Revisione, prova nuova, decreto di archiviazione, esclusione

Corte di Cassazione, sez. II Penale, Sentenza n.2933 del 15/12/2021 (dep. 26/01/2022)

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Revisione, prova nuova, decreto di archiviazione, esclusione

In tema di revisione, non costituisce prova nuova ai sensi dell'art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., il decreto di archiviazione, quale decisione allo stato degli atti, di natura endoprocedimentale, non irrevocabile, alla quale può sempre seguire la riapertura delle indagini.

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Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza n. 2933 del 26/01/2022

Presidente: RAGO GEPPINO
Relatore: MINUTILLO TURTUR MARZIA
Data Udienza: 15/12/2021


SENTENZA

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 23/03/2021 la Corte di appello di Messina ha dichiarato inammissibile l'istanza di revisione proposta nell'interesse di FFF e MMM.

2. Hanno proposto ricorso FFF e MMM a mezzo del proprio difensore Avv. Emanuela Fragalà, chiedendo l'annullamento dell'ordinanza della Corte di appello di Messina, articolando quattro motivi di ricorso.

2.1. Con il primo motivo, articolato in diverse censure, è stata dedotta violazione di legge in relazione al disposto degli artt. 630 e seg. cod. proc. pen. e 378 cod. pen.; l'ordinanza è stata emessa in violazione di legge ricorrendo l'ipotesi disciplinata dall'art. 630, lett. c), cod. proc. pen. in presenza di prova nuova sopravvenuta; è stato inoltre violato il disposto di cui all'art. 634 cod. proc. pen. poiché il caso in esame imponeva l'instaurazione del contraddittorio tra le parti. La difesa ha dedotto la ricorrenza di prova nuova rappresentata dal decreto di archiviazione emesso nei confronti di CCC nell'ambito del procedimento n. 2917/2017 RGNR; la ricorrenza di prova nuova è stata erroneamente esclusa dalla Corte di appello che ha rilevato che la revisione costituisce rimedio straordinario e non impugnazione delle precedenti pronunce, mentre al contrario il decreto di archiviazione rappresenta all'evidenza una prova nuova, perché emesso successivamente ed incidente sulla posizione dei condannati, attesa la diretta correlazione tra la condanna a carico degli stessi ai sensi dell'art. 378 cod. pen. e il reato presupposto, ovvero la partecipazione ad un'associazione di stampo mafioso, originariamente imputata al CCC.

2.2. Con il secondo motivo di ricorso è stato dedotto vizio della motivazione per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della stessa, in relazione alla richiesta di revisione per la condanna relativa al reato di cui all'art. 378 cod. pen., laddove assume che il decreto di archiviazione si sarebbe limitato a dare atto di una mancanza indiziaria tale da non rendere sostenibile l'accusa in giudizio a fronte dell'opposto dato letterale contenuto nella richiesta di archiviazione; il favoreggiamento si deve intendere posto in essere solo ed esclusivamente nei confronti del CCC e non dell'associazione mafiosa, con conseguente necessità di giungere al proscioglimento dei ricorrenti a fronte della dichiarata insussistenza della partecipazione del CCC all'associazione mafiosa.

2.3. Con il terzo motivo è stata dedotta motivazione mancante, assente e manifestamente illogica in relazione alla condanna del FFF per il reato di cui all'art. 326 cod. pen.; non è stata semplicemente allegata l'assoluzione della PPPP, ma è invece stata evidenziata la ricorrenza di un insanabile contrasto tra giudicati, in mancanza di qualsiasi contatto tra la PPPP e il FFF, mentre la condotta della PPPP era da correlare esclusivamente al MMM suo compagno, che lavorando presso l'ufficio del gratuito patrocinio non si poteva ritenere soggetto titolare del diritto di conoscere fatti coperti da segreto.

2.4. Con il quarto motivo è stata dedotta violazione di legge in relazione al disposto degli artt. 630 e 634 cod. proc. pen. La Corte di appello di Messina, quanto al reato contestato al FFF ai sensi dell'art. 326 cod. pen., ha dichiarato de plano l'inammissibilità in mancanza dei presupposti normativi, non adducendo alcuna motivazione idonea, mentre invece sarebbe stato necessario procedere all'instaurazione del contraddittorio.

