidenziato che la disciplina dell'ascolto è una doverosa espressione di rilevantissimi documenti internazionali (e in particolare le convenzioni di New York e Strasburgo), che si sostanzia in un obbligo per il giudice, previsto a pena di nullità, di procedere all'audizione del minore in tutti i procedimenti in cui si assumono provvedimenti che lo riguardano, a meno che non ritenga che il minore infradodicenne sia privo di capacità di discernimento (intesa come consapevolezza e comprensione, limitatamente al senso dell'audizione stessa), ovvero che l'audizione sia manifestamente superflua o si ponga in contrasto con l'interesse del fanciullo, ma di ciò deve dare atto con provvedimento motivato (conformi Cass. n. 12957/2018; Cass. n. 1474/2021; Cass. n. 23804/2021; Cass., n. 16569 dell'11/06/2021).
9.5 - In conclusione, in base al disposto dell'art. 336 bis c.c., il giudice che deve adottare provvedimenti riguardanti il minore non può decidere senza ascoltare quest'ultimo ove il medesimo sia capace di discernimento, e cioè sia in grado di esprimere una propria opinione sulla questione che lo interessa, a meno che l'ascolto non si riveli contrario all'interesse del minore o manifestamente superfluo. Se il minore ha compiuto dodici anni la capacità di discernimento si presume se è infradodicenne – com'è nel caso di specie - il giudice deve sentirlo solo se lo ritiene capace di discernimento (con una valutazione che è di merito); tuttavia di fronte ad espressa richiesta di procedere a tale incombente il giudice che decida di non ascoltare il minore infradodicenne deve esplicitarne le ragioni nella motivazione del provvedimento, e laddove esse attengano alla ritenuta assenza di capacità di discernimento, la motivazione della decisione dovrà essere tanto più argomentata quanto più il minore si avvicina all'età che rende l'ascolto obbligatorio (v. Cass. n. 32359/2024 cit.); in mancanza di motivazione (in ordine alla capacità di discernimento o alle altre ragioni ostative previste dall'ordinamento) la decisione è nulla.
Pertanto non v'è un obbligo di ascolto del minore infradodicenne né alcuna la motivazione è necessaria quando nessuna delle parti chieda di procedere all'ascolto e il giudice non vi provveda.
Il che è appunto l'ipotesi verificatasi nel caso di specie, ove il giudice non era obbligato all'ascolto del minore in quanto infradodicenne e neppure a motivare le ragioni della decisione opzionale di non procedervi poiché non v'era alcuna richiesta in tal senso. Il che rende infondati i motivi primo secondo e quinto laddove censurano detta omissione.
10.- Venendo alla questione della denunciata violazione delle norme invocate in punto decisone sull'affidamento del figlio e segnatamente alla violazione del dovere di motivazione per aver la Corte territoriale adottato una motivazione apparente, fondata su un acritico recepimento dell'ultima relazione dell'assistente sociale incaricata dall'ente affidatario (primo, secondo e terzo motivo) e senza dar conto effettivamente della corrispondenza della decisione assunta a tutela della bigenitorialità al preminente interesse del minore (motivi quarto e sesto), quindi, senza considerare e motivare a proposto dell'impatto sul medesimo di una misura – sconsigliata dall'unica CTU effettuata (in primo grado) e disattesa dalla stessa Corte d'Appello nel proprio decreto provvisorio - che comportava l'allontanamento repentino e drastico dall'ambiente domestico e dalla figura materna con riflessi tanto più gravi alla luce del disturbo di autismo diagnosticato, il Collegio reputa che il ricorso vada accolto nei limiti di ragione.
