Ricorso per cassazione, inutilizzabilità di un elemento a carico, motivo di impugnazione, prova di resistenza

Corte di Cassazione, sez. II Penale, Sentenza n.7986 del 18/11/2016 (dep. 20/02/2017)

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Ricorso per cassazione, inutilizzabilità di un elemento a carico, motivo di impugnazione, prova di resistenza

Nell'ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l'inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l'incidenza dell'eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta "prova di resistenza", in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l'identico convincimento.

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Cassazione Penale

Sent. Sez. 2 Num. 7986 Anno 2017


Presidente: DIOTALLEVI GIOVANNI

Relatore: BELTRANI SERGIO

Data Udienza: 18/11/2016

SENTENZA

RITENUTO IN FATTO


Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Palermo ha confermato - quanto alle statuizioni civili - la sentenza emessa in data 24 giugno 2013 dal Tribunale della stessa città, che aveva dichiarato gli imputati colpevoli di tentata truffa aggravata per il conseguimento di pubbliche erogazioni, dichiarato - quanto agli effetti penali - estinto per prescrizione dalla Corte di appello. La condotta fraudolenta contestata ed accertata aveva ad oggetto l'erogazione di un contributo cofinanziato dall'Unione Europea di importo pari ad euro 3.993.657,90, per la realizzazione di un impianto per la produzione di caramelle alla liquirizia.

Contro tale provvedimento, gli imputati (con l'ausilio di difensori iscritti nell'apposito albo speciale) hanno proposto separati ricorsi per cassazione, deducendo i seguenti motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p., con i quali Lamenta:v (ricorso LA KKK):

1. - inosservanza della legge penale, con violazione dell'art. 27 Cost. e del principio di colpevolezza (dopo ampio riepilogo di orientamenti della giurisprudenza costituzionale e della Corte EDU, fino a pag. 12 del ricorso, l'imputata lamenta infine la propria assoluta estraneità ai fatti, essendo ella una mera socia dell'AAA s.r.I., che non si era mai interessata a vicende inerenti all'amministrazione o gestione di fatto della predetta società, e comunque estranea a tutti gli atti del procedimento amministrativo in oggetto);

2. - vizi di motivazione con violazione della legge penale per travisamento delle prove acquisite (sarebbe emerso dagli atti che l'imputata nessun ruolo aveva assunto con riferimento alla lettera di intenti valorizzata ai fini dell'affermazione di responsabilità dai giudici del merito, per corroborare l'ipotesi d'accusa, e comunque nessun vantaggio aveva tratto da essa);

3.14. - vizi di motivazione in relazione all'art. 533, comma 1, c.p.p. per violazione del principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio (la posizione dell'imputata non sarebbe stata adeguatamente "delineata", e sarebbe stata esclusa "irragionevolmente qualsiasi differenziazione dei ruoli in capo agli altri imputati", ed essendo stata la sua condanna fondata unicamente sulksua posizione sociale;

5. - violazione degli artt. 56/640-bis e 43 c.p., per insussistenza del dolo (la doglianza è argomentata richiamando le pregresse considerazioni);

6. - manifesta contraddittorietà ed illogicità della motivazione, con violazione della legge penale, per asserito travisamento delle prove acquisite, quanto al c.d. carosello finanziario contestato all'imputata, ma rispetto al quale ella sarebbe estranea;

7. - illogicità della ricostruzione in fatto in ordine agli aumenti di capitale, che sarebbe viziata da omessa considerazione delle dichiarazioni dei testi PISCIOTTA e SCIMONE, peraltro in carenza di addebiti direttamente mossi alal ricorrente;

8. - plurimi vizi di motivazione per assoluta inadeguatezza metodologica dell'indagine circa il valore del complesso industriale dell'AAA e dei macchinari (sarebbe stata più volte immotivatamente disattesa la richiesta difensiva del relativo accertamento in incidente probatorio; non sarebbe stata data una compiuta risposta alle decisive doglianze oggetto dell'atto di appello);

9. - plurimi vizi di motivazione con riferimento all'asserita mancanza degli elementi costitutivi del reato contestato (conclusivamente ritenuto in forma tentata) e quindi relativamente al risarcimento del danno che in ipotesi ne sarebbe derivato, con illegittimità delle residue statuizioni civili per difetto di Motivazione; v (ricorso GG)

1. - mancanza di motivazione (la sentenza di appello si sarebbe indebitamente limitata ad un mero e generico rinvio per relationem alla sentenza di primo grado, senza esaminare compiutamente i motivi d'appello);

2. - plurimi vizi di motivazione per asserita mancanza degli elementi costitutivi del reato ritenuto, e, di conseguenza, relativamente al risarcimento del danno che ne è derivato;

