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IMU e residenze separate: quando l'esenzione spetta a entrambi i coniugi?

Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.9620 del 13/04/2025

Se entrambi i coniugi risiedono in case diverse possono beneficiare entrambi dell'esenzione IMU?

La risposta arriva dalla Cassazione con l'ordinanza n. 9620/2025.

La Corte chiarisce che anche in presenza di due immobili, situati nello stesso Comune e con residenze disgiunte, ciascun coniuge può beneficiare dell'esenzione IMU sull'immobile in cui risiede anagraficamente e in cui dimora abitualmente.

Il caso di specie riguarda una contribuente alla quale il Comune di Roma aveva richiesto un maggiore versamento IMU, sostenendo che l'immobile dove viveva non fosse da considerarsi "abitazione principale". Il Comune aveva riconosciuto l'esenzione solo per la casa dove risiedeva il marito, pur essendo entrambi residenti nello stesso Comune ma in abitazioni diverse.

I principi in materia

La regola in gioco è l'art. 13, comma 2 del D.L. n. 201/2011, modificato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 209/2022. La Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della parte in cui si richiedeva che tutto il nucleo familiare dimorasse e risiedesse nello stesso immobile per ottenere l'esenzione IMU.

La Cassazione riprende questo principio: l'esenzione IMU spetta a ciascun possessore se residenza anagrafica e dimora abituale coincidono nello stesso immobile, anche se i coniugi vivono separatamente ma nello stesso Comune.

La decisisione della Corte

Nel caso concreto, la contribuente aveva residenza e dimora abituale nell'immobile per cui chiedeva l'esenzione. La documentazione in atti (utenze intestate, certificati anagrafici) lo dimostrava. Non rileva il fatto che il marito, con cui condivideva ancora l'affectio coniugalis, risiedesse altrove.

La Cassazione evidenzia che non si tratta di una seconda casa, ma di residenze disgiunte frutto di una scelta legittima ai sensi dell'art. 144 c.c., che consente ai coniugi di stabilire liberamente l'indirizzo della vita familiare.

Il precedente orientamento restrittivo, secondo cui l'esenzione spettava solo al coniuge presso cui dimorava l'intero nucleo, viene superato.

Conclusioni

La doppia esenzione IMU è quindi possibile, ma solo a precise condizioni:

  • ciascun coniuge deve essere proprietario dell'immobile;

  • ciascuno deve avere residenza anagrafica e dimora abituale nel rispettivo immobile;

  • gli immobili devono trovarsi nello stesso Comune.

La sentenza apre uno spiraglio per chi vive in residenze separate, ma resta fermo che la coincidenza tra residenza e dimora va dimostrata con elementi concreti.

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Cassazione civile sez. trib., ordinanza 13/04/2025 (ud. 25/03/2025) n. 9620

Rilevato che

1. Ce.Br. impugnava dinanzi alla CTP di Roma l'avviso di accertamento n. 66856, con il quale il Comune di Roma le aveva richiesto il pagamento di Euro 2.172,64 a titolo di maggiore imposta, sanzioni e interessi, per un asserito insufficiente versamento dell'IMU, per l'anno d'imposta 2012, avendo disconosciuto in relazione ad un immobile la qualifica di abitazione principale.

2. L'adìta CTP rigettava il ricorso, evidenziando che, ai sensi dell'art. 13, comma 2, del D.L. n. 301/2011, nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l'abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile e che dalla documentazione presente in atti si rilevava che il marito della contribuente (Bi.An.) era residente nell'immobile alla Via (Omissis) (di cui era proprietario dal 7.6.1986), laddove la ricorrente era residente nell'immobile contestato insieme al figlio Bi.Da., e che l'immobile sito alla Via (Omissis), come risultava dalla dichiarazione Ici del 1993, era stato dichiarato come abitazione principale.

