Pubblicato il

Avvocato sbaglia ad impugnare? Rimessione in termini esclusa

Corte di Cassazione, sez. III Penale, Sentenza n.32497 del 21/06/2022 (dep. 05/09/2022)

Se l'avvocato, per errore causato da ignoranza della legge processuale, non propone appello, l'imputato non può essere rimesso in termini.

È questo l'epilogo della vicenda di cui si è occupata la Terza Sezione Penale della Cassazione con la sentenza n. 32497 depositata il 5 settembre 2022.

La Suprema Corte ricorda che l'art. 175 c.p.p. prevede la restituzione dei termini solo se l'impedimento è stato determinato da forza maggiore o caso fortuito.

La tardiva impugnazione da parte del difensore per mancata corretta conoscenza delle norme di legge, tuttavia, non rientra fra queste ipotesi.

Tutto bene?

Mah, se il principio fosse espresso in ambito civilistico, nulla quaestio: alla fine di pecunia si tratta e l'ordinamento può prevedere la risarcibilità in termini economici per equivalente di tutti i diritti. Di conseguenza c'è sempre la possibilità di rivalersi su all'avvocato, che comunque è coperto da un’assicurazione per la responsabilità professionale.

Ma quando la questione ha effetti penali, ma si potrebbe anche allargare anche altri effetti non commutabili che nello stesso modo in termini risarcitori, come i diritti personalissimi e inalienabili, le cose diventano più complicate. Escludere la forza maggiore e il caso fortuito quando l’avvocato si è sbagliato, appare eccessivamente punitivo per l’imputato.  

C’è una sorta di presunzione di malafede, come se l'avvocato si potesse prestare a fare appositamente scadere termini.

Si potrebbe ipotizzare un rimedio per queste situazioni, evitando magari di tenere in carcere chi potrebbe dimostrare di essere innocente e non lo fa perché il suo avvocato ha avuto una défaillance giuridica.

Restituzione in termini, errore del difensore nell'individuazione dei termini di impugnazione della sentenza, ignoranza della legge processuale, caso fortuito o forza maggiore, esclusione

L'errore del difensore nell'individuazione dei termini di impugnazione della sentenza causato da ignoranza della legge processuale non può mai costituire caso fortuito o forza maggiore, legittimanti la restituzione in termini. 

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

Corte di Cassazione, sez. III Penale, Sentenza n. 32497 del 21/06/2022 (dep. 05/09/2022)

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 28.2.2022 la Corte di Appello di Lecce - Sezione distaccata di Taranto ha confermato il rigetto della richiesta di restituzione in termini svolta da D.S.S. al fine di impugnare la sentenza di condanna alla pena di nove anni di reclusione pronunciata nei suoi confronti dal Gup presso il Tribunale di Taranto in data 11.6.2021, essendo stato dichiarato inammissibile per intempestività l'atto di appello proposto avverso la suddetta pronuncia.

2. Avverso il suddetto provvedimento l'istante ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione affidando le proprie doglianze ad unico motivo con il quale deduce il travisamento della prova per avere la Corte di appello omesso di valutare il contenuto del già proposto ricorso per cassazione avverso la declaratoria di tardività dell'appello giusta ordinanza pronunciata dalla Corte di appello di Lecce in data 19.1.2022, con il quale si evidenziava che la violazione dei termini previsti per l'impugnativa era da ascriversi non già a negligenza o trascuratezza, bensì alla non perfetta conoscenza delle norme di legge, ovverosia ad un errore di diritto, avendo i due difensori nominati dall'imputato ritenuto che trovasse applicazione nel computo dei termini previsti per l'appello la sospensione feriale, nonché la previsione di cui all'art. 442 c.p.p. comma 3. Censura, in secondo luogo, l'affermazione secondo la quale il mancato rispetto dei termini per l'impugnazione non legittima in nessun caso l'imputato a presentare istanza di restituzione in termini in quanto in contrasto con la specifica precedente pronuncia di questa Corte che ha, al contrario, stabilito che "e' illegittimo il diniego della richiesta di restituzione in termini per la presentazione dei motivi di appello ex art. 175 c.p.p., quando l'omesso adempimento dell'incarico di proporre impugnazione da parte del difensore di fiducia, non attivatosi contrariamente alle aspettative dell'imputato, sia stato determinato da una situazione di imprevedibile ignoranza della legge processuale penale, tale da configurare un'ipotesi di caso fortuito o forza maggiore" (Sez. 6, Sentenza n. 35149 del 26/06/2009, Rv. 244871 in una fattispecie in cui il difensore di fiducia di un imputato, ristretto in casa circondariale, non aveva proposto appello facendo scadere i termini perché non era a conoscenza delle regole sull'impugnazione). Rileva altresì come, anche alla luce della giurisprudenza CEDU, il giudice nazionale debba riconoscere concreta effettività ai diritti processuali dell'imputato, non assicurata dalla nomina di un avvocato, nell'ipotesi in cui le carenze difensive di costui siano manifeste e siano state comunque portate alla sua attenzione, provvedendo ad eliminare le conseguenze negative del suo operato onde evitare che ricadano pregiudizievolmente sulla parte assistita. Contesta in ogni caso la contraddittorietà della decisione impugnata che, da un lato, riconosceva che il D.S. aveva nominato ben due difensori di chiara fama e nota competenza professionale e dall'altro riteneva censurabile la condotta del medesimo per non aver scelto un difensore professionalmente capace, censura questa priva di fondamento avendo l'imputato ripetutamente sollecitato i propri difensori a presentare rituale e tempestivo appello e ricevuto da costoro le debite rassicurazioni. Conclude, quindi, chiedendo in via principale l'annullamento dell'ordinanza impugnata con ogni effetto consequenziale e, in subordine, sollevarsi questione di illegittimità costituzionale dell'art. 175 c.p.p. nella parte in cui non prevede la restituzione in termini per proporre appello in caso di tardiva impugnazione da parte del difensore per mancata corretta conoscenza delle norme di legge in violazione degli artt. 3,24,11 e 117 Cost..