3. La Procura Generale con requisitoria scritta e conclusioni ai sensi dell'art. 23 del d.l. n. 137 del 2020 ha concluso chiedendo che, in accoglimento del primo e del secondo motivo di ricorso e limitatamente ad essi, venga annullata l'ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di appello competente ex art. 11 cod. proc. pen. e per l'inammissibilità del ricorso nel resto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato, perché articolato con motivi generici e aspecifici che, oltre a riproporre una mera lettura di elementi di fatto già sottoposta negli stessi termini alla Corte di appello di Messina, non si confrontano in alcun modo con il contenuto dell'ordinanza impugnata, che confuta, in maniera puntuale e con considerazioni immuni dai denunciati vizi motivazionali e di violazione di legge, le identiche doglianze articolate in sede di istanza di revisione.

2. Il primo motivo e il secondo motivo di ricorso possono essere trattati congiuntamente attesa l'identità delle ragioni poste a fondamento degli stessi. I motivi sono manifestamente infondati. L'asserita violazione di legge deriverebbe dal non aver considerato quale prova nuova l'intervenuto decreto di archiviazione (peraltro non allegato). Il tema proposto è stato considerato dalla Corte di appello, che ha chiarito portata e ambito del decreto di archiviazione in relazione alla sua specifica caratteristica rappresentata dalla non definitività delle conclusioni assunte e, dunque, dall'impossibilità di considerare tale epilogo processuale come una prova nuova. In tal senso, la Corte di appello ha correttamente applicato il principio di diritto affermato dalla giurisprudenza di legittimità secondo il quale, in tema di revisione, per prove nuove rilevanti a norma dell'art. 630, lett. c), cod. proc. pen., ai fini dell'ammissibilità della relativa istanza, devono intendersi non solo le prove sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite, ma non valutate neanche implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice (Sez. 5, n. 12763 del 09/01/2020, Eleuteri, Rv. 279068 - 01).

Ciò posto, appare evidente come la natura di atto endo-procedimentale del decreto di archiviazione, il suo caratterizzarsi quale decisione allo stato degli atti, non irrevocabile, al quale può sempre seguire la possibilità di una riapertura delle indagini sia di per sé inconciliabile con il concetto di prova nuova. Difatti, la natura dell'archiviazione quale atto del procedimento per sua natura non suscettibile di passare in giudicato rende evidente come lo stesso non possa essere posto a base di un'istanza di revisione, apparendo adeguato un limite di tal genere, secondo criteri di ragionevolezza, quanto alla previsione di limiti oggettivi alla revisione, per le esigenze di certezza e stabilità sottese al principio di intangibilità del giudicato (Sez. 3, n. 10407 del 16/01/2020, Esposito, Rv. 278541-01). Inoltre, occorre considerare come, evidentemente, la parte ricorrente con la propria istanza di revisione tenda a far rientrare in modo improprio il decreto di archiviazione quale elemento per richiedere la revisione nell'ambito del disposto di cui all'art. 630, lett. c), cod. proc. pen. quale prova nuova, nonostante l'evidente natura di epilogo decisorio a carattere non definitivo dello stesso, atteso che secondo interpretazione, già consolidata ed anche risalente, della giurisprudenza di legittimità il decreto di archiviazione non può rientrare neanche nell'ambito della lett. a), tanto che si è affermato che non può essere assimilato alla sentenza e al decreto penale di condanna (Sez. 6, n. 3556 del 22/11/1996, Mattera, Rv. 208663-01).