10.1- Giova premettere che secondo un orientamento consolidato e del tutto condivisibile di questa Corte "in materia di affidamento dei figli minori, il giudice della separazione e del divorzio deve attenersi al criterio fondamentale - posto, per la separazione, nell'art. 155, primo comma, cod. civ. e, per il divorzio, dall'art. 6 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, rappresentato dall'esclusivo interesse morale e materiale della prole, privilegiando quel genitore che appaia il più idoneo a ridurre al massimo - i danni derivati dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore. L'individuazione di tale genitore deve essere fatta sulla base di un giudizio prognostico circa la capacità del padre o della madre di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione di genitore singolo, giudizio che, ancorandosi ad elementi concreti, potrà fondarsi sulle modalità con cui il medesimo ha svolto in passato il proprio ruolo, con particolare riguardo alla sua capacità di relazione affettiva, di attenzione, di comprensione, di educazione, di disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché sull'apprezzamento della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell'ambiente che è in grado di offrire al minore. La questione dell'affidamento della prole è rimessa alla valutazione discrezionale del giudice di merito, il quale deve avere come parametro di riferimento l'interesse del minore e, ove dia sufficientemente conto delle ragioni della decisione adottata, esprime un apprezzamento di fatto non suscettibile di censura in sede di legittimità" (v. Cass. n. 14840/2006, confermata tra le più recenti da Cass. n. 28244/2019, e Cass. n. 27348/2022 che, entrambe, hanno ritenuto inammissibili ricorsi relativi a pronunce ritenute aver dato adeguatamente conto delle ragioni che avevano indotto il giudice di merito a statuire circa l'affido esclusivo dei figli minori con una effettiva ponderazione e valutazione del profilo attinente all'interesse preminente del minore e, perciò, ricorsi intesi, in effetti, a far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito al diverso convincimento soggettivo del ricorrente e, in particolare, a proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti e dunque delle risultanze di causa ovvero un sindacato -inammissibile in sede di legittimità - sul discrezionale apprezzamento in fatto delle risultanze probatorie in quei casi compiutamente motivato).
Più di recente (v. Cass.n.9691/2022) sul tema che riguarda l'affido esclusivo e il diritto alla bigenitorialità che attiene all'odierno caso concreto, questa Corte ha affermato che "la violazione del diritto alla bigenitorialità da parte del genitore che ostacoli i rapporti del figlio con l'altro genitore (anche ponendo in essere condotte che integrino gravi forme di abuso psicologico) e la conseguente necessità di garantire l'attuazione di tale diritto, non impongono necessariamente la pronuncia di decadenza del genitore malevolo dalla responsabilità genitoriale e l'allontanamento del minore dalla sua residenza, quali misure estreme che recidono ineluttabilmente ogni rapporto, giuridico, morale ed affettivo con il figlio, essendo necessaria la verifica, in applicazione del principio del superiore interesse del minore, della possibilità che tale rimedio incontri, nel caso concreto, un limite nell'esigenza di evitare un trauma, anche irreparabile, allo sviluppo fisico-cognitivo del figlio, in conseguenza del brusco e definitivo abbandono del genitore con il quale aveva sempre vissuto e della correlata lacerazione di ogni consuetudine di vita".
Ed ancor più di recente Cass. n. 24876/2025) ha osservato che se l'affido "esclusivo", è fondato sull'obiettivo accertamento della contrarietà dell'esercizio condiviso della bigenitorialità all'interesse del minore non venendo in rilievo in via diretta o indiretta la condotta pregiudizievole di uno dei genitori, in quello c.d. "super esclusivo" - quale istituto di creazione giurisprudenziale che, a differenza di quello "esclusivo", impedisce al genitore non affidatario la partecipazione anche alle decisioni di maggiore interesse del minore e costituisce perciò "una determinazione fortemente limitativa dell'esercizio della responsabilità genitoriale, inquadrabile nel sistema delle misure conformative e ablative definito dagli artt. 330 e 333 c.c." - è richiesto l'accertamento della "contrarietà all'interesse del minore dell'affidamento all'altro genitore di ogni decisione riguardante il minore", dunque "un "quid pluris", costituito dalla prova di condotte gravemente pregiudizievoli ascrivibili al genitore non affidatario, causalmente rilevanti, in via esclusiva o prevalente, ai fini dell'integrazione del requisito di legge", contrarietà all'interesse del minore che – come si legge in motivazione - deve essere radicale, grave e rigorosamente accertata.