3. - mancanza della motivazione in ordine a censure asseritamente precise mosse dalla difesa dell'imputato alla sentenza di primo grado, riepilogate a f. 16 ss. del ricorso;

4. - manifesta illogicità della motivazione (dopo aver ribadito le proprie doglianze, l'imputato invoca la propria estraneità ad una serie di attività che asserisce essere state, al contrario, erroneamente valorizzate dai giudici del merito;

5. - illogicità della ricostruzione in fatto in ordine agli aumenti di capitale (con violazione degli artt. 192 e 546 c.p.p.);

6. - plurimi vizi di motivazione con violazione della legge penale per travisamento delle prove acquisite (quanto alla circostanza valorizzata dai giudici del merito che i trasporti di materiali dall'Inghilterra in realtà non sarebbero mai stati effettuati: sarebbero, infatti, state non valutate o travisate le dichiarazioni dei testi XX e RUSSIA e le risultanze dei documenti in proposito acquisiti; inoltre sarebbe stata erroneamente valutata, quanto al c.d. carosello finanziario, pure valorizzato a carico dell'imputato, la testimonianza del col. DE LUCA;

7. - violazione degli artt. 111 Cost., 192 e 546 c.p.p., per violazione dei criteri legali di valutazione della prova ed omessa assoluzione ex art. 129 c.p.p.;

8. - mancanza della motivazione e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla determinazione del valore dell'impianto industriale;

9. - manifesta mancanza della motivazione in ordine alle censure mosse dal ricorrente circa le diverse richieste di incidente probatorio e perizia tecnica;

10. - violazione della normativa relativa all'utilizzo delle informazioni ottenute dalla Financial Intelligence Analysis Unit di Malta, asseritamente utilizzabili unicamente per i reati di riciclaggio e finanziamento al terrorismo; 11- - manifesta contraddittorietà e illogicità della motivazione nonché violazione di legge per travisamento delle prove acquisite, in relazione alla condanna al risarcimento danni in favore delle parti civili costituite per il reato di truffa.

All'odierna udienza pubblica, è stata verificata la regolarità degli avvisi di rito; all'esito, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe, e questa Corte, riunita in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato mediante lettura in udienza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

I ricorsi sono integralmente inammissibili.

I LIMITI DEL SINDACATO DI LEGITTIMITA' SULLA MOTIVAZIONE

1. E' necessario premettere, con riguardo ai limiti del sindacato di legittimità sulla motivazione dei provvedimenti oggetto di ricorso per cassazione, delineati dall'art. 606, comma 1, lettera e), c.p.p., come vigente a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 46 del 2006, che, a parere di questo collegio, la predetta novella non ha comportato la possibilità, per il giudice della legittimità, di effettuare un'indagine sul discorso giustificativo della decisione, finalizzata a sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito, dovendo il giudice della legittimità limitarsi a verificare l'adeguatezza delle considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per giustificare il suo convincimento.

1.1. La mancata rispondenza di queste ultime alle acquisizioni processuali può, soltanto ora, essere dedotta quale motivo di ricorso qualora comporti il c.d. «travisamento della prova» (consistente nell'utilizzazione di un'informazione inesistente o nell'omissione della valutazione di una prova, accomunate dalla necessità che il dato probatorio, travisato od omesso, abbia il carattere della decisività nell'ambito dell'apparato motivazionale sottoposto a critica), purché siano indicate in maniera specifica ed inequivoca le prove che si pretende essere state travisate, nelle forme di volta in volta adeguate alla natura degli atti in considerazione, in modo da rendere possibile la loro lettura senza alcuna necessità di ricerca da parte della Corte, e non ne sia effettuata una monca individuazione od un esame parcellizzato.

Permane, al contrario, la non deducibilità, nel giudizio di legittimità, del travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. VI, sentenza n. 25255 del 14 febbraio 2012, CED Cass. n. 253099).

1.2. Il ricorso che, in applicazione della nuova formulazione dell'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. intenda far valere il vizio di «travisamento della prova» deve, a pena di inammissibilità (Cass. pen., Sez. I, sentenza n. 20344 del 18 maggio 2006, CED Cass. n. 234115; Sez. VI, sentenza n. 45036 del 2 dicembre 2010, CED Cass. n. 249035): (a) identificare specificamente l'atto processuale sul quale fonda la doglianza;

(b) individuare l'elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta asseritamente incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza impugnata;

(c) dare la prova della verità dell'elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché dell'effettiva esistenza dell'atto processuale su cui tale prova si fonda tra i materiali probatori ritualmente acquisiti nel fascicolo del dibattimento;

(d) indicare le ragioni per cui l'atto invocato asseritamente inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l'intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale "incompatibilità" all'interno dell'impianto argomentativo del provvedimento impugnato.