3. Sull'impugnazione della contribuente, la CTR del Lazio rigettava il gravame, rilevando che, sulla base della documentazione presente in atti, il marito della contribuente, Bi.An., era residente nell'immobile, alla Via (Omissis), di cui era proprietario dal 7.6.1986, laddove la ricorrente era residente nell'immobile contestato insieme al figlio Bi.Da., e che il primo immobile, come risultava dalla dichiarazione Ici resa dal Bi.An. nel 1993, era stato dichiarato come abitazione principale.

4. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione Ce.Br. sulla base di due motivi. Roma Capitale ha resistito con controricorso.

In prossimità dell'adunanza camerale la ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

IN DIRITTO

Considerato che:

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 13, comma 2, del D.L. n. 201/2011, in relazione all'art. 360, primo comma 1, n. 3), c.p.c., per non aver la CTR considerato che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 209 depositata il 13 ottobre 2022, è intervenuta sulla formulazione dell'art. 13, comma 2, del D.L. n. 201/2011 stabilendo che i coniugi o gli uniti civilmente che risiedono e dimorano in due abitazioni situate nel medesimo territorio comunale hanno entrambi diritto all'agevolazione/esenzione prevista ai fini IMU per l'abitazione principale.

1.1. Il motivo è fondato.

La Corte Costituzionale è stata investita delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 8, comma 2, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, come modificato dall'art. 1, comma 173, lett. b, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e dell'art. 13, comma 2, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, in riferimento agli artt. 3,16,29 e 53 Cost.

La Consulta, con sentenza n. 209 del 2022, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 13, comma 2, quarto periodo, del D.L. 6, dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, nel testo modificato dall'art. 1, comma 707, lett. b, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, nella parte in cui stabilisce: "(p)er abitazione principale si intende l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente", anziché disporre: "(p)er abitazione principale si intende l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente"; ha dichiarato, in via consequenziale, l'illegittimità costituzionale dell'art. 13, comma 2, quinto periodo, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, come modificato dall'art. 1, comma 707, lett. b, della legge 27 dicembre 2013, n. 147; ha dichiarato, in via consequenziale, l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 707, lett. b, primo periodo, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, nella parte in cui stabilisce: "per abitazione principale si intende l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e i componenti del suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente", anziché disporre: "per abitazione principale si intende l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente"; ha dichiarato, in via consequenziale, l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 741, lett. b, secondo periodo, della legge 27 dicembre 2019, n. 160; ha dichiarato, in via consequenziale, l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 741, lett. b, secondo periodo, della legge 27 dicembre 2019, n. 160, come successivamente modificato dall'art. 5-decies, comma 1, del D.L. 21 ottobre 2021, n. 146, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2021, n. 215; ha dichiarato l'inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 2, quinto periodo, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, come modificato dall'art. 1, comma 707, lett. b, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, sollevate, in riferimento agli artt. 1,3,4,29,31,35,47 e 53 Cost.

Prendendo atto di tale intervento manipolativo, in virtù della norma così come rimodulata, applicabile ai giudizi pendenti, questa Corte (Cass., Sez. 6-5, 23 dicembre 2022, n. 37636; Cass., Sez. 6-5, 3 novembre 2022, n. 32339; Cass., Sez. 6-5, 16 gennaio 2023, n. 990; Cass., Sez. 5, 19 gennaio 2023, n. 1623; Cass., Sez. 6-5, 20 gennaio 2023, n. 1828; Cass., Sez. 6-5, 24 gennaio 2023, n. 2045; Cass., Sez. 6-5, 25 gennaio 2023, nn. 2256 e 2301) ha ritenuto sufficiente che nell'immobile risieda il possessore, pur se il coniuge risiede stabilmente altrove (nel periodo di riferimento); non si tratta, infatti, di una c.d. "seconda casa", poiché in quest'ultima ipotesi non spetterebbe l'esenzione, ma di residenze diverse, il che costituisce un diritto dei due coniugi, in virtù degli accordi sull'indirizzo della vita familiare liberamente assunti ai sensi dell'art 144 cod. civ.; non può, infatti, essere evocato l'obbligo di coabitazione stabilito per i coniugi dall'art. 143 cod. civ., dal momento che una determinazione consensuale o una giusta causa non impediscono loro, indiscussa l'affectio coniugalis, di stabilire residenze disgiunte e a tale possibilità non si oppongono le norme sulla "residenza familiare" dei coniugi (art. 144 cod. civ.) o sulla "residenza comune" degli uniti civilmente (art. 1, comma 12, della legge 20 maggio 2016, n. 76); ciò non di meno, pur in assenza di convivenza col nucleo familiare, il diritto del contribuente all'esenzione per l'abitazione principale postula il concorso imprescindibile di residenza anagrafica e dimora abituale nell'immobile per il quale essa è stata invocata.