Invero "Nell'affido super esclusivo manca un chiaro ancoraggio normativo da cui trarre il quid pluris che, da un lato, ne precisi il contenuto limitativo dell'esercizio della responsabilità genitoriale, e dall'altro individui il carattere oggettivo, soggettivo o misto della contrarietà all'interesse del minore (...) Si tratta, in conclusione, di una categoria dai contorni non predeterminati dalla norma nemmeno come clausola generale. Ciò, da un lato, ne consiglia un uso davvero residuale, essendo in gioco la limitazione di un diritto fondamentale ed inviolabile della persona sia del minore che del genitore, ovvero il diritto alla bigenitorialità; dall'altro ne impone un accertamento rigoroso dei presupposti, tenendo conto della maggiore rilevanza del profilo soggettivo nei provvedimenti conformativi della responsabilità genitoriale, quale deve ritenersi anche l'affido super esclusivo, non potendosi escludere dall'esercizio della genitorialità la madre o il padre senza l'accertamento di condotte pregiudizievoli di non modesta entità. Ciò perché, ove le gravi difficoltà di esercizio della bigenitorialità rivestano, all'esito di rigoroso accertamento, carattere oggettivo, c'è lo strumento normativo dell'affido esclusivo che non conservi al genitore non affidatario le decisioni di maggior interesse e ben può essere modulato dal giudice del merito con riferimento a conflittualità, lontananza (...) e atteggiamento del minore"
10.1.1- Fermo ciò che precede in punto principi generali e venendo al caso di specie, si osserva che appare infondata la doglianza (di cui al primo, secondo e terzo motivo) per cui la Corte d'Appello avrebbe assunto una decisione a) prescindendo dal contenuto dell'elaborato peritale di primo grado, b) senza tener conto di quanto disposto con il precedente decreto provvisorio che, invece, aveva disatteso il contenuto della sentenza, c) basandosi unicamente sull'ultima relazione depositata dall'assistente sociale incaricata -cui avrebbe aderito acriticamente - nonché sugli elementi emersi nell'udienza del 20 dicembre 2023 e su prove destituite di fondamento (comprese le dichiarazioni rese dal Curatore speciale) d) adottando, così, una motivazione apparente, eccessivamente sintetica ed apodittica su varie doglianze espresse avverso il provvedimento del Tribunale, e) in particolare omettendo di considerare elementi di giudizio favorevoli alla ricorrente, e f) provvedendo ad un "super affido" in difetto di domanda.
Invero la Corte d'Appello ha tenuto conto esplicitamente nella motivazione del risultato della CTU così come del decreto provvisorio che aveva emesso proprio alla luce di quella; ma ha ritenuto - alla luce di quanto emerso all'esito, appunto, della regolamentazione dell'affido del minore provvisoriamente impartita con quest'ultimo - che non potesse confermarsi in via definitiva la soluzione ivi individuata, perché non solo dalla relazione dell'assistente sociale da ultimo acquisita ma anche dall'insieme delle audizioni condotte (due volte) coinvolgenti tutte le parti e che riporta sostanzialmente in forma integrale in motivazione, la sig. Al.St. aveva manifestato non "una asprezza caratteriale" – come afferma la difesa del ricorrente - bensì una indisponibilità continua, sistematica e nei confronti di qualunque interlocutore a collaborare per l'attuazione delle prescrizioni contenute nel decreto provvisorio a tutela del minore; e non solamente rispetto alla regolamentazione dei rapporti tra il figlio minore ed il padre, bensì anche con riguardo al percorso scolastico e di cura di Ni., negando sostanzialmente l'esigenza del supporto logopedico e psicoterapico del medesimo in relazione al disturbo diagnosticato con riguardo dello spettro autistico. Pertanto le doglianze della ricorrente predette risultano tese, in effetti, a confutare sulla base di una interpretazione soggettiva la ricognizione effettuata dal giudice di merito delle emergenze agli atti, pretendendo in questa sede di legittimità un ulteriore grado di giudizio di merito inammissibile.
10.1.2- Va peraltro aggiunto che - come questa Corte ha già affermato, anche in giudizi relativa alla materia che occupa v. Cass. n. 27348/2022 - che nell'ordinamento processuale vigente manca una norma di chiusura sulla tassatività tipologica dei mezzi di prova, sicché il giudice può legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove cd. atipiche (v. Cass. n. 12179/2018; Cass. n. 1593/2017; Cass. n. 17392/2015) e che quindi legittimamente, la Corte d'Appello ha basato il proprio convincimento anche sulla relazione dell'assistente sociale da ultimo acquisita considerata unitamente alle altre risultanze istruttorie, ed in ragione non delle "valutazioni" in essa contenute, bensì proprio per essere l'ultima restituzione in fatto circa l'efficacia e la praticabilità della soluzione provvisoriamente adottata.
10.1.3- Infine va precisato che sono del tutto inammissibili le censure alla sentenza contenute nel secondo motivo che si compendiano in un vizio di corrispondenza tra il richiesto e il pronunciato e, precisamente, "ultrapetizione", quanto all'aver provveduto ad un affido super esclusivo al padre pur in difetto di domanda e "omessa pronuncia" sulle "varie doglianze espresse contro il provvedimento del Tribunale di Busto Arsizio" riguardanti sia l'omessa considerazione "delle argomentazioni svolte dalla difesa della sig. Al.St. che i significativi documenti prodotti", in quanto a) rispetto alla censurata ultrapetizione va ricordato che in sede di divorzio (ma anche di separazione), trovando applicazione l'art. 6 della legge divorzile (nella versione ratione temporis vigente) e l'art. 337 ter c.p.c. cui il medesimo rimanda, il Tribunale, pronunciando lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, provvede in ordine alla prole, con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa, e può disporne l'affidamento congiunto ovvero quello esclusivo con valutazione discrezionale del giudice di merito che deve avere come parametro normativo di riferimento l'interesse del minore medesimo, senza essere vincolato alla domanda delle parti sul punto (v. per tutte Cass. n. 1202/2006); b) rispetto alla censurata omessa pronuncia sul punto il motivo è inammissibile sia perché attiene al convincimento del giudice di merito per come raggiunto in relazione alle risultanze processuali sia perché del tutto aspecifico sotto il profilo dell'indicazione della documentazione asseritamente "significativa" prodotta.
