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Reati tributari, precisata la qualifica di amministratore di fatto

Corte di Cassazione, sez. II Penale, Sentenza n.36556 del 24/05/2022 (dep. 27/09/2022)

In tema di reati tributari quali sono i criteri per attribuire ad un soggetto la qualifica di amministratore "di fatto" di una società?

Si occupa della questione la Seconda Sezione Penale della Cassazione con la sentenza n. 36556 depositata il 27 settembre 2022.

La Suprema Corte ricorda che ai fini della qualifica di amministratore "di fatto", non occorre l'esercizio di "tutti" i poteri tipici dell'organo di gestione, ma è necessaria "una significativa e continuativa attività gestoria, svolta cioè in modo non episodico od occasionale".

La qualifica di amministratore "di fatto" - aggiungono i giudici di legittimità - ricorre anche qualora sia esercitati soltanto alcuni poteri dell'organo di gestione; in tale caso, "spetterà al giudice del merito valutare la pregnanza, ai fini dell'attribuzione della qualifica o della funzione, dei singoli poteri in concreto esercitati".

Nel caso di specie, la Corte di appello aveva valorizzato una serie di elementi che denotavano inequivocabilmente l'attribuzione all'imputato della qualifica di amministratore di fatto della società, fra cui i numerosi rapporti con i dipendenti, i fornitori e i clienti.

Reati tributari, amministratore di fatto, nozione, poteri esercitati in concreto

In materia di reati tributari, ai fini dell'attribuzione ad un soggetto della qualifica di amministratore "di fatto" di una società, può essere valorizzato l'esercizio, in modo continuativo e significativo, e non meramente episodico od occasionale, di tutti i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione, od anche soltanto di alcuni di essi; in tale ultimo caso, peraltro, spetterà ai giudici del merito valutare la pregnanza, ai fini dell'attribuzione della qualifica o della funzione, dei singoli poteri in concreto esercitati.

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Corte di Cassazione, sez. II Penale, Sentenza n. 36556 del 24/05/2022 (dep. 27/09/2022)

RITENUTO IN FATTO

1. D.A. ricorre contro la sentenza della Corte di appello di Milano indicata in epigrafe, che ha confermato integralmente la sentenza con la quale, in data 10/02/2020, il Tribunale di Milano, all'esito del giudizio abbreviato, aveva condannato l'imputato alla pena ritenuta di giustizia in quanto colpevole dei seguenti reati:

- capo 1) concorso, in qualità di amministratore di fatto della ***** s.r.l. e determinatore delle condotte degli amministratori di diritto, in emissione continuata di fatture per operazioni inesistenti (D.Lgs. n. 74 del 2000 art. 8);

- capo 2) concorso, nella medesima duplice qualità di cui al capo 1, in occultamento continuato delle scritture contabili (D.Lgs. n. 74 del 2000 art. 10);

- capo 3) concorso, in qualità di amministratore di fatto e direttore commerciale della ***** s.r.l. dal 20/02/2015, in dichiarazione fraudolenta continuata, avendo utilizzato fatture per operazioni inesistenti per evadere il pagamento dell'IVA (D.Lgs. n. 74 del 2000 art. 2);

- capo 4) concorso, nella medesima duplice qualità di cui al capo 3, in dichiarazione infedele continuata (D.Lgs. n. 74 del 2000 art. 4);

- capo 5) concorso in autoriciclaggio continuato.

1.1. Il ricorrente ha formulato dieci motivi di ricorso, le cui argomentazioni

sono state sinteticamente ribadite in una memoria sopravvenuta.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso, proposto per motivi in parte infondati, in parte manifestamente infondati, in parte non consentiti, in parte privi della specificità necessaria ex artt. 581, comma 1, e 591, comma 1, lett. c), c.p.p., va, nel complesso, rigettato.