Pertanto, il giudice delle leggi ha ripristinato il diritto all'esenzione per ciascuna abitazione principale delle persone legate da vincolo di coniugio o unione civile, che abbiano avuto l'esigenza, in forza delle necessità della vita, di stabilire la loro dimora abituale e la residenza anagrafica in altro immobile.

L'indicata questione coinvolge anche il mantenimento dell'esenzione in ipotesi in cui i componenti del nucleo familiare sono stati indotti da esigenze personali a stabilire la residenza e la dimora abituale in luoghi ed immobili diversi.

1.2. L'affermazione resa dalla CTR, confermativa sul punto di quella ascrivibile alla CTP, è il frutto di una erronea interpretazione dell'art. 13, comma 2, del D.L. 201/2011 secondo cui, in presenza di coniugi con residenze anagrafiche diverse nello stesso Comune, il beneficio poteva essere goduto solo dal coniuge proprietario dell'immobile in cui il nucleo familiare dimorava abitualmente.

Premesso che la pronuncia di incostituzionalità "è destinata ad operare anche nei giudizi in corso nei quali tuttavia sia censurata l'applicazione proprio di quella norma" (cfr. Cass. n. 6940/2022), il giudice del rinvio dovrà considerare che, con sentenza n. 209 del 13.10.2022, la Consulta ha, in definitiva, stabilito quanto segue:

a) nel nostro ordinamento costituzionale non possono trovare cittadinanza misure fiscali strutturate in modo da penalizzare coloro che, così formalizzando il proprio rapporto, decidono di unirsi in matrimonio o di costituire una unione civile;

b) in quest'ottica, l'illegittimità è stata estesa anche ad altre norme, in particolare a quelle che, per i componenti del nucleo familiare, limitano l'esenzione ad uno solo degli immobili siti nel medesimo comune (quinto periodo del comma 2 dell'articolo 13, Dl 201/2011) e che prevedono che essi optino per una sola agevolazione quando hanno residenze e dimore abituali diverse (comma 741, lettera b) della legge n. 160 del 2019, come modificato dall'articolo 5-decies del dl 146/2021);

c) quest'ultima norma, ha precisato la Corte, è stata introdotta dal legislatore per reagire all'orientamento della giurisprudenza di legittimità: la Cassazione è infatti giunta "a negare ogni esenzione sull'abitazione principale se un componente del nucleo familiare risiede in un comune diverso da quello del possessore dell'immobile".

La Consulta ha chiarito che quest'ultimo orientamento è dipeso dal riferimento al nucleo familiare così come emerge dalla norma su cui la Corte si è autorimessa la questione di legittimità; ha poi precisato che in "un contesto come quello attuale", "caratterizzato dall'aumento della mobilità nel mercato del lavoro, dallo sviluppo dei sistemi di trasporto e tecnologici, dall'evoluzione dei costumi, è sempre meno rara l'ipotesi che persone unite in matrimonio o unione civile concordino di vivere in luoghi diversi, ricongiungendosi periodicamente, ad esempio nel fine settimana, rimanendo nell'ambito di una comunione materiale e spirituale".