3. Con successiva memoria redatta in data 14.6.2022 la difesa, nel sottolineare l'inesigibilità da parte del D.S., di età avanzata, nonché assolutamente carente delle basilari necessarie competenze tecnico giuridiche, di una costante verifica sull'operato dei suoi difensori non essendo in grado di sindacarne in anticipo le scelte tecniche in ordine alla data di proposizione dell'impugnazione, e al contempo l'impossibilità per costui di prevedere una simile radicale ignoranza della legge processuale penale da parte dei professionisti che avevano accettato il suo patrocinio, ha ulteriormente illustrato le doglianze contenute nel ricorso, insistendo nelle già rassegnate conclusioni.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Muovendo dalla premessa, evincibile dalla stessa littera legis, secondo cui presupposti legittimanti la richiesta di restituzione in termini sono la forza maggiore ed il caso fortuito, va precisato in termini generali che ricorre la prima in presenza di un impedimento umano o naturale, derivante da cause esterne non imputabili all'agente, al quale non può opporsi una diversa determinazione volitiva e che, perciò, è irresistibile, mentre si definisce caso fortuito ogni evento non evitabile con la normale diligenza e non imputabile al soggetto a titolo di colpa o dolo. Ciò che caratterizza il caso fortuito è la sua imprevedibilità, mentre nota distintiva della forza maggiore è l'elemento della irresistibilità, laddove connotazione comune ad entrambi gli istituti è la inevitabilità del fatto sopravvenuto nella concatenazione causale (Sez. U, n. 14991 del 2006, De Pascalis, in motivazione).

Ne consegue che il mancato o inesatto adempimento da parte del difensore di fiducia dell'incarico di proporre impugnazione, ascrivibile ad un errore nell'individuazione del termine di impugnazione della sentenza per ignoranza della legge processuale, non sia idoneo ad integrare le ipotesi di caso fortuito e di forza maggiore legittimanti la restituzione in termini poiché consiste in una falsa rappresentazione della realtà, superabile mediante la normale diligenza ed attenzione. In tali termini risulta essersi pressoché univocamente pronunciata questa Corte di legittimità avendo affermato che l'errore del difensore nell'individuazione dei termini di impugnazione della sentenza causato da ignoranza della legge processuale non può mai costituire caso fortuito o forza maggiore (Sez. 2, Sentenza n. 13803 del 10/03/2021, Pinna, Rv. 281033; Sez. 4, Sentenza n. 55106 del 18/10/2017, Hudorovic, Rv. 271660; Sez.2, n. 16066 del 02/04/2015, Costica, Rv. 263761; Sez.4, n. 20655 del 14/03/2012, Ferioli, Ry.254072; Sez.5, n. 43277 del 06/07/2011, Mangano, Rv. 251695; Sez. 2, n. 48243 del 11/11/2003, La Spina, Rv. 227085), laddove il precedente citato dalla difesa (Sez. 6, n. 35149 del 26/06/2009, A., Rv. 244871 che afferma che ricorrono i presupposti per la restituzione in termini quando l'omesso adempimento dell'incarico di proporre impugnazione da parte del difensore di fiducia, non attivatosi contrariamente alle aspettative dell'imputato, sia stato determinato da una situazione di imprevedibile ignoranza della legge processuale penale), rimasto isolato, non può essere condiviso da questo Collegio. Ed invero, quand'anche non si concordi in ordine alla sussistenza di un onere di vigilanza, affermato dalla prevalente giurisprudenza, da parte dell'imputato sull'operato del difensore e a fortiori di scelta di un professionista tecnicamente valido posto che essendo il primo chiamato a stare in giudizio attraverso una rappresentanza tecnica non può essere in grado, se non ricorrendo ad una fictio juris, di supervisionare le capacità e le competenze processuali dell'avvocato nominato per la sua difesa nel processo, va tuttavia rilevato che l'ignoranza da parte del legale, che abbia accettato il patrocinio attraverso un valido mandato, delle regole elementari in tema di decorrenza dei termini di impugnazione equivale comunque ad un caso di grave negligenza, che risolvendosi in un errore di diritto inescusabile tale da escludere il caso fortuito o la forza maggiore, non integra un fatto impeditivo, estraneo alla volontà della parte. E se è vero che le conseguenze dell'incompetenza del difensore ricadono direttamente sul suo assistito anche in termini di libertà personale, ciò è comunque quanto accade in tutti i casi di negligenza professionale che, potendo essere di norma prevedìbile, investe il soggetto in nome e per conto del quale il difensore opera nel processo, senza che perciò possano essere invocati i presupposti legittimanti, nei limiti rigorosi fissati dall'art. 175 c.p.p., la richiesta di restituzione in termini.