1. Con il primo motivo, il ricorrente ha dedotto nullità della sentenza impugnata per totale carenza di motivazione e conseguente elusione dell'obbligo di motivazione previsto dagli artt. 125, comma 3, e 546 c.p.p.: la sentenza impugnata non avrebbe esaminato le doglianze costituenti oggetto dell'atto di appello, essendosi limitata a riprodurre (neppure per relationem, ma limitandosi ad una versione sintetica, disorganica e rimaneggiata) la motivazione della sentenza del Tribunale, in un numero estremamente esiguo di pagine, peraltro prive di riferimenti normativi e giurisprudenziali.

1.1. Il motivo non è consentito.

1.1.1. Questa Corte (cfr., conclusivamente, Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027 - 04) ha ormai chiarito, in tema di ricorso per cassazione, che non è consentito il motivo con cui si deduca la violazione dell'art. 192 c.p.p., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), stesso codice, per censurare l'omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, in quanto i limiti all'ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) della medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell'inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità.

1.1.2. La violazione degli artt. 125 e 546 c.p.p. non e', pertanto, deducibile; peraltro, il motivo risulta anche privo della necessaria specificità, nella misura in cui affastella plurime doglianze senza confrontarsi dettagliatamente con le pur asseritamente sintetiche argomentazioni (ampia parte delle quali rinvia, peraltro, alle condivise affermazioni della sentenza di primo grado, come è fisiologico in presenza di una doppia conforme affermazione di responsabilità) in forza delle quali la Corte di appello le ha disattese.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente ha dedotto violazione di legge per inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale, nonché per mancanza e/o manifesta illogicità (il motivo non indica di cosa, ma deve ritenersi della motivazione) con riferimento all'attribuzione ad D.A. del ruolo di amministratore di fatto di ***** s.r.l.

2.1. Con il terzo motivo, il ricorrente ha dedotto violazione di legge per inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale, nonché per mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione con riferimento all'attribuzione ad D.A. del ruolo di amministratore di fatto di *****.

2.2. Premessa la nozione di amministratore di fatto come desumibile dall'art. 2639 c.c., nell'interpretazione datane dalla giurisprudenza (il ricorrente richiama, in proposito, Sez. 5, n. 15652 del 10/02/2020, Cagali, non massimata, che ribadisce, peraltro, un principio di diritto già in precedenza affermato da Sez. 5, n. 41793 del 17/06/2016, Ottobrini, Rv. 268273 - 01), il ricorrente lamenta che nell'atto di appello erano state copiosamente illustrate le ragioni per le quali siffatta qualifica non poteva essere attribuita all'imputato in riferimento alle predette società, ma cionondimeno la Corte di appello, senza tenere conto di quanto asseritamente chiarito in diritto dall'appellante, sarebbe rimasta sostanzialmente silente.

2.3. I motivi sono infondati.

2.3.1. L'art. 2639 c.c. stabilisce che, per i reati societari previsti dal codice civile, "al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge civile è equiparato sia chi è tenuto a svolgere la stessa funzione, diversamente qualificata, sia chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione. Fuori dei casi di applicazione delle norme riguardanti i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, le disposizioni sanzionatorie relative agli amministratori si applicano anche a coloro che sono legalmente incaricati dall'autorità giudiziaria o dall'autorità pubblica di vigilanza di amministrare la società o i beni dalla stessa posseduti o gestiti per conto di terzi".

2.3.2. Secondo la giurisprudenza, la nozione di amministratore di fatto, introdotta dall'art. 2639 c.c., postula l'esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione; nondimeno, significatività e continuità non comportano necessariamente l'esercizio di tutti i poteri propri dell'organo di gestione, ma richiedono l'esercizio di un'apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale. Ne consegue che la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell'accertamento di elementi sintomatici dell'inserimento organico del soggetto con funzioni direttive - in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell'attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare - il quale costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione (Sez. 5, n. 35346 del 20/06/2013, Tarantino, Rv. 256534 - 01; Sez. 5, n. 43388 del 17/10/2005, Carboni, Rv. 232456 - 01).