1.3. La mancanza, l'illogicità e la contraddittorietà della motivazione, come vizi denunciabili in sede di legittimità, devono risultare di spessore tale da risultare percepibili ictu ocu/i, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza vizi giuridici (in tal senso, conservano validità, e meritano di essere tuttora condivisi, i principi affermati da questa Corte Suprema, Sez. un., sentenza n. 24 del 24 novembre 1999, CED Cass. n. 214794; Sez. un., sentenza n. 12 del 31 maggio 2000, CED Cass. n. 216260; Sez. un., sentenza n. 47289 del 24 settembre 2003, CED Cass. n. 226074).

Devono tuttora escludersi la possibilità, per il giudice di legittimità, di <
1.4. Il giudice di legittimità ha, pertanto, ai sensi del novellato art. 606 c.p.p., il compito di accertare (Cass. pen., Sez. VI, sentenza n. 35964 del 28 settembre 2006, CED Cass. n. 234622; Sez. III, sentenza n. 39729 del 18 giugno 2009, CED Cass. n. 244623; Sez. V, sentenza n. 39048 del 25 settembre 2007, CED Cass. n. 238215; Sez. II, sentenza n. 18163 del 22 aprile 2008, CED Cass. n. 239789):

(a) il contenuto del ricorso (che deve contenere gli elementi sopra individuati);

(b) la decisività del materiale probatorio richiamato (che deve essere tale da disarticolare l'intero ragionamento del giudicante o da determinare almeno una complessiva incongruità della motivazione);

(c) l'esistenza di una radicale incompatibilità con l'iter motivazionale seguito dal giudice di merito e non di un semplice contrasto;

(d) la sussistenza di una prova omessa od inventata, e del c.d. «travisamento del fatto», ma solo qualora la difformità della realtà storica sia evidente, manifesta, apprezzabile ictu oculi ed assuma anche carattere decisivo in una valutazione globale di tutti gli elementi probatori esaminati dal giudice di merito (il cui giudizio valutativo non è sindacabile in sede di legittimità se non manifestamente illogico e, quindi, anche contraddittorio).

1.5. E' anche inammissibile il motivo in cui si deduca la violazione dell'art. 192 c.p.p., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), c.p.p., per censurare l'omessa od erronea valutazione di ogni elemento di prova acquisito o acquisibile, in una prospettiva atomistica ed indipendentemente da un raffronto con il complessivo quadro istruttorio, in quanto i limiti all'ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui all'art. 606, comma 1, lett. c), c.p.p., nella parte in cui consente di dolersi dell'inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità (Cass. pen., Sez. VI, sentenza n. 45249 dell'8 novembre 2012, CED Cass. n. 254274).

LA NECESSARIA SPECIFICITA' DEL RICORSO PER CASSAZIONE

2. La giurisprudenza di questa Corte Suprema è, condivisibilmente, orientata nel senso dell'inammissibilità, per difetto di specificità, del ricorso presentato prospettando vizi di motivazione del provvedimento impugnato, i cui motivi siano enunciati in forma perplessa o alternativa (Sez. VI, sentenza n. 32227 del 16 luglio 2010, CED Cass. n. 248037: nella fattispecie il ricorrente aveva lamentato la "mancanza e/o insufficienza e/o illogicità della motivazione" in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari posti a fondamento di un'ordinanza applicativa di misura cautelare personale; Sez. VI, sentenza n. 800 del 6 dicembre 2011 - 12 gennaio 2012, Bidognetti ed altri, CED Cass. n. 251528).

Invero, l'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. stabilisce che i provvedimenti sono ricorribili per «mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame».

La disposizione, se letta in combinazione con l'art. 581, comma 1, lett. c), c.p.p. (a norma del quale è onere del ricorrente «enunciare i motivi del ricorso, con l'indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta») evidenzia che non può ritenersi consentita l'enunciazione perplessa ed alternativa dei motivi di ricorso, essendo onere del ricorrente di specificare con precisione se la deduzione di vizio di motivazione sia riferita alla mancanza, alla contraddittorietà od alla manifesta illogicità ovvero a una pluralità di tali vizi, che vanno indicati specificamente in relazione alle varie parti della motivazione censurata.