Dei resto, il difensore è tenuto ad adempiere all'obbligazione inerente all'esercizio del mandato con la diligenza non già del buon padre di famiglia, bensì di quella professionale media commisurata, ai sensi dell'art. 1176, comma 2, c.c., alla natura dell'attività necessaria in relazione alla natura e all'importanza dell'attività professionale esercitata in concreto, diligenza nella quale rientra non solo l'obbligo di proporre soluzioni favorevoli agli interessi del cliente, anche nelle situazioni che richiedono la soluzione di problemi interpretativi complessi, e di attivarsi concretamente nel giudizio con gli strumenti offerti dal diritto processuale, ma altresì di osservare il fondamentale dovere di precauzione, cioè "adottare la condotta più idonea a salvaguardare gli interessi del cliente" (Sez.3 civ. n. 20995 del 27/11/2012): ciò significa che, nella pluralità dei significati plausibili inclusi nel potenziale semantico del testo legislativo, deve scegliere quello più rigoroso, ovvero il senso che ponga la parte assistita quanto più possibile al riparo da decadenze e preclusioni. Certamente rientra, quindi, tra i suoi compiti professionali il dovere di attivarsi e verificare i termini di impugnazione, senza che neppure possa invocarsi nel caso di specie l'incertezza dell'interpretazione normativa o la peculiare complessità della questione, stante il pacifico orientamento giurisprudenziale -configurante comunque uno "strumento percettivo e recettivo, non correttivo e/o sostitutivo della voluntas legis" - che esclude l'applicabilità della sospensione dei termini feriali a quelli di redazione della sentenza oggetto di gravame.

Va, invero, ricordato che nel rapporto professionale con il cliente la responsabilità dell'avvocato è in ogni caso esclusa nei casi di risoluzione di questioni interpretative di particolare difficoltà o opinabili (art. 2236 c.c.), a meno che non risulti che questi abbia agito con dolo o colpa grave (Sez. 2 civ., 11 agosto 2005, n. 16846), ma non per questo la parte ha diritto alla rimessione in termini nel compimento di attività precluse o per le quali è decaduta, occorrendo pur sempre l'esistenza di uno stato di fatto configurabile come causa non imputabile cui la decadenza o la preclusione siano immediatamente riconducibili. Deve trattarsi di un "fatto incolpevole che si collochi del tutto al di fuori della sua sfera di controllo e che avrebbe, altrimenti, un effetto lesivo del suo diritto di difesa in violazione dell'art. 24 Cost.".

Ciò in coerenza anche con le indicazioni della giurisprudenza delle sezioni civili, secondo la quale la decadenza da un temine processuale, ivi compreso quello per impugnare, non può ritenersi incolpevole e giustificare, quindi, la rimessione in termini, ove sia avvenuta per errore di diritto, il quale non può, di regola giustificare impugnazioni tardive. E' stato infatti reiteratamente affermato che la rimessione in termini per causa non imputabile, in entrambe le formulazioni normative succedutesi ratione temporis nella regolamentazione dell'analogo istituto processual civilistico (artt. 184 bis e 153 c.p.c.), ossia per errore cagionato da fatto impeditivo estraneo alla volontà della parte, non è invocabile in caso di errori di diritto nell'interpretazione della legge processuale, pur se determinati da difficoltà interpretative di norme nuove o di complessa decifrazione, postulando la causa non imputabile che legittima la rimessione in termine il verificarsi di un evento che presenti il carattere della assolutezza - e non già una impossibilità relativa, né tantomeno di una mera difficoltà - e che sia in rapporto causale determinante con il verificarsi della decadenza (Sez. 5 civ., Sentenza n. 8151 del 22/04/2015, Rv. 635306; Sez. 3 civ., Ordinanza n. 17729 del 06/07/2018, Rv. 649726, principio da ultimo ribadito dalle Sezioni Unite civili con riferimento all'impugnabilità del lodo arbitrale con la sentenza n. 4135 del 12/02/2019, Rv. 652852 - 03).