2.3.3. Anche con riguardo ai reati fallimentari, la giurisprudenza di legittimità è tradizionalmente orientata nel senso di ritenere che la posizione dell'amministratore di fatto, destinatario delle norme incriminatrici previste dalla legge fallimentare, va determinata con riferimento alle disposizioni civilistiche che, regolando l'attribuzione della qualifica di imprenditore e di amministratore di diritto, costituiscono la parte precettiva di norme che sono sanzionate dalla legge penale. Ciò comporta l'accertamento di elementi sintomatici di gestione o cogestione della società, risultanti dall'organico inserimento del soggetto - quale "intraneus" che svolge funzioni gerarchiche e direttive - in qualsiasi momento dell'iter di organizzazione, produzione e commercializzazione dei beni e servizi rapporti di lavoro con i dipendenti, rapporti materiali e negoziali con i finanziatori, fornitori e clienti- ed in qualsiasi branca aziendale, produttiva, amministrativa, contrattuale, disciplinare, con apprezzamento di fatto che è insindacabile in sede di legittimità, se sostenuto da motivazione congrua e logica (Sez. 5, n. 45134 del 27/06/2019, Bonelli, Rv. 277540 - 01; Sez. 5, n. 9222 del 22/04/1998, Galimberti, Rv. 212145 - 01; Sez. 1, n. 18464 del 12/05/2006, Ponciroli, Rv. 234254 - 01).

I destinatari delle norme di cui agli artt. 216 e 223 L. Fall. vanno, quindi, individuati sulla base delle concrete funzioni esercitate, non già rapportandosi alle mere qualifiche formali, ovvero alla rilevanza degli atti posti in essere in adempimento della qualifica ricoperta (Sez. 5, n. 19145 del 13/04/2006, Binda, Rv. 234428 - 01; Sez. 5, n. 41793 del 17/06/2016, Ottobrini, Rv. 268273 - 01: in applicazione del principio, è stata ritenuta corretta l'individuazione dell'imputato quale amministratore di fatto, in quanto effettuata sulla base di indici sintomatici quali 1. il conferimento di deleghe in suo favore in fondamentali settori dell'attività di impresa; 2. la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria; 3. la costante assenza dell'amministratore di diritto; 4. la mancata conoscenza di quest'ultimo da parte dei dipendenti).

L'orientamento è stato recentemente ribadito, più o meno negli stessi termini, da Sez. 5, n. 7437 del 15/10/2020, dep. 2021, Cimoli, Rv. 280550 - 03; per la quale, in tema di bancarotta fraudolenta, sono destinatari delle norme di cui agli artt. 216 e 223 L. Fall. i direttori generali di fatto di una società, individuati sulla base delle effettive funzioni esercitate in relazione alla gestione dell'attività imprenditoriale ed all'assetto organizzativo dell'azienda, e non già della mera qualifica formale, per nomina dell'assemblea o disposizione statutaria, ovvero della rilevanza degli atti posti in essere in adempimento della qualifica ricoperta; la citata sentenza ha precisato che, trattandosi pur sempre di funzioni apicali, le attività gestorie proprie del direttore generale di fatto devono essere svolte con continuità e significatività, in via autonoma o in un rapporto di diretta collaborazione con chi si trovi in posizione, formale o di fatto, sovraordinata.

2.3.4. Con specifico riferimento alla categoria dei reati tributari, nella quale rientrano quattro dei cinque reati contestati all'imputato, la giurisprudenza ha, infine, ritenuto che, ai fini dell'attribuzione ad un soggetto della qualifica di amministratore "di fatto", non occorre l'esercizio di "tutti" i poteri tipici dell'organo di gestione, ma è necessaria una significativa e continuativa attività gestoria, svolta cioè in modo non episodico od occasionale (Sez. 3, n. 22108 del 19/12/2014, dep. 2015, Berni, Rv. 264009 - 01.

2.3.5. Il collegio condivide i predetti orientamenti, cui intende dare continuità, evidenziando che, come emergente sia dalla disciplina legislativa riguardante specificamente i reati societari, sia dall'interpretazione giurisprudenziale in tema di reati fallimentari e tributari, ai fini dell'attribuzione ad un soggetto della qualifica di amministratore di fatto occorre il ricorrere dei medesimi requisiti, ovvero essenzialmente l'esercizio, in modo continuativo e significativo, e non meramente episodico od occasionale, di tutti i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione, od anche soltanto di alcuni di essi; in tale ultimo caso, peraltro, spetterà ai giudici del merito valutare la pregnanza, ai fini dell'attribuzione della qualifica o della funzione, dei singoli poteri in concreto esercitati.