D'altra parte si è chiarito che il provvedimento di archiviazione disciplinato dagli artt. 408 e seg. cod. proc. pen. è un provvedimento concepito dal legislatore come anteriore all'esercizio dell'azione penale, correlato all'insussistenza degli estremi per esercitarla, che in nessun modo può pregiudicare gli interessi della persona indicata come responsabile nella notizia di reato o l'interesse della pubblica accusa a riaprire le indagini nel caso previsto dall'articolo 414 cod. proc. pen. Ne consegue che per la natura di provvedimento "neutro" non ne sono previsti mezzi di impugnazione, essendo esperibile solo il ricorso per cassazione connesso all'eventuale abnormità del decreto di archiviazione, a norma dell'articolo 111 della Costituzione, qualora il provvedimento sia caratterizzato da vizi "in procedendo" o "in iudicando" del tutto imprevedibili per il legislatore che non ha contemplato per esso alcun mezzo d'impugnazione (Sez. 3, n. 818 del 17/11/2015, Bartone, Rv. 266176-01; Sez. 1, n. 1560 del 23/02/1999, Bentivegna, Rv. 213979-01).

Proprio l'affermato richiamo alla natura "neutra" del provvedimento di archiviazione evidenzia l'incompatibilità con la nozione di prova nuova introdotta dal ricorrente in sede d'istanza di revisione e la conseguente correttezza della decisione della Corte di appello di Messina. Nessuna contraddittorietà e illogicità si coglie, dunque, nella motivazione della Corte di appello di Messina, che ha specificamente analizzato e richiamato le condotte poste in essere dal FFF e dal MMM nell'interesse del CCC, grazie all'ausilio della PPPP (che agiva allo scopo di evitare problemi al proprio convivente MMM). Il ricorrente non si confronta con l'elemento centrale della motivazione della Corte di appello di Messina, che ha esplicitamente chiarito che il provvedimento di archiviazione non attesta affatto l'insussistenza del reato presupposto, ma al massimo la circostanza che non sono emersi elementi idonei a sostenere l'accusa nei confronti del CCC, con ciò richiamando la natura neutra del provvedimento di archiviazione di per sé incompatibile ed inconciliabile con la nozione di prova nuova. Il richiamo agli elementi oggetto di accertamento passato in giudicato, dimostrano in modo logico e coerente, in assenza di qualsiasi aporia, che, in mancanza di un accertamento che possa essere considerato legittimamente in contrasto con tale precedente decisione, l'attività posta in essere dai due ricorrenti era oggettivamente idonea ad aiutare il CCC ad eludere le investigazioni dell'autorità giudiziaria. Con tale motivazione il ricorrente non si è confrontato, limitandosi ad affermare che un decreto di archiviazione integra una prova nuova e sopravvenuta. In tal senso, tra l'altro, non ha tenuto conto del costante principio di diritto secondo il quale ai sensi dell'art. 630, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. ciò che è emendabile è l'errore di fatto e non la diversa valutazione del fatto, tanto che viene considerata inammissibile l'istanza di revisione fondata sulla circostanza che lo stesso quadro probatorio sia diversamente utilizzato per assolvere un imputato e condannare un concorrente nello stesso reato in due diversi procedimenti (Sez.5, n. 4225 del 09/12/2008, Mazzanti, Rv. 242950-01).

La considerazione dell'insieme degli elementi allegati in sede d'istanza di revisione da parte della Corte di appello evidenzia l'infondatezza del secondo motivo di ricorso non ricorrendo alcuna apparenza, illogicità manifesta o contraddittorietà, della motivazione che ha puntualmente considerato, in assenza di aporie, la portata della condotta, la sua rilevanza penale, la chiara incidenza sulla posizione del CCC, sottoposto ad indagine, con evidente turbamento delle attività investigative per il tramite di un'informazione non a carattere generico, che già sarebbe stata di per sé sufficiente, ma ben precisa e relativa proprio alle captazioni in corso quanto all'ipotizzata contiguità del CCC ad un'associazione mafiosa.