Il principio è stato più recentemente accolto anche da questa sezione, a parere della quale «È inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso nel quale siano prospettati vizi di motivazione del provvedimento impugnato, i cui motivi siano enunciati in forma perplessa o alternativa, essendo onere del ricorrente specificare con precisione se le censure siano riferite alla mancanza, alla contraddittorietà od alla manifesta illogicità ovvero a più di uno tra tali vizi, che vanno indicati specificamente in relazione alle parti della motivazione oggetto di gravame» (Sez. II, sentenza n. 31811 dell'8 maggio 2012, CED Cass. n. 254329).

Per tali ragioni la censura alternativa ed indifferenziata di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione risulta priva della necessaria specificità, il che rende il ricorso inammissibile.

2.1. Infine, secondo altro consolidato e condivisibile orientamento di questa Corte Suprema (per tutte, Sez. IV, sentenza n. 15497 del 22 febbraio - 24 aprile 2002, CED Cass. n. 221693; Sez. VI, sentenza n. 34521 del 27 giugno - 8 agosto 2013, CED Cass. n. 256133), è inammissibile per difetto di specificità il ricorso che riproponga pedissequamente le censure dedotte come motivi di appello (al più con l'aggiunta di frasi incidentali contenenti contestazioni, meramente assertive ed apodittiche, della correttezza della sentenza impugnata) senza prendere in considerazione, per confutarle, le argomentazioni in virtù delle quali i motivi di appello non siano stati accolti.

2.2. Si è, infatti, esattamente osservato (Sez. VI, sentenza n. 8700 del 21 gennaio - 21 febbraio 2013, CED Cass. n. 254584) che «La funzione tipica dell'impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 c.p.p.), debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell'atto di impugnazione è, pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta).

2.3. Il motivo di ricorso in cassazione è caratterizzato da una "duplice specificità": «Deve essere sì anch'esso conforme all'art. 581 c.p.p., lett. C (e quindi contenere l'indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta presentata al giudice dell'impugnazione); ma quando "attacca" le ragioni che sorreggono la decisione deve, altresì, contemporaneamente enucleare in modo specifico il vizio denunciato, in modo che sia chiaramente sussunnibile fra i tre, soli, previsti dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), deducendo poi, altrettanto specificamente, le ragioni della sua decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice del merito per giungere alla deliberazione impugnata, sì da condurre a decisione differente» (Sez. VI, sentenza n. 8700 del 21 gennaio - 21 febbraio 2013, CED Cass. n. 254584).





2.4. Risulta, pertanto, evidente che, "se il motivo di ricorso si limita a riprodurre il motivo d'appello, per ciò solo si destina all'inammissibilità, venendo meno in radice l'unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento), posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento ora formalmente 'attaccato', lungi dall'essere destinatario di specifica critica argomentata, è di fatto del tutto ignorato. Nè tale forma di redazione del motivo di ricorso (la riproduzione grafica del motivo d'appello) potrebbe essere invocata come implicita denuncia del vizio di omessa motivazione da parte del giudice d'appello in ordine a quanto devolutogli nell'atto di impugnazione. Infatti, quand'anche effettivamente il giudice d'appello abbia omesso una risposta, comunque la mera riproduzione grafica del motivo d'appello condanna il motivo di ricorso all'inammissibilità. E ciò per almeno due ragioni. È censura di merito. Ma soprattutto (il che vale anche per l'ipotesi delle censure in diritto contenute nei motivi d'appello) non è mediata dalla necessaria specifica e argomentata denuncia del vizio di omessa motivazione (e tanto più nel caso della motivazione cosiddetta apparente che, a differenza della mancanza "grafica", pretende la dimostrazione della sua mera "apparenza" rispetto ai temi tempestivamente e specificamente dedotti); denuncia che, come detto, è pure onerata dell'obbligo di argomentare la decisività del vizio, tale da imporre diversa conclusione del caso».

2.5. Può, pertanto, concludersi che "la riproduzione, totale o parziale, del motivo d'appello ben può essere presente nel motivo di ricorso (ed in alcune circostanze costituisce incombente essenziale dell'adempimento dell'onere di autosufficienza del ricorso), ma solo quando ciò serva a "documentare" il vizio enunciato e dedotto con autonoma specifica ed esaustiva argomentazione, che, ancora indefettibilmente, si riferisce al provvedimento impugnato con il ricorso e con la sua integrale motivazione si confronta. A ben vedere, si tratta dei principi consolidati in materia di "motivazione per relazione" nei provvedimenti giurisdizionali e che, con la mera sostituzione dei parametri della prima sentenza con i motivi d'appello e della seconda sentenza con i motivi di ricorso per cassazione, trovano piena applicazione anche in ordine agli atti di impugnazione» (Sez. VI, sentenza n. 8700 del 21 gennaio - 21 febbraio 2013, CED Cass. n. 254584).