2.3.6. Va in proposito affermato il seguente principio di diritto:

"Ai fini dell'attribuzione ad un soggetto della qualifica di amministratore "di fatto" di una società, può essere valorizzato l'esercizio, in modo continuativo e significativo, e non meramente episodico od occasionale, di tutti i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione, od anche soltanto di alcuni di essi; in tale ultimo caso, peraltro, spetterà ai giudici del merito valutare la pregnanza, ai fini dell'attribuzione della qualifica o della funzione, dei singoli poteri in concreto esercitati".

2.3.7. Ciò premesso, la Corte di appello ha valorizzato (cfr. pagg. 20 e seguente della sentenza impugnata) una serie di elementi che denotano inequivocabilmente la correttezza dell'attribuzione all'imputato della qualifica di amministratore di fatto della società *****:

- le dichiarazioni della dipendente A.P., responsabile dell'Ufficio acquisti in *****, che ha ricordato di essere stata in diretto contatto con il D., suo unico referente "che aveva il compito di amministrare la società quale direttore generale della stessa", e di essere stata sollecitata proprio dal D. a svolgere attività di supplenza in favore della *****, priva di proprio personale (pag. 19 della sentenza impugnata);

- la fittissima corrispondenza (acquisita agli atti) intrattenuta in prima persona dal D. con i numerosi attori della vicenda: l'imputato "era identificato da terzi, sia interni ( M.) che esterni ( M., S., G., V., per citarne alcuni) come figura decisiva di riferimento per ottenere direttive e a cui riferire sull'andamento delle varie operazioni" (pag. 20 della sentenza impugnata);

- le stesse dichiarazioni rese dall'imputato, che ha ammesso il suo diretto coinvolgimento nelle varie operazioni commerciali di *****.

2.3.8. Per quanto riguarda l'attribuzione all'imputato della qualifica di amministratore di fatto della società *****, sono stati valorizzati elementi forse meno pregnanti, ma ugualmente sufficienti a legittimare la contestata statuizione, quali:

- il fatto che la ***** fosse una "cartiera";

- il fatto che la ***** fosse al servizio della *****, la quale, come si è appena visto, era certamente amministrata di fatto dal D.;

- le dichiarazioni del coimputato S., legale rappresentante di ***** dal 06/03/2017, il quale ha dichiarato di aver rivestito il ruolo della "testa di legno" (pag. 20 della sentenza impugnata);

- le dichiarazioni della dipendente A.P., che ha ricordato di essere stata sollecitata proprio dal D. a svolgere attività di supplenza in favore della *****, che non aveva personale (pag. 19 della sentenza impugnata).

Sulla base dei predetti elementi fattuali, incensurabilmente valorizzati in difetto di travisamenti, la Corte di appello ha ritenuto, addivenendo a conclusioni non manifestamente illogiche, che " D. era amministratore di fatto anche della *****, in quanto dominus ed ideatore del sistema fraudolento".

2.3.9. Per tali ragioni, i motivi sono infondati e vanno rigettati.

3. Con il quarto motivo, il ricorrente ha dedotto violazione di legge per inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale e/o per carenza di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000 art. 10

La Corte di appello non avrebbe risposto ai motivi di appello, essenzialmente in ordine al fatto che se l'imputato avesse occultato/distrutto le scritture di *****, non avrebbe omesso di occultare/distruggere anche le copie detenute presso *****, ivi rinvenute ed acquisite durante le indagini, e comunque che della condotta sarebbe responsabile l'amministratore di diritto.