3. Con il terzo motivo di ricorso è stato dedotto vizio della motivazione perché mancante, contraddittoria e manifestamente illogica in relazione alla condanna del FFF, attesa l'intervenuta assoluzione della PPPP, in presenza di un insanabile contrasto di giudicati. Anche in questo caso il ricorrente non si confronta con la motivazione della Corte di appello, che non solo ha escluso, atteso l'esito del procedimento a carico della PPPP, un contrasto di giudicati, ma ha anche richiamato ed applicato correttamente il principio secondo il quale in tema di revisione la sentenza di assoluzione dei coimputati, pronunciata in un separato procedimento, non può essere considerata di per sé prova nuova come tale rilevante a norma dell'art. 630, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. (Sez. 4, n. 8135 del 25/10/2001, Pisano, Rv. 221097-01). La Corte di appello ha, quindi, fatto buon governo del principio, che qui si intende ribadire, secondo il quale la sentenza passata in giudicato ha un'efficacia preclusiva soltanto nei confronti del medesimo imputato e in relazione al medesimo fatto e non sussistono rimedi in caso di contrasto sostanziale di giudicati formatisi sullo stesso fatto in procedimenti diversi per imputati diversi (Sez. 1, n. 35419 del 10/06/2014, Eucaliptus, Rv. 260553-01). Non ricorre, nel caso in esame, né una prova nuova, né un contrasto di giudicati rilevante al fine di ottenere la revisione del giudizio, atteso che si è in presenza di una diversa valutazione giuridica dello stesso fatto operata da giudici diversi per imputati diversi(Sez. 5, n. 633 del 06/12/2017, Boschetti, Rv. 281928-01; Sez. 2. N. 14785 del 20/01/2017, Marinacci, Rv. 268671-01; Sez. 1, n. 8419 del 14/10/2016. Mortola, Rv. 269757-01; Sez. 6, n. 15796 del 03/04/2014, Strappa, Rv. 259804-01).

3.1. In particolare, poi, occorre considerare che la Corte di appello ha precisato che in primo grado la PPPP è stata assolta sul presupposto che la stessa, rivelando su sollecitazione del compagno il segreto d'ufficio, non intendesse favorire il CCC, ma preservare il MMM da eventuali e spiacevoli conseguenze a causa dei rapporti dello stesso con il CCC, mentre in appello la sentenza di primo grado è stata annullata, perché il fatto è diverso da quello ritenuto in sentenza, con restituzione degli atti al Pubblico Ministero. Con tale motivazione il ricorrente non si è confrontato, con ciò evidenziandosi l'assoluta genericità dei motivi proposti.

4. Infine, sia nell'ambito del primo che del quarto motivo di ricorso, è stata dedotta la violazione di legge in relazione al disposto dell'art. 630 e 634 del cod. proc. pen. Il motivo di ricorso anche in questo caso si presenta generico ed aspecifico, rilevando una violazione del contraddittorio, mentre la Corte di appello ha deciso de plano ritenendo, motivatamente e nel pieno esercizio della sua discrezionalità, la ricorrenza di un caso di inammissibilità che è di evidente ed immediato accertamento (Sez. 1, n. 26967 del 30/03/2005, Pagano, Rv. 232150- 01) in considerazione del richiamo al concetto di prova nuova riferito dai ricorrenti al decreto di archiviazione predetto. Difatti, alcuni dei casi d'inammissibilità, descritti dall'art. 634, comma 1, cod. proc. pen., sono di evidente e immediato accertamento, sicché l'adozione del rito camerale in quest'ambito si risolverebbe in uno spreco di attività giurisdizionale. È stato, dunque, fatto buon governo del principio secondo il quale spetta alla Corte di appello valutare, di volta in volta, quale sia la forma procedimentale più adeguata, contemperando l'esigenza di garanzia della partecipazione delle parti con quella di non disperdere inutilmente energie processuali (Sez. 5, n. 26480 del 04/05/2015, Corrada, Rv. 264848-01; Sez. 1, n. 47016 del 11/12/2007, Camberiati, Rv. 238318-01; Sez. 2, n. 34167 del 01/12/2005, Tavernese, Rv. 235305-01).

5. Il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.


Così deciso in Roma il 15 dicembre 2021

Il Consigliere est.
MINUTILLO TURTUR MARZIA

Il Presidente
RAGO GEPPINO

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