LA MOTIVAZIONE DELLA SENTENZA D'APPELLO

3. Anche il giudice d'appello non è tenuto a rispondere a tutte le argomentazioni svolte nell'impugnazione, giacché le stesse possono essere disattese per implicito o per aver seguito un differente iter motivazionale o per evidente incompatibilità con la ricostruzione effettuata (per tutte, Cass. pen., Sez. VI, sentenza n. 1307 del 26 settembre 2002 - 14 gennaio 2003, CED Cass. n. 223061).

3.1. In presenza di una doppia conforma affermazione di responsabilità, va, peraltro, ritenuta l'ammissibilità della motivazione della sentenza d'appello per relationenn a quella della decisione impugnata, sempre che le censure formulate contro la sentenza di primo grado non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi, in quanto il giudice di appello, nell'effettuazione del controllo della fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata, non è tenuto a riesaminare questioni sommariamente riferite dall'appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia soffermato il primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi logici, non specificamente e criticamente censurate. In tal caso, infatti, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell'appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità (Cass. pen., Sez. II, sentenza n. 1309 del 22 novembre 1993 - 4 febbraio 1994, CED Cass. n. 197250; Sez. III, sentenza n. 13926 del 10dicembre 2011 - 12 aprile 2012, CED Cass. n. 252615).

L'AFFERMAZIONE DI RESPONSABILITA' "OLTRE OGNI RAGIONEVOLE DUBBIO".

4. Per quel che concerne il significato da attribuire alla locuzione "oltre ogni ragionevole dubbio», presente nel testo novellato dell'art. 533 c.p.p. quale parametro cui conformare la valutazione inerente all'affermazione di responsabilità dell'imputato, è opportuno evidenziare che, al di là dell'icastica espressione, mutuata dal diritto anglosassone, ne costituiscono fondamento il principio costituzionale della presunzione di innocenza e la cultura della prova e della sua valutazione, di cui è permeato il nostro sistema processuale. Si è, in proposito, esattamente osservato che detta espressione ha una funzione meramente descrittiva più che sostanziale, giacché, in precedenza, il "ragionevole dubbio» sulla colpevolezza dell'imputato ne comportava pur sempre il proscioglimento a norma dell'art. 530, comma 2, c.p.p., sicché non si è in presenza di un diverso e più rigoroso criterio di valutazione della prova rispetto a quello precedentemente adottato dal codice di rito, ma è stato ribadito il principio, già in precedenza immanente nel nostro ordinamento costituzionale ed ordinario (tanto da essere già stata adoperata dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema - per tutte, Sez. un., sentenza n. 30328 del 10 luglio 2002, CED Cass. n. 222139 -, e solo successivamente recepita nel testo novellato dell'art. 533 c.p.p.), secondo cui la condanna è possibile soltanto quando vi sia la certezza processuale assoluta della responsabilità dell'imputato (Cass. pen., Sez. II, sentenza n. 19575 del 21 aprile 2006, CED Cass. n. 233785; Sez. II, sentenza n. 16357 del 2 aprile 2008, CED Cass. n. 239795).

In argomento, si è più recentemente, e conclusivamente, affermato (Sez. II, sentenza n. 7035 del 9 novembre 2012 - 13 febbraio 2013, CED Cass. n. 254025) che "La previsione normativa della regola di giudizio dell' "al di là di .zzzzz.,_ ogni ragionevole dubbio", che trova fondamento nel principio costituzionale della presunzione di innocenza, non ha introdotto un diverso e più restrittivo criterio di valutazione della prova ma ha codificato il principio giurisprudenziale secondo cui la pronuncia di condanna deve fondarsi sulla certezza processuale della responsabilità dell'imputato».

I LIMITI DEL SINDACATO DI LEGITTIMITA' IN PRESENZA DI UNA DOPPIA CONFORME AFFERMAZIONE DI RESPONSABILITA'.

5. Questa Corte, con orientamento (Sez. IV, n. 19710 del 3.2.2009, rv. 243636) che il collegio condivide e ribadisce, ha osservato che, in presenza di una c.d. "doppia conforme", ovvero di una doppia pronuncia di eguale segno (nel caso di specie, riguardante l'affermazione di responsabilità), il vizio di travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l'argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado («Invero, sebbene in tema di giudizio di Cassazione, in forza della novella dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), introdotta dalla L. n. 46 del 2006, è ora sindacabile il vizio di travisamento della prova, che si ha quando nella motivazione si fa uso di un'informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva, esso può essere fatto valere nell'ipotesi in cui l'impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di c.d. doppia conforme, superarsi il limite del "devolutum" con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d'appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice»).