3.1. Il motivo non è consentito, ed e', comunque, manifestamente infondato.

3.1.1. In concreto, la difesa del ricorrente contesta la valutazione delle prove operata concordemente dai giudici del merito, offrendone una lettura alternativa, il che costituisce non consentita doglianza di natura fattuale, peraltro fondata su argomentazioni meramente riproduttive di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti, senza documentare decisivi travisamenti, concentrando, peraltro, la propria attenzione soltanto su alcuni elementi, e trascurando altri elementi pure incensurabilmente valorizzati dalla Corte di appello.

3.1.2. La prima delle due censure fonda su una congettura assolutamente indimostrata.

3.1.3. Quanto alla seconda, il ricorrente trascura di considerare che le imputazioni elevate in suo danno evocano un concorso di persone ex art. 110 c.p.: per tale ragione, diversamente da quanto la difesa del ricorrente mostra, implicitamente quanto evidentemente, di ritenere, ai fini della conclusiva affermazione di responsabilità non è necessario che l'imputato abbia posto in essere le condotte tipiche previste dalle norme incriminatrici che si assumono violate, essendo sufficiente che abbia fornito ad esse - come nella specie verificatosi - un contributo, anche atipico, di agevolazione, causalmente rilevante.

4. Con il quinto motivo, il ricorrente ha dedotto, in riferimento al reato di cui al capo 4), violazione dell'art. 4 D.Lgs. n. 74 del 2000 per carenza di motivazione con riferimento alle verifiche svolte su ***** ed alla ritenuta partecipazione di D.A. ai fatti contestati ed accertati, che comunque non integrerebbero gli elementi costitutivi del reato contestato; le considerazioni del Tribunale riguardanti le verifiche condotte da ***** quanto alla sussistenza dei requisiti per l'acquisto in esenzione IVA sarebbero erronee; non sarebbe ravvisabile l'indicazione di elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo; nulla dimostrerebbe la responsabilità del D..

4.1. Il motivo non è consentito, ed è comunque privo della specificità necessaria ex artt. 581, comma 1, e 591, comma 1, lett. c), c.p.p., in quanto meramente reiterativo di doglianze già correttamente disattese dalla Corte di appello, con argomentazioni con le quali il ricorrente in concreto non si confronta.

4.1.1. La difesa del ricorrente contesta ancora una volta la valutazione delle prove operata concordemente dai giudici del merito, offrendone una lettura alternativa, il che costituisce non consentita doglianza di natura fattuale, peraltro fondata su argomentazioni meramente riproduttive di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti, senza documentare decisivi travisamenti, concentrando, peraltro, la propria attenzione soltanto su alcuni elementi, e trascurando altri elementi pure incensurabilmente valorizzati dalla Corte di appello (pagg. 21 e seguenti della sentenza impugnata: ***** non aveva una propria struttura aziendale ed era, quindi, di necessità impossibilitata ad operare realmente; il legale rappresentante V. era in realtà un semplice operaio; l'imputato, che con il predetto soggetto aveva contatti frequenti, tutti documentati, lo sapeva bene).

5. Con il sesto motivo, il ricorrente ha dedotto, in riferimento al reato di cui al capo 5), violazione dell'art. 648-ter.1 c.p. (per insussistenza del reato ed omessa individuazione del profitto reimpiegato), con "carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della sentenza" sul punto: non sarebbe stato esaminato il motivo di appello con il quale si denunciava la confusione, nella quale sarebbe incorso il Tribunale, tra reati presupposto a condotta decettiva ed autoriclaggio; i giudici del merito avrebbero inammissibilmente legittimato la configurazione di un concorso formale dei predetti reati, commessi in riferimento alla medesima condotta, poiché il delitto di autoriciclaggio, come contestato e configurato, valorizza le medesime transazioni già valorizzate ad integrazione dei reati presupposto, ponendosi in contrasto con quanto ritenuto dalla giurisprudenza (il ricorrente cita, a sostegno del proprio assunto, Sez. 2, n. 44198 del 04/07/2019, Valguarnera, non mass.; Sez. 2, n. 16059 del 18/12/2019, dep. 2020, Fabbri, Rv. 279407 - 01/02); infine, fino a quando il reato tributario di cui all'art. 2 non risulti consumato con la presentazione della dichiarazione, non sarebbe configurabile il riciclaggio (come già ritenuto da Sez. 2, n. 30889 del 09/09/2020, Renella, Rv. 279913 - 01) e, per la medesima ragione, neppure l'autoriciclaggio.