10.1.4 - Quanto, invece, alla doglianza relativa alla omessa pronuncia sulle ragioni di appello proposte con riguardo alle questioni economiche in punto contribuzione al mantenimento dei figli e attribuzione dell'assegno divorzile – premesso che il motivo di ricorso appare ammissibile poiché, anche se non vi sono richiamate in maniera puntuale le specifiche ragioni d'appello, il riferimento all'atto depositato rende possibile alla Corte l'esame ex actis della fondatezza della questione proposta - si osserva che nell'atto appello l'odierna ricorrente sottoponeva al giudice di secondo grado due questioni.
a) In punto valutazione della contribuzione al mantenimento dei figli, l'appellante chiedeva che le statuizioni del Tribunale fossero "integralmente modificate, poiché ovviamente traggono spunto dalla grave modifica del regime di affidamento e collocazione del figlio minore (...) I figli vivono e, ci auguriamo, grazie all'intervento della Corte, continueranno a vivere con la deducente, la quale auspica che anche il punto relativo al loro mantenimento venga modificato con l'accoglimento delle domande formulate in primo grado, adeguatamente motivate e documentate" detta doglianza - evidentemente - è stata implicitamente rigettata dalla Corte d'Appello nella misura in cui ha confermato il regime di affidamento cui quelle misure erano logicamente collegate, onde sul punto la censura di omessa pronuncia è infondata.
b) In punto rigetto della domanda di assegno divorzile, l'appellante odierna ricorrente si doleva della decisione di prime cure sulla base dell'orientamento di legittimità per cui il riconoscimento dell'assegno di divorzio - cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa - imponeva una valutazione comparativa delle condizioni economico patrimoniali delle parti, considerando in particolare il contributo fornito dal richiedente l'assegno divorzile alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi; laddove nella specie la situazione lavorativa delle parti era ben diversa e vedeva, altresì, il sig. Be.Cl., proprietario di svariati immobili in comproprietà con il fratello dai quali ricavava canoni in parte celati; inoltre come ammesso dallo stesso Be.Cl. la conduzione famigliare era stata delegata in toto alla moglie, la quale aveva, con la dedizione e l'ausilio dei propri genitori, letteralmente seguito in via autonoma la crescita dei due figli, consentendo al marito di svolgere la sua attività addirittura fermandosi a dormire in caserma; il Tribunale, invece, non aveva tenuto conto di dette circostanze, "accusando" l'appellante di non aver dato prova di essersi cercata un lavoro.
La censura è fondata perché la Corte d'Appello ha confermato la sentenza di primo grado senza neppure dare atto di tale motivo di appello.
11.- Venendo, dunque, all'ultima questione (oggetto dei motivi di ricorso quarto e sesto) e cioè al fatto che la Corte d'Appello avrebbe omesso l'esame di un fatto decisivo laddove avrebbe mancato di valutare gli effetti sul minore del disposto collocamento presso il padre - quindi in un contesto familiare a sé sconosciuto posto che sino ad allora Ni. aveva sempre vissuto con la madre e con il fratello Al. – né il trauma allo sviluppo fisico-cognitivo del minore, undicenne ed affetto da spettro dell'autismo, rappresentato dall'ablazione repentina della figura materna dalla sua vita, così compiendo una valutazione del tutto apodittica circa la rispondenza del deciso regime di affido al preminente interesse del minore che non contemplava neppure i rischi connessi ad un drastico quanto per lui incomprensibile sradicamento dal proprio ambiente e dai propri affetti, tanto più considerata la patologia da cui è affetto, reputa il Collegio che il ricorso sia fondato nei termini che si vanno a precisare.
Sul punto nella sentenza la Corte si è limitata ad affermare che "Allo stato attuale preso atto della relazione dei S.S. di cui sopra e alla luce di quanto Be.Cl. ha spiegato all'udienza del 18 giugno 2024 e, soprattutto, del tempo a sua disposizione per prendersi cura del figlio minore Ni. compatibilmente coi suoi impegni lavorativi, si reputa che la figura paterna sia quella più idonea all'affido e al collocamento. La regolamentazione prospettata dal giudice di primo grado potrebbe costituire una valida alternativa a quella attuale nell'interesse preminente del minore".