Pertanto, ai fini del riconoscimento dell'esenzione sulla "prima casa", non ritenere sufficiente - per ciascun coniuge o persona legata da unione civile - la residenza anagrafica e la dimora abituale in un determinato immobile, determina un'evidente discriminazione rispetto ai conviventi di fatto i quali, in presenza delle medesime condizioni, si vedono invece accordato, per ciascun rispettivo immobile, il suddetto beneficio.

La Corte ha dunque ristabilito il diritto all'esenzione per ciascuna abitazione principale delle persone sposate o in unione civile e, però, ha ritenuto "opportuno chiarire" che le dichiarazioni di illegittimità costituzionale non determinano, in alcun modo, una situazione in cui le cosiddette "seconde case" ne possano usufruire. Da questo punto di vista, le dichiarazioni di illegittimità costituzionale mirano a responsabilizzare "i comuni e le altre autorità preposte ad effettuare adeguati controlli", controlli che "la legislazione vigente consente in termini senz'altro efficaci". In particolare, i comuni dispongono di efficaci strumenti per controllare la veridicità delle dichiarazioni, tra cui, in base a quanto previsto dall'art. 2, comma 10, lettera c), punto 2, del D.Lgs. n. 23 del 2011, anche l'accesso ai dati relativi alla somministrazione di energia elettrica, di servizi idrici e del gas relativi agli immobili ubicati nel proprio territorio; elementi dai quali si può riscontrare l'esistenza o meno di una dimora abituale.

1.3. Nel caso di specie, Ce.Br. aveva, nell'anno 2012, presso l'immobile di Via (Omissis) sia la residenza anagrafica (cfr. il certificato di variazioni anagrafiche n. 0995187/11, rilasciato dall'Ufficiale di Anagrafe di Roma Capitale il 20 novembre 2017) che la sua dimora (circostanza mai contestata da controparte e comunque risultante dalla documentazione in atti relativa al pagamento delle utenze gas, luce, telefono, Tarsu, condominio).

Non incide sulle considerazioni che precedono, per quanto esposto, la circostanza che il coniuge della contribuente vivesse e risiedesse nell'anno d'imposta accertato (2012) presso altro immobile sito nel Comune di Roma, alla Via (Omissis).

2. Con il secondo motivo la ricorre lamenta la nullità della sentenza per omessa motivazione, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4) c.p.c., presentandosi, a suo dire, la motivazione resa dalla CTR a tal punto non intelligibile da ritenersi inesistente.

2.1. Il motivo, che, in base al secondo comma dell'art. 276 c.p.c., andrebbe esaminato prioritariamente, è infondato.

Invero, sebbene la CTR non abbia esplicitato le ragioni per le quali abbia richiamato - e ritenuto applicabile - una normativa nel frattempo riscritta dalla Corte Costituzionale ed abbia ritenuto che il beneficio spettasse in relazione all'immobile in Roma, alla Via (Omissis), in proprietà del marito della Ce.Br., colà residente, anzichè in relazione a quello, accertato, della Ce.Br., sito in Roma, alla Via San Nemesio n. 6, la motivazione non si pone al di sotto del cd. minimo costituzionale, avendo evidenziato che, sulla base della documentazione presente in atti, il marito della contribuente, Bi.An., era residente nell'immobile, alla Via Nicolò Da Pistoia 12, di cui era proprietario dal 7.6.1986, laddove la ricorrente era residente nell'immobile contestato insieme al figlio Bi.Da., e che il primo immobile, come risultava dalla dichiarazione Ici resa dal Bi.An. nel 1993, era stato dichiarato come abitazione principale.

3. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso merita di essere accolto con riferimento al primo motivo, con conseguente cassazione della sentenza impugnata, e rinvio della causa, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, affinchè accerti il diritto all'esenzione alla luce dei principi fissati da Corte cost. n. 209/2022.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo del ricorso, rigetta il secondo; cassa la sentenza impugnata con riferimento a motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio in differente composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi in data 25 marzo 2025.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2025.

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