5.1. Il motivo è infondato.

5.1.1. Questa Corte ha già ritenuto che non integra il delitto di riciclaggio la condotta di sostituzione di somme sottratte agli obblighi di pagamento fiscali mediante delitti in materia di dichiarazione, se il termine di presentazione della dichiarazione annuale non sia ancora decorso e la stessa non sia stata ancora presentata, atteso che il delitto di riciclaggio non può consumarsi prima del delitto presupposto (Sez. 2, n. 30889 del 09/09/2020, Renella Rv. 279913 - 01).

Si è chiarito che, "al fine di evitare la doppia punibilità della medesima condotta, il legislatore, con la introduzione della fattispecie di cui all'art. 648-ter. 1 c.p., ha richiesto che a seguito della consumazione del delitto presupposto vengano poste in essere ulteriori condotte aventi natura decettiva, peraltro solo costituite da impiego in attività economiche o finanziarie. Infatti (...) la sola consumazione del delitto presupposto non integra ex se anche la diversa ipotesi dell'autoriciclaggio e quindi l'atto distrattivo non può integrare allo stesso tempo bancarotta per distrazione e autoriciclaggio" (Sez. 2, n. 44198 del 04/07/2019, Valguarnera, non mass.).

Infine, in tema di autoriciclaggio, si è ritenuto che il criterio da seguire ai fini dell'individuazione della condotta dissimulatoria sia quello della idoneità "ex ante", sulla base degli elementi di fatto sussistenti nel momento della sua realizzazione, ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa del bene, senza che il successivo disvelamento dell'illecito per effetto degli accertamenti compiuti (nella specie, grazie alla tracciabilità delle operazioni poste in essere fra diverse società), determini automaticamente una condizione di inidoneità dell'azione per difetto di concreta capacità decettiva. Ne consegue che è configurabile una condotta dissimulatoria allorché, successivamente alla consumazione del delitto presupposto, il reinvestimento del profitto illecito in attività economiche, finanziarie o speculative sia attuato attraverso la sua intestazione ad un terzo, persona fisica ovvero società di persone o capitali, poiché, mutando la titolarità giuridica del profitto illecito, la sua apprensione non è più immediata e richiede la ricerca ed individuazione del successivo trasferimento (Sez. 2, n. 16059 del 18/12/2019, dep. 2020, Fabbri, Rv. 279407 - 01/02).

5.1.2. Le decisioni che precedono (richiamate anche dal ricorrente) confermano che, per configurare l'autoriciclaggio ed il reato che ne costituisce presupposto, occorrono:

- la previa consumazione del reato presupposto;

- un quid pluris intervenuto dopo la commissione del reato presupposto.

5.1.3. Nel caso in esame, correttamente, il capo d'imputazione imputa al D. ed ai concorrenti la destinazione attribuita alle somme non versate all'Erario, accreditate sui conti della ***** s.r.l. a titolo di pagamento da parte di ***** di transazioni fittizie, e successivamente veicolate in favore delle missing trader comunitarie, tra cui ***** Ltd e *****, per l'ulteriore acquisto di prodotti petroliferi dai reali fornitori di *****.

La Corte di appello (pag. 25 della sentenza impugnata) ha, sinteticamente ma esaurientemente, evidenziato la configurabilità, come necessario, di condotte distinte:

- le prime valorizzate per ritenere la previa consumazione dei reati presupposto ipotizzati (che il ricorrente non documenta in alcun modo non essere intervenuta, limitandosi a dubitarne in via meramente assertiva, formulando sul punto mere ed indimostrate affermazioni non corroborate da alcunché);

- le seconde integranti il quid pluris intervenuto dopo la commissione del reato presupposto, e connotate dalla necessaria idoneità dissimulatoria, ad integrazione dell'autoriciclaggio.