LA POSSIBILE RILEVANZA DEI VIZI DELLA MOTIVAZIONE IN PRESENZA DI CAUSE DI ESTINZIONE DEL REATO.

6. Le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 35490 del 28 maggio 2009, Tettamanti, CED Cass. n. 244273 s.) hanno esaminato il problema dell'ambito del sindacato, in sede di legittimità, sui vizi della motivazione, in presenza di cause di estinzione del reato, del quale avevano già avuto modo di occuparsi in passato (avevano, infatti, già affermato che, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità i vizi di motivazione della sentenza impugnata, in quanto l'inevitabile rinvio della causa al giudice di merito dopo la pronunzia di annullamento risulterebbe comunque incompatibile con l'obbligo della immediata declaratoria di proscioglimento per intervenuta estinzione del reato: Sez. un., sentenza n. 1653 del 21 ottobre 1992, dep. 22 febbraio 1993, Marino ed altri, CED Cass. n. 192471).

In linea con l'orientamento assolutamente prevalente nella giurisprudenza intervenuta successivamente sulla questione (Sez. V, sentenza n. 7718 del 24 giugno 1996, CED Cass. n. 205548; Sez. II, sentenza n. 15470 del 6 marzo 2003, CED Cass. n. 224290; Sez. I, sentenza n. 4177 del 27 ottobre 2003, dep. 4 febbraio 2004, CED Cass. n. 227098; Sez. III, sentenza n. 24327 del 4 maggio 2004, CED Cass. n. 228973; Sez. VI, sentenza n. 40570 del 29 maggio 2008, CED Cass. n. 241317; Sez. IV, sentenza n. 14450 del 19 marzo 2009, CED Cass. n. 244001), il principio è stato ribadito (sostanzialmente nei medesimi termini, come è confermato dalle quasi speculari massime estratte dalle due citate decisioni delle Sezioni Unite) anche dalla sentenza Tettamanti, a parere della quale la Corte di cassazione, ove rilevi la sussistenza di una causa di estinzione del reato, non può rilevare eventuali vizi di legittimità della motivazione della decisione impugnata, poiché nel corso del successivo giudizio di rinvio il giudice sarebbe comunque obbligato a rilevare immediatamente la sussistenza della predetta cause di estinzione del reato, ed alla conseguente declaratoria.

Il principio opera anche in presenza di mere cause di nullità di ordine generale, assolute ed insanabili, identica essendo la ratio, fondata sull'incompatibilità del rinvio per nuovo giudizio di merito con li principio dell'immediata applicabilità della causa estintiva. A conclusioni diverse dovrebbe giungersi nel solo caso in cui l'operatività della causa di estinzione del reato presupponga specifici accertamenti e valutazioni riservati al giudice di merito, nei qual caso assumerebbe rilievo pregiudiziale la nullità, in quanto funzionale alla necessaria rinnovazione del relativo giudizio.

Il principio è stato successivamente ribadito, più o meno nei medesimi termini, da Sez. VI, sentenza n. 23594 del 19 marzo 2013, CED Cass. n. 256625, secondo la quale «Nel giudizio di cassazione, relativo a sentenza che ha dichiarato la prescrizione del reato, non sono rilevabili né nullità di ordine generale, né vizi di motivazione della decisione impugnata, anche se questa abbia pronunciato condanna agli effetti civili, qualora il ricorso non contenga alcun riferimento ai capi concernenti gli interessi civili», e merita senz'altro di essere condiviso.

Vanno, pertanto, ribaditi i seguenti principi di diritto:

«In presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'art. 129, comma 2, c.p.p. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di «constatazione», ossia di percezione ictu oculi, che a quello di «apprezzamento», e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento».

«Nel giudizio di cassazione, relativo a sentenza che ha dichiarato la prescrizione del reato, non sono rilevabili né nullità di ordine generale, né vizi di motivazione della decisione impugnata».

I RICORSI

7. Alla luce di queste necessarie premesse vanno esaminati gli odierni ricorsi.

8. Richiamando i premessi rilievi in diritto, deve immediatamente rilevarsi che:

8.1. i numerosi motivi di ricorso degli imputati che lamentano, contestualmente ed indistintamente, plurimi vizi di motivazioni sono privi della specificità necessaria ex art. 581, comma 1, lett. C), c.p.p.;

8.2. i numerosi motivi di ricorso degli imputati che lamentano, in relazione all'apparato motivazionale che correda l'impugnata sentenza, plurime violazioni degli artt. 111 Cost., 192 c.p.p., 546 c.p.p., non sono consentititi;

8.3. il decimo motivo dell'imputato GG è privo della necessaria specificità perché la doglianza è formulata senza in alcun modo prospettare a questa Corte la possibile, ed in ipotesi, decisiva influenza dell'elemento asseritamente nullo/inutilizzabile sulla complessiva motivazione posta a fondamento della contestata affermazione di responsabilità. Questa Corte, con orientamento (Sez. IV, n. 18764 del 5.2.2014, rv. 259452; Sez. III, n. 3207 del 2.10.2014, dep. 2015, rv. 262011) che il collegio condivide e ribadisce, ha, infatti, osservato che, nei casi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l'inutilizzabilità o la nullità di una prova dalla quale siano stati desunti elementi a carico, il motivo di ricorso deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l'incidenza dell'eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta "prova di resistenza", essendo in ogni caso necessario valutare se le residue risultanze, nonostante l'espunzione di quella inutilizzabile, risultino sufficienti a giustificare l'identico convincimento; gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l'identico convincimento. Si è, ad esempio, ritenuto che la nullità dell'accertamento tecnico disposto dal pubblico ministero non comporta alcuna conseguenza allorquando il giudice pervenga all'affermazione di responsabilità con argomenti che prescindono dalle valutazioni del consulente (Sez. IV, n. 24455 del 22.4.2015, rv. 263731);

8.4. i numerosi motivi di ricorso degli imputati che lamentano vizi di motivazione in relazione all'affermazione di responsabilità agli effetti penali, in virtù dell'intervenuta declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, non sono valutabili, poiché gli eventuali vizi di motivazione della decisione impugnata in ipotesi ravvisabili non sarebbero rilevabili, evidente apparendo che la motivazione della sentenza impugnata (in particolare, f. 11 ss.) non risulta del tutto carente né meramente apparente, e non essendo stata proposta dagli imputati valida e tempestiva rinunzia alla prescrizione. 8.5. l'ottavo motivo del ricorso LA KKK è anche palesemente privo della necessaria specificità, non indicando compiutamente le doglianze asseritamente rimaste senza risposta, ma limitandosi in ammissibilmente a richiamare per relationem quanto già costituente oggetto di appello.

9. Vanno, pertanto, esaminate soltanto le limitate, residue, censure riguardanti le affermazioni di responsabilità agli effetti civili.

9.1. A tale riguardo, richiamati i premessi rilievi in diritto quanto ai limiti del sindacato di legittimità in presenza di una doppia conforme affermazione di responsabilità (pur se, nel caso di specie, limitata ai meri effetti civili), osserva il collegio che i ricorsi sono integralmente inammissibili perché presentati per motivi non consentiti, o comunque assolutamente privi di specificità in tutte le loro articolazioni (in quanto meramente reiterativi di doglianze già esaminate e non accolte dalla Corte di appello): i ricorrenti in concreto non si confrontano adeguatamente con la motivazione della Corte di appello, che ripropone legittimamente le richiamate considerazioni del primo giudice, condivise perché suffragate dagli elementi acquisiti (di qui, la manifesta infondatezza del primo motivo del ricorso GG), valorizzando a fondamento dell'affermazione di responsabilità civile in danno di entrambi i ricorrenti gli elementi dettagliatamente riepilogati a f. 11 ss. della sentenza impugnata (e che in questa sede si richiamano integralmente), oltre che a f. 70 ss. della sentenza di primo grado (richiamata, come è fisiologico in presenza di una doppia conforme affermazione di responsabilità, sia pure ai soli effetti civili), ed in particolare:

- la natura fraudolenta della lettera d'intenti menzionata a f. 11 s., tale perché proveniente da ente risultato inesistente come istituto di credito ed in realtà non documentante alcuna disponibilità finanziaria di AAA s.r.l.;

- il rilievo che, ai sensi dell'art. 6 I. n. 488/92 (decreto n. 572/95: f. 12 della sentenza impugnata), non corrispondeva, quindi, al vero che "un documento attestante una cospicua disponibilità finanziaria da parte del soggetto richiedente il finanziamento agevolato fosse elemento superfluo e del tutto privo di rilievo nella procedura in questione";

- la circostanza, pacifica e non contestata, che "non vi fosse stata alcuna operazione finanziaria da parte dell'AAA s.r.l. per rendere disponibile" la liquidità necessaria, e che la dichiaratamente svolta indagine di mercato non ebbe in realtà luogo;

- l'acquisto per un prezzo notevolmente inferiore a quello dichiarato e finanziato dei necessari macchinari;