Così facendo la Corte di merito risulta aver valutato l'idoneità del genitore affidatario sulla base "del tempo a sua disposizione per prendersi cura del figlio minore Ni. compatibilmente coi suoi impegni lavorativi", senza motivare alcunché circa la rispondenza al preminente interesse del minore dell'assunta conferma del provvedimento di primo grado di affido super esclusivo, soprattutto considerato che proprio in ragione di tale preminente interesse – per quanto rappresentato dalla CTU nonché dai servizi incaricati all'esito del primo grado di giudizio – la soluzione ivi individuata era stata del tutto disattesa dalla stessa Corte d'Appello.
Se è evincibile - alla luce anche di quanto s'è detto sugli altri motivi di censura – che la Corte d'Appello ha deciso nel senso indicato avendo ritenuta accertata una indisponibilità di collaborazione della madre con gli operatori sociali coinvolti, non è invece evincibile, in quanto non motivato, per quale ragione secondo il giudice di secondo grado fosse da ritenersi corrispondente al preminente interesse del minore un affido "super esclusivo" al padre con collocamento presso il medesimo e conseguente assegnazione della casa coniugale e degli arredi ovvero non solo uno sradicamento netto e repentino del minore dal contesto di vita fino a quel momento conosciuto, ma l'imposizione della convivenza con una figura parentale a proposito delle cui capacità genitoriali e del cui rapporto affettivo in concreto esistente con il bambino lo stesso giudice nulla dice, laddove ciò che era chiamato a fare, a fronte dell'impugnazione del provvedimento di prime cure - inizialmente disatteso proprio nell'interesse del minore e del suo equilibrio psicoaffettivo come consigliato dalla CTU e dai servizi territoriali – era proprio dar conto della ragione per cui, invece, ciò corrispondesse proprio a quel preminente interesse.
Va ribadito, infatti, che se la norma dell'art. 337 quater c.c. sull'affidamento esclusivo - unico parametro normativo certo - al primo comma, impone che venga indicata e riempita di contenuti la contrarietà all'interesse del minore del regime dell'affido condiviso, a maggior ragione un regime quale quello confermato e nel contesto specifico di questo minore, non poteva essere disposto sulla base di un accertamento così gravemente carente sulla contrarietà oggettiva all'interesse del minore, non esplorato minimamente sotto il profilo delle conseguenze della mancanza di una delle due figure genitoriali e soprattutto di quella che fino a quel momento aveva costituito il principale punto di riferimento affettivo e di cura (pur con tutti le disfunzionalità anche gravi emerse nell'istruttoria), tanto che la stessa CTU - con valutazione non contestata dal giudice di merito di secondo grado che, anzi, inizialmente ne ha seguito le conclusioni - aveva decisamente ritenuto disfunzionale un collocamento diverso da quello presso la madre pur in un regime di affido del minore all'ante comunale e ai servizi sociali competenti.
11.1- Sul punto pertanto le ragioni del convincimento del giudice risultano omesse con un conseguente vizio motivazionale che - pur non integrando l'omesso esame di cui all'art. 360 n. 5 c.p.c. cui fa riferimento la ricorrente, giacché questo riguarda solo i fatti storici naturalistici – mina la conformità a legge della decisione essendo omessa in effetti, quell'approfondita disamina logica e giuridica degli elementi da cui il giudice ha tratto il proprio convincimento che non rende conoscibile il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del medesimo, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture un fatto (v. Cass. n. 6758/2022; Cass. n. 13977/2019); si tratta, in definitiva, come affermato dalle Sezioni Unite nella nota sentenza n 8052/2014 (confermata da innumerevoli pronunce) di una lacuna o aporia che rende "apparente il supporto argomentativo", desumibile dallo stesso tessuto argomentativo attraverso cui si sviluppa la motivazione ed attinente ad una quaestio facti.
12. – In definitiva quindi il ricorso va accolto per quanto di ragione quanto ai motivi secondo quarto e sesto. Conseguentementela sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte d'Appello di Milano, in diversa composizione che provvederà deciderà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza con rinvio alla Corte d'Appello di Milano, in diversa composizione che provvederà anche sulle spese relative al presente giudizio di legittimità.
In caso di diffusione omettere le generalità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile, all'esito della camera di consiglio del 5 novembre 2025 e in sede di riconvocazione del 3 dicembre 2025.
Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2025.