6. Con il settimo motivo, il ricorrente ha dedotto violazione degli artt. 419,441,442 c.p.p., nonché vizi di motivazione, con riferimento alla presenza, tra gli atti del procedimento, di atti acquisiti successivamente all'instaurazione del giudizio abbreviato ex art. 458 c.p.p., in concreto utilizzati a fini decisori: l'esistenza e l'utilizzazione di tali atti (ma la doglianza menziona specificamente la sola Nota Guardia di Finanza 05/04/2019) sarebbe stata conosciuta dalla difesa soltanto all'atto della lettura della motivazione della sentenza del Tribunale.

6.1. Il motivo, nella parte in cui deduce vizi di motivazione riguardanti la soluzione della dedotta questione di diritto accolta dalla Corte di appello, non è consentito.

6.1.1. Questa Corte (così, conclusivamente, Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027 - 05) è ormai ferma nel ritenere che, in tema di ricorso per cassazione, i vizi di motivazione indicati dall'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. non sono mai denunciabili con riferimento alle questioni di diritto, non solo quando la soluzione adottata dal giudice sia giuridicamente corretta, ma anche nel caso contrario, essendo, in tale ipotesi, necessario dedurre come motivo di ricorso l'intervenuta violazione di legge.

6.2. Nel resto, il motivo è privo della necessaria specificità.

6.2.1. Questa Corte (Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269218 - 01; Sez. 6, n. 41468 del 12/09/2019, Di Mauro, Rv. 277370 - 01; Sez. 5, n. 31823 del 06/10/2020, Lucamarini, Rv. 279829 - 01) ha da tempo chiarito che, nell'ipotesi in cui, con il ricorso per cassazione, si lamenti l'inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per difetto di specificità, l'incidenza dell'eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta "prova di resistenza", in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l'identico convincimento.

6.2.2. Nel caso in esame (pur volendosi prescindere dalla considerazioni in virtù delle quali la Corte di appello ha disatteso il corrispondente motivo di gravame: cfr. pag. 16 della sentenza impugnata), il ricorrente, nonostante l'acquisizione di un composito quadro probatorio, si è limitato ad indicare gli estremi dell'atto asseritamente inutilizzabile, senza nulla argomentare quanto agli elementi di prova in esso contenuti in ipotesi indebitamente utilizzati ai fini della decisione, e senza neppure articolare la - come premesso, necessaria - "prova di resistenza".

7. Con l'ottavo motivo, il ricorrente ha dedotto violazione dell'art. 191 c.p.p., nonché omessa motivazione, per asserita inutilizzabilità delle dichiarazioni rese alla Guardia di Finanza da L.S. (successivamente iscritto nel registro degli indagati, ma in precedenza assunto, in data 13/07/2017, a rendere ss.ii.tt.).

7.1. Il motivo è infondato.

7.1.1. La Corte di appello (pag. 16 della sentenza impugnata) si è limitata a richiamare puramente e semplicemente per relationem la motivazione del Tribunale (pag. 14 della sentenza di primo grado), senza confrontarsi con il corrispondente motivo di appello.

Cionondimeno, come già chiarito nel p. 6.1.1., ciò è privo di rilievo, in quanto la soluzione prescelta in ordine alla questione di diritto dedotta dall'appellante è corretta.

7.1.2. Questa Corte (Sez. U, n. 33583 del 26/03/2015, Lo Presti, Rv. 264482 - 01) ha già chiarito che, in virtù del principio di conservazione degli atti e della regola, ad esso connessa, del "tempus regit actum", sono legittimamente utilizzabili le dichiarazioni del soggetto che, al momento della deposizione, rivestiva ancora e soltanto lo "status" di persona informata sui fatti, a nulla rilevando, in contrario, la circostanza che abbia successivamente assunto la condizione di indagato o di imputato.

Il principio è stato successivamente ribadito da Sez. 2, n. 5823 del 26/11/2020, dep. 2021, Santoro, Rv. 280640 - 01 e da Sez. 2, n. 28583 del 18/06/2021, Costantino, Rv. 281807 - 01.