- le dichiarazioni delle imprese fornitrici italiane (f. 15 s.) circa il fatto che le trattative erano intervenute sempre anche con il GG (non mero consulente, ma effettivo co-gestore di fatto delle attività societarie), che, come il PP, si presentava spendendo il nome della ISE: "da questo elemento emerge, infatti, come la ISE altro non fosse se non un ulteriore tassello del fraudolento disegno fraudolento in essere. L'anima e la volontà della ISE non a caso era, di fatto, ancora una volta costituita dalle persone di GG e PPP (che, peraltro, sono anche, rispettivamente, legati alle socie dell'AA ZZZ e YYY da rapporto di coniugio". Quest'ultimo legame risulta particolarmente eloquente, confermando l'assunto del consapevole inserimento degli odierni imputati nel meccanismo fraudolento enucleato dagli inquirenti;

- l'inesistenza dei trasporti di macchinari dall'Inghilterra in apparenza documentati (in particolare f. 15 della sentenza impugnata e f. 18 ss. e f. 22 ss. e f. 34 s. dell'esame dibattimentale del trasportatore XXX);

- le dichiarazioni del trasportatore XXX circa il ruolo inequivocabilmente di gestione (e non di mera consulenza) del GG (f. 14 ss. e 17 ss. dell'esame dibattimentale);

- i rilievi riguardanti i costi effettivi degli impianti realizzati e la ricostruzione del c.d. "carosello finanziario" cui i ricorrenti hanno fatto plurimi riferimenti (f. 15 s. della sentenza impugnata);

- le conseguenze dannose per il Ministero dello Sviluppo Economico della condotta accertata, pur arrestatasi allo stadio del tentativo (f. 17).

La contestazione a titolo di concorso nel reato ex artt. 110 ss. evidenzia l'irrilevanza delle reiterate doglianze della ZZZ, inutilmente miranti a rivendicare di non essere stata autrice materiale di alcuna delle condotte accertate e valorizzate dai giudici del merito, in quanto da esse ella trasse pur sempre, e consapevolmente, vantaggio, in ragione della qualità sociale ricoperta.

Ai fini del coinvolgimento dell'imputata quale concorrente nelle accertate condotte fraudolente, sono stati, in particolare, valorizzati (cfr. in particolare f. 72 s. della sentenza di primo grado, richiamata da quella di appello), oltre al già menzionato legame di coniugio con il coimputato solo in apparenza extraneus, ma in realtà vero dominus della accertate attività, ed all'evidenza del rilievo che, nell'assunzione della predetta qualità "sociale", la donna si è necessariamente rappresentata l'evenienza della possibile illiceità delle altrui condotte, nondimeno mai avversate, anche la partecipazione all'assemblea che aveva deliberato i menzionati aumenti di capitale, ed i benefici che, nel complesso, anch'ella avrebbe tratto dalle condotte fraudolente accertate.

9.2. La Corte di appello, nel contesto della riferita disamina, ha rivalutato e valorizzato il medesimo compendio probatorio già sottoposto al vaglio del Tribunale e, dopo avere preso atto delle censure degli appellanti (puntualmente esaminate, e rigettate), è giunta alle medesime conclusioni in termini di sussistenza della responsabilità (agli effetti civili) degli imputati.

9.3. Con tali argomentazioni i ricorrenti in concreto non si confrontano adeguatamente, limitandosi a riproporre una diversa "lettura" delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture (come specificamente evidenziato dalla Corte di appello), senza documentare nei modi di rito eventuali e decisivi travisamenti, ed in concreto limiitandosi inammissibilmente a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio acquisito e valutato conformemente dai due giudici del merito.

10. La declaratoria di inammissibilità totale dei ricorsi comporta, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna di entrambi i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché - apparendo evidente che essi hanno proposto i ricorsi determinando le cause d'inammissibilità per colpa (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) e tenuto conto della rilevante entità delle rispettive colpe - della somma di Euro millecinquecento ciascuno in favore della Cassa delle Ammende a titolo di sanzione pecuniaria.

I ricorrenti vanno inoltre condannati alla rifusione in solido delle spese processuali del grado in favore della parte civile costituita Ministero dello Sviluppo Economico, liquidate in euro quattromiladuecento, oltre 15% per rimborso spese forfettario, CPA ed IVA.

P.Q.M.

dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di millecinquecento euro alla Cassa delle ammende, oltre alla rifusione in solido delle spese processuali del grado in favore della parte civile costituita Ministero dello Sviluppo Economico, liquidate in euro quattromiladuecento, oltre 15% per rimborso spese forfettario, CPA ed IVA.


Così deciso in Roma, udienza pubblica 18 novembre 2016.

Il Consigliere estensore: BELTRANI SERGIO

Il Presidente: DIOTALLEVI GIOVANNI
 

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