Analogamente, nella giurisprudenza amministrativa è stato ritenuto che il beneficio della rimessione in termini per errore scusabile, previsto dall'art. 37 c.p.a., rivesta carattere eccezionale nella misura in cui si risolve in una deroga al principio fondamentale dei perentorietà dei termini processuali, ed è soggetto a regole di stretta interpretazione, essendo i termini stabiliti dal legislatore per ragioni di interesse generale (ex multis Cons. di Stato, Sez. III, 25 gennaio 2018, n. 529; Sez. IV, 28 aprile 2017, n. 1965; Cons. di Stato, sez. IV, 14 maggio 2015, n. 2458 che ha precisato che un uso eccessivamente ampio della discrezionalità del giudice che l'istituto presuppone, lungi dal rafforzare l'effettività della tutela giurisdizionale, potrebbe alla fine risolversi in un grave vulnus del pariordinato principio di parità delle parti sul versante del rispetto dei termini perentori stabiliti dalla legge processuale).

Quanto alla giurisprudenza sovrannazionale, deve rilevarsi che anche la Grande Camera della Corte EDU non solo ha escluso, in termini generali, non ravvisando alcuna violazione dell'art. 6 CEDU, che lo Stato sia tenuto a svolgere un'attività di supplenza per colmare le eventuali mancanze della parte o della difesa (sentenza Hermi c/ Italia del 18 ottobre 2006), ma, investita della specifica questione dell'istituto della rimessione in termini, ha puntualizzato come non potesse sovrapporsi alla fattispecie regolata dall'art. 175, comma 1, c.p.p. la diversa ed autonoma ipotesi in cui la parte non abbia avuto effettiva conoscenza del provvedimento da impugnare, affermando che l'istituto in esame si propone di ovviare alla mancanza di conoscenza effettiva (del giudizio) da parte dell'imputato, quando quest'ultima non è il risultato di comportamento intenzionale (doloso) e sia stata fornita la prova di un impedimento configurante causa di forza maggiore (Corte EDU 14 dicembre 2006, Ay Ali c/ Italia).

Al contrario, i precedenti della Corte EDU invocati dalla difesa attengono a fattispecie radicalmente diverse dalla restituzione in termini per essere il difensore incorso in un termine previsto a pena di decadenza a fini impugnatori, sulla quale i giudici sovrannazionali non risultano essersi pronunciati in termini diversi da quelli appena riportati. Nella causa Sannino c. Italia (sentenza 27 aprile 2006) la Corte Europea ha censurato la condotta dell'autorità giudicante che, essendo venuta a conoscenza che il difensore nominato d'ufficio al ricorrente era stato informato della data della successiva udienza, ma non della propria nomina, non ha accordato un rinvio per consentire ai difensori di volta in volta nominati in sostituzione per approfondire il caso del quale non vi era prova che fossero pienamente a conoscenza, ritenendo che la mancanza di adeguata rappresentanza e difesa dell'imputato, rappresentato da un diverso difensore ad ogni udienza, integrasse una violazione dell'art. 6 CEDU. Anche nel caso Goddi c. Italia (sentenza 9 aprile 1984), concernente un giudizio penale nel quale il difensore incaricato non aveva avuto a disposizione tempo sufficiente e mezzi adeguati a predisporre la difesa la Corte Europea ha ravvisato la violazione della regola dell'equo processo nella condotta tenuta dalla Corte di appello che, trovandosi l'imputato in carcere e non essendo stato possibile per il suo difensore che non era stato avvisato della data dell'udienza, aveva incaricato un avvocato d'ufficio senza però rinviare la causa ad altra udienza per concedergli il tempo necessario a studiare il processo.

Il ricorso deve, in conclusione, essere rigettato non sussistendo comunque i presupposti alla luce dell'infondatezza della tesi patrocinata dalla difesa per ravvisare alcuna questione di illegittimità costituzionale, peraltro solo genericamente prospettata essendosi il ricorrente limitato ad indicare le norme della Carta fondamentale asseritamente in contrasto con l'art. 175 c.p.p. nella parte in cui non prevede la restituzione in termini per proporre appello in caso di tardiva impugnazione da parte del difensore per mancata corretta conoscenza delle norme di legge, senza neppure indicarne le ragioni.

Segue a tale esito la condanna, a norma dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 21 giugno 2022.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2022.

©2022 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472