7.1.3. La dedotta inutilizzabilità era, pertanto, insussistente.

8. Con il nono motivo, il ricorrente ha dedotto violazione degli artt. 191 e 270 c.p.p., per inosservanza di norme stabilite a pena d'inutilizzabilità, in riferimento alle conversazioni intercettate nel procedimento penale n. 30345/2016 R.G.N. R., a nulla rilevando che l'imputato "si sarebbe difeso in giudizio proprio sulle circostanze documentate dalle intercettazioni", in quanto la prescritta sanzione d'inutilizzabilità è insanabile; nel caso in esame, "risultava incontroverso che il nesso tra i reati autorizzati con il decreto emesso nell'ambito del procedimento originario e quelli oggetto del presente giudizio si connotasse come meramente occasionale, in quanto il procedimento a quo riguardava illeciti contro la PA, realizzati in un contesto ictu oculi diverso da quello del presente giudizio".

8.1. Il motivo è privo della necessaria specificità.

8.1.1. La dedotta inutilizzabilità delle intercettazioni operate in diverso procedimento, in difetto della contestazione di reati per i quali sia previsto l'arresto obbligatorio in flagranza di reato (cfr. art. 270 c.p.p.) è evidente, a nulla rilevando il fatto (erroneamente ritenuto rilevante dal P.G. nel corso della requisitoria pronunciata in udienza) che si sia proceduto con rito abbreviato.

Questa Corte e', infatti, ferma nel ritenere che (‘inutilizzabilità delle intercettazioni acquisite in violazione del divieto sancito dall'art. 270 c.p.p. può essere rilevata anche nell'ambito del giudizio abbreviato, trattandosi di ipotesi di c.d. inutilizzabilità patologica (Sez. 6, n. 28790 del 01/10/2020, 0., Rv. 279629 - 01; Sez. 5, n. 542 del 15/11/2016, dep. 2017, Mantella Rv. 269020 01).

8.1.2. Peraltro la Corte di appello (pag. 16 della sentenza impugnata) non ha negato la sussistenza del vizio, ma ha piuttosto valorizzato il fatto che "le conversazioni in discussione sono ammesse dall'imputato, che ne ha addirittura fornito una giustificazione".

Le conversazioni de quibus sono, pertanto, legittimamente entrate a far parte degli elementi probatori conosciuti dal collegio ed utilizzabili ai fini della conclusiva decisione non in quanto provenienti da intercettazioni (in quanto tali, inutilizzabili per violazione dell'art. 270 c.p.p.), ma in quanto rivelate dall'imputato nel corso delle dichiarazioni rese.

Inoltre, ferma la non sanabilità della sanzione di inutilizzabilità prevista dall'art. 270 c.p.p., se, in ipotesi, l'imputato non avesse rivelato il contenuto di tutte le conversazioni conclusivamente utilizzate dai giudici del merito ai fini della decisione, sarebbe stato onere del ricorrente indicare specificamente quali conversazioni erano state conosciute solo in quanto intercettate, ed erano quindi inutilizzabili, e quali invece erano state conosciute perché riferite dall'imputato in udienza, ed erano quindi utilizzabili ai fini della decisione.

Ma su tale profilo il ricorso è del tutto silente.

9. Con il decimo motivo, il ricorrente ha dedotto violazione di leggi e vizi di motivazione quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche ed all'asserita eccessività della pena irrogata.

9.1. Il motivo è privo della necessaria specificità, perché reitera censure già correttamente disattese dalla Corte di appello, con rilievi dei quali il ricorrente si disinteressa, e comunque manifestamente infondato: l'elevato numero dei gravi reati accertati, la cui commissione è risultata protratta per ampio lasso di tempo, costituisce elemento di per sé idoneo a legittimare le contestate statuizioni.

10. In presenza di motivi in parte infondati, in parte manifestamente infondati, in parte non consentiti, in parte privi della specificità necessaria ex artt. 581, comma 1, e 591, comma 1, lett. c), c.p.p., il ricorso va, nel complesso rigettato.

10.1. Ciò comporta, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2022.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